Avviata l’opera di proselitismo dell’UAAR tra i neofascisti di CasaPound

“Come riportavamo in Ultimissima 31/03/11, l’UAAR ha espulso dall’associazione diversi responsabili regionali ritenuti “eretici e dissidenti” con l’accusa di aver osato contraddire il segretario nazionale Raffaele Carcano e non essersi allineati al “pensiero unico” imposto dall’Associazione, che si è scoperta essere fortemente “gerarchica, piramidale e oligarchica”, secondo le parole di Stefano Puglisi, ex membro dell’UAAR nonché ex coordinatore del Circolo provinciale di Bari. Un altro ex uaarino -anche lui cacciato assieme agli altri eretici- ci ha inviato di recente una comunicazione che riportiamo integralmente qui sotto. La notizia è stata confermata anche sul blog di Valentina Bilancioni, ex responsabile dell’UAAR di Rimini (p.s. quando parla di “Pontifex” intende riferirsi a Raffaele Carcano, segretario dell’UAAR)”

 
 

di Giacomo Grippa
* ex coordinatore Regionale dell’UAAR per la Puglia, ed ex coordinatore del Circolo provinciale di Lecce

Ha dell’incredibile la notizia della iniziativa assunta dal circolo romano dell’Uaar (l’unione atei ed agnoatici razionalisti) per promuovere “lo sbattezzo” nella sede dei neofascisti, clericaloccidentalisti di Casa Pound. La decisione è stata voluta da tutti i componenti con un solo voto contrario. L’Uaar, da cui sono stati defenestrati diversi, compreso lo scrivente, coordinatori di Lecce, Bari, Rimini ed una fuga di oltre 600 iscritti, accantonato l’intento fondativo con un’articolazione equiordinata, è passata ad una gestione ristretta, piramidale, quasi su un modello presidenzialista-papalino, senza limiti di mandati o incompatibilità, senza spazio per alcun dissenso o accesso agli atti relativi a conti, introiti o eredità…ancora tutta da scoprire.

Questa formazione che ancora gode dell’accredito di presidenti onorifici, non iscritti, fra cui Margherita Hack e Piergiorgio Odifreddi, bussa ora a Casa Pound per raccogliere, fra i neofascisti atei, qualche nuova adesione. La cronaca leccese si è già occupata della presenza di questi estremisti, sostenuti ed accreditati da amministratori comunali e provinciali, al seguito dell’ex-sottosegretario Alfredo Mantovano di Alleanza Cattolica, che vanno di sera a caccia di giovani di altro orientamento politico e sessuale.

Ormai in Italia agli atei devoti e ai teologi istituzionali, dobbiamo annoverare gli atei fondamentalisti e fascisti?

 

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La Chiesa paga l’ICI: chiarimenti sulla nuova leggenda nera

Nel 1992 lo Stato italiano (governo Amato) istituì l’ICI, Imposta Comunale sugli Immobili, legge che ingiustamente penalizzava la famiglia, quindi contraria, oltre che alla proprietà, al principio di sussidiarietà della dottrina sociale della Chiesa (nonché del distributismo), e atta unicamente a fare cassa. Essa venne in seguito ritenuta vitale dai comuni (chissà come facevano i comuni a sopravvivere prima dell’ICI) e abolita dall’ultimo governo Berlusconi nel 2008. La suddetta legge, con decreto legislativo n. 504/1992, prevedeva delle esenzioni: hanno riguardato tutti gli immobili utilizzati da un “ente non commerciale” e destinati “esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”. Quindi tutte le opere senza fini di lucro: luoghi di culto, anche di altre religioni, associazioni laiche, onlus, patronati, realtà politiche (i partiti non hanno mai pagato l’imposta) e sindacali. Sulla scorta di ciò, il movimento politico dei cosiddetti Radicali (che spende più di 10 milioni di euro dello Stato l’anno per finanziare la propria radio) ha dato il via ad un’incalzante campagna denigratoria nei confronti della Chiesa cattolica sul fatto che l’ICI non verrebbe pagato. Cosa non vera, perché:

 

PREMESSA Innanzitutto la CEI e il Vaticano non sono la stessa cosa (sic!), dunque di tutti gli immobili presenti in Vaticano la Chiesa non deve pagare alcunché al governo italiano, ovviamente perché siti in uno Stato estero.

I – L’esenzione dall’imposta richiedeva la compresenza di due requisiti: quello soggettivo, dove rileva la natura del soggetto (cioè essere “ente non commerciale”) e quello oggettivo, dove rileva la destinazione dell’immobile (cioè utilizzarlo “esclusivamente” per le attività di rilevanza sociale ed in modo “non esclusivamente commerciale”). Non è vero, quindi che tutti gli immobili di proprietà della Chiesa cattolica sono esenti: lo sono solo quelli destinati alle attività sopra elencate. In tutti gli altri casi pagano regolarmente l’imposta. E’ il caso questo degli immobili destinati a: librerie, ristoranti, hotel, negozi, case ed appartamenti dati in affitto.

II – Nello specifico, per quanto riguarda la regolamentazione degli alberghi: esistono soluzioni abitative che rispondono a bisogni di carattere sociale, come per esempio i pensionati per studenti fuori sede oppure le case per ferie, le colonie e strutture simili. Entrambe le possibilità sono regolate, a livello di autorizzazioni amministrative, da norme che ne limitano l’accesso a determinate categorie di persone e che, spesso, richiedono la discontinuità nell’apertura.

