Un frammento del Vangelo di Marco del primo secolo?

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Piero Piccoli, studioso di cristianesimo delle origini, del “Gesù storico” e degli immaginari della modernità relativi al cristianesimo e alla storia della Chiesa. Ha studiato storia del cristianesimo antico presso l’università di Roma “La Sapienza” e teologia presso la Pontifica Università Lateranense. Ha fatto per anni parte del comitato direttivo di una ONLUS e da oltre un quindicennio è bibliotecario presso una plurisecolare istituzione pontificia, per la quale si occupa di gestire e catalogare il patrimonio librario posseduto»

 

di Piero Piccoli*
*studioso di Cristianesimo delle origini

 

Il mondo accademico neotestamentario in questi giorni è in fibrillazione. Durante un recente dibattito tra Bart D. Ehrman, che immagino non abbia bisogno di presentazioni, e Daniel B. Wallace, professore di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary, nonché direttore esecutivo del Center for the Study of New Testament Manuscripts, uno dei massimi esperti al mondo dei manoscritti del Nuovo Testamento, quest’ultimo, nel rispondere alle solite argomentazioni di Ehrman sull’inaffidabilità dei manoscritti del Nuovo Testamento in nostro possesso e quindi sull’impossibilità di ricostruirne il testo originale, ha dato in anteprima una notizia che se confermata avrebbe praticamente dello straordinario. Secondo Wallace infatti sono stati recentemente scoperti, o meglio identificati, alcuni manoscritti, su papiro, contenti brani del Nuovo Testamento e databili al primo secolo d.C.

Come è noto, sinora eravamo in possesso solamente di alcuni frammenti del secondo secolo e nessuno del primo (se si escludono alcuni frammenti provenienti da Qumran, come il 7Q5, ma la cui identificazione è quantomeno dubbia). Tra questi manoscritti però, secondo Wallace, ce ne è uno in particolare, contenente una porzione del Vangelo di Marco, che potrebbe essere datato al primo secolo secondo alcuni noti paleografi, la cui identità non è stata resa nota, interpellati a tale proposito. Sarebbe, se se fosse vero, il più antico testimone testuale in nostro possesso! Wallace non è stato più preciso, aggiungendo che questo era quanto poteva al momento dire, ma che entro un anno sarebbe uscita, per i tipi della Brill, nota casa editrice scientifica, una edizione critica di questi frammenti con tutti i dati necessari. Inutile dire che un simile annuncio ha scatenato la curiosità di esperti e non esperti, che hanno cercato immediatamente di avere ulteriori notizie e conferme, soprattutto riguardo al frammento marciano databile paleograficamente forse al primo secolo d.C.

Le notizie a proposito sono tuttora scarse, ma qualcosa di più è filtrato. I frammenti ritrovati e identificati farebbero parte della Collezione Green, probabilmente la maggiore collezione privata al mondo di manoscritti di ogni epoca, molti dei quali non ancora studiati e catalogati. Sarebbero stati ritrovati all’interno dei bendaggi di alcuni resti mummificati la cui origine non è nota. I frammenti in questione sarebbero:
1. frammento del II secolo con Ebrei 1
2. frammento del II secolo con 1Corinti 8-10
3. frammento del II secolo con passi non meglio identificati di Matteo
4. frammento del II secolo con Romani 8-9
5. frammento del II secolo con parte di una lettera di Paolo, forse Ebrei
6. frammento del II secolo con passi non meglio identificati di Luca
7. frammento forse databile al I secolo con passi non meglio identificati di Marco.

Benché tutti questi frammenti, data la loro antichità, sono estremamente importanti, l’attenzione di tutti si è subito concentrata sul frammento di Marco, portando anche a ipotesi alquanto ardite sia sulla trasmissione testuale dei vangeli sia sulla affidabilità degli stessi. A questo proposito è bene pertanto mettere in chiaro alcuni punti. Innanzitutto si tratta solamente di un annuncio, peraltro vago, con troppi pochi dati a disposizione (ad esempio la grandezza e i contenuti di questo frammento) per poter formulare un giudizio che non sia avventato. Certo, Wallace è persona preparatissima e affidabile e nessuno si sogna di dargli del fanfarone, ma questi frammenti necessitano di essere analizzati dalla comunità scientifica prima di poter formulare un giudizio ragionato e condiviso, se mai peraltro sarà possibile farlo (come nel caso del famoso frammento 7Q5, per il quale non c’è accordo tra gli studiosi). Per il momento bisogna semplicemente prendere questa notizia con estrema cautela, necessaria anche perché la datazione paleografica non è mai una datazione precisa, ma ha sempre un margine di errore che può essere anche di decine di anni, così che tale frammento potrebbe risultare in effetti del secondo secolo.

Ipotizzando che venga confermata tale datazione bassa, ovvero che si crei un consenso accademico sulla datazione al primo secolo di questo frammento: quali sono le effettive conseguenze di questo? Cosa ne possiamo ricavare e cosa soprattutto non ne possiamo dedurre? Per quel che riguarda il primo aspetto, mi sembra non necessario insistere particolarmente su quanto un frammento del primo secolo d.C. possa essere importante quale testimone fisico e testuale. La sua importanza certo dipende anche dalla sua grandezza e dai suoi contenuti, tuttavia sembra indubbio che esso possa darci notizie preziose, così come del resto i restanti sei frammenti, sulla trasmissione testuale del Nuovo Testamento. Sappiamo che la maggior parte delle varianti sono state originate probabilmente entro il II secolo, così che riuscirne ad individuare di questo frammento e anche degli altri sei, rispetto a quanto attualmente in nostro possesso, potrebbe portare a individuare meglio ad esempio l’origine di alcune famiglie testuali o il modo in cui sono sviluppate, o al contrario potrebbe rafforzare l’ipotesi di una trasmissione testuale, in alcuni ambienti e tradizioni, sostanzialmente integra e fedele almeno all’interno del primo secolo o nella prima parte del secondo. Sarebbe questo un grande risultato.

