Le incredibili coincidenze legate a Fatima: una casualità?

Le apparizioni di Fatima e le profezie sulla Russia. Una serie di sorprendenti casualità lega i messaggi rivelati dalla veggente suor Lucia ad alcuni dei principali eventi del secolo scorso.

 
 
 

Pochi conoscono la serie di incredibili coincidenze che legano Fatima ai principali avvenimenti del Novecento.

Tra essi, ad esempio, la Seconda guerra mondiale, il rischio di guerra nucleare, l’attentato a Giovanni Paolo II e la dissoluzione improvvisa dell’Unione Sovietica.

Sono le date, in particolare, a destare stupore e abbiamo provato a ricostruire gli eventi nella maniera più semplice possibile.

 

13 maggio 1917, iniziano le apparizioni di Fatima.

Le apparizioni a Fatima cominciarono il 13 maggio 1917 e la profezia più famosa è sicuramente quella contenuta nel messaggio del 13 luglio 1917, quando la Madonna profetizzò gli “errori” della Russia in tempi assolutamente non sospetti, dato che meno di un mese prima gli USA avevano dichiarato guerra alla Germania, acutizzando il confronto della Prima guerra mondiale (1914-1918).

Ecco il messaggio riportato dai veggenti nel 1917:

«La guerra sta per finire, ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il pontificato di Pio XI ne comincerà un’altra ancora peggiore […]. Per impedirla verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e alla comunione riparatrice nei primi sabati […]. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà, il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà».

 

Nel 1929 la Madonna apparve ancora a suor Lucia per dirle che quello era il momento per la consacrazione, la quale però non riuscì ad essere realizzata. Puntualmente si verificò tutto ciò che i veggenti di Fatima predissero anni prima: tutti sanno cosa accadde in Russia (e di quale ideologia anti-teista fu capace).

 

13 maggio 1981, attentato a Giovanni Paolo II.

L’attentato a Giovanni Paolo II avvenne il 13 maggio 1981, casualmente il giorno della festa della prima apparizione di Fatima.

Sempre per coincidenza, l’attentatore Alì Agca venne bloccato, subito dopo aver sparato, da una religiosa di nome suor Lucia.

L’attentato a Papa Wojtyla, ancora per casualità, avvenne in modo molto simile alla descrizione che la veggente suor Lucia fece della visione avuta nel luglio 1917, definita per questo “primo segreto di Fatima”.

 

La consacrazione della Russia evitò la guerra atomica?

Il 25 marzo 1984 il Pontefice fece una nuova consacrazione del mondo (una era già stata fatta da Pio XII il 31 ottobre 1942) al Cuore Immacolato di Maria, con particolare attenzione alla Russia, senza però citarla, parlando di «nazioni che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno […] Madre degli uomini e dei popoli… dalla fame e dalla guerra, liberaci! Dalla guerra nucleare, da un’autodistruzione incalcolabile, da ogni genere di guerra, liberaci!».

In quest’occasione il vescovo cecoslovacco Pavel Hnilica riuscì ad entrare all’interno delle mura del Cremlino, compiendo un atto di consacrazione in quasi contemporanea a quello del Pontefice.

Suor Lucia, nel suo monastero, ebbe un’ultima visione pubblica nel 1984 durante la quale la Madonna la ringraziò per la consacrazione avvenuta nel suo nome e, a seguito di quell’apparizione, suor Lucia dichiarò che la consacrazione del marzo 1984 aveva evitato una guerra atomica che sarebbe scoppiata nel 1985.

Guardando i fatti a posteriori, la guerra atomica fu una possibilità reale in quegli anni? Dalla storia sappiamo che la tensione fra Est e Ovest salì alle stelle nel 1983 a causa della crisi degli euromissili, ma bisogna sapere anche che effettivamente poco dopo la solenne consacrazione di Papa Wojtyla accaddero alcuni eventi determinanti nell’allontanare la possibilità concreta di una guerra.

Recentemente è stato tolto il segreto dai documenti dell’archivio britannico di stato e da questi si evince come proprio in quegli anni il mondo fosse effettivamente sull’orlo di una guerra nucleare.

 

13 maggio 1984, l’esplosione distrugge arsenale sovietico.

Circa due mesi dopo, infatti, esattamente il 13 maggio 1984 -sempre per coincidenza, giorno dell’anniversario dell’apparizione di Fatima-, a Severomorsk, nel Mare del Nord, vi fu l’esplosione dell’intero arsenale militare russo, di estrema importanza strategica per una guerra in Europa.

Questo evento mise completamente ko il potenziale militare sovietico, togliendo qualunque speranza di vittoria in caso di un conflitto. «La flotta artica sovietica si troverebbe nei guai in caso di scontro con la marina americana», disse una fonte anonima dei servizi segreti degli Stati Uniti citata da Repubblica il mese dopo l’esplosione.

La distruzione dei missili terra-aria sovietici causati dallo scoppio avvenuto il 13 maggio 1984 allontanò definitivamente l’opzione militare.

