Beatificati alcuni martiri della rivoluzione anticlericale spagnola del 1936

Nel maggio scorso abbiamo segnalato la pubblicazione di un volume in italiano sulla guerra civile spagnola del 1936, durante la quale -come ha detto Gabriele Ranzato, docente ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa-, «le sinistre spagnole misero in atto contro la Chiesa una vera e propria persecuzione religiosa».

E’ arrivata recentemente la notizia della beatificazione di diciannove religiosi assassinati esclusivamente e indubbiamente in odio alla fede durante la Guerra Civile (nella foto due suore catturate). Padre Emilio Santa María, sacerdote mercedario, postulatore della causa dei martiri mercedari, ha risposto ad alcune domande per Zenit.it, spiegando che «la maggior parte morì nella regione di Lérida (o Lleida, in Catalogna, ndr), dominata dai repubblicani chiamati “rossi”, che erano comunisti, anarchici, socialisti radicali e massoni che nutrivano un fortissimo odio alla fede». Qualcuno può pensare che fosse una questione politica, ma non è così: «in quel momento non era per nulla una questione politica. Franco si sollevò nel luglio del 1936 e alcuni di loro morirono prima di allora, pertanto, non aveva una connotazione politica, né di sostegno a Franco né simili. Nel 1931, durante la Seconda Repubblica, i vescovi dissero pubblicamente che si poteva coesistere tranquillamente con la repubblica. Un’ulteriore prova che non ci fu alcuna connotazione politica è che venivano perseguitate non solo persone, ma anche distrutti conventi, chiese, rubati e bruciati oggetti religiosi, ossia tutto quello che rappresentava la fede cattolica. Li uccisero per il fatto di essere preti e frati».

Il religioso spiega cosa significhi essere “martiri” secondo la Chiesa cattolica: «nel martirio la chiesa prende in considerazione tre fattori: un atto violento con l’effusione del sangue, che provoca la morte, anche se non immediatamente, per esempio dopo giorni in seguito ai maltrattamenti subiti; da parte dell’aguzzino ci deve essere l’odio alla fede, come è successo in Spagna; chi muore accetta volontariamente il martirio ma non lo cerca, quando gli tocca lo accetta, per Cristo e per la fede». Una riflessione finale: «In Spagna, in quei tre anni furono uccisi dodici vescovi, 4mila sacerdoti e mille religiosi, oltre a migliaia di religiose e laici. E ci si chiede come sia possibile che in tredici anni il comunismo, un’ideologia atea e violenta, sia penetrato tanto nella società spagnola. C’erano anche la massoneria e un anticlericalismo spagnolo venuti da lontano. Queste persecuzioni, tuttavia, diedero molto frutto: dopo la guerra si registrò una straordinaria fioritura di vocazioni, confermando il tradizionale detto, secondo cui che il sangue dei martiri si è trasformato in semina vocazionale».

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Ecco cinque motivi per essere anti-relativisti…

Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI), membro della Pontificia Accademia per la Vita nonché del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, ha scritto un interessante articolo su Avvenire intitolato: “Perché non possiamo non dirci antirelativisti”.  Sul nostro sito avevamo già affrontato il tema in Ultimissima 19/12/11. Pochi giorni dopo ne ha parlato anche Padre Giovanni Cavalcoli sul sito “Libertà e Persona, dicendo: «Si sostiene che tutti cerchiamo la verità, ma in maniere diverse: ciò che è vero per me non lo è per te». Ma ciò non fa problema, dice Padre Giovanni. «E’ segno di libertà e di pluralismo. E guai a chi pretende “confutare”, “correggere” o “condannare” in base al proprio concetto di verità, chi ne avesse uno “diverso”. La “diversità” (scambiata con la contrarietà e il falso), si dice, è una ricchezza, è un valore. Non dobbiamo essere tutti fatti con lo stampino. Ognuno dev’esser libero di concepire la verità come crede, “secondo la propria coscienza”. E’ chiaro – dico io – che la legittima diversità è un valore. Ma non va scambiata col falso e con l’errore. Anche il malato è “diverso” dal sano. Ma chi avrebbe piacere di essere malato e di godere di questa “diversità”?». 