 

DUNQUE Il problema non riguardava la legge, per quanto ambigua. Infatti, se si è verificato che qualche albergo, fosse anche a cinque stelle, è stato camuffato da casa per ferie, questo non vuol dire che sia ingiusta l’esenzione, ma che qualcuno ne ha usufruito senza averne diritto. Dunque, se il sacerdote responsabile risultasse evasore, sarebbe soltanto un evasore in più nel paese dell’evasione fiscale e, pertanto, andrebbe punito il truffaldino. Ad ogni buon conto, per questi casi i comuni dispongono dello strumento dell’accertamento, che consente loro di recuperare l’imposta evasa. Sembrerebbe un problema del passato, ma non lo è, perché il nuovo governo guidato da Mario Monti ha pensato di reintrodurre la tassa, chiamata però IMU – Imposta Municipale Unica –, quasi raddoppiandola e riportando così la polemica in piena attualità.  Rimane tuttavia senza alcun fondamento, così come è stato appena dimostrato. “Rendiamo pure a Cesare quel che è di Cesare, ma teniamo per Dio quel che di Cesare non è, ma è di Dio”. Per un interessante approfondimento su tutto questo si rimanda all’articolo realizzato da Antonio Socci.

Matteo Donadoni

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Ecco perché i Vangeli sono un’opera di grande attendibilità storica


di Marco Fasol*
*docente di storia e filosofia

 

La rivelazione cristiana ha portato la più radicale rivoluzione etica della storia. L’amore è diventato il sentimento fondamentale. Le discriminazioni sono state superate, perchè ad ogni persona è stata riconosciuta la dignità di un figlio di Dio. Si è aperto per tutti noi un orizzonte di risurrezione, un senso per cui vivere. E’ dunque molto importante conoscere criticamente le fonti storiche di questa rivoluzione, che non si può ridurre solo ad un messaggio morale. Se gli adulti non sanno rispondere ai giovani quando chiedono: “Il Vangelo non è un mito? Una leggenda?” “La Chiesa ci ha imbrogliato?”, diventano responsabili, almeno in parte, delle loro crisi di fede. E’ chiaro che dobbiamo tener distinta la ricerca storica dalla scelta di fede. La fede nel Risorto non è subordinata alle ricerche storiche che saranno sempre approssimative e parziali. Milioni di persone hanno avuto una fede profonda pur senza conoscere niente delle documentazioni storiche che esamineremo. Tuttavia nella società contemporanea è indispensabile confortare la fede anche con una conoscenza razionale, capace di rispondere alle obiezioni ed alle critiche. Il fideismo, cioè una fede senza ragione, è il grande pericolo del nostro tempo. Un credente adulto deve conoscere almeno in sintesi quello che le scienze storiche ci dicono sulla sorgente della fede, che risulterà così purificata, non inquinata dal sospetto di falsificazioni o imbrogli.

Quali sono le fonti storiche su Gesù di Nazareth? Da due millenni i quattro vangeli canonici di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono stati considerati le fonti principali. Solo recentemente è sorta la questione dei vangeli apocrifi. Tuttavia ormai tutti gli storici competenti confermano l’attendibilità dei soli quattro vangeli canonici ed ora vedremo in base a quali criteri oggettivi, laici. Esamineremo in seguito invece i vangeli apocrifi. Un criterio importante è l’antichità delle fonti. La critica storica ottocentesca tendeva a collocare la stesura scritta dei vangeli canonici anche dopo duecento anni dagli eventi. Sembrava che i vangeli fossero “favole popolari”, amplificate e deformate dalla fantasia. Ma le recenti scoperte papirologiche e l’analisi linguistica del greco dei vangeli hanno imposto una datazione anteriore, molto vicina agli eventi, di origine ebraica. Cerchiamo dunque di ricostruire i fatti.

La morte di Gesù è avvenuta intorno all’anno trenta. Dopo di allora, gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme circa trent’anni, per costituire la prima comunità cristiana, fedele agli insegnamenti del maestro. E’ la fase della predicazione orale. Nel giudaismo dell’epoca la tradizione orale veniva tramandata seguendo regole precise e rigide di fedeltà, parola per parola. Nelle scuole rabbiniche gli insegnamenti venivano imparati a memoria, con il controllo e l’autorità del maestro. E’ quindi verosimile che anche la prima comunità cristiana, costituita da ebrei, abbia seguito questa prassi di trasmissione fedele delle parole del maestro, fissate dall’autorità degli Apostoli. Fu raccolto così il materiale della cosiddetta Fonte Q, probabilmente scritta in ebraico, anteriore alla redazione scritta dei vangeli. Un passo ulteriore fu la traduzione dall’ebraico o aramaico in greco, la lingua parlata in tutto il mondo antico. A partire dagli anni Cinquanta presero dunque forma scritta i primi tre vangeli, detti sinottici, di Matteo, Marco e Luca. Il lavoro di redazione, in cui venivano collegate insieme le varie raccolte orali per arrivare alla versione definitiva, si colloca tra il 50 e il 70 d. C. Mentre il quarto vangelo, di Giovanni, venne redatto alla fine del primo secolo. Vediamone ora il perché.