Si legge, infatti, che l’esplosione «privò la Flotta Sovietica del Nord, la più potente tra quelle d’altura, dei mezzi bellici necessari», compromettendo «le potenzialità strategiche indispensabili per sferrare un attacco contro l’ovest; game over, fine anticipata di quell’ultima appendice così pericolosa di Guerra Fredda».

 

8 dicembre 1987, stop armamenti e Immacolata concezione.

Mikhail Gorbacev salì al governo con l’obbiettivo di riformare il sistema sovietico. Fu proprio lui a firmare l’8 dicembre 1987 il trattato per la riduzione degli armamenti che prevedeva anche l’eliminazione degli euromissili.

L’8 dicembre, per un’ennesima coincidenza, è proprio la data in cui la Chiesa festeggia l’Immacolata Concezione. Come si può evitare di ricordare che la profezia di Fatima del 1917 si concludeva dicendo: “Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà”?

 

8 dicembre 1991, fine dell’Unione Sovietica.

Le misteriose combinazioni non sono comunque terminate: anche la fine ufficiale dell’Unione Sovietica, la più grande dittatura (atea) della storia, implose in soli quattro anni in modo inimmaginabile e senza violenze né vittime. Essa fu ufficializzata proprio l’8 dicembre 1991, ancora una volta, casualmente, nella festa dell’Immacolata Concezione.

Gorbacev ha dichiarato al Corriere della Sera nel 2001: «Nessuno al mondo pensava che l’Urss si potesse sciogliere […]. Ancora oggi non riesco a capire quello che passò per la testa dei deputati russi, ucraini e bielorussi».

 

25 dicembre 1991, l’URSS cambia nome in Russia.

Il 25 dicembre dello stesso anno l’URSS cambiò nome in Federazione Russa e la bandiera con la falce e il martello venne definitivamente ammainata dal Cremlino.

Non ci fu nessuna connessione voluta con il giorno di Natale, una data come le altre a quel tempo in Unione Sovietica, dato che le celebrazioni natalizie vennero ripristinate soltanto l’anno successivo, dopo decadi di soppressione da parte del governo comunista.

 

Troppe le coincidenze in questa storia per credere che siano tali?

Davide Galati

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Ufficializzata la prima restrizione all’aborto in Spagna

Pare proprio che il neo-governo spagnolo di Mariano Rajoy, come avevamo anticipato in Ultimissima 14/2/11 e Ultimissima 30/9/11, comincerà a mettere mano alla permissiva legge sull’aborto voluta da Zapatero, il cui unico risultato è stato quello di aumentare il numero di aborti. Lo ha annunciato in modo ufficiale il 23 dicembre 2011 la vicepremier Soraya de Santamaria, nella sua prima apparizione pubblica dopo la composizione del governo. L’ex governo socialista aveva deciso che  la donna potesse abortire fino alla 14° settimana di gestazione, solo le minorenni invece potevano farlo anche prima quella data senza nessun permesso da parte dei genitori.  Inoltre, si può abortire fino alla 22esima settimana, con la sola clausola che venga indicato uno di questi motivi: stupro, rischio per la salute, malformazione ma anche rischio psicologico, quest’ultima opzione (lasciata appositamente vaga) in un anno è stata indicata dal 95% delle donne che hanno abortito. Ora il Partito Popolare intende invece fare sì che tutte le minorenni che decidono di interrompere la gravidanza debbano prima ottenere l’autorizzazione del padre o del tutore. Non è molto, ma un piccolo passo verso una più ampia restrizione.

Il prof. Antonio Gambino, docente di Diritto all’Università Europea di Roma, spiega: «Questa modifica restringe le situazioni nelle quali si può abortire, e già questo è un fatto positivo perché la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza ha un forte impatto culturale sugli ordinamenti in cui viene a operare. Nel caso specifico, chiedendo anche il consenso dei genitori della minorenne che intende abortire, indica che il nascituro ha dei diritti che vanno al di là della semplice volontà del soggetto che vuole interrompere la gravidanza. Per essere sacrificato il diritto del feto ha la necessità di essere messo a confronto con più posizioni soggettive, tra cui quella dei genitori della donna minorenne che vuole abortire. Questo ovviamente non esaurisce i problemi che fa emergere qualsiasi legislazione sull’aborto, ma tuttavia nel restringerne l’applicazione offre una valutazione apprezzabile […]. Il tema delle settimane entro le quali si può abortire non ha alcun senso, perché è evidente che per una vita che ormai ha attivato progressivamente la sua venuta all’esistenza e quindi la sua crescita, non c’è nessuna differenza né di ore né di settimane. E’ sempre lo stesso essere che una volta concepito ha iniziato a vivere nel mondo».

C’è anche una riflessione interessante sulla mancata valorizzazione dell’adozione: «I limiti che si oppongono a questa scelta sono di natura culturale, perché sono legati a una visione del nascituro come cosa propria, e non invece come soggetto autonomo e persona. Purtroppo quando lo si considera come una proprietà, non si vede invece che quel bene giuridico ha una sua autonomia in quanto a diritti».