 

D’Agostino approfondisce, elencando cinque motivi per cui bisogna essere assolutamente antirelativisti. In particolare sono 3 argomenti laici e 2 cattolici. Egli dice:

1) Il relativismo è incompatibile con il riconoscimento dei diritti umani, come diritti fondamentali e inviolabili di ogni uomo, quale che sia la sua cultura e la sua religione di appartenenza. Da quando le Nazioni Unite hanno approvato nel 1948 la grande Carta dei Diritti si sono moltiplicati i tentativi di criticarla, di minimizzarla, di ridicolizzarla, di interpretarla come una mera risposta a aspettative storiche contingenti. La Carta dell’Onu, però, ha resistito a tutte le intemperie e continua ad essere il modello per tutte le ulteriori Carte dei diritti umani. È un dato, questo, su cui i relativisti non si fermano mai a riflettere.

2) Il relativismo, o almeno quello patrocinato dai ‘relativisti’, non è mai veramente tale, perché a partire da esso, ma contro ogni buona ragione, i relativisti si fanno promotori della tolleranza, della democrazia e della libertà, di tre valori splendidi, assolutamente “non relativizzabili”. La contraddizione è palese. Un vero relativista dovrebbe ragionare in altro modo: poiché non esistono valori assoluti e non ho alcun criterio razionale per stabilire che i valori altrui siano migliori o anche equivalenti ai miei, rispetterò i valori altrui solo quando questo rispetto non mi nuoce: in caso di conflitto, però, cercherò sempre di far prevalere i miei valori, per la semplice ragione che sono i miei e nella serena presunzione che nessuno potrà mai accusarmi di aver agito ingiustamente, dato che per definizione una giustizia assoluta non esiste (almeno per un relativista).

3) Non è vero che democrazia e relativismo siano indissolubili, come pensa Dario Antiseri, citando Kelsen. Lo dimostra il fatto che le grandi democrazie occidentali, partendo dal Regno Unito e dagli Stati Uniti (e mettiamo nel novero anche l’Italia) si fondano su costituzioni liberali, ma non relativistiche.

4) Assimilare, per amore di polemica, gli antirelativisti ai fondamentalisti è assolutamente scorretto.  L’antirelativista crede alla verità del bene e assume le parole di Dio come quelle di un Padre, che ama tutti i suoi figli (anche se ‘prodighi’!) e vuole il loro bene. Il fondamentalista, invece, non vede Dio come un Padre, ma come un Sovrano che emana ordini insindacabili e ineludibili da parte degli uomini, cioè dei suoi sudditi ed è pronto a punire con la morte la loro disubbidienza.

5) Il relativismo è incompatibile con l’articolo fondamentale del Credo cristiano: «Credo in un solo Dio». C’è un solo Dio, che ha creato il cielo, la terra e gli esseri umani, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti e che offre a tutti la sua grazia: per questo dobbiamo considerarci tutti fratelli e sperare tutti nella salvezza di tutti. I relativisti reputano insuperabili le differenze tra gli uomini e le loro culture e amano sottolinearne la reciproca irriducibilità; gli antirelativisti operano invece per reinterpretarle, per superarle, per unificarle, nella certezza che tutto nell’esperienza umana può essere volto al bene. Come può un cristiano non essere antirelativista?

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La scienza contro i “pro-choice”: l’aborto aggrava la salute psichica della donna

Nelle legislazioni dei paesi in cui si può abortire liberamente, la tutela della salute psichica della donna è una delle motivazioni più ricorrenti per giustificare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. L’aborto sembra però adempiere allo scopo opposto: praticato per la salvaguardia della salute mentale delle donne, comporta un aumento considerevole del rischio di incorrere in problemi psichici.

Negli ultimi anni, infatti, diversi studi hanno analizzato la ricorrenza delle malattie mentali nel periodo post-aborto. Ultimo in ordine di tempo quello pubblicato dalla rivista medica peer-rewieved “The British Journal of Psychiatry” a cura della professoressa Coleman della Bowling Green State University. La ricercatrice statunitense si è occupata della revisione dei dati di 22 studi su quasi novecentomila donne, di cui 163.831 con una interruzione di gravidanza alle spalle. Numeri che fanno di questo articolo la più ampia relazione per la valutazione dell’impatto dell’aborto sui disturbi mentali. Un lavoro importante dunque, con una conclusione allarmante: per le donne che si sono sottoposte ad un aborto è aumentato del 81% il rischio di problemi di salute mentale. Aumentano sensibilmente anche il rischio di cadere in depressione e quello di incorrere in disturbi d’ansia. Più che raddoppiato, invece, il rischio di suicidi; sul fronte delle dipendenze sale del 110% il rischio di alcoolismo e addirittura del 230% quello del consumo di marijuana.  I risultati sono coerenti con uno studio realizzato sempre dalla Coleman, nel 2005, dal quale si evince una chiara correlazione tra aborto indotto e aumento di problemi psicologici.