Gli scritti evangelici si distinguono rispetto a tutti gli altri testi dell’antichità classica per una straordinaria ricchezza di manoscritti. Tutti i testi dell’antichità sono stati copiati a mano dagli amanuensi lungo i secoli, fino all’invenzione della stampa (nel 1450 circa). Questi manoscritti prendono il nome di papiri, codici, pergamene, rotoli, ecc. Quanto maggiore è il numero di manoscritti, tanto più si dice che l’opera è ben documentata. Ad esempio, dell’Iliade ed Odissea ci sono rimasti circa 600 manoscritti. Si tratta di un record. Infatti tutti gli altri capolavori antichi hanno un numero inferiore di manoscritti. Virgilio ne ha poco più di 100, Platone ne ha solo undici e così la maggior parte dei grandi autori dell’antichità. Tacito ne ha solo un paio e talora un unicum. Quando lo storico si domanda invece quanti siano i manoscritti del Nuovo Testamento (quattro Vangeli, Atti degli Apostoli, lettere paoline, lettere di Giovanni, Pietro, Giacomo, Giuda Taddeo, Apocalisse) rimane stupito dalla loro quantità. Abbiamo infatti circa 5.300 manoscritti greci, 8 mila latini, migliaia di traduzioni in lingue antiche quali armeno, siriaco, copto…! Complessivamente più di quindicimila manoscritti (l’elenco completo dei cinquemila manoscritti greci si può trovare in Nestle – Aland, “Novum Testamentum graece”, 27^ ed. Stuttgart, 1993, oppure nel testo di K. e B. Aland sotto citato). Il fatto più importante è che queste migliaia di manoscritti sono concordanti! Riportano cioè tutti lo stesso testo, parola per parola. Ovviamente ci sono errori ortografici o di trascrizione, come in ogni opera umana, ma questi errori non intaccano mai i contenuti fondamentali. Gli amanuensi hanno voluto rispettare con la massima fedeltà il testo originale, senza aggiungervi niente. Se nessuno dunque ha mai dubitato sull’autenticità di Platone o di Tacito, a maggior ragione nessuno dovrebbe dubitare sulla fedeltà di trasmissione dei testi evangelici che hanno migliaia di copie manoscritte. Si noti inoltre che ai più di 15 mila manoscritti bisogna aggiungere tutto il materiale delle citazioni degli scrittori cristiani dei primi tre secoli (i “Padri della Chiesa”) diffuse in tutto il mondo antico, dall’Europa, al nord Africa all’Asia: circa 20 mila citazioni!

E’ chiaro che i manoscritti sono tanto più preziosi, quanto più sono antichi. Anche qui il confronto con gli autori dell’antichità classica è impressionante. Si deve premettere che i manoscritti originali, autografi, scritti di propria mano dagli autori antichi, sono andati tutti perduti. Per lo stesso Dante non abbiamo il manoscritto autografo completo della Divina Commedia. L’autore classico che ha il manoscritto più antico è Virgilio; si tratta di una testo copiato circa 350 anni dopo la morte del poeta. Per tutti gli altri autori classici la distanza tra l’originale e il manoscritto più antico pervenutoci è molto superiore. Per Cesare, ad esempio, il codice più antico risale a 900 anni dall’originale. Per Platone ci sono 1300 anni tra originale e codice più antico. Quando invece gli storici studiano i manoscritti del Nuovo Testamento rimangono stupiti di fronte alla loro antichità. Possediamo centinaia di manoscritti che risalgono ai primi secoli. Per numerosi papiri la distanza tra testo autografo e manoscritto più antico si riduce a poche decine di anni. La datazione viene formulata in base a criteri paleografici (si conoscono le tipologie di scrittura nelle varie epoche), comparativi, archeologici e chimici. Per i manoscritti dei vangeli la documentazione risulta dunque estremamente più attendibile rispetto agli autori classici. I manoscritti più antichi sono: Papiro Rylands (P 52): forse il più antico documento dei Vangeli. Risale al 125 d. C. Fu ritrovato in Egitto e venne datato in base a criteri paleografici nel 1950 dal prof. Roberts. La datazione venne confermata dai maggiori filologi successivi. Quindi il Vangelo di Giovanni non poteva esser stato scritto, come dicevano alcuni studiosi, nel 150 o nel 200 d. C. ma fu scritto tra il 90 e il 100, perché per arrivare da Efeso (dove fu scritto l’originale) all’Egitto dovette intercorrere circa una generazione. Il papiro misura 9 x 6 cm, contiene 114 lettere greche. Papiro Bodmer II (P 66): venne pubblicato nel 1956. Contiene quasi per intero il vangelo di Giovanni. La pubblicazione suscitò grande scalpore tra gli studiosi; il papiro risale infatti a non oltre la metà del secondo secolo. E’ stato datato dal prof. H. Hunger di Vienna nel 1960. Questo manoscritto concorda perfettamente con i manoscritti maggiori del quarto secolo (Cod. Vaticano, Sinaitico, Alessandrino…). Dimostra così una fedeltà rigorosa nella copiatura degli amanuensi. Bodmer XIV, XV. (P. 75) del 200 d. C., papiro Chester Beatty II, (P 46, Bibl. di Dublino): 86 fogli, contiene 7 lettere di S. Paolo e risale al 70 circa ma potrebbe anche essere del II secolo. Vi sono poi i “codici maggiori” che contengono quasi per intero il Nuovo Testamento. Fra questi: il Codice Vaticano (B 03, Roma, Biblioteca Vaticana), 759 fogli; metà del quarto secolo. Il Codice Sinaitico, (01, Londra, Brit. Libr.) 346 fogli. Il Codice Alessandrino (A 02, Londra, Brit. Libr.) 773 pagine, metà quinto secolo. 15 manoscritti del III sec. 40 del IV sec. 43 del V sec.