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Giorello e Odifreddi insultano Hitchens: «era un fondamentalista reazionario»

Nonostante i tanti “rimarrai sempre nei nostri cuori” ecc…, pare che purtroppo della recente morte di Christopher Hitchens si ricordino già ben poche persone. La notizia ha guadagnato qualche pagina di giornale, ma sinceramente ci si aspettava qualcosa di più.

I noti cavalieri dell’ateismo militante sono ora rimasti in tre, due pensionati Richard Dawkins e Daniel Dennet e il neuro-filosofo Sam Harris. In Italia, invece, i loro colleghi di fede pare non avessero molta stima per Hitchens.

Giulio Giorello ha dedicato all’autore di “Dio non è grande” qualche riga sul “Corriere della Sera”. Prima una battuta di umorismo: «Qualcuno potrebbe ora obiettare che ora tocca al Signore dichiarare che infine è proprio Hitchens a non essere così grande». Per poi ricordarlo così: «Convinto che la libertà intellettuale andasse difesa contro i fondamentalismi religiosi di ogni marca, riteneva che contrattaccare vivacemente fosse la strategia migliore, a rischio di sembrare lui stesso un fondamentalista dell’ateismo». E’ questo quel che ha suscitato in Giorello? Davvero non male come ricordo… Ma non è finita: «Ma le opinioni di un polemista, per quanto possano sembrarci bizzarre, irriverenti o infondate, in una democrazia hanno il diritto di essere rispettate e magari contraddette». Certo, bisogna rispettare anche le opinioni degli estremisti…ma non paiono proprio parole di stima, anzi, chi vorrebbe essere ricordato come uno le cui parole vanno comunque accettate in democrazia?

Piergiorgio Odifreddi, il matematico incontinente -che da sempre subisce consapevolmente la sua assurda insignificanza rispetto ai militanti inglesi-, è stato molto meno enigmatico: «Una dozzina di anni fa, durante un viaggio a Calcutta, trovai un libretto su Madre Teresa dal salace titolo “La posizione missionaria” […] non conoscevo l’autore, ma mi colpì il suo coraggio. Memorizzato il nome di Christopher Hitchens, lo tenni d’occhio. Ma dopo l’11 settembre 2001 rimasi molto deluso nel leggere alcuni suoi articoli che questa volta smascheravano lui come un reazionario schierato con la politica di Bush. Quando nel 2007 uscì il suo best seller “Dio non è grande” mi precipitai a leggerlo, sperando di trovare in lui un alter ego nella mia battaglia “per l’onore dello spirito umano”. Ma dovetti abbandonarlo deluso dopo qualche capitolo, infastidito dalla sua retorica alla Oriana Fallaci, irrazionale e violenta». Anche in lui il ricordo è quello di un “violento”, anche se detto da Odifreddi è come l’asino che dice cornuto al bue. Nel prosieguo dell’articolo, il matematico sedicente impertinente ha cercato di intrufolarsi nel “quartetto ateo”, accanto a Dawkins e ad Onfray. Peccato che non sia affatto così, nessuno dei suoi colleghi esteri lo ha mai considerato, ammesso e non concesso, ovviamente, che Dawkins e Onfray sappiano qualcosa della sua esistenza.

La redazione

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La fede e il benessere psicofisico: distinzioni da effetto placebo

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Maria Beatrice Toro, psicologa, psicoterapeuta e docente presso l’Università La Sapienza di Roma. Dal 2008 è Direttore Didattico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo Interpersonale SCINT di Roma e coordinatore scientifico presso l’Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale (ITCI)».

di Maria Beatrice Toro
*psicologa, psicoterapeuta e docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma

 

Gli studi che individuano maggiori livelli di benessere e di salute nei credenti colgono diversi aspetti di un fenomeno affascinante e complesso, che tocca stili di vita, modi di pensare, assetti affettivi ed emotivi, pratiche quali la preghiera e la meditazione, la frequentazione regolare di funzioni e celebrazioni religiose, l’abitudine a effettuare esercizi spirituali. Se è vero, infatti, che le persone religiose potrebbero godere di maggiore salute – come riporta la letteratura scientifica sull’argomento – poiché tendono ad assumere stili di vita più sani (in conseguenza all’accettazione di prescrizioni e regole di vita che scoraggiano una serie di pratiche dannose), sembra, tuttavia, importante sottolineare come non tutto si possa spiegare in base a questo tipo di  premessa.

 

La letteratura scientifica indica maggior benessere nei credenti.