E’ importante tuttavia anche sottolineare cosa non ci si deve aspettare da questo frammento: innanzitutto non ha alcuna relazione con il frammento 7Q5 sopra citato, non proviene infatti, per quanto è dato sapere, da Qumran e non può essere utilizzato per sostenere l’attribuzione marciana del 7Q5. Questo frammento non può essere preso come prova per una retrodatazione del Vangelo di Marco rispetto all’attuale data di composizione posta attorno al 70 d.C. L’analisi paleografica, così come quella filologica in generale, non possiede questa precisione a meno di indizi precisi presenti nel testo stesso, nel supporto o addirittura nell’ambiente in cui è stato ritrovato il reperto in esame. Nulla fa supporre che nel caso in questione vi siano indicazioni di questo genere (cosa che per questo genere di frammenti sarebbe più unica che rara). Ogni conclusione nel senso di una retrodatazione sarebbe pertanto del tutto arbitraria. Per quanto possa essere importante un frammento papiraceo così antico, esso non ha influenza sulla ipotizzata data di composizione del Vangelo di Marco, giacché oramai tutti gli esperti la collocano ben entro il primo secolo, attorno al 70 d.C. (senza contare le varie ipotesi di retrodatazione, che però al momento non sono riuscite a conquistare un consenso maggioritario in ambito accademico). Nulla di nuovo dunque può dirci questo frammento riguardo alla datazione di Marco. Altresì importante è sottolineare come quand’anche fosse confermata (con tutti i limiti noti che hanno queste datazioni) la datazione del I secolo, questo nulla ci dice sull’affidabilità dei Vangeli, ovvero sul loro contenuto. Ciò che al massimo questo frammento può dirci è in che misura già nel primo secolo la trasmissione testuale dei vangeli fosse più o meno integra e fedele (quantomeno rispetto al testo del Nuovo Testamento sinora ricostruito). Non è possibile inferire infatti da qualsiasi stadio della trasmissione testuale il grado di affidabilità di un testo, ovvero dei suoi contenuti, rispetto a quanto descritto nello stesso, ma solo eventualmente la sua maggiore o minore corrispondenza a un presunto originale che tra l’altro neppure possediamo e neppure siamo sicuri sia mai esistito. Per quanto si possa essere tentati di usare in maniera apologetica questa importantissima scoperta, si deve tenere ben presente che operazioni del tipo illustrate sopra sarebbero fallaci e fallimentari. Aspettiamo pertanto di poter leggere e studiare l’edizione critica di questi frammenti per poterli inserire in maniera adeguata all’interno della storia del Nuovo Testamento.

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Darwin Day 2012, il fisico Schroeder: «bisognerebbe celebrare anche Wallace»

Ci avviamo verso la fine della settimana in cui abbiamo celebrato a nostro modo l’anniversario del grande naturalista Charles Darwin (1809-1882), padre della teoria evolutiva delle specie animali e vegetali per selezione naturale. Lo abbiamo fatto per rispondere agli indaffarati circoli di scettici e razionalisti che, organizzando come ogni anno convegni e relazioni su Darwin in occasione del suo anniversario, vorrebbero appropriarsi della teoria scientifica da lui ideata per trarne conclusioni filosofico-teologiche, in particolare circa l’inesistenza di un Creatore. Questa indebita strumentalizzazione ha portato, in particolare negli USA, un intenso proliferare di movimenti creazionisti, protestanti e islamici, i quali preferiscono affidarsi ad una indebita interpretazione letterale della Genesi. Lasciando guerreggiare questi due approcci fondamentalisti, abbiamo chiesto un commento a numerosi ricercatori e docenti universitari, esperti in tematiche scientifiche e filosofiche. Abbiamo iniziato lunedì con il matematico Luigi Borzacchini, seguito dal contributo dell’antropologo Fiorenzo Facchini, da quello del premio Nobel per la fisica William D. Phillips, dall’intervento dell’evoluzionista Massimo Piattelli Palmarini e dal contributo di ieri della filosofa Laura Boella.

 
 

Il prof. Gerald L. Schroeder è un fisico e un teologo statunitense, docente presso il College of Jewish Studies Aish HaTorah’s Discovery Seminar. Specializzato in fisica nucleare e scienza della terra, ha collaborato con il Massachusetts Institute of Technology (MIT), con il Weizmann Institute of Science e con la United States Atomic Energy Commission. Il suo pensiero nei rapporti tra scienza e fede ha contribuito alla conversione al deismo, nel 2004, del più famoso ateo militante in circolazione, il filosofo inglese Antony Flew. Ha cortesemente risposto così a due nostre domande:

 

“Prof. Schroeder, la teoria di Darwin ha secondo lei la capacità di negare l’esistenza di un Creatore, così come insegnato dalla teologia cristiana? Può eventualmente contribuire in qualche modo alla riflessione filosofica e teologica?”
«Darwin non era così estremo come si sente spesso dire. Nell’introduzione a “L’origine della specie” e nel punto di chiusura di quel libro, egli afferma che le diverse forze dell’evoluzione sono al lavoro per lo sviluppo della vita. In realtà la frase di chiusura attribuisce ai “poteri posti dal Creatore” nella vita la sua possibilità di svilupparsi dal semplice al complesso».

“Professore, cosa ne pensa di queste giornate celebrative dedicate a Darwin? Perché secondo lei non accade lo stesso anche per altri celebri uomini di scienza?”
«Commemorare ogni grande scoperta scientifica significherebbe riempire la maggior parte del calendario dell’anno. Una giornata commemorativa per Darwin, per essere corretta, dovrebbe includere anche una giornata commemorativa anche per Wallace, il co-autore dell’idea della discendenza comune (evoluzione). Mentre Darwin guardò alla morfologia generale degli animali, Wallace studiò a fondo la complessità delle singole parti del corpo, per esempio la magnificenza della meccanica delle piume degli uccelli in volo, anch’esse -oltre alle ali- controllate in modo preciso. Questo livello di complessità ha portato Wallace a vedere la mano di un Progettista in natura».

 

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A tre anni dall’uccisione di Eluana…, il punto sulla situazione

Da quando tre anni venne uccisa Eluana Englaro tante verità sono emerse. Pochi giorni fa si è celebrata la II° Giornata nazionale degli stati vegetativi, istituita dalle associazioni delle famiglie con parenti in stato vegetativo e con disabilità gravissime, svoltasi proprio lo stesso giorno di morte di Eluana (dopo essere stata lasciata morire di fame e di sete, soffrendo, come ha spiegato il dott. Giuliano Dolce, Primario e direttore dell’Istituto Sant’Anna di Crotone, che la visitò e come descrisse dettagliatamente l’inviata del “Corriere della Sera” quel giorno). Vediamo qual’è il punto della situazione.