La prospettiva del ricorso all’aborto per salvaguardare la salute psichica sembra essere sconfessata anche dagli studi di altri ricercatori, come quello del team guidato dalla ricercatrice canadese Mota, che ha compiuto uno studio su un campione rappresentativo della popolazione statunitense pubblicato nel 2010. Queste le conclusioni: «Il nostro studio conferma una forte associazione tra aborto e disordini mentali». Tra le donne che erano passate da una esperienza di aborto indotto è stato osservato un aumento del 61% della fobia sociale e del 59% del rischio di propositi di suicidio, mentre salivano vertiginosamente del 261% il rischio di alcoolismo e del 313% quello della dipendenza da stupefacenti.  Risultati coerenti con quelli ottenuti nel 2009 e pubblicati sulla Revista da Associação Médica Brasileira (RAMB), dove si mostra che le donne che hanno avuto un aborto indotto hanno maggiori tassi di ansia, depressione, sentimenti problematici e bisognose di un sostegno psicologico. Lo stesso è stato riportato maggio 2008, su Gynécologie obstétrique et fertilité, il mensile di informazione scientifica dei medici francesi, dove i risultati rivelano il trauma psicologico causato dall’aborto “terapeutico”: significativo disagio vissuto dalla donna, accentuato dall’onnipresente senso di colpa e sintomi persistenti di ansia e depressione.

In un recente articolo significativamente intitolato “La menzogna dell’aborto che cura”  il dottor Renzo Puccetti, specialista in Medicina Interna e membro dell’Unità di Ricerca della European Medical Association, conclude scrivendo: «allo stato delle conoscenze è incontestabile anche per gli stessi abortisti che l’aborto non è per niente terapeutico; a livello di salute pubblica costituisce una procedura per le donne di nessuna utilità al fine della salvaguardia della loro salute mentale, si tratta in sostanza di una procedura futile. A livello fattuale il “serio pericolo per la salute della donna” posto a giustificazione della richiesta di aborto dalla legge italiana non riceve alcuna mitigazione dall’aborto. Vorrà il mondo della politica, dell’informazione, della cultura, della legge prenderne atto e trarne le logiche conseguenze?».

Maurizio Ravasio

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Paolo Villaggio, dopo gli insulti al Papa ora tocca ai pastori sardi

Il comico 80 enne Paolo Villaggio, invecchiato cinicamente come la sua creatura Fantozzi, non perde occasione per ribadire la sua anticlericalità. Quasi un anno fa intervenendo su Radio 2 ha accusato la Chiesa di avere ancora filosofia medioevale su tutto: «eutanasia, preservativi e via dicendo. Se non si rinnova, muore». Ha poi attaccato anche Benedetto XVI: «Questo Papa, che parla molte lingue – soprattutto il tedesco – senza dubbio se comparisse sul balcone di piazza San Pietro con la sua voce ma vestito come Himmler farebbe svenire di paura molti ebrei».

Pochi giorni fa ha mostrato un’altra volta la sua inciviltà quando, ospite alla trasmissione di Rai Tre “Brontolo”, riguardo allo scarso tasso di natalità della Sardegna ha affermato: «lì nascono pochi bimbi perché sembra che molti pastori abbiano delle relazioni con le pecore». Ovviamente innumerevoli le repliche e le indignazioni, si prospetta anche un ricorso a vie legali.

Sempre nel 2010, dopo aver riaffermato orgogliosamente la sua irreligiosità, ha continuato: «Sto pensando seriamente al suicidio, so già la data della mia morte, me l’ha detta una maga russa. Ha rivelato a una decina di miei amici la data della loro morte con 20 anni di anticipo».

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Nei pasticci Carla Bruni e il medico che criticavano il Papa sull’AIDS

Durante il suo viaggio in Africa nel marzo 2009, Benedetto XVI pronunciò alcune parole che sono ancora tra le più citate (seppur appositamente modificate) del suo Pontificato. In merito al diffuso contagio di AIDS, spiegò il proprio punto di vista: «non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità […], la seconda, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti».