Non sono in molti a dubitare seriamente che uno stile di vita salutare contribuisca a migliorare il benessere ed è altamente probabile che condividere il medesimo stile moderato con la collettività dei credenti rafforzi la propria determinazione e la fermezza nel mantenere i propositi. Fin qui niente di illuminante, se non la constatazione che chi crede ha maggiore motivazione nel seguire delle buone pratiche ed è incline ad autodisciplinarsi in modo più efficace rispetto a chi non crede. Un altro dato che può in parte spiegare il benessere delle persone religiose riguarda la minore vulnerabilità alla depressione; questa si lega, probabilmente, al contrasto del sentimento di disperazione e a una buona capacità di riconoscere i momenti in cui si ha bisogno di aiuto, che distingue i religiosi dagli scettici. I credenti hanno un maggiore sentimento di fiducia nel poter ricevere aiuto. La cosiddetta “inaiutabilità”, una percezione che è caratteristica di chi tende a sviluppare disturbi depressivi, viene mitigata, nei credenti, dal messaggio che si può fidarsi e che quando si è in difficoltà si può chiedere, con la preghiera, ma anche con il ricorso agli altri.

Ciò che mi appare interessante è tentare di sondare il senso di tali specificità di pensiero e comportamento, introducendo elementi propriamente psico-biologici e correlandoli al maggior benessere psicofisico. Torno, allora, come primo esempio, alla capacità di autodisciplina, provando a delineare il motivo grazie a cui i credenti risultano in grado di controllarsi di più, come riporta una gran mole di letteratura scientifica sull’argomento. Una delle ragioni può risiedere nel fatto di mettere grande impegno ed energia nel perseguire obiettivi, allorché questi obiettivi vengano percepiti come fondamentali, o, ancor più, come sacri. Non si tratterebbe, però, di una specificità esclusiva delle persone religiose, ma riguarderebbe, piuttosto, tutte quelle persone che possiamo definire “molto determinate”.  Il discorso si approfondisce se si vanno ad osservare gli effetti dei sentimenti e delle attività tipiche dei credenti, cercando di individuare quale sia il loro impatto sulla mente umana e sulla qualità della vita. Un passo importante è, allora, sottolineare il senso di speranza e fiducia che caratterizza chi dà una prospettiva positiva e un senso alle cose. È una sorta di “nutrimento spirituale”, che, nella maggior parte dei casi, può migliorare l’affettività, innalzare l’autostima e promuovere atteggiamenti costruttivi.

Ci si può soffermare, poi, sul contributo apportato da pratiche fondamentali collegate alla fede, quali la preghiera, solitaria o collettiva, la meditazione, la partecipazione alle celebrazioni, per andare a vedere nel dettaglio come possano incidere su stati psicofisici e qualità mentali, quali la volizione e l’autocontrollo. Tutti questi atteggiamenti e comportamenti si ripercuotono, infatti, nel funzionamento cerebrale in modo peculiare, favorendo lo sviluppo di alcune caratteristiche. Gli effetti maggiori riguardano l’attivazione di aree importanti, nei lobi parietali e temporali, nella corteccia anteriore del giro del cingolo e nella corteccia prefrontale mediale. Tali aree hanno a che fare con le cosiddette “capacità meta cognitive”:  riflessione, empatia, capacità di auto-regolazione. La fede e la preghiera comportano, in particolare, modalità di attivazione cerebrali molto diverse dalle attivazioni che si osservano nei fenomeni di suggestione, che passano per altre vie neurali e altri sistemi psicofisiologici. Gli effetti, che oggi si sa essere benefici, della preghiera e della meditazione vanno distinti da quelli del rilassamento, delle pratiche suggestive e ipnotiche, dell’effetto placebo.

 

La fede e l’effetto placebo, la grande differenza.

Nell’effetto placebo, infatti, i meccanismi neurofisiologici che sono attivi nei soggetti altamente suggestionabili non risultano sovrapponibili a fenomeni osservati nei credenti. I meccanismi della suggestione coinvolgono, anche qui, aree specifiche del cervello, che hanno a che fare con i cosiddetti “sistemi del reward”, quei circuiti neurali che si attivano in base a quanto un’attività sia gratificante. In particolare, una serie di studi ha approfondito il meccanismo psicofisico indotto nel paziente in seguito alla somministrazione di sostanze che non hanno nessuna reale proprietà farmacologica, ma che in molti casi dimostrati riesce ad alleviare un dolore o addirittura a migliorare lo stato fisico. Secondo la definizione di Shapiro: «Placebo è ogni procedura deliberatamente attuata per ottenere un effetto o che, anche senza che se ne abbia nozione, svolge un’azione sul paziente o sul sintomo o sulla malattia, ma che oggettivamente è priva di ogni attività specifica nei confronti della condizione oggetto di trattamento. Tale procedura può essere attuata con o senza consapevolezza che si tratti di un placebo». Si tratta di un fenomeno che ha molto a che fare con la suggestione, ma ha caratteristiche peculiari che lo distinguono dagli altri tipi di suggestione, quali l’ipnosi e l’autoipnosi. Una ricerca condotta dai di neurologi del Department of Psychiatry and Molecular and Behavioral Neuroscience Institute dell’Università del Michigan, coordinati da Jon Kar Zubieta, ha individuato, in particolare, un settore del sistema limbico, il Nucleus Accumbens che viene potentemente coinvolto quando si attiva l’effetto placebo. Questo nucleo e il sistema endorfinico della dopamina intervengono, infatti, quando ci si aspetta di ricevere un aiuto e influenzano la risposta alle cure mediche. La pratica religiosa attiva meccanismi cerebrali differenti e sovrapporre l’effetto placebo ai fenomeni legati alla fede, al di là della propria personale posizione sull’argomento, sarebbe, comunque, un errore scientifico abbastanza grossolano.