 

RICERCA SCIENTIFICA
Da quel giorno la ricerca scientifica pare avere  accelerato fortemente il suo corso, al punto che la comunità internazionale dei neurologi è arrivata a proporre di annullare la definizione stessa di stati vegetativi, preferendo parlare invece di veglia a-relazionale, cioè malati svegli e coscienti che non riescono a relazionare con l’esterno (anche se oggi possono farlo con un caschetto apposito -chiamato “Elu1” in memoria di Eluana- progettato al Centro don Orione di Bergamo e acquistabile con 90 euro, vedi anche qui), ma sono coscienti in larga parte, possono addirittura apprendere e imparare e  hanno movimenti volontari. Si è anche arrivare a scoprire che il 40% delle diagnosi di stato vegetativo è sbagliata. In questi giorni la dott.ssa Matilde Leonardi, direttore scientifico del “Coma Research Centre” dell’istituto Besta di Milano ha affermato che«Non dobbiamo chiederci “Che cosa vorresti tu se capitasse a me”. La domanda vera è: “Che cosa dobbiamo fare noi, come società, quando ci troviamo davanti a persone in queste condizioni”. È sbagliato anche porre la questione in termini di “diritto alla vita” o “diritto alla morte” perché non stiamo parlando di malati terminali […] Tra l’accanimento terapeutico, che riguarda tutti quei trattamenti sproporzionati alla situazione clinica del paziente che recano più danni che benefici alla persona, e l’abbandono – vogliamo chiamarlo con il vero nome, eutanasia? -, che non è previsto in Italia, che provoca direttamente e volontariamente la morte di un malato grave, si inserisce la posizione della “perseveranza terapeutica”. Una modalità con la quale ci si prende cura dei pazienti, anche gravi, in modo che possano godere di trattamenti adeguati alla loro situazione». Il dott. Louis Puybasset, invece – direttore da 12 anni il reparto di rianimazione dell’ospedale parigino Pitié-Salpêtrière-, nel suo libro “Eutanasia, il dibattito troncato” recentemente pubblicato in Francia sottolinea come i cittadini non abbiano gli strumenti adatti per affrontare certe tematiche nella giusta prospettiva a causa della «confusione che regna, nell’emotività che si accompagna ad ogni caso, alla non conoscenza della verità in gioco e, soprattutto alla non conoscenza della legge stessa». Sopratutto, anche a causa della militanza dei promotori della morte nei media, non si capisce che «non è l’eutanasia l’alternativa all’accanimento terapeutico, la vera alternativa sono le cure palliative, ma questo, chi lo sa?». La dignità, continua lo specialista, è «l’argomento più utilizzato dai sostenitori dell’eutanasia. Ma l’idea che un essere umano possa perdere la propria dignità perché è fragile, malato, vecchio e perché vive in una situazione di estrema dipendenza, è semplicemente un’idea intollerabile dal punto di vista medico. Non solo, ma è anche pericoloso: ci vuole poco a suscitare la sensazione che qualcuno non sia più “degno” in una società divorata dall’efficienza, dal giovanilismo, dalla spettacolarizzazione», come accade nei Paesi in cui è stata legalizzata, come in Olanda, dove anche chi soffre di solitudine può oggi chiedere l’eutanasia. Tutte conquiste mediche, comunque, puntualmente ignorate e respinte dai promotori della morte (quella “dolce”, come la chiamano loro), che hanno il loro guru in Beppino Englaro (il tizio che diceva “Quando Eluana sarà morta, tacerò”, e oggi va nelle scuole a promuovere l’eutanasia): Radicali, l’Associazione Coscioni, i bioetici del gruppo di Maurizio Mori ecc.

 

SONDAGGI E APPROVAZIONE
Tommaso Scandroglio ha mostrato su “La Bussola Quotidiana”, quanto “il popolo sia bue“, ovvero muti il suo giudizio a seconda della spinta che riceve dai media, e la vicenda di Eluana è stata creata apposta per essere mediatica. I recenti sondaggi mostrano che laddove tira il vento dell’attenzione massmediatica, lì ci sarà anche il favore dell’italiano medio. Il picco massimo di giudizi favorevoli al testamento biologico si è registrato esattamente tre anni fa, quando Eluana Englaro morì: 81,4% era la percentuale di italiani che consideravano Dat, testamento biologico e documenti simili come strumenti molto utili. Già dall’anno seguente la percentuale era in declino, perché parallelamente scivolava verso il basso anche la pressione massmediatica a senso unico su questo tema. Oggi siamo appunto al 65%, solo un anno fa eravamo al 77,25%. Stessa cosa dicasi per l’eutanasia: al momento attuale solo la metà del popolo italico parrebbe benedire la dolce morte, ma nel 2006 quando il caso Welby era rovente il giudizio favorevole era espresso ben dal 74% delle persone intervistate. Si è anche notato che le domande fatte agli intervistati contenevano appositi “addolcimenti” sui termini, adatti per influenzare le risposte. Infatti, la domanda sul “suicidio assistito“, che non può essere chiamato in modo più “leggero”, vede oggi il 72% dei contrari. I dati provengono tutti da Eurispes. Tutto pare dunque essere basato sull’emozione del momento, con il tempo e il calo dell’attenzione mediatica il giudizio si rasserena, diventa più freddo e dunque più ragionevole. La percentuale più alta di oppositori si riscontra, come per il caso dell’aborto, nella classe medica, ben poco influenzabile dai quotidiani. Nel Regno Unito, uno dei Paesi di continuo riferimento per  il partito radicale, si parla oggi dell’80% di medici contrari a eutanasia e suicidio assistito, con picchi negli specialisti in medicina palliativa, proprio a conferma delle parole del dott. Puybasset riportate qui sopra.

 