A causa di questa riflessione molti lo hanno accusato di “crimini contro l’umanità” e attribuito la morte di migliaia e migliaia di persone contagiate dall’AIDS. Poco importa se l’antropologo di Harvard Edward C. Green pochi giorni dopo ha voluto confermare dal punto di vista scientifico la visione del Papa«Il Papa è corretto, o per metterlo in un modo migliore, la migliore evidenza che abbiamo è di supporto alle dichiarazioni del Papa. C’è un’associazione costante fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi». Un anno dopo uno studio realizzato da ricercatori dell’Università di Navarra, ha evidenziato il fallimento nel fermare la diffusione dell’Hiv in Africa con il preservativo, puntando invece sull’efficacia dell’educazione ad una sana sessualità. Nel febbraio 2011 Daniel Halperin, docente alla Harvard University, ha a sua volta dato ragione a Benedetto XVI e alla importanza prevalente dell’educazione rispetto al condom per sconfiggere la diffusione dell’Aids. Nel giugno 2011 l’American Public Health ha pubblicato una relazione in cui è stato quantificato il numero di infezioni che avrebbero potuto essere evitate in Africa se si fossero attuate politiche per promuovere l’astinenza e la fedeltà al posto che la distribuzione di massa di preservativi. Pochi mesi fa Suor Miriam Duggan è stata premiata dallo University College di Cork (e prima dall’università di Harvard) per aver diminuito notevolmente il numero dei contagi in Uganda con il programma di prevenzione Youth Alive. Poche settimane fa, infine, il virologo italiano Carlo-Federico Perno ha spiegato: «Il problema non è l’AIDS, ma l’AIDS è l’epifenomeno di un problema ben più ampio, legato primariamente ad una visione positivista e libertaria […]. Giustificando la libertà dell’uomo di essere pieno artefice della propria vita, di fatto autorizza qualsiasi comportamento, con la sola precauzione di limitarne le conseguenze (appunto, la cultura del preservativo)».

Tornando al 2009, tra i più scandalizzati delle parole di Benedetto XVI ci fu Michel Kazatchkine, immunologo francese e direttore esecutivo del Fondo mondiale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria. Arrivò ad intimare al Papa di ritrattare le sue parole sui profilattici, eppure secondo una recente inchiesta si è scoperto che lui è il responsabile principale dell’erogazione di fondi per 3,5 milioni di dollari a progetti caldeggiati da Carla Bruni, ambasciatrice dell’Onu per la lotta all’Aids, assegnati senza gara d’appalto a società francesi di uno stretto collaboratore della Bruni, Julien Civange. Frédéric Martel, l’autore dell’inchiesta, afferma che Michel Kazatchkine in persona gli ha dichiarato nel corso di un’intervista che «Carla Bruni personalmente mi ha detto che aveva totale fiducia in Julien Civange, al quale aveva delegato il dossier Aids. Lei ha chiesto di passare attraverso di lui per tutto ciò che riguardava l’Aids; è con costui, dietro richiesta di lei, che ho trattato». Perciò «abbiamo firmato i diversi contratti che Civange mi ha portato per il sito della fondazione Carla Bruni, per delle agenzie di comunicazione fra le quali Mars Browsers (di proprietà di Civange – ndr), o per differenti operazioni, fra cui il progetto “Born Hiv Free”». Lo stesso Kazatchkine ammette di non aver informato il consiglio d’amministrazione del Fondo mondiale di questi flussi finanziari verso Parigi. E riconosce che «due gare a cui ha partecipato Julien Civange» non erano effettivamente conformi alle regole del Fondo mondiale.

Il sito di Tempi.it spiega che  Kazatchkine è stato uno dei primi immunologi in Francia a occuparsi di Aids, ma non ha alcuna esperienza sul terreno in Africa al di fuori dei summit del Fondo mondiale e di Unaids. Nonostante questo, nel marzo 2009 a proposito delle parole del Papa affermò: «Dire queste cose in un continente come l’Africa dove, sfortunatamente, si trova il 70% delle persone affette dall’Aids, è assolutamente incredibile». Ricordiamo che anche l’ex top model “profondamente laica” -come si fa chiamare Carla Bruni-, nel 2009 facendo finta di essere interessata al  contagio di AIDS in Africa, criticò il Papa dicendo che il Papa aveva “danneggiato” i paesi in Africa con la sua posizione sul controllo delle nascite. Ad essi risposte immediatamente Rene Ecochard, professore di medicina, epidemiologo, responsabile del Dipartimento di Biostatistica dell’Ospedale Universitario di Lione, dicendo su “Le Monde” (assieme ad altri specialisti): «il discorso di Benedetto XVI sul preservativo è semplicemente realistico».

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Il libro bestseller in Norvegia nel 2011? La Bibbia

Notizia curiosa arriva dalla Norvegia: la Bibbia è stato il libro bestseller nel 2011. Quotidiani come “The Guardian” e “Dailymail” parlano addirittura di code degli acquirenti durante la notte per ottenere una copia della nuova traduzione.