Le ricerche filologiche degli ultimi anni hanno convinto numerosi scienziati che il frammento più antico in assoluto sia il Papiro P. 7 Q 5 (Rockfeller Lib. Gerusalemme), scoperto a Qumram, studiato da O’ Callaghan dal 1972 in poi. Contiene solo 11 lettere alfabetiche complete ed altre 8 parziali, disposte su 5 righe. Dallo studio di tutte le combinazioni possibili (una ricerca computerizzata ha analizzato tutte le combinazioni della letteratura greca del Thesaurus Linguae Graece dell’Università di California Irvine: 3.700 autori, 91 milioni di lettere) risulta che l’unica compatibile è quella di Mc 6, 52-53. Questo papiro risale al 50 d. C. (a soli 20 anni dai fatti), in base allo stile paleografico, che è il cosiddetto ornato erodiano, utilizzato fino al 50 d.C. In ogni caso tutti i manoscritti di Qumram non possono essere posteriori al 68 d. C., anno in cui la comunità essena venne massacrata dalla legione romana Fretensis, per cui le grotte con i testi vennero sigillate per evitare la distruzione dei codici. La decifrazione proposta da O’ Callaghan è stata però contestata da studiosi che non conoscevano ancora la prova informatica.

I manoscritti neotestamentari si trovano sparsi nelle più prestigiose Biblioteche tutto il mondo. Raccolte di particolare importanza si trovano nel monastero del Monte Athos (900 manoscritti), nel monastero di Santa Caterina nel Sinai, (300), a Roma (367), Parigi (373) Atene (419), Londra, San Pietroburgo, Gerusalemme, Oxford, Cambridge, Mosca e in molte altre località. Queste migliaia di manoscritti riportano tutti lo stesso testo evangelico, con una concordanza ammirevole. Essi garantiscono che ci troviamo di fronte al testo di gran lunga più controllato e documentato nella storia. Come ha scritto il celebre biblista card. Carlo Maria Martini: “Lo studio dei manoscritti è una vera e propria avventura scientifica condotta col sussidio di un’immensa e puntuale documentazione. E la scoperta fondamentale è sempre quella sorprendente di un testo che, nonostante il fluire dei secoli e le molteplici trascrizioni, si è conservato fedelmente, permettendo così agli studiosi e ai traduttori di farlo risuonare, intatto nelle nostre comunità e per i singoli lettori, credenti e no” (Kurt e Barbara Aland, “Il testo del Nuovo Testamento”, Marietti 1987, p. XII).

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Quando Pio XII disse: «siate orgogliosi di essere ebrei»

Fra le accuse più indegne e infamanti rivolte alla Chiesa Cattolica, la più ingiusta e bruciante è forse quella di aver collaborato con un vile silenzio/assenso allo sterminio degli ebrei operato da mano nazifascista durante gli anni più tremendi del secolo scorso. Il non opporsi apertamente del Sommo Pontefice Pio XII a quanto di atroce stava accadendo in Europa viene comunemente interpretato come una posizione di chiaro antisemitismo e di cooperazione da un certo becero laicismo da bar di giovani impreparati e di “intellettuali” televisivi tanto ben informati quanto faziosi e ideologizzati.

Tuttavia, come spesso succede, le teorie e le ideologie non trovano appoggio nei fatti (e tanto peggio per Hegel): nuove incredibili prove vengono a galla per scagionare il Principe Eugenio Pacelli proprio da parte di quegli ebrei che lui stesso contribuì a salvare durante il suo difficile pontificato. Howard “Heinz” Wisla è uno dei tanti ebrei che, dopo le traversie della guerra e della persecuzione, sono sopravvissuti e hanno raccontato la loro storia. E’ il 28 aprile 1944 quando Howard, sotto lo pseudonimo di Refugee, scrive sul The Palestine Post (l’attuale Jerusalem Post) un articolo chiamato “A Papal Audience in Wartime” per raccontare la sua storia e il suo incontro con il “Pastore Angelico”. E’ il 1941, il Papa lo accoglie benevolmente, lo fa parlare apertamente nella sua lingua madre (il tedesco) e non mostra di lasciarsi intimidire dalla minacciosa presenza di soldati tedeschi in uniforme. Ascolta la sua storia, comune a molti disperati, fino alla fine. Heinz è naufragato con la sua nave (la Pentcho) mentre tentava di fuggire dalla Slovacchia alla Palestina assieme ad altri 500 ebrei, nel 1940. Dopo undici giorni di stenti su un’isoletta deserta nel Mar Egeo, una nave italiana spunta all’orizzonte e li salva, ma la loro gioia dura poco: i marinai li consegnano tutti al campo di concentramento di Rodi, dove la loro fine sarebbe stata uguale a quella di milioni di altri sfortunati, è l’inverno a cavallo fra 1941 e 1942.

Ma è qui che la Chiesa interviene, nella forma di una delle tante navi della Croce Rossa che salvavano ebrei internati nei campi per trasferirli, ufficialmente, “altrove”. Heinz e molti altri vengono quindi trasportati lontano dalle grinfie dei loro aguzzini, nell’unico luogo dove avrebbero potuto attendere la fine della guerra al sicuro da ulteriori orrori: il “campo di concentramento” di Ferramonti di Tarsia presso Cosenza. Le virgolette sono d’obbligo: il campo sarà più tardi definito “un paradiso inaspettato” dallo stesso Jerusalem Post e “il più grande kibbutz del continente europeo” da Jonathan Steinberg, prestigioso professore di Storia Moderna Europea. E’ la fine del tragico racconto di Heinz. Il Papa lo esorta a portagli il giorno successivo una memoria scritta della sua tragica storia e parla ad alta voce, in modo tale che tutti lo possano intendere. In quel momento il secolare ruolo della Chiesa di Roma come protettrice e tutela dei poveri, degli indifesi e dei disperati risplende nuovamente nei salotti vaticani: «Figlio mio, solo il Signore sa se tu sei più degno di altri uomini, ma credimi: tu sei altrettanto degno di ogni altro essere umano che vive su questa nostra terra! E ora, o mio amico ebreo, vai con la protezione del Signore e non dimenticare mai: devi essere sempre fiero di essere un ebreo!»