FALSITA’ E MISTIFICAZIONI VARIE E “RADICALI”
Tuttavia, come ha notato Francesco Agnoli, la vita di Eluana (anzi, la sua eliminazione) è stato usata come grimaldello per l’apertura delle porte al diluvio di suicidi assistiti nel nostro paese. Fatta la breccia avrebbe seguito la rottura della diga. Eppure non è cambiato nulla, «i malati desiderano vivere e i loro cari vogliono dimostrare sino all’ultimo il loro amore». Alla faccia del numero incredibile di eutanasie “clandestine” (è lo stesso trucco, la stessa parola usata per legalizzare divorzio e aborto) che sarebbero emerse alla luce del sole, secondo i radicali, dopo Eluana.  Giuliano Guzzo ha invece voluto rilevare alcune mistificazioni create attorno ad Eluana:
1) Non è vero che venne visitata da molti medici, ma venne fatta una sola perizia, quella del professor Carlo Alberto Defanti incaricato dal padre di Eluana. Tuttavia venne vista, come già detto, anche dal dott. Dolce, il quale registrò che, oltre ad aver ripreso, negli ultimi tempi, un regolare ciclo mestruale, Eluana era in grado di deglutire autonomamente, di variare il ritmo respiratorio a seconda degli argomenti trattati vicino a lei. Non soffriva in alcun modo e la sua salute non era in pericolo. Tutti elementi puntualmente trascurati dai pronunciamenti giudiziari, nei quali compare invece la sola (e datata) perizia di Defanti. Roberto Saviano, senza mai aver visto Eluana, arrivò a scrivere che Eluana aveva il «viso deformato, le orecchie divenute callose e la bava che cola, un corpo senza espressione e senza capelli». La giornalista Lucia Bellaspiga, che la vide due volte e fu l’ultima giornalista a farle visita, la descrisse così: «Eluana è invecchiata poco, è rimasta ragazza davvero, anche nella realtà, non solo in quella congelata dalle foto […] i lineamenti sono poco diversi da prima, non peggiori o migliori, diversi […] dal suo sguardo capisci che è una disabile, a occhi chiusi potrebbe essere la persona più sana del mondo […] il volto è rilassato, pieno, normale, non abbruttito».
2) La Corte d’Appello di Milano che decise sulla sospensione del nutrimento di Eluana, dopo che per sei volte i magistrati negarono al tutore di Eluana il permesso di anticiparne la morte (guarda caso si disse di “si” proprio quando la vicenda comparì sui media) si basò sull’irreversibilità dello stato vegetativo, concetto oggi ampiamente superato dalla letteratura scientifica (ma anche allora venne riconosciuto dal presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani) e sconfessato dall’esperienza di numerosi “risvegli”, e si basò su una ricostruzione “indiretta” della volontà terapeutiche di Eluana attraverso il suo «stile di vita», collocandosi in netto contrasto con altri pronunciamenti coevi della Suprema Corte, la quale sottolineò (qui e qui) la necessità di «una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa, dalla quale inequivocabilmente emerga detta volontà».
3) Da parte di Eluana non ci fu mai una dichiarazione precisa, tant’è che la stessa Corte d’Appello di Milano ha messo nero su bianco come sia stato il Beppino Englaro, e non Eluana, a richiedere la sua morte: «La. S.C. non ha ritenuto che fosse indispensabile la diretta ricostruzione di una sorta di testamento biologico effettuale di Eluana, contenente le sue precise dichiarazioni di trattamento […] ma che fosse necessario e sufficiente accertare che la richiesta di interruzione di trattamento formulata dal padre in veste di tutore riflettesse gli orientamenti di vita della figlia».

 

Beppino Englaro, ricorda ancora Agnoli, si è battuto quasi 17 anni, cioè sin dal principio della disgrazia, per ottenere di poter lasciar morire sua figlia; 17 anni in cui Eluana è stata servita e accudita con amore, non da lui, ma dalle suore misericordine; in quei 17 anni, Eluana non ha sofferto affatto, mentre è morta sola e sofferente «in una lenta agonia che ha devastato l’organismo», come scrissero 25 tra i massimi neurologi italiani, contrari all’esecuzione. Ma a nessuno interessa più, giustizia è fatta: Eluana doveva morire ed è morta.

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La fondazione Susan G. Komen dice “stop” alle embrionali

Continua la polemica sull’utilizzo a scopo terapeutico e di ricerca delle cellule staminali embrionali umane, un materiale che richiede l’uccisione di un embrione umano. La più importante fondazione contro il cancro al seno degli Stati Uniti, la Susan G. Komen for the Cure Foundation, ha recentemente annunciato che i risultati delle proprie ricerche con cellule staminali embrionali sono insoddisfacenti e ha conseguentemente cessato di finanziare borse di studio per ricerche analoghe.

Per il momento, si tratta di una sospensione e non di una cessazione stabilita definitivamente, ma ciò non ha impedito all’Huffington post di scrivere che così la fondazione si fa una “cattiva reputazione” perchè avversa le cellule staminali embrionali per “motivi ideologici”. L’annuncio segue la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, segue il “basta embrionali” pronunciato dalla prestigiosa prestigiosa azienda americana di biotecnologie Geron Corporation, pioniera della ricerca con le embrionali, ma anche lo “stop” arrivato da Ian Wilmut, ”papà” della pecora Dolly, che si è dichiarato perplesso sull’opportunità di insistere nell’uso delle cellule staminali embrionali, dicendosi piuttosto favorevole a scommettere su quelle adulte.

All’Huffington Post ha risposto la dottoressa Theresa Deisher, fondatrice di AVM Biotechnology, che si è dedicata allo sviluppo della tecnologia medica pro-life, il lavoro con le cellule staminali embrionali è guidato da considerazioni economiche più che scientifiche: essendo cellule che proliferano e si moltiplicano rapidamente in vitro, sono relativamente poco costose, ma anche poco utili terapeuticamente, perchè è difficile tenere sotto controllo in vivo la crescita dei tessuti che ne derivano.  Allo stesso modo la pensano numerosissimi ricercatori italiani, ad esempio.

Libero da ogni implicazione etica è invece l’uso di cellule staminali provenienti dal sangue del cordone ombelicale; l’utilizzo di queste cellule si sta rivelando sempre più promettente, anche per il trattamento per lesioni del midollo spinale e sclerosi multipla. Anche, in un futuro molto prossimo, per riparare il sistema cardiovascolare in neonati affetti da cardiopatie congenite, o addirittura ricostruire l’intero cuore, facendo moltiplicare le staminali cordonali autologhe (cioè del cordone ombelicale di quel bambino stesso) su un substrato progettato appositamente. Possibilità molto concreta e interessante, considerando che un bambino ogni 120 nasce oggi con un difetto cardiaco, la forma più comune di malattia congenita.

Linda Gridelli

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Darwin Day 2012, la filosofa Boella: «la scienza non riesce a rispondere a tutto»

In occasione della celebrazione dell’anniversario del naturalista Charles Darwin (1809-1882), desideriamo sottolineare che la teoria scientifica da lui ideata non andrebbe usata per trarre conclusioni filosofico-teologiche, in particolare circa l’inesistenza di un Creatore. Per questo stiamo intervistando sul tema ricercatori e docenti universitari, esperti in tematiche scientifiche e filosofiche. Abbiamo iniziato lunedì con il matematico Luigi Borzacchini, seguito dal contributo dell’antropologo Fiorenzo Facchini, da quello del premio Nobel per la fisica William D. Phillips e dall’intervento di ieri dell’evoluzionista Massimo Piattelli Palmarini.