E’ stato il libro più comprato dai norvegesi ed è rimasto in cima alla classifica quasi ogni settimana dalla data della pubblicazione nel mese di ottobre fino alla fine dell’anno. Uno dei curatori della nuova traduzione, Karl Ove Knausgard, ha commentato perplesso: «Ci sono state persone che hanno dormito fuori la notte prima del “lancio”. E’ un po’ ironico se pensiamo che il contenuto della Bibbia è disponibile da parecchio tempo».

Gli acquirenti sembrano avere sia convinzioni religiose che laiche. Sicuramente non sono in gran parte cristiani, non avrebbero generato questi numeri all’improvviso. Numerosi sono stati coloro che hanno visto la causa nella strage compiuta quest’estate a Oslo e Utoya, che ha letteralmente sconvolto la nazione. Altri invece parlano di cambiamento e fenomeno culturale in linea generale.

Della grande importanza e influenza della Bibbia ha parlato recentemente anche la vincitrice del Premio Pulitzer 2006, Marilyne Robinson, sul New York Times. Ha reso noto un suo studio sulla letteratura internazionale, concludendo che la Bibbia è il precursore di una vasta gamma di grandi opere anche della letteratura moderna, da “Il Paradiso perduto” di Milton a “L’urlo e il furore” di William Faulkner. L’influenza della Bibbia permane, ha scritto la Robinson, perché trascende il tempo e lo spazio e l’analisi della condizione umana è oggi rilevante come lo era secoli fa. «Molte delle grandi opere della letteratura occidentale si rivolgono direttamente alle domande che sorgono all’interno del cristianesimo», ha continuato per poi sostenere che la letteratura è scritta partendo dal presupposto che i lettori hanno familiarità con la Bibbia, riferimento di verità, a prescindere dalla appartenenza religiosa. Proprio in questi giorni esce in Italia un volume che raccoglie i principali contributi realizzati ad un convegno tenutosi nel 2010 presso l’Università “La Sapienza” di Roma, dedicato al “tesoro culturale” della Bibbia.

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Il peccato dell’ateo militante: per negare Dio, deve negare l’uomo


 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

Alcuni grandi poeti, da Verlaine a Pascoli a Pirandello, sono vissuti nell’epoca del positivismo scientista, che proponeva di sostituire Dio con l’uomo, la teologia con la scienza, l’immortalità dell’anima con l’onnipotenza della tecnologia e delle scienze esatte, le quali, secondo alcuni, porteranno l’uomo alla felicità e all’immortalità già su questa terra. Sono vissuti nell’epoca del Titanic che affonda, nonostante tutta la sua prosopopea, e della onnipotenza tecnologica che si rivela, se utilizzata male, mortale e distruttiva nella I° guerra mondiale. Eppure loro, non credenti, non hanno dovuto certo aspettare il fallimento del positivismo e l’affondamento dei Titanic, per intuirli, per prevederli, per comprendere che l’uomo non basta a se stesso, che nessuna ricetta di salvezza prodotta da qualche fervida mente terrestre esaurisce l’immensità del desiderio e i misteri della realtà, terrena e celeste. Sapevano molto bene che se Dio c’è, o se solo lo si ritiene possibile, ogni ricerca è aperta; ma se non c’è, la ricerca è già finita, lo scopo del viaggio dell’esistenza, già da principio, negato.

Poeti come Baudelaire, Montale, Verlaine, Pascoli, Huysmans, Ungaretti, sapevano infatti, in mezzo alle trincee, dinanzi alla morte, allo spleen, al male di vivere, alle illusioni politiche dei loro contemporanei intruppati con le loro camice rosse, o nere, o brune, che solo se Dio esiste, noi siamo veramente, durevolmente, significativamente; solo se Lui è, non vi è il nulla a precederci ed il nulla a non attenderci; solo se Lui è, i nostri pensieri, i nostri atti sono non soffi di vento, né gesti inconsulti nel vuoto, né istanti separati secondo il prima e il poi, ma costituiscono una identità, una storia, una vicenda unica e irripetibile, dotata di senso; solo se Lui è, se il nostro essere partecipa del suo Essere, allora ha senso amare, perseguire la verità, la giustizia, distinguere tra vero e falso, scegliere tra bene e male. Solo se Lui esiste ha senso che ogni cosa terrena ci dica: non basto, “più in là”, perché ogni oggetto terrestre si rivela povero, ogni amore umano incompleto, ogni giustizia mancante, ogni felicità incompiuta, ogni bene, per quanto immagine e presagio di un Bene più grande, corrotto, di contro al nostro desiderio infinito di Felicità. Se Lui non è, insomma, tutta la nostra esistenza cade nell’assurdo, e il suicidio diventa l’unico gesto possibile, una protesta contro il non senso, oppure l’ammissione che vivere o morire, amare o scomparire, uguali sono. “Vi è un solo problema filosofico – scriverà coerentemente l’ateo Camusveramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita vale la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”.