Fatta, dunque, questa importante distinzione, vorrei concludere questa breve riflessione con un approfondimento, suggerito dagli studi di Andrew Newborg e Eugene d’Aquili, pionieri nella ricerca dei meccanismi neurobiologici della fede. I due studiosi affermano, riportando l’ampia letteratura in materia, che i comportamenti religiosi contribuiscono alla buona salute per la loro capacità di riduzione dello stress. Una preghiera silenziosa, o una meditazione, o la partecipazione a una celebrazione attivano la funzione parasimpatica, rafforzando la risposta immunitaria agli agenti patogeni, riducendo frequenza cardiaca e pressione sanguigna, nonchè la concentrazione ematica di ormoni quali il cortisolo.

C’è, però, anche un tipo di attivazione ulteriore, che può essere innescato dalla preghiera intensa e continuativa. Questa pratica favorisce il raggiungimento della percezione che le cose abbiano un senso unitario. E’ il cuore spirituale dell’esperienza religiosa, il momento in cui si nella mente si apre lo spiraglio della trascendenza, reso possibile dalla struttura stessa del nostro cervello. Le specificità umane rendono infatti possibile questo tipo di intuizione e di dialogo, in cui si trascende se stessi; i suoi complessi effetti non si spiegano agevolmente ricorrendo a sovrapposizioni con altre attività e stati mentali.  Se vogliamo indagare la natura di questa capacità di auto trascendenza dell’essere umano ed i suoi effetti, spesso benefici, è importante partire dall’ipotesi che si tratti di qualcosa di diverso, di un fenomeno originale, una peculiarità di funzionamento assunta dalla coscienza umana quando entra in gioco l’esperienza di Dio.

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«Inquisizione? Questione protestante e rinascimentale», parla la storica Montesano

medioevo inquisizioneInquisizione e Medioevo. Un binomio inscindibile per alcuni, ma smontato dalla prof.ssa Marina Montesano, dell’Università di Genova. La quale osserva anche che tale istituzione si sviluppò sopratutto in area germanica protestantizzata.

 

La leggenda nera sull’Inquisizione viene spesso usata, oltre per attaccare il cattolicesimo, anche per tenere viva l’accusa al Medioevo di essere un “periodo buio”. Tanto buio che tutte le più grandi invenzioni, dagli ospedali alle università, emersero proprio in quell’arco storico!

Gli storici, tuttavia, tirano dritto e continuano a pensarla diversamente. E’ il caso recente di Marina Montesano, ricercatrice di Storia medievale presso l’Università di Genova la quale, in un articolo per Il Manifesto, recensisce due libri storici sulla “caccia alle streghe” appena pubblicati.

 

Inquisizione medioevale? No, nel Rinascimento le condanne più numerose.

Il suo giudizio a ristabilire la verità sul Medioevo è netto: «proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose». Continua, «per la caccia alle streghe si può schematicamente delineare uno sviluppo in tre fasi differenti: un diffondersi sporadico di processi e condanne capitali che terminò intorno al 1550-1560; un incremento notevole tra quest’epoca e il 1660, fase che costituì l’apice della caccia in Europa; dopo questa data e fino alla metà del XVIII secolo si ebbe una diminuzione generalizzata dei processi, ma anche il loro arrivo in aree precedentemente risparmiate». I numeri non sono poi certo quelli propagandati dai vari Corrado Augias & Co: «la storiografia è in grado di proporre dati probabili: nell’intero periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla pena capitale oscillano tra le 40mila e le 60mila, nonostante la pubblicistica in materia dia spesso cifre palesamente assurde, che arrivano addirittura a parlare di milioni di vittime».

 

L’Inquisizione si diffuse di più nell’area germanica protestantizzata.

E’ importante anche concentrarsi sull’area geografia maggiormente coinvolta in questa pratica, ovvero quella germanica e protestantizzata: «un’area, quella tedesca del Sacro Romano Impero, comprendente territori cattolici quanto protestanti, in cui la caccia alle streghe mieté il numero maggiore di vittime. È una disparità che colpiva anche i contemporanei, se il gesuita Friedrich Spee poteva scrivere, nella serrata critica alle modalità dei processi tedeschi espressa nella Cautio criminalis del 1631, che la Germania sembrava essere «tot sagarum mater»: «madre di così tante streghe». Circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania». E la causa, continua la storica, fu sopratutto la Riforma e l’estrema frammentazione del potere politico: «Lutero e Calvino non sembrano aver dato molto peso alla stregoneria e nessuno dei due riformatori elaborò una forma di demonologia innovativa, ma il Diavolo esercitava a loro avviso un potere reale nel mondo; i riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione. È indubbio che, essendo le streghe emissarie del diavolo e complici nei suoi misfatti, nel mondo riformato si ponevano le premesse per una «caccia» intensa e determinata».