 

La prof.ssa Laura Boella è docente ordinario di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano, riconosciuta oggi tra le maggiori studiose di Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano e Edith Stein. Con il volume Neuroetica. La morale prima della morale (Raffaello Cortina Editore 2008) si è occupata di neurobiologia, studiando le sue implicazioni filosofiche. Ha cortesemente risposto così a due nostre domande:

 

“Prof.ssa Boella, la teoria di Darwin ha secondo lei la capacità di negare l’esistenza di un Creatore, così come insegnato dalla teologia cristiana? Può eventualmente contribuire in qualche modo alla riflessione filosofica e teologica?”
«Affermare o negare l’esistenza e l’opera di un Creatore necessita di percorsi filosofi o teologici ben precisi, che non si possono in alcun modo estrapolare dagli intenti descrittivi e analitici di Charles Darwin. La scienza risponde a domande specifiche e adotta un metodo corrispondente. Niente é più dannoso di una scienza (e, se si dà il caso, una filosofia) che pretenda di dare l’unica, vera risposta a tutte le domande. Ritengo che Darwin fosse una vero scienziato, e come tale osservasse scrupolosamente il particolare. Dal particolare viene una conoscenza preziosa relativa alle forme di vita e alla loro evoluzione. Ho molti più dubbi sulle generalizzzaioni tratte da tesi come quella dell’adattamento all’ambiente e della lotta per la sopravvivenza, che peraltro gli attuali studiosi dell’evoluzione hanno ampiamente riformulato. Oggi si descrive lo sviluppo della civiltà umana anche in termini di sviluppo di capacità naturali “costose”, e non semplicemente funzionali alla coesione del gruppo e alla sua autodifesa, come l’empatia. Direi che la teoria dell’evoluzione può essere considerata un quadro generale entro il quale le diverse discipline, ovviamente non solo scientifiche, devono e possono portare avanti domande, metodi e linguaggi specifici, ognuno con pari dignità».

“Secondo lei, la scienza e la fede possono essere due strumenti di conoscenza in contrasto tra loro? Oppure sono due sfere completamente separate? O, infine, ci può essere una relazione collaborativa tra loro?”
«Scienza e fede appartengono a due campi distinti dell’esperienza. Tra di esse c’é passaggio e relazione sul piano conoscitivo, ma c’é salto sul piano spirituale. Ritengo che l’esperienza della trascendenza non possa essere ricondotta a nessun modello di attività mentale, bensì che essa implichi un “mettersi nelle mani”, un “affidarsi” che ha trovato, almeno a mio parere, perfetta espressione nella “notte oscura” di san Giovanni della Croce. Distinzione dunque che é relazione tra piani che hanno ognuno una logica di esperienza autonoma. Sarebbe auspicabile una specie di compresenza degli opposti nell’esperienza, che non tolga nulla alla realtà vitale, anche se ciò implica constatarne a volte l’insensatezza, e insieme la tenga aperta per un altro piano, quello della trascendenza».

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Umberto Galimberti tra frode e plagio: smascherato

Più volte ci siamo occupati del filosofo Umberto Galimberti (cfr. Ultimissima 12/05/11 e Ultimissima 1/10/11), il quale rientra in quel gruppetto di feroci anti-cristiani italiani, formato tra gli altri da Odifreddi, Veronesi, Flores D’Arcais, Corrado Augias ecc.

In particolare, Galimberti prova rancore verso il cristianesimo perché esso ha di fatto superato la grecità, ha introdotto il concetto di peccato e ha affermato che il desiderio di infinito dell’uomo è incolmabile, nonostante ogni soddisfazione mondana si cerchi. Questo ovviamente risulta insopportabile per l’orgoglioso uomo moderno, è visto come una mancanza di vera emancipazione e autonomia.

Egli infatti intende vedere il cristianesimo come qualcosa di anacronistico in quanto, si domanda: «come è praticabile oggi in una società organizzata essenzialmente, come la pubblicità quotidianamente ci mostra, per soddisfare tutti bisogni e tutti i desideri? […] Come conciliare la cultura cristiana che tutti individuano come forma dell’Occidente con il livello di ricchezza e abbondanza raggiunto dalle società occidentali?». La ricchezza, l’abbondanza, il potere  sarebbero secondo Galimberti quel che l’uomo ha bisogno per compiere se stesso, quel che più ardentemente anela dalla sua comparsa, quello su cui si sono arrovellati i più grandi poeti della storia.   Infatti sostiene: «la morale del cristianesimo ha finito la sua storia, e quindi o emigra nel terzo o nel quarto mondo dove vive la mortificazione del bisogno, o sparisce». E ancora dichiara: «Io non sono cristiano, sono greco. […]. Io accuso i cristiani non solo di pretendere di eliminare il dolore, ma addirittura di avere una vita al di là della vita. Quindi il desiderio è infinito perché non ha limite e la morte è semplicemente una sorta di trapasso, di apparenza». Neanche la sessualità, per i cristiani, può offrire risposte appaganti all’uomo bisognoso di senso: «Poi venne il cristianesimo e con esso la maledizione della carne […]. Se un bel giorno si smettesse di esecrare la pornografia, che poi altro non è se non la carne nella sua solitudine, e si incominciasse a esecrare chi ha ridotto la carne in solitudine, separandola dal cielo per farne l’anticamera dell’inferno, il primo girone della Commedia» (U. Galimberti, “Il gioco delle opinioni”, Feltrinelli Editore 2007). L’invito al disprezzo dei cristiani è dunque palese, una sorta di esorcizzazione del “male”.

Come tutti i nemici del cristianesimo tuttavia, anch’egli ha un lato buio (poco “cristiano”, per l’appunto). In merito a questo, ci ha contattato lo scrittore Vincenzo Altieri il quale ha raccolto moltissimo materiale, poi pubblicato in “Il filosofo di Monziglia”, con cui ha dimostrato senza ombra di dubbio come  Umberto Galimberti abbia creato gran parte dei suoi maggiori libri copiando letteralmente frasi e ragionamenti di altri autori, senza ovviamente citarne la fonte. La ricerca del dott. Altieri iniziò dopo che egli venne brutalmente respinto dal noto filosofo -che allora stimava- in seguito ad una richiesta di incontro e confronto. Così ci scrive Altieri: «Il modo “disdicevole e vile” con cui il Galimberti mi trattò, non mi offese più di tanto, ma accese però la mia attenzione su di lui, e fu così che iniziai a indagare sulle opere del filosofo, scoprendo i plagi alla docente della UCLA, Giulia Sissa, alla quale li inviai, e che furono pubblicati ad aprile 2008 su “Il Giornale” a firma del prof. Roberto Farneti, e poi gli altri furti, confluiti ne “Il filosofo di Monziglia”, libro di 472 pp., terminato a giugno 2009, – le cui appendici che documentano i plagi del Galimberti si possono leggere sul mio sito web».

