Le neuroscienze decretano la fine del libero arbitrio? (parte quarta)

 
 
di Michele Forastiere*
*professore di matematica e fisica
 

Ricorderete che nell’ultimo articolo (Ultimissima 5/2/12), il terzo della serie sul libero arbitrio, avevamo esaminato il punto di vista dell’informatica sul problema del rapporto mente-cervello (la cosiddetta questione ontologica).

Eravamo arrivati alle seguenti conclusioni:

A) L’informatica non potrà mai dare una risposta soddisfacente alla questione ontologica, fondamentalmente perché nemmeno l’eventuale superamento di tutti i test da parte di un’ipotetica “mente artificiale” sarebbe in grado di falsificare l’ipotesi interazionista, né di verificare quella riduzionista;

B) Vi sono fondate ragioni teoriche (la mancanza di intenzionalità e l’argomento gödeliano) per ritenere che la mente umana non sia effettivamente riducibile a un meccanismo dal funzionamento algoritmico;

C) Per avere qualche speranza di arrivare in porto, un efficace studio teorico del legame tra mente e cervello richiede verosimilmente un’analisi approfondita dei fenomeni fisici fondamentali coinvolti nell’attività neurale.

 
Prima di procedere nell’analisi è necessario chiarire alcuni concetti. La nostra conoscenza del funzionamento della natura deve molto allo splendido edificio teorico che gli scienziati avevano messo a punto alle soglie del XX secolo, comunemente definito fisica classica. Con questo termine si intende, in buona sostanza, il paradigma secondo cui la realtà oggettiva è costituita da microscopiche particelle solide, interagenti mediante forze che seguono leggi matematiche rigorose. Secondo questa concezione, l’Universo è uno smisurato meccanismo, i cui innumerevoli ingranaggi non possono fare altro che ruotare e incastrarsi nel modo stabilito da inesorabili leggi matematiche – in modo del tutto indipendente dai pensieri, dalle emozioni e dalle intenzioni delle persone “presenti sulla scena”. Insomma, apparentemente la fisica classica implica il determinismo, e risolve il problema ontologico a favore del riduzionismo materialista. Dico “apparentemente”, perché è comunque fatta salva la possibilità di una qualche forma di dualismo cartesiano o spiritualismo che giustifichi in maniera non materialista l’autocoscienza e il libero arbitrio – un’ipotesi che, sebbene ripugni a molti studiosi, rimane pur sempre scientificamente non falsificabile.

Tuttavia, da circa ottant’anni sappiamo che l’Universo materiale non è descritto correttamente dalla fisica classica. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, infatti, una serie di esperimenti e di accurate riflessioni teoriche avevano convinto la comunità scientifica che era necessario un profondo ripensamento del paradigma classico. Si giunse così, Intorno agli anni ’30 del XX secolo, alla formulazione della meccanica quantistica, una teoria destinata a rivoluzionare il mondo della scienza – e non soltanto quello. Una delle caratteristiche principali della meccanica quantistica consiste nella sostituzione dei numeri che in fisica classica descrivono le proprietà dei sistemi con operazioni matematiche astratte. Da questa sostituzione (detta “quantizzazione”) segue il famoso Principio di Indeterminazione di Heisenberg, secondo cui (per esempio) non è possibile determinare con esattezza contemporaneamente la velocità e la posizione di una particella. Il livello di indeterminazione dipende da una costante universale denominata Costante di Planck, che è un fattore onnipresente nelle equazioni della meccanica quantistica. È interessante notare che, ponendo tale costante uguale a zero, le equazioni quantistiche si riducono alle equazioni classiche! La fisica classica si rivela dunque un’approssimazione della fisica quantistica: in quanto tale, perciò, diventa un approccio da considerarsi valido solo entro limiti che dipenderanno dal tipo di fenomeno studiato.