Come abbiamo già detto, Howard Wisla sopravvivrà alla Shoah per raccontare con la sua penna e la sua gratitudine questa magnifica storia, una come tante altre, così poco conosciute perché “scomode”. Questa storia sarà riferita anche da William Doino Jr. nell’articolo Pope Pius XII: Friend and Rescuer of Jews che appare nel numero di gennaio di «Inside the Vatican», il magazine fondato e diretto da Robert Moynihan. La Verità è un dono che si riceve solo se si è pronti ad ascoltare, a compiere il gesto socratico di umiltà nell’ammissione “Io so di non sapere”. Ed è proprio ascoltando le numerosissime testimonianze di ebrei in quei tempi travagliati che il lettore potrà da solo scoprire come siano realmente andate le cose e il ruolo che la Chiesa Cattolica ha ricoperto in quel tremendo periodo della nostra Storia.

Marzio Morganti

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Continua il successo delle staminali adulte (al contrario delle embrionali)

Nel quasi disinteresse dei media, i risultati positivi per le cellule staminali non embrionali continuano ad essere pubblicati. Non avviene invece la stessa cosa per quelle embrionali, il cui utilizzo –come dicono numerosi ricercatori- non è oggi soltanto inutile, ma anche pericoloso. Lo ha ad esempio stabilito su Nature Biothecnology, nel suo numero del febbraio 2007,  Duncan E. C. Baker del Sheffield Regional Cytogenetics Service rilevando che le staminali embrionali non riescono a mantenere la stabilità cromosomica durante i lunghi periodi di coltura necessari e a causa dei passaggi di alcune cellule in nuovi medium di crescita, presentando così un’elevata possibilità di causare il cancro.

In particolare, spiega De Lillo su “Zenit.it, sono le staminali del cordone ombelicale a registrare eccezionali successi sperimentali, dimostrando sempre più di avere caratteristiche vincenti rispetto alle altre cellule indifferenziate in molte importanti patologie. Lo dimostra attraverso un lungo ed interessante elenco di studi scientifici. Proprio recentemente uno studio ha dimostrato chiaramente l’efficacia delle cordonali nella terapia di varie patologie del fegato. Un traguardo importante se si considera anche che queste patologie risultano essere le decime cause di morte tra gli uomini e le dodicesime tra le donne, uccidendo 27.000 persone ogni anno, nei soli Stati Uniti. L’equipe diretta dal dottor Nagwa El-Khafif, membro dei Departments of Electronon Mimicroscopy, Immunology and Pathology, presso il Theodor Bilharz Research Institute ha stabilito che le staminali cordonali si dimostrarono subito quelle con la più elevata capacità d’integrazione verso tessuti ischemici e con la maggiore possibilità di contribuire alla guarigione, contribuendo a stimolare l’angiogenesi.

In realtà il successo delle staminali adulte è generale e continuo. Esse, ad esempio, acquistano una sempre maggiore possibilità di essere “impegnate” nella lotta contro i tumori. Lo ha affermato Augusto Pessina del Dipartimento di Sanità Pubblica, Microbiologia, Virologia dell’Università degli Studi di Milano, il quale -in collaborazione con Giulio Alessandri (Laboratorio di Neurobiologia, Fondazione Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano) e Roberto Pallini (Istituto di Neurochirurgia della Facoltà di medicina della Università Cattolica del Sacro Cuore)-, ha recentemente firmato l’articolo intitolato “Mesenchymal Stromal Cells Primed with Paclitaxel Provide a New Approach for Cancer Therapy” e pubblicato su Plos One. Su ilsussidiario.net, Pessina ha rivelato che «le stesse cellule possono essere utilizzate come “veicoli” per trasportare farmaci che, raggiungendo in modo mirato le cellule dell’organo malato, possono avere una maggiore capacità terapeutica». Questa scoperta apre anche nuove prospettive di applicazione clinica dato che il dispositivo cellula-farmaco può essere preparato in poche e semplici procedure, oltretutto a basso costo.

A precisa domanda, Pessina ha illustrato i vantaggi della scoperta: «Le cellule mesenchimali adulte possono essere ottenute facilmente da midollo osseo, tessuto adiposo e da molti altri tessuti; col vantaggio che, se usate dallo stesso paziente, si elimina il rischio immunologico; inoltre, si riduce anche il rischio di trasmissione di agenti patogeni». Le significative scoperte sperimentali ottenute potranno aprire la strada per una efficace terapia delle patologie epatiche da un lato, ma anche allargare gli orizzonti sulla sconfitta dei tumori dall’altro. Ciò potrà avvenire ancora prima, se ad esse si uniranno, in un progetto comune, gli ottimi risultati di numerose ricerche, caratterizzate da successo. Tutto questo senza la distruzione di embrioni umani e quindi evitando ogni controversia bioetica.