«Oltre ai plagi già resi noti», ha proseguito lo Altieri, «i miei studi attestano che il Galimberti è un turpe impostore, il quale da oltre trent’anni truffa e imbroglia quanti lo leggono e ascoltano, insomma un vorace lupo travestito da profeta dell’amore. E la sua usurpata notorietà la deve alla televisione, nonché agli appoggi e protezioni di cui tuttora gode, e alla corruzione intellettuale che infesta il nostro Belpaese, e soprattutto ai cospicui guadagni che le frodi del filosofo hanno finora prodotto. Perciò si cerca di tenerlo sempre sulla cresta, poiché non si vuole che si prosciughi questa abbondante fonte di lucro, sebbene sia frutto di malversazioni. Le cifre che segnano il nostro tempo sono l’impostura e il tragicomico, e di siffatte materie e impastata la nostra galimberteide…».

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Chiesa e ICI: tanto rumore per nulla, ennesimo flop dei radicali

Il governo italiano presenterà un emendamento in merito all’esenzione dall’ICI (imposta comunale sugli immobili) riservata agli enti non commerciali, quindi anche alla Chiesa. In sostanza, si continuerà a pagare l’Ici su quegli immobili in cui si svolgono attività commerciali, come la Chiesa ha sempre fatto. La chiarificazione è per quanto riguarda le attività “miste” (ovvero luoghi di culto ma anche con fini commerciali, per esempio), detta anche “zona grigia”: Chiesa e organi no profit in questi casi pagheranno l’imposta sulla frazione dell’immobile dedicata ad attività commerciali. La Cei ha accolto con favore il chiarimento, dato che lo stesso era stato auspicato anche dal cardinale Angelo Bagnasco. Tuttavia da tempo la campagna anticlericale sull’ICI si è silenziata (è durata giusto un paio di settimane, al contrario di tante altre). Questo perché è stata smontata in fretta: l’esenzione dell’Ici da parte della Chiesa cattolica toglie allo Stato circa 100 milioni di euro, una cifra assolutamente ininfluente per il bilancio pubblico, e che tra l’altro non è imputabile alla sola Chiesa ma comprende anche tutti gli altri enti no profit.

Pensare che il Patito Radicale e Mario Staderini parlavano di 1-2 miliardi di euro!! Certo, non tutti hanno avuto l’onestà di ammetterlo ma almeno in molti hanno taciuto. Altri invece, come il vaticanista de “Il Fatto Quotidiano” Marco Politi, fanno tuttora finta di nulla e continuano a parlare di miliardi e miliardi. Eppure la verità è semplice, Milano Finanza scrive: «Tanto rumore per nulla. O, meglio, per poco. Per mesi la polemica sull’esenzione dal pagamento dell’Ici da parte della Chiesa cattolica ha tenuto banco. Soprattutto nelle ultime settimane, dopo che il governo presieduto da Mario Monti è stato costretto ad aumentare il prelievo sulle case, tassando di nuovo anche le prime abitazioni […]. La valutazione più attendibile è sempre apparsa quella dell’Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, che aveva indicato in circa 450 milioni l’ammontare massimo ottenibile applicando l’Ici anche agli immobili della Chiesa». Ma in realtà «l’esenzione della Chiesa costa solo 100 milioni allo Stato».

Lo ha annunciato il sito istituzionale del ministero dell’Economia, dicastero del quale il premier Monti ha l’interim: «sulla base dei dati presi in esame, è stata ricostruita la platea degli enti fruitori della misura Ici e dei relativi immobili con una perdita di gettito pari a circa 100 milioni, ottenuta simulando l’abrogazione delle disposizioni in esame». Perfino il quotidiano “l’Unità” ha abbandonato Mario Staderini ai suoi deliri. Ieri si leggeva: «Continuare a parlare di un miliardo e mezzo/due imputabili solo alla Chiesa Cattolica a cosa serve?». La domanda è ovviamente retorica, si sa benissimo qual’è lo scopo dei radicali e di Politi. Continua così l’articolo: «Tenuto conto della presenza storica della Chiesa Cattolica nel nostro Paese, le cifre fornite dal ministero dell’Economia confermano ciò che tutti, tranne alcuni giornali, sanno: che se un’istituzione ecclesiale possiede una pensione, una trattoria, un negozio o una libreria, paga l’Ici fino all’ultimo centesimo; che gi eventuali abusi sono facilmente risolvibili con l’applicazione delle leggi vigenti; che il vero obiettivo della «campagna-Ici» sembra la disarticolazione di quel po’ diprotezione sociale rimasta in piedi in Italia, grazie alla ricca rete di collaborazioni tra istituzioni, mondo confessionale, mondo laico e anche iniziativa privata».

Tutto questo è stato comunque ampiamente confermato anche Franco Bechis, vicedirettore di “Libero” invitato da Gianluigi Nuzzi nel suo programma “Gli Intoccabili” in onda su LA7, proprio durante la puntata sul noto “affare Viganò”. Mentre la vicenda su quest’ultimo è stata affrontata con onestà, le comiche si sono viste appena si è toccato il tema dell’ICI: il conduttore, autore di “Vaticano S.P.A.” ha presentato Bechis come “l’esperto che aiuta a chiarire dove stia la verità”, ma quando questo esperto ha spiegato come stanno effettivamente le cose (i famosi 100 milioni al posto dei 2 miliardi proclamati dai radicali), Nuzzi si è visibilmente innervosito, forse pentendosi di aver chiamato uno davvero esperto. Siamo sicuri che la prossima volta andrà a pescare il vaticanista de “Il (Mal) Fatto”.

 

Qui sotto la spiegazione di Bechis ad un nervosissimo Gianluigi Nuzzi, video pubblicato anche sul nostro canale Youtube

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Darwin Day 2012, Piattelli Palmarini: «Ecco gli errori di Richard Dawkins»

Siamo arrivati al quarto giorno della nostra celebrazione dell’anniversario del grande naturalista Charles Darwin (1809-1882), padre della teoria evolutiva delle specie animali e vegetali per selezione naturale. L’iniziativa nasce come risposta agli indaffarati circoli di scettici e razionalisti che, organizzando come ogni anno convegni e relazioni su Darwin in occasione del suo anniversario, vorrebbero appropriarsi di una teoria scientifica per tentare di trarre conclusioni filosofico-teologiche, in particolare circa l’inesistenza di un Creatore. Questa indebita strumentalizzazione ha portato nel corso degli anni ad un intenso proliferare di movimenti creazionisti, in particolare in ambienti protestanti degli Stati Uniti, i quali si oppongono all’evoluzione biologica brandendo in modo indebito -anche loro- l’interpretazione letterale dell’Antico Testamento. Volendo smarcarci da questa guerra tra fondamentalisti, abbiamo chiesto un commento a numerosi ricercatori e docenti universitari, attivi in diverse aree del campo scientifico. Lunedì è intervenuto il matematico Luigi Borzacchini, seguito dal contributo dell’antropologo Fiorenzo Facchini e dalle parole di ieri del premio Nobel per la fisica William D. Phillips.