La grandezza dell’ “ateismo tragico”, che vero ateismo non è, sta in questo: che non si rassegna a negare Dio, per non dover negare anche l’uomo. Per coloro che indagano l’uomo, egli rimane un grande miracolo, un mistero che non è possibile ridurre, come fanno tutte le ideologie atee, a infinitamente meno di ciò che egli è. Perché negare Dio ha significato, da sempre, ridurre l’uomo ad un elemento della natura, equivalente ad un sasso o un albero; ridurlo via via a frutto del Caso, a un “esito inatteso”, a una “eccezionale fatalità”, a un aggregato di materia senz’anima, a un meccanismo geneticamente determinato, a un membro indistinto di una non meglio identificata Umanità, di una Razza o di una Classe sociale. E’ infatti una caratteristica tipica di tutti gli ateismi – da quello darwinista-materialista a quello marxista, da quello animalista a quello new age – quasi un risentimento, un rancore verso l’uomo, come singolo, unico e irripetibile, che reclama testardamente un senso più alto. Già il filosofo illuminista d’Holbac, uno dei più coerenti e influenti atei del secolo dei cosiddetti Lumi, sosteneva che l’uomo è un essere presuntuoso e superbo, che non comprende la sua contingenza, il fatto che può essere o non essere, dal momento che solo la materia è necessaria. L’uomo sarebbe opera della natura, infinita, eterna, immortale, e null’altro: “non può nemmeno nel pensiero uscirne. Inutilmente il suo spirito vuole lanciarsi al di là dei limiti del mondo visibile”. Gli faceva eco, nella sua “Lettera sui ciechi” (1749), prefigurando un argomento che sarebbe diventato centrale per gli evoluzionisti materialisti, l’ateo Diderot, descrivendo la genesi del cosmo da una serie di tentativi ed errori “fortunati” della natura, da una congerie di combinazioni e trasformazioni casuali alla fine delle quali l’uomo avrebbe benissimo potuto non comparire. Se allora è, è per caso, “quest’essere orgoglioso che si chiama uomo, [che] dissolto e disperso tra le molecole della materia, sarebbe rimasto, forse per sempre, nel numero dei possibili”. Sarà, questo della possibilità dell’uomo di essere o non essere, come un accidente o un incidente qualsiasi, un leit motiv di tutta la propaganda atea degli ultimi due secoli, sino alle definizioni di uomo come “un numero uscito alla roulette” del celebre scienziato J. Monod , come “figlio del caso” di Telmo Pievani, come “cancro del pianeta”, secondo l’ottica di tanti movimenti animalisti, o come “incidente congelato”, che c’è, ma avrebbe potuto anche non esistere, del celebre fisico, biologo e genetista evoluzionista Edoardo Boncinelli.

Ma se Dio non esiste, allora chi è quell’essere che canta, suona, dipinge, scolpisce, che da sempre si chiede il senso della sua vita, che immagina che la sua anima sia immortale, che si domanda cosa siano il bene e il male, che crea la filosofia per comprendere l’archè, l’origine di tutto, che ragiona e scrive, in ogni secolo, di valori, di verità da cercare, di bene da compiere, di meccanismi della natura da capire… che da sempre, unico tra tutti gli animali, costruisce tombe per i suoi cari, gettando così un ponte tra l’aldiqua e l’aldilà? Chi è, se non un pazzo che esalta ingiustamente il suo destino oltre le stelle, mentre dovrebbe sapere che finirà sotto terra, per sempre e null’altro? Chi è, se non un essere più stupido, più spregevole degli animali, che non cercano, non indagano, non sperano, ciò che, in verità, appunto, non esiste? Eppure non è difficile accorgersi, come scriveva Pascal, che “l’uomo supera infinitamente l’uomo”, che la natura umana, composta di anima e corpo, supera infinitamente quella delle altre creature: non solo osservando la vita morale degli uomini, la loro possibilità di dire “io”, di imporsi sulla loro stessa natura animale, ad esempio offrendo la propria vita per il prossimo, ma anche riconoscendo che l’uomo indaga e conosce, sempre più, la natura di ciò che gli è inferiore, comprende il moto delle stelle e scruta le leggi della cellula, viola gli spazi stellati e percorre i mari, ma rimane perfettamente incapace, oggi come ieri, di definire con una formula, di rinchiudere in una legge, di comprendere con le scienze – naturali, mediche, biologiche, fisiche – la coscienza, la libertà, l’intelligenza, il desiderio di infinito, la aspirazione a Dio.