I revisionisti anti-cattolici citano anche ossessivamente l’Inquisizione spagnola (area cattolica) come il capro espiatorio della caccia alle streghe. Ma la Montesano chiarisce: «Il paragone tra la Germania e la Spagna è istruttivo: nella penisola iberica, vittima di una secolare «leggenda nera», si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale; i tribunali erano infatti restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne più blande. Inoltre, le accuse erano più simili a quelle tradizionali di magia, piuttosto che di stregoneria per così dire «moderna», cioè corredata di patti e omaggi demoniaci, volo magico, infanticidi e via dicendo». Quante furono le streghe condannate a morte in Spagna? «più di cento in Catalogna nei soli anni 1610-1625, ma venti-trenta sotto l’Inquisizione negli oltre cento tra 1498 e 1610. In totale le condanne a morte dovrebbero aggirarsi intorno alle 300». Ancora meno se l’autorità centralizzata fosse stata forte e capace di incidere.

Riassumendo dunque si può dire che il Medioevo ebbe davvero poco a che vedere con la “caccia alle streghe”, attività che in grandissima parte avvenne in ambito protestante. Il pensiero è decisamente simile a quello di Jean Dumont, uno dei maggiori specialisti mondiali sull’Inquisizione spagnola, il quale in quest’interessante intervista aggiunge un dato sulla presunta e “terribile macchina da morte” spagnola: «nell’epoca di maggiore voga della tortura, in Spagna, a Valenza, su duemila processi dell’Inquisizione, nell’arco che va dal 1480 al 1530, sono stati ritrovati dodici casi di tortura».

La redazione

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Nuovo studio: l’Irlanda è un paese giovane e sano grazie al divieto di aborto

Un nuovo studio irlandese collega il basso tasso di aborto ad una bassa incidenza di cancro al seno e una buona salute mentale tra le donne. Oltre a dimostrare dunque la pericolosità dell’aborto per la salute delle donne, la ricerca è molto importante per evidenziare quanto le donne irlandesi stiano beneficiando del divieto all’aborto. In Irlanda infatti è illegale a meno che la gravidanza non metta in rischio la vita della donna. Il fatto che l’aborto sia vietato, che le donne stiano bene, abbiano bassi tassi di mortalità (dati 2005) e il 70% dei cittadini approvi il divieto (dati febbraio 2011), è davvero una situazione rivelatrice delle falsità degli argomenti pro-choice (o pro-death).

Il presente studio è stato redatto da Patrick Carroll,  del Pensions and Population Research Institute (PAPRI), il quale ha affermato: «le leggi restrittive sull’aborto hanno permesso un tasso di natalità, nella Repubblica e nell’Irlanda del Nord, molto più alto rispetto alla media europea, beneficiando di un profilo demografico più giovane e con meno dipendenza in materia di immigrazione rispetto ad altri paesi europei». Ha aggiunto che ci sono stati benefici sia per le donne ed i bambini, spiegando che «è perché sono bassi i tassi di aborto tra le donne irlandesi che l’Irlanda presenta una bassa incidenza di malattie materno-infantile note per essere legate all’aborto: bambini nati morti, sottopeso nelle nascite singole o multiple, nascite pretermine o premature, paralisi cerebrale e di mortalità materna…». E ancora: «L’Irlanda beneficia anche di bassa incidenza di cancro al seno e relativamente buona salute mentale tra le donne, una bassa incidenza di alcune malattie del sistema immunitario a cui hanno contribuito i bassi tassi di aborto. La liberalizzazione delle leggi sull’aborto in Irlanda può provocare elevati tassi abortivi ed un deterioramento nei confronti di queste condizioni che incidono sulla salute delle donne», ha continuato.

Il rapporto mostra che oltre 100.000 bambini irlandesi sarebbero andati soppressi se la legislazione fosse favorevole all’aborto. Rebecca Roughneen, una pro-life irlandese, ha dichiarato: «Dobbiamo fare in modo che l’Irlanda sia “per la vita” e continui a proteggere mamme e bambini». Dati divulgati nell’aprile 2011 mostrano anche una decrescita del numero di donne irlandesi che si recano in Gran Bretagna per abortire.

Antonio Tedesco

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Nuovo studio: il cristianesimo è la religione più diffusa e non ha confini

Un recente studio, Global Christianity: A Report on the Size and Distribution of the World’s Christian Population, realizzato dall’autorevole centro di ricerche americano “Pew Research Center’s Forum on Religion & Public Life”, ha stabilito che il cristianesimo è una fede assolutamente globale. Non esiste un luogo al mondo, dicono i ricercatori, che «può senza dubbio affermare di essere il centro del cristianesimo globale». che possa essere individuato come il centro del cristianesimo, perché non ha nessun tipo di confine.