 
 

Il prof. Massimo Piattelli Palmarini è docente di Scienze Cognitive presso l’Università dell’Arizona, fondatore del Dipartimento di Scienze Cognitive dell’Istituto San Raffaele di Milano, già visiting professor presso la Harvard University, l’Università del Maryland e al MIT, dove è stato presidente e organizzatore della XII Conferenza Annuale della Società di Scienze Cognitive. Ha insegnato per due anni con Stephen Jay Gould, all’Università di Harvard, un graduate course dal titolo “Evolution and Cognition” ed è autore, assieme a Jerry Fodor, del noto volume “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli 2010). Ha cortesemente risposto così a due nostre domande:

 

“Prof. Piattelli Palmarini, la teoria di Darwin ha secondo lei la capacità di negare l¹esistenza di un Creatore così come insegnato dalla teologia cristiana? Può, eventualmente, contribuire in qualche modo alla riflessione teologico-filosofica?”
«A mio avviso la teoria di Darwin, come ogni altra teoria scientifica, giusta o sbagliata che sia, non può dirci niente sull’esistenza o meno di un Creatore. Io non credo affatto a un Creatore, ma non vedo perché un credente non possa accettare che tale supremo ente abbia impostato le leggi della natura e poi abbia lasciato che il cosmo si svolgesse seguendo tali leggi. Se, dico se, la selezione naturale fosse davvero tale legge universale, un credente potrebbe benissimo tollerare che la vita si sia sviluppata seguendola».

“Cosa ne pensa di queste giornate celebrative di Darwin? Perché, secondo lei, non accade lo stesso per altri celebri uomini di scienza?”
«Darwin è sato uno dei massimi scienziati di ogni tempo e oggi non saremmo dove siamo, nella teoria dell’evoluzione, senza di lui. Anche chi, come me e Jerry Fodor e altri, critica alcuni aspetti della sua teoria, fa riferimento a Darwin e si sente tenuto a spiegare perché lo critica. Celebrare le ricorrenze Darwiniane mi sembra del tutto legittimo. C’é, però, una sorta di plusvalore, di eccesso retorico a mio avviso ingiustificati. Molti sostengono che la biologia è diventata veramente scienza solo grazie a Darwin e che la sua teoria ha disciolto le nebbie dell’ignoranza, del bigottismo religioso e della superstizione. Richard Dawkins ha scritto che, prima di Darwin, non si poteva essere razionalmente atei. Queste sono sciocchezze, purtroppo credute e ripetute. Dawkins pare ignorare l’esistenza di Giordano Bruno, Spinoza, Laplace e Kant, solo per citare questi. Inoltre, il nucleo della teoria darwiniana, specie se molto semplificato, lo si può spiegare in pochi minuti anche a un bambino. Questo non lo si può fare con Einstein e nemmeno con Pasteur o Galileo. La teoria darwiniana vera e propria non è poi così semplice e lui stesso ne aveva visto i limiti e alcuni paradossi (come l’origine dell’altruismo). Ma esiste una vulgata semplificata che tutti possono capire. Difficile contrastare questi fattori di plusvalore. Si viene subito presi per creazionisti».
 

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Quali rischi per un’etica senza Dio? Commento a Engelhardt…

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Giovanni Botta, dottore di ricerca in Filosofia all’università cattolica di Milano. Diplomatosi al Conservatorio “S. Pietro a Majella” di Napoli, laureatosi in Estetica musicale all’Università Cattolica di Milano con il Prof. Roberto Diodato, è stato docente presso il Conservatorio “U. Giordano” di Foggia ed è Direttore editoriale della Rivista di Filosofia ed estetica “Studium Veritatis”, dove si occupa principalmente del rapporto tra il logos estetico musicale e la rivelazione cristiana»

 

di Giovanni Botta*
*dottore di ricerca in Filosofia

 

«Secolarizzazione e bioetica» è il tema della relazione che il filosofo americano Tristram H. Engelhardt, uno dei più importanti bioeticisti del mondo, direttore del Journal of Medicine and Philosophy, ha tenuto a Torino. L’intervento del filosofo ha portato alla ribalta un tema naturalmente complesso ma decisivo per la nostra salvezza e la nostra sopravvivenza. La domanda potrebbe essere formulata in questo modo: possiamo avere un’etica senza Dio e senza un fondamento assoluto? Per il filosofo in questione, tutte le etiche che prescindono da un fondamento assoluto e incontrovertibile come quello del Dio rivelato, ad esempio, diventano solo delle mere narrative contingenti storicamente e culturalmente condizionate ma la questione è assai complessa. La risposta a prima vista per noi credenti, semplice e immediata, diventa inaccettabile per i nostri tempi. Ma perche? Possiamo solamente tratteggiare appena alcune linee essenziali della contemporaneità, la prima delle quali è definibile linea del Dispotismo del Desiderio e del Dispotismo dell’individualismo.

Tramontate tutte le ideologie, le verità forti e le grandi narrazioni, assistiamo da alcuni decenni alla elefantiasi del soggetto e delle sue pretese al godimento continuo, e ad una estetizzazione diffusa della sua esistenza che prescinde da qualsiasi eteronomia e da qualsiasi tradizione veritativa o storica. Il soggetto consuma in solitudine l’affrancamento totale e irreversibile da un plesso fino a poco fa indisgiungibile tra la realizzazione della propia esistenza e le norme da seguire per raggiungerla. Il soggetto postmoderno ha fagocitato qualsiasi legge morale trasmessa dalla tradizione dei nostri padri e si è liberato dal Dovere e da costrizioni esterne. Libero da e libero di, il soggetto si muove ora nella completa anarchia in una situazione di anomia da un lato e di distopismo dall’altro, libero solo di seguire le propie mozioni endogene, mancanza di legge e di utopia o di semplice futuro inteso come il luogo della propria emancipazione progettuale, e quindi libero anche da qualsiasi escatologia secolare o religiosa. L’uomo (se ancora di umano si puo parlare) è in balia del potere libidico e distruttivo del desiderio impazzito che consuma se stesso fino all’autodistruzione, il soggetto consuma nella sua voracità la fine del legame etico ed intersoggettivo. Senza un’etica condivisa, tuttavia, non c’è piu spazio per la comunità come luogo dell’accadere dell’incontro, esiste solo da un lato il vissuto desiderante anarcoide e dall’altro il diritto positivo che serve solo a regolamentare e disciplinare, ma solo nei limiti appena consentiti, la sua possibile degenerazione. I freni regolatori consistono non piu in norme morali religiose o laiche ma solo nella paura dell’infrazione e della relativa pena…