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Bologna, flop del registro delle coppie di fatto: zero iscritti dal 1999

Secondo l’ex presidente nazionale di Arcigay (oggi è presidente onorario), Sergio Lo Giudice, capogruppo del PD nel comune di Bologna, «il registro delle coppie di fatto ha un valore simbolico importante, in assenza di una legge nazionale».

Gli crediamo sulla parola, e infatti è altamente simbolico che dal 1999 -anno in cui è presente nel capoluogo emiliano- gli iscritti siano “addirittura” zero. Più significativo di così?! Il sito del Comune ha una sezione dedicata alle “nuove famiglie” gay, lesbiche, trans e Valentina Castaldini, consigliera del PDL, ha chiesto quante siano state le coppie («anche dello stesso sesso») che hanno voluto chiedere l’attestato che riconosce la “famiglia affettiva”. Risposta: non lo richiede nessuno.

Contro-risposta della Castaldini: «il tempo dà torto a chi fa solo battaglie ideologiche. Il fatto che nemmeno coloro che hanno rivendicato l’esistenza di questo registro poi si siano iscritti fa persino ridere». Certo, ora magari un paio di iscritti spunteranno sicuramente, ma sarà soltanto in seguito alla diffusione di queste notizie e verrà soltanto confermata la natura ideologica dell’iniziativa. Lo stesso flop si sta verificando in tutta Italia, parallelamente, con i registri dei testamenti biologici, altra “esigenza nazionale” secondo la cultura laicista.

Recentemente anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, forse volendo emulare la brillante situazione bolognese, ha dichiarato che istituirà un registro anche nel capoluogo lombardo. L’avvocato Claudio Santarelli ha però fatto notare che le coppie di fatto in Italia sono nel numero – da calcoli approssimativi ISTAT – di 500.000 unità su base nazionale, di cui però solo una parte residua vorrebbe essere in qualche modo “regolarizzata” con una annotazione civile. Oltretutto dice, «i “registri” non hanno alcun valore giuridico e, pur potendo essere ammessi e, quindi,  regolamentati dagli statuti dei comuni, non possono, in sé, attribuire alcun diritto che non sia prima già regolamentato dalla legge». Una perdita di tempo e di risorse, insomma, per una iniziativa meramente simbolica. Inoltre, continua Santarelli,  «non si può non sottolineare che dopo l’iscrizione il soggetto non riceve se non una “attestazione” che non è un documento coordinato con la certificazione  civile né con l’autocertificazione civile, e, in breve, non vale nulla».

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“The Lancet” conferma: è sbagliato impiantare più embrioni


di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

Defilata come sempre a causa dell’ideologia contro la vita, dominante anche e soprattutto nel mondo dell’informazione, la notizia è stata per lo più taciuta. Certo non è sensazionale, poiché conferma ciò che già da più parti e da diversi anni si è scoperto. Si può, tuttavia, affermare che suggelli la direzione della ricerca scientifica in merito degli ultimi tempi.

Sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet dello scorso 12 gennaio è stato pubblicato il risultato di uno studio condotto da Debbie Lawlor e Scott Nelson sull’incidenza dell’età della donna nella scelta del numero di embrioni da impiantare con le tecniche di procreazione medicalmente assistita ( PMA ). Dalla ricerca è emerso non solo che il numero degli embrioni da impiantare dovrebbe essere calcolato in considerazione dell’età della donna, con il discrimine fondamentale dei 40 anni (nel senso che per le donne di questa età o di età superiore dovrebbero essere impiantati più embrioni senza per ciò stesso garantire l’esito fausto della procedura, anzi comportando maggiori rischi e complicazioni, oltre che costi), ma che addirittura è meglio non impiantare, per tutte le donne di qualunque età, più di due embrioni per volta e non solo perché l’impianto multiembrionario aumenta la possibilità di gravidanze multiple o gemellari.

Anzi, spiegano i ricercatori, i migliori risultati si sono ottenuti con l’impianto di uno solo o al massimo due embrioni, delineando la validità scientifica della cosiddetta eSET (cioè Elective Single Embryo Transfer, ovvero del Trasferimento del Singolo Embrione Scelto). Non è necessario produrre e sprecare dozzine di embrioni dunque, come hanno erroneamente affermato in diverse occasioni, tra i tanti, i radicali, o tutti coloro che si sono sempre opposti, anche per le vie referendarie e giurisdizionali, al limite di tre embrioni previsto dalla sapidità giuridica e scientifica del secondo comma dell’art. 14 della legge 40/2004 disciplinante le tecniche di PMA in Italia. La stessa Corte Costituzionale, a volte più sensibile alle ragioni della politica e dell’ideologia che a quelle della scienza, dell’etica o del diritto, ha preso un abbaglio allorquando con la sentenza n. 151 del marzo del 2009 ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma della legge 40/2004 in ordine al divieto posto sulla produzione ed impianto superiore a tre embrioni. La prudenza giuridica e la precauzione etico-filosofica hanno anticipato, con lungimiranza profetica, i successivi risultati scientifici, ma questi ultimi più che rafforzare l’idea che l’etica debba essere confermata dalla scienza, hanno dimostrato che la scienza non può e non deve essere svincolata dalla dimensione assiologica senza rischiare di minare le fondamenta della dignità della persona.