Al contrario delle altre religioni, non è legato ad un’area geografica in particolare. Se i cristiani dell’Ovest fossero nati all’Est o al Sud del mondo, avrebbero avuto più o meno le stesse probabilità di incontrare il cristianesimo. Questo non si può certo dire dell’ebraismo, oggi composto da pochi milioni di appartenenti in precise aree del mondo. Lo stesso vale per il buddhismo e le religioni orientali, per l’appunto. Anche l’Islam, seppur sia professato da 1,6 miliardi di persone, rimane maggiormente diffuso in alcune precise zone altamente sovraffollate.

Al contrario, 2,18 miliardi di persone al mondo si definiscono “cristiane” e corrispondono al 32% della popolazione (un terzo), percentuale invariata rispetto all’ultimo secolo. Il numero dei cristiani di tutto il mondo è infatti quasi quadruplicato negli ultimi 100 anni, passando da circa 600 milioni nel 1910 a più di 2 miliardi nel 2010, ma anche la popolazione ha avuto un incremento significativo. I cristiani sono più numerosi nel Sud del mondo, ma -continua la ricerca- la concentrazione di cristiani è molto più alta nel Nord del mondo, dove il 69% della popolazione si definisce appunto cristiana (al contrario del 24% del Sud). I cattolici sono i più numerosi, rappresentando il 50,1% dei cristiani. I protestanti il 37%, gli ortodossi il 12% e il resto i fedeli di altre denominazioni.

Ancora una volta le parole della Bibbia, in questo caso della Genesi, sono profetiche. Dio si rivolse così ad Abramo: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza. Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente e ad oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra».

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La propaganda atea nell’Urss ricordata dalla poetessa Sedakova

L’Unione Sovietica capitolò il giorno di Natale del 1991, il 26 dicembre Mikhail Gorbaciov sciolse ufficialmente l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss), nata nel lontano 1922. Per quasi 70 anni dominò la disumanità più totale, accompagnata alla chiara e ufficiale propaganda atea e anti-cristiana.

Lo racconta la poetessa russa Ol’ga Aleksandrovna Sedakova, docente dal 1991 presso la Facoltà di Filologia dell’Università di Mosca e nominata, tra le altre onorificenze, cavaliere della Repubblica francese nel 2005. Nata a Mosca nel 1949 ha vissuto direttamente quello che descrive su “La Bussola”: «senza collaborazionismo non si poteva far niente: perfino ottenere un diploma, senza dare gli esami delle materie ideologiche, tra cui l’«ateismo scientifico» era impossibile […]. I comunisti erano insoddisfatti dell’uomo in quanto tale, lo scopo del regime era costantemente la «rieducazione», la «creazione dell’uomo nuovo», dell’«uomo dell’avvenire». Una delle sue costanti era l’ateismo. Un’altra era la fedeltà alla causa del partito. Come sappiamo, i gulag erano pensati come una scuola di rieducazione ideologica, ma anche in libertà l’uomo sovietico subiva un processo di «rieducazione» (cioè di lavaggio del cervello), fin dalla scuola materna. E come strumento per creare l’«uomo nuovo», oltre a questo indottrinamento generale si praticava anche una rigida selezione, di generazione in generazione».

Tuttavia «il comunismo non è riuscito a cancellare Dio dal cuore delle singole persone. Anche se costoro sono stati costretti a diventare – se non dei martiri – almeno dei confessori della fede all’interno dello Stato ateo. Sul cuore umano, in fin dei conti, nessuno può vantare pieni poteri, nessun regime può se Dio lo chiama a sé». In molto altro, purtroppo, ha però avuto successo: «È riuscito a coltivare più generazioni di persone completamente avulse dalla tradizione cristiana. È riuscito a generare un’incredibile ignoranza in questo campo. Quando in epoca sovietica andavo al cimitero, dove si aveva paura di far mettere le croci sulle tombe, io pensavo atterrita alle dimensioni di questo strappo dalla fede, dalla preghiera, dal diritto a confessarsi e a comunicarsi prima di morire. Ma d’altra parte, coloro che conservarono la fede, e coloro che nonostante tutto vi approdarono – e questo processo si accentuò negli anni Settanta – che gioia del cristianesimo sperimentavano! Nelle epoche di prosperità della Chiesa non si vive tanto intensamente questa gioia della fede, questa forza vivificante della fede». E ancora: «Nessuno dei progetti utopici del regime come l’ateismo di stato o l’arte e le scienze manipolate dall’ideologia riuscì a realizzarsi allo stato puro. Ma pur nella loro parziale attuazione hanno generato fiumi di sangue, degradazione e ignoranza in tutti i campi».