Ma, per concludere questa piccola analisi fenomenologica ed eziologica, cosa vediamo nella società dei diritti che ha destituito e detronizzato il diritto inteso come ius, come espressione di leggi non scritte ma sentite e vissute nella loro connaturalità paticamente vissuta? La società che ha rinunciato allo ius (preso nella sua singolarità), che è a sua volta la base dello iustum, dell’uomo giusto, ha rinunciato anche allo iussum comandato come comandamento; è una società in preda all’angoscia più profonda, alla disperazione più totale. E’ una società liquida che ha rinunciato alla tradizione e a Dio, e si ritrova sola e consumata dal suo stesso desiderio impazzito. L’uomo non può vivere da solo, ha bisogno di Dio e della trascendenza. Dobbiamo solo noi, credenti, resistere saldi e comunicare la dolcezza del nesso tra libertà e obbedienza, tra dovere morale e felicità. Kant intuì nella postulazione del concetto di Dio, anima e libertà, la necessità per l’etica di un principio assoluto che giustifica il bene e il dovere ottemperato e la sua futura gratificazione. Dobbiamo rappresentare per le etiche particolari, frutto di culture contingenti ed effimere, il fondamento certo e inamovibile della nostra stessa vita, la Verità è per noi cristiani non una cosa, non un’ideologia, non una mera corrispondenza del concetto, ma qualcosa che rimane a dispetto di tutto ciò che cambia, un’esperienza che fonda e libera l’uomo dall’angoscia della sua solitudine. L’uomo non è “una passione inutile” come voleva Sartre, ma è un dono di Dio che si trova immerso nel mondo a sua volta donato. La verità dell’etica cristiana non può essere fondata, ma fonda essa stessa anteriormente la nostra coscienza etica e può solo essere comunicata nella testimonianza diretta come comunicava per noi Cristo con la sua prossimità. Vivere la fede significa rendere tangibile e operosa la nostra etica.

Oggi non possiamo più eludere questa scelta tra l’imperialismo del desiderio distruttivo, effimero, nichilista, teso alla soddisfazione e all’appagamento continuo nell’istante, e la scelta etica come rispetto di leggi immutabili che conducono l’uomo verso il prossimo. Vivere eticamente è primariamente vivere in una logica opposta a quella del mondo (pensiamo alla cristologia giovannea: “chi è del mondo non è di Dio”), laddove la forza, la violenza, il desiderio di potenza e le verità deboli o il non senso, trionfano. L’etica semina con il suo altruismo, la sua compassione, il suo amore per gli ultimi, la sua carità, la sua fede e la dolcezza della verità che permane….dobbiamo essere il sale del mondo, solo ancorarsi a Dio può rendere l’etica capace di umanizzare lo scenario tragico della contemporaneità. Dobbiamo proporre al mondo di elaborare etiche capaci di fare i conti con Dio e spingerlo a impegnarsi nella necessaria traduzione simbolica del contenuto della religione…perché solo un’etica che fa i conti con Dio può veramente salvare l’uomo in deriva da se stesso.

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La trasmissione “Italia sul Due” con Gianna Jessen, sopravvissuta all’aborto

Abbiamo parlato per la prima volta di Gianna Jessen il 26 novembre 2010 pubblicando un video di una testimonianza rilasciata presso il Parlamento Australiano. Gianna è una delle tante “sopravvissute all’aborto” che oggi rivendicano il diritto di nascere ai neo-concepiti. Sulla loro pelle e sul loro fisico portano ancora le conseguenze di quel tentativo di soppressione. Lei stessa ha detto: «Lo slogan oggi è: “libertà di scelta, la donna ha il diritto di scegliere”, e intanto la mia vita veniva soppressa nel nome dei diritti della donna». Questa è la frase scioccante su cui si gioca tutta l’ingiustizia dell’aborto: il diritto di scelta della donna varrebbe di più del diritto alla vita dell’essere umano che viene soppresso.

Ma con Gianna la morte non ha prevalso ed è riuscita a sopravvivere ad un aborto salino. Oggi gira il mondo, invitata nei Parlamenti e in televisione, per raccontare la sua storia e il terribile crimine che ha subito in nome dei “diritti della donna”. Per la prima volta è stata invitata da una trasmissione italiana, “Italia sul Due” in onda tutti i giorni alle 14:00 e condotta da Lorena Bianchetti. Seppur in mezzo ai finti applausi, alla musichetta in sottofondo e al bieco sentimentalismo che contraddistingue questo genere di programmi televisivi, Gianna ha raccontato la sua storia e ha parlato del film sulla sua vita che uscirà tra poco nei cinema, intitolato “October Baby”. Alla fine ha anche cantato un brano contenuto nella colonna musicale del film. Segnaliamo un articolo del dott. Renzo Puccetti, medico-chirurgo, specialista in medicina Interna a Pisa, che ha commentato la trasmissione.

Sul suo profilo Facebook, Gianna ha raccontato un aneddoto accadutole poco prima della diretta: «Devo dirvi una ragione importante per cui credo di essere venuta in Italia: prima che l’intervista cominciasse, c’era una signora carina vicino a me. Le ho fatto i complimenti per come era vestita. In qualche modo conosceva la mia vita. Mi ha chiesto come sono riuscita a trovare un significato per vivere. Le ho detto: “Ho sempre avuto bisogno di Qualcuno a cui cantare, una vera ragione per cantare, e Qualcuno che mi aiutasse a camminare, ed è Gesù Cristo”. I suoi occhi si sono riempiti di lacrime. Ho continuato: “Non solo Dio, Gesù Cristo. Dio suona molto più rassicurante”. Lei mi ha detto: “Vedo che la fede dentro di te è reale, non è a parole”. Ha continuato: “Io non sono credente, ma sono in ricerca. Quando canti, canta a Gesù anche per me“. Ho sorriso e le ho risposto: “Lo farò e sai, la Bibbia dice che chi cerca trova, Dio onorerà la tua ricerca.” Lei mi ha abbracciato. Anche se fosse stata l’unica ragione per cui sono venuta in Italia, sono felice. Lei sa che la sua ricerca è stata riconosciuta, che non è stata dimenticata. E questa è la felicità della mia vita».

 

Qui sotto il video della trasmissione

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