I dati della ricerca pubblicata da The Lancet, si inseriscono sulla scia di quelle simili che in tutta Europa, e non solo, si stanno conducendo nell’ultimo decennio giungendo al medesimo risultato. Si pensi in proposito a quanto riferito da Christina Bergh nel suo articolo sull’Oxford Journal Human Reproduction del marzo 2005, in cui si spiega il lavoro condotto tra il 1995 ed il 204 da Hannu Martikainen dell’università finlandese di Oulu su 1500 donne che ha comprovato che l’impianto di un solo embrione conduce ad un esito positivo della gravidanza diminuendo sensibilmente i costi e gli effetti collaterali per la donna quali, per esempio, le complicazioni derivanti da gravidanze gemellari o la sindrome da iperstimolazione ovarica. In questo stesso senso si confronti anche lo studio precedente pubblicato il 12 dicembre del 2004 da The New England Journal of Medicine. Martikainen in persona sulla citata rivista oxfordiana, nel marzo del 2009, ha riportato altri risultati in questa direzione, stavolta stringatamente riportati anche dall’”Ansa e da “La Stampa. Le risultanze scientifiche autorevolmente conseguite dai citati lavori, dimostrano che occorre porre un limite alla produzione di embrioni e che questo limite è in termini tanto medici quanto etici pari ad uno o due embrioni al massimo, cioè di gran lunga inferiore alle cifre esorbitanti messe in circolazione dai demagoghi dello scientismo riproduttivo.

Una regolamentazione sacrosanta dunque, che meriterebbe di essere riconsiderata dalla Corte Costituzionale, la cui posizione è attualmente in netta antitesi (in pieno oscurantismo, si sarebbe detto, se fosse stata la Chiesa a posizionarsi trasversalmente alle evidenze della scienza ) con i più avanzati studi scientifici. Il tutto mentre si apprende che aumentano le richieste di procreazione medicalmente assistita, cioè che in un periodo di penuria economica globale almeno un settore non risente delle ristrettezze degli altri ambiti, come riporta Avvenire dello scorso 12 gennaio in un articolo dal significativo titolo “Non conosce crisi la fabbrica dei bambini”.

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Parla il medico di Lourdes: una seria analisi scientifica dietro ad ogni miracolo

E’ il 25 marzo 1858. A Lourdes, Bernadette Soubirous, appena quattordicenne, conosce finalmente l’identità della misteriosa “Signora” che le appare nella Grotta di Massabielle. Da allora milioni di storie periclitanti fra la sofferenza ed il balsamo della speranza. Una fede affettiva, calda, materna. E poi i miracoli. E’ il capitolo che fa più notizia.

Sono talmente numerosi i casi di miracoli, veri o presunti tali, a Lourdes che già verso la fine dell’Ottocento il vescovo diocesano istituì un Bureau Médical, deputato alla raccolta e ad un primo esame delle segnalazioni di guarigioni ritenute inspiegabili. Oggi, a capo di questo “ufficio scientifico” c’è un italiano: Alessandro De Franciscis. Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzatosi in pediatria a Boston e diploma di Master of Science in Epidemiology presso la Harvard University, School of Public Health. Ricercatore presso il Dipartimento di Pediatria del Policlinico universitario Federico II di Napoli e ha portato avanti anche una carriera politica fino al 2008, quando il vescovo di Tarbes-Lourdes gli ha chiesto di assumere l’incarico di “medico permanente” a Lourdes.

Il suo compito è quello di istruire i casi di “guarigioni inspiegabili”, avviando una valutazione seria e scientificamente rigorosa, confrontandosi con gli altri medici presenti a Lourdes (qui un elenco). Per confermare “l’autenticità” del miracolo, si segue una griglia di sette criteri -ancora quella indicata dal cardinale Lambertini alla fine del Seicento che ha un forte fondamento razionale-: malattia grave; diagnosi certa; malattia organica; guarigione avvenuta senza l’aiuto di alcuna terapia; guarigione istantanea e completa e senza reliquati; guarigione durevole nel tempo. Si segue la persona, si consultano le cartelle cliniche, la si sottopone eventualmente, ad altri esami specialistici. Se tutti i criteri sono rispettati, continua De Franciscis, si invia il tutto al Comitato Medico Internazionale di Parigi composto da specialisti di ogni parte del mondo, fra cui tre italiani. Uno di loro viene proposto come relatore. E l’ultima parola spetta poi al vescovo diocesano. Finora, spiega, le dichiarazioni che attestano il “miracolo” sono 68. Nove sono i “miracolati” ancora viventi. «Sul piano professionale», conclude, «sono l’unico medico al mondo che si occupa di guariti non di malati»

Di fronte a questo livello di professionalità e serietà scientifica è davvero difficile continuare a mettere in dubbio che a Lourdes accada davvero qualcosa di incredibile. Non è possibile negare l’evidenza oggettiva. Lo ha riconosciuto anche il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier: «Riguardo ai miracoli di Lourdes che ho studiato, credo effettivamente che si tratti di qualcosa non spiegabile. […] Io non mi spiego questi miracoli, ma riconosco che vi sono guarigioni non comprese allo stato attuale della scienza». Sappiamo poi che un altro premio Nobel, Alexis Carrel, si è convertito proprio assistendo in prima persona ad un miracolo verso una sua paziente sotto la grotta dell’apparizione. Di guarigioni concrete dunque si tratta e tuttavia può rimanere questa obiezione: come mai, di tanti figli che si rivolgono bisognosi a Lei, non tutti ricevano la grazia della guarigione? “I miei pensieri non sono i vostri pensieri”, dice Dio nell’Antico Testamento. Per ognuno di noi c’è un progetto d’amore diverso, anche se umanamente non è cosi facile da accettare, soprattutto quando lo si vive in prima persona.