Si comprende anche qui che l’ateismo è una “fede”: chi non crede in Dio, crede, di conseguenza, a una grande quantità di cose sull’uomo, sulla sua natura, sul non senso della sua vita. Di conseguenza, se è coerente, imposterà la sua vita su alcuni dogmi: uomo uguale animale, uomo uguale materia, vita terrena uguale unico orizzonte dell’uomo…bene e male, vero e falso non esistono, o meglio, si equivalgono e sono in balia del capriccio umano… Scriveva molto logicamente l’ateo Sartre: “L’esistenzialismo pensa che è molto scomodo che Dio non esista, poiché con Dio svanisce ogni possibilità di ritrovare dei valori in un cielo intelligibile; non può più esserci un bene a priori poiché non vi è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo; non sta scritto da nessuna parte che il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire e per questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente degli uomini” (J.P. Sartre, “L’esistenzialismo è un umanesimo”, Milano, 1963, p.46).  In verità, prima che negare Dio, l’ateismo nega l’uomo.

Da: Perché non possiamo essere atei (Piemme 2009)
 

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Aumentati nel 2011 i fedeli presenti agli appuntamenti pubblici del Pontefice

Se nel 2010 i fedeli presenti agli appuntamenti pubblici del Pontefice erano aumentati di 30 mila presente rispetto al 2009, raggiungendo i 2 milioni e 300 mila (cfr. Ultimissima 3/2/10), nel 2011 il trend è aumentato ancora maggiormente.

I fedeli hanno raggiunto quota 2.600.000, aumentando dunque di 300 mila. Lo ha stabilito la Prefettura della Casa Pontificia, come ogni fine anno, valutando la partecipazione dei fedeli ai vari incontri: udienze generali e particolari, celebrazioni liturgiche, Angelus Regina Coeli.  Sono dati approssimativi, calcolati sulla base delle domande di partecipazione agli eventi pervenute alla Prefettura della Casa Pontificia, e dei biglietti distribuiti dalla stessa.

Il conteggio inoltre non comprende altri momenti vissuti da Benedetto XVI con una grande partecipazione di fedeli, come le visite nella Diocesi di Roma o quelle nel resto d’Italia (Aquileia e Venezia, Diocesi di San Marino-Montefeltro, Ancona, Lamezia Terme e Serra San Bruno, Assisi). Vanno ricordati poi i Viaggi Apostolici compiuti da Benedetto XVI nel 2011: Croazia, Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù, Germania e Benin. Per non parlare del grande evento del 2011, ovvero la beatificazione di Giovanni Paolo II.

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Il documentario sull’aborto scuote il web: 2 milioni di contatti su Youtube

Trenta minuti riteniamo siano spesi bene per il video-documentario che proponiamo qui sotto. Molto utile senz’altro per capire la qualità delle posizioni in campo nel dibattito culturale sull’aborto. Il filmato traccia un parallelo, a nostro giudizio davvero efficace, tra gli orrori dell’Olocausto e la soppressione di esseri umani nel grembo materno. Lo ha realizzato l’evangelico ebreo Ray Comfort e si intitola “180: Changing the Heart of a Nation” (www.180movie.com)

Nel filmato Comfort dialoga con persone di ogni ceto sociale, ponendo loro delle domande e delle riflessioni. In meno di quattro mesi, è stato visto da circa 2 milioni di persone su Youtube. E’ stato tradotto con sottotitoli in 25 lingue (anche l’italiano!) e diffuso anche attraverso canali televisivi americani. La pagina Facebook conta ad oggi circa 35 mila fans. Sicuramente è stato pensato in vista delle elezioni presidenziali americane di quest’anno.

La questione sicuramente più interessante che emerge è la velocità di cambiamento radicale di idea sull’aborto dopo poche semplici riflessioni, esposte con chiarezza. La gran parte dei sostenitori dell’aborto, chiunque lo può verificare, non ha mai riflettuto attentamente sulla sua posizione, si è lasciato trascinare dal potere mediatico circa il presunto diritto della donna di scegliere della vita di un altro essere umano. Così, messi alle strette -come ha fatto Comfort-, si trovano facilmente impacciati e contraddittori, arrivando a cambiare drasticamente posizione. Il titolo, “180″, indica i secondi necessari a far cambiare idea sull’aborto, questa è la sfida del video. Occorre dire che c’è un passaggio in cui la questione dell’interruzione di gravidanza viene tralasciata temporaneamente per soffermarsi sull’esistenza di Dio, del Paradiso e Inferno. Per come viene posta è la parte che condividiamo meno, emergono infatti le differenze tra il protestantesimo e il cattolicesimo. Resta invece assolutamente valido come documento per quanto riguarda “il grande inganno dell’aborto”. Buona visione!