Ancora oggi, mentre tutti condannano il nazismo e l’operato di Hitler, esiste ancora in qualcuno una sorta di impaccio nel condannare quello che fu il comunismo, tentando pure di separarlo dall’ideologia atea. Eppure testimoni diretti come la poetessa Sedakova continueranno a raccontare la verità.

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A “Radio Londra” continua la difesa “della vita”

Ancora una volta Giuliano Ferrara è intervenuto sull’aborto. Lo ha fatto in televisione nel suo programma “Radio Londra” in due circostanze vicine.

La prima volta, il 30 dicembre 2010, ha raccontato della vicenda di  don Maurizio De Sanctis, detto anche “padre Nike”, il sacerdote di Livorno che si è reso disponibile, assieme alla parrocchia, a prendersi cura delle spese del bambino che nascerà da una coppia di “scampati abortisti”. La bella notizia ha fatto il giro dei quotidiani e della rete. Ferrara ha anche ricordato che esiste il progetto GEMMA in Italia che si occupa proprio di trovare del denaro per le coppie in attesa di un figlio e con problemi economici. Il riferimento rimane il numero verde SOS VITA: 800-813000.

 

Qui sotto il video della puntata del 30/12/11 di Radio Londra

 
 
 
 
Il 4 gennaio 2012 è tornato sul tema festeggiando la nascita a Roma di un cimitero chiamato “Il giardino degli Angeli” dedicato ai bambini non nati, che solitamente vengono smaltiti come rifiuti ospedalieri. Molte critiche sono arrivate a sottolineare il “fastidio” per avere sotto gli occhi un segno ben preciso del fatto che embrione e feto sono esseri umani, tali da meritare una sepoltura.

 

Qui sotto il video della puntata del 4/1/12 di Radio Londra

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Boom di iscritti alle paritarie: migliori relazioni umane

Un vero e proprio boom di iscrizioni per la scuola privata. Tra l’anno scolastico 2004/2005 e 2010/2011, la scuola primaria ha visto un aumento dell’8% degli studenti, contro l’1,8% delle scuole pubbliche; nelle secondarie di primo grado, il rapporto è 12,3% contro l’1,1%; nelle secondarie di secondo grado, infine, 7,3% contro 0,2%.

Secondo il quotidiano la Repubblica il trend sarebbe determinato dai tagli alla scuola che avrebbero provocato l’aumento drastico del numero di studenti per classe, l’incapacità di seguire in maniera congrua i ragazzi disabili, uscite anticipate o entrate ritardate a causa della mancanza di personale. Cose che non accadono nelle private.

Tuttavia Giovanni Cominelli, grande esperto di politiche scolastiche, già membro del Gruppo di lavoro per la valutazione e membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, ha spiegato che le cose stanno in maniera ben diversa: «La prima richiesta che i genitori rivolgono alla scuola è quella di un luogo sicuro per i propri figli. Non solo dal punto di vista fisico (ovvio che si pretende, ad esempio, che il tetto non cada…), ma nella prospettiva delle relazioni umane e sociali dei ragazzi. Chi ha un figlio teme che, spesso, nella scuola statale non sarà seguito in maniera adeguata. Ha paura che, in sostanza, resti solo, in balìa di se stesso». Secondo Cominelli, «tra le caratteristiche specifiche del progetto educativo delle scuole paritarie – anche se, ovviamente, non di tutte – vi è proprio l’attenzione alla persona. Il genitore, in genere, esige per il figlio un’adeguata “protezione educativa” da parte dell’insegnante. Un’esigenza che precede quella dell’apprendimento. Tanto è vero che, molto spesso, alcune famiglie decidono di mandare i figli alle paritarie affrontando molti sacrifici».

Il problema non sono i soldi: «Nella scuola pubblica, infatti, nonostante tutti i tagli, circolano ancora un sacco di soldi. Ma che vengono spesi male, sprecati, spesso, in progetti fumosi dalla dubbia utilità per gli studenti. La scuola paritaria, in condizioni analoghe, ha maggiori capacità di realizzazione del progetto educativo». Oltretutto le risorse finanziarie di una scuola paritaria non sono certo commensurabili a quelle di una scuola statale: «Tali risorse, infatti, la paritaria deve procurarsele. Va detto inoltre che, mentre per gli studenti della scuola statale si spendono 7-8 mila euro a testa, per quelli delle paritarie il costo si aggira attorno ai 5mila. Con la differenza che la percentuale che lo Stato versa in questo secondo caso, rispetto al costo complessivo, è irrisoria. La famiglia deve accollarsi tutte le spese».

Confrontiamo la situazione italiana con l’estero: «In Francia, dove le paritarie sono il 20 per cento, è lo Stato a pagare gli insegnanti. Come in Svezia, in Germania, e nella maggioranza dei Paesi europei, dove i ragazzi sono considerati titolari di un investimento pubblico. Per cui, vale il principio secondo il quale gli studenti hanno a disposizione una certa somma per la propria educazione che i genitori potranno decidere di investire nel tipo di scuola che maggiormente ritengono opportuno».

La redazione

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