Il Principio di Indeterminazione ha una ricaduta immediata su uno dei problemi che abbiamo incontrato in questo percorso. È chiaro, infatti, che in un Universo quantistico il determinismo non è più sostenibile, né in teoria, né in pratica. Il motivo è che, se è vero che i sistemi macroscopici costituiscono – di norma – delle eccellenti approssimazioni classiche, è altrettanto vero che la dinamica dei sistemi complessi appare estremamente sensibile alle condizioni iniziali. In parole povere, diventa teoricamente impossibile prevedere l’evoluzione temporale di un qualunque sottoinsieme materiale dell’Universo, perché non se ne può conoscere con precisione infinita lo stato iniziale. Un’altra importante caratteristica, propria della meccanica quantistica, è il fatto che l’Osservatore diventa parte integrante di ogni esperimento. È infatti la sua scelta preliminare di una tra varie possibilità prestabilite a fissare la successiva evoluzione del sistema (che avverrà secondo precise leggi matematiche), e quindi a determinare i potenziali risultati di una misura. Il punto-chiave è che non è possibile dire – in base alle leggi quantistiche – quale tra le intenzioni fisicamente consentite sarà effettivamente scelta, e quando questa scelta sarà attuata. In definitiva, l’Osservatore va trattato, nelle applicazioni pratiche, come un agente capace delle libere scelte che servono a fissare i parametri indipendenti della teoria. Fu John Von Neumann, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, a fissare il formalismo matematico di tale azione, secondo lo schema applicativo oggi universalmente adottato dalla comunità scientifica.

Si capisce come l’idea di un Osservatore “attivo” vada a incidere sul problema del rapporto causale mente-cervello – sebbene, naturalmente, non possa risolverlo. La questione dell’effettivo ruolo della coscienza, infatti, riguarda l’interpretazione della teoria quantistica – ancora oggi largamente dibattuta – e non la sua applicazione – che è invece ampiamente consolidata nella pratica sperimentale. Va detto che esistono più di dieci interpretazioni possibili per la meccanica quantistica, tutte ugualmente valide dal punto di vista scientifico, perché indistinguibili mediante esperimenti (la progettazione di test capaci di discriminare tra le varie interpretazioni è tuttora oggetto di ricerca attiva). Secondo una di queste interpretazioni, dovuta allo stesso von Neumann e a Eugene Wigner – recentemente rielaborata da Henry Stapp – la coscienza gioca un ruolo causale attivo. In pratica, secondo l’interpretazione di von Neumann-Wigner-Stapp l’interazionismo diventa un’ipotesi che si inserisce in maniera naturale nel contesto della meccanica quantistica. Chiaramente, in questa ottica la mente si conferma essere un fenomeno irriducibile alla pura materialità.  È interessante osservare che l’analisi di Stapp, oltre a eliminare alla radice i problemi legati a una concezione meccanicistico-algoritmica della mente, è in grado di spiegare coerentemente i fenomeni neuro-psicologici. Il meccanismo che sarebbe alla base del legame mente-cervello è l’Effetto di Zenone Quantistico. Tale effetto, che è stato verificato direttamente in sistemi atomici, viene usato con ogni probabilità anche nell‘orientamento magnetico degli uccelli.

Le critiche alla proposta di Stapp fanno principalmente appello a una presunta inutilità dell’approccio quantistico nello studio del cervello umano (vedere per esempio qui). Tale obiezione non sembra, in realtà, particolarmente giustificata. Bisogna ricordare, tra l’altro, che la fisica classica è solo un’approssimazione alla fisica quantistica: e non è detto che essa sia un’approssimazione valida in tutti i dettagli nel caso di un oggetto complesso come il cervello, il cui funzionamento dipende in maniera determinante da flussi di ioni attraverso canali di dimensioni atomiche. Si aggiunga il fatto che, negli ultimi anni, si sono accumulate numerose prove di comportamento quantistico in oggetti macroscopici e in esseri viventi. In ogni caso, è bene ribadire che la fisica classica non può produrre risposte definitive al problema della mente. Nella prospettiva del materialismo, infatti, il paradigma classico implica una concezione meccanicistica del cervello, e di conseguenza un’idea di mente algoritmica – una soluzione che, come abbiamo visto, risulta insoddisfacente sotto molti aspetti.

Giunti infine al termine di questo lungo percorso, direi che si possa affermare con sicurezza che né le neuroscienze, né l’informatica, né la fisica decretano la fine del libero arbitrio dell’Uomo. Oserei anzi esprimere un concetto davvero azzardato: l’idea che anche la scienza moderna cominci a concepire la mente come una componente essenziale del tessuto della Realtà, e non solo (per usare le parole dello stesso Stapp) come “un testimone causalmente inerte dell’insensata danza degli atomi”.