 

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Sigmund Freud? «Un bravo scrittore», gli psicologi lo ridimensionano

Non si è mai capito perché Sigmund Freud sia stato così eccessivamente valorizzato in ambito scientifico. Addirittura alcuni sono arrivati a paragonarlo a Charles Darwin, ma in realtà, nonostante ambisse profondamente al premio Nobel per la medicina, esso gli venne sempre negato perché il suo lavoro era considerato privo di “prove scientifiche”.

Fu invece candidato, nel 1936, al premio Nobel per la letteratura. Secondo lo psichiatra Alessandro Meluzzi, docente di Genetica del Comportamento Umano e di Salute Mentale presso l’Università di Torino e direttore scientifico della scuola superiore di umanizzazione della medicina per la Regione Piemonte, è un paradosso assai corretto: «Freud narratore rappresenta un caposaldo della storia della letteratura più che che della storia della medicina […]. Mentre la psicanalisi da parte dell’analisi e delle psicoterapie oggi giorno è un metodo sicuramente datato e poco applicato, sono infatti ormai pochi i pazienti che vengono curati da una psicanalisi classica, Freud rimane invece un grande contributo alla storia della cultura, del pensiero e dell’intelligenza umana».

Molti polemisti anticristiani citano spesso le tesi anti-religiose di Freud, ma occorre ricordare anche che egli considerava l’omosessualità come un arresto dello sviluppo psicosessuale. Citava le stimolazioni durante il primo periodo della vita (forte legame con la madre, mancanza di un’effettiva figura paterna, inibizione dello sviluppo maschile da parte dei genitori, regressione alla fase narcisistica dello sviluppo, competizione perdente con fratelli e sorelle…) a sostegno della genesi dell’attrazione omosessuale. Nelle femmine parlava di invidia del pene in associazione a conflitti edipici non risolti. Nei “Tre saggi sulla teoria sessuale”, ritenne che fosse lecito sottoporre una persona omosessuale ad un trattamento psicoanalitico solo se il suo atteggiamento fosse egodistonico, ovvero fonte di sofferenza.

Il filosofo Michel Onfray ha recentemente accusato Freud di essere vicino a fascimo e nazismo, mentre non sono pochi i suoi colleghi di oggi che stroncano quasi tutto quello che affermò. In particolare, Anthony Storr, psichiatra di Oxford, lo definisce così: «Faceva collezione di statuette, odiava la musica e aveva una superstizione per i numeri […]. Sebbene Freud fosse molto saldamente attaccato alla propria identità ebraica, la sua pratica religiosa vera e propria era praticamente nulla. Ecco perché credo che in qualche modo egli non capì mai il significato della religione». Montague Barker, psichiatra e direttore medico dello Heath House Priory Hispital di Brisol ha descritto la stanza di Freud con centinaia di statuine: «quando entro e le vedo, tutte meticolosamente disposte in fila, bé, allora come psichiatra tutto quello che posso dire è che in quest’uomo c’era una straordinaria nota ossessiva».

Fraser Watts, psicologo a Cambridge, ha spiegato che «Freud usava le sue idee e il suo quadro concettuale psicoanalitico per dare una vernice razionale da quello che credo fosse un ateismo viscerale derivante dalle sue esperienze personali». Tuttavia ammise che «la concezione psicoanalitica poteva essere usata per sviluppare un approccio alla religione completamente diverso dal suo». Malcom Jeeves, psciologo della St. Andrew’s University, ha analizzato il pensiero di Freud sulla religione (valore alla dipendenza dal padre terreno unita a volontà di indipendenza, risoluzione in un padre immaginario), affermando che potrebbe benissimo essere capovolto: «si scopre che Freud aveva una bambinaia cattolica che non gli piaceva affatto e una pessima relazione con suo padre». Ed è diventato ateo. Così, «sebbene sia divertente pensare a questo tipo di teorie, in realtà bisogna prendere tutto il problema molto più seriamente e chiedersi quali siano i dati di fatto rilevanti. Stando a quel che vedo, Freud non prese in considerazione la maggior parte di essi» (tratto da R. Stannard, “La scienza e i miracoli”, TEA 2006, pag. 108-114).

La redazione

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