Emiliano Amico

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Texas, la Corte d’Appello conferma: ecografia obbligatoria per chi vuole abortire

Come riportavamo nel marzo scorso, la legislazione texana sull’interruzione di gravidanza è sempre più restrittiva. La nuova legge infatti prevede che le madri intenzionate ad abortire siano sottoposte a un’ecografia obbligatoria almeno 24 ore prima. L’interesse è quello di rendere il più informata possibile la donna di quel che sta facendo, anche considerando che c’è in gioco un’altra vita umana. La maggioranza delle donne che osserva un’ecografia solitamente cambia idea circa l’aborto.

La lobby abortista ha provato a far cancellare questa disposizione, volendo evitare che la donna possa essere pienamente consapevole del suo gesto. Ma in questi giorni la Fifth U.S. Circuit Court of Appeals ha confermato la validità della legge texana, approvando l’ecografia e la descrizione dettagliata da parte di un medico. Il personale sanitario deve anche fornire alla donna la possibilità di ascoltare il battito cardiaco del nascituro.

Il medico che viola tale legge potrebbe essere multato di $ 10.000 e perdere automaticamente la sua licenza medica. Il requisito ecografico è escluso nei casi di stupro, incesto e anomalie fetali. Gli abortisti temono che ora altri Stati possano importare tale disposizione, come è già stato fatto in Sud Dakota, ad esempio.

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Il sociologo Stark commenta la diffusione del cristianesimo nel mondo

Il “Corriere della Sera” ha intervistato uno tra i più autorevoli sociologi della religione, docente di Social Sciences alla Baylor University e prima alla Washington University, professore onorario presso l’Università di Pechino. Si tratta di Rodney Stark, autore di oltre trenta libri e altrettanti articoli scientifici. L’occasione è il recente rapporto “Pew Forum Research, che vede in questo inizio del 2012 il cristianesimo come la più diffusa religione mondiale, quella che appare più adatta all’era della globalizzazione. «Forse la più rimarchevole caratteristica della fede cristiana», ha spiegato Stark, «è la sua capacità di fondersi con ogni cultura umana. Così come la Bibbia è stata tradotta in molte migliaia di lingue, allo stesso modo ci sono migliaia di confessioni cristiane, ma ognuna di esse è autentica perché il messaggio di base è veramente universale».

Ha quindi commentato le ultime statistiche, dalle quali si evince che il maggior numero di cristiani vive nel Nuovo Mondo. Nord e Sud America hanno insieme il maggior numero in assoluto e la maggiore percentuale di cristiani. Qual è il problema in Europa? Risponde: «In questo momento il cristianesimo europeo manca di credenti impegnati. Questa mia affermazione diventa veramente ovvia se prendiamo in considerazione le statistiche sui cristiani “attivi”, cioè su quelli che frequentano la chiesa regolarmente». Tuttavia, secondo lui «c’è una notevole possibilità di revival religioso nel Vecchio Continente. È ben noto che i tassi di fertilità in Europa sono caduti molto al di sotto della quota di sostituzione. Ma non tutti i gruppi hanno una bassa fertilità. Chi partecipa attivamente alla vita di una Chiesa ha dei tassi di fertilità molto al di sopra della quota di sostituzione. Di conseguenza la popolazione che va in chiesa sta crescendo, mentre la popolazione secolarizzata declina, e le future generazioni di chi frequenta la chiesa potranno sorpassare di numero chi invece non la frequenta. Così le chiese europee potranno diventare affollate». L’analisi di Stark coincide con i risultati di un recente studio dell’Università di Jena in Germania, in base ai quali le società dominate da non credenti sono destinate all’estinzione mentre i popoli religiosi si evolveranno e si riprodurrano molto più velocemente.

Conosciamo bene la situazione nel Nord America e negli USA, dove oltre l’80% è cristiano: «se nel 1850 circa un terzo degli americani apparteneva a una congregation, cioè ad un gruppo religioso organizzato locale, all’inizio del XX secolo vi appartenevano metà degli americani e oggi questo dato è salito al 70 per cento». In Africa subsahariana e in Asia orientale ci sono oggi circa 800milioni di cristiani, una cifra simile a quella delle Americhe: «Le mie statistiche, basate su ricerche Gallup in circa 160 nazioni, mostrano che ci sono molti più cattolici in Africa di quanto riportino i dati ufficiai della Chiesa. Apparentemente, la crescita è stata così rapida che anche i preti locali hanno perso il conto. Infatti, al di sotto del Sahara, il cristianesimo sta crescendo più rapidamente dell’islam». Dalla situazione cinese si possono trarre altre conclusioni: «La rapida crescita del cristianesimo in Cina riflette l’universale appropriatezza della fede e specialmente la sua compatibilità con la modernità, contrariamente a quello che si può pensare. Fondamentalmente il cristianesimo è una religione della ragione, nel senso che ha sempre cercato di spiegare il suo insegnamento di base. Offre risposte ragionate a domande fondamentali. E lo fa sulla base del fatto che Dio è l’essenza della ragione e la sua creazione è così razionale che può essere spiegata e capita: questa è la base della scienza. Al contrario, le religioni orientali non danno spiegazioni, ma solo meditazioni. I cinesi sono veramente consapevoli della compatibilità del cristianesimo con la scienza e l’economia moderna. E il cristianesimo attualmente è più forte tra i cinesi più immersi nella modernità e le migliori università cinesi sono molto più evidentemente cristiane di quanto lo siano le università americane».

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