Michele Forastiere
michele.forastiere@gmail.com

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Spagna: un libro contro l’ideologia di genere, il cosiddetto “lavaggio del cervello”

Dopo l’enorme successo del libro di Richard Cohen sugli ex-omosessuali in Spagna, ecco pubblicato un volume intitolato “La ideología de género” (“L’ideologia di genere”) dell’avvocato e docente di Bioetica presso la Universidad Libre Internacional de las Américas de Uruguay, Jorge Scala, appena pubblicato in lingua portoghese e spagnola.

Nell’intervista di ZENIT al professore ci viene spiegato il significato del libro e le implicazioni dell’ideologia di genere nella nostra società: «il sesso sarebbe l’aspetto biologico dell’essere umano, e il genere sarebbe la costruzione sociale o culturale del sesso. Questo significa che chiunque sarebbe in assoluta libertà, senza condizionamenti, di determinare un proprio genere, dandogli il contenuto che si desidera e variando il genere quante volte si vuole. Ora, se questo fosse vero, non ci sarebbero differenze tra maschio e femmina, ad eccezione dei dati biologici; qualsiasi unione tra i due sessi sarebbe socialmente e moralmente buona, tutti potrebbero sposarsi, ogni tipo di matrimonio porterebbe a un nuovo tipo di famiglia. Questo è tutto così assurdo, che può essere imposto solo con una sorta di “lavaggio del cervello” globale».

Il problema, continua il bioeticista, «purtroppo è più profondo e più complesso anche a livello giuridico. L’ethos è ciò che un popolo considera giusto o sbagliato, dal profondo del suo cuore, non importa cosa dicono le leggi, comprende anche ciò che ognuno fa nella propria vita. L’occidente ha perso il suo ethos comune che fino a 30 o 40 anni è stato il cristianesimo». Il prof. Scala vede la causa di questo nel liberalismo che «ha fatto si che molte persone credano che la moralità sia una questione privata e personale. Per alcuni è bene mentire, rubare, uccidere, fornicare, e se tutte le opinioni sono uguali e valgono allo stesso modo non ci sarebbe possibilità di controbattere. L’unico modo per vivere in una società è che le leggi “impongano” un certo ethos, che deve essere accettato da tutti. Nei nostri parlamenti si promuovono leggi su tutti i tipi sul genere, si cerca di formare un nuovo ethos per il nostro popolo. E se il sesso diventa ethos, il sistema totalitario funzionerà al meglio».

Le conseguenze per le future generazioni saranno gravi: «Ho  tenuto una lezione su questa ideologia a tutti gli insegnanti di una città di 7.000 abitanti in una zona rurale della mia provincia. Gente semplice. Verso la fine un insegnante ha detto ad alta voce: “Ora capisco perché pochi giorni fa mio figlio di 7 anni mi ha chiesto: che cosa  sono? Ragazzo o ragazza …?”. La persona formata e matura è immune a questa ideologia, ma se lasciamo confondere i bambini fin dalla prima infanzia con film, TV, scuola, radio, riviste, in molti casi si finirà per rimpiangere tragedie di tutti i tipi». La posizione del prof. Scala è la stessa del prof. Marchesini, di cui abbiamo già parlato in passato. Per approfondire ulteriormente segnaliamo questo articolo e una serie di relazioni pubblicate su “Il Timone (consultabili dopo una registrazione gratuita).

Antonio Tedesco

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Darwin Day 2012, lo zoologo Galleni: «nessun conflitto per i cattolici»

«Ultimo giorno della nostra celebrazione dell’anniversario di Charles Darwin (1809-1882), padre della teoria evolutiva delle specie animali e vegetali per selezione naturale. Abbiamo voluto rispondere all’attività di circoli di scettici e razionalisti che vorrebbero appropriarsi, attraverso annuali convegni e relazioni su Darwin, delle conseguenze scientifiche del suo pensiero per tentar di negare l’esistenza di un Creatore, generando così un proliferare di movimenti creazionisti. La serie di interviste realizzate da noi si possono trovare in questa pagina, che rimarrà fissa nella sezione “Attualità” del sito web.

Lasciamo l’ultima parola allo zoologo Ludovico Galleni, docente di Zoologia generale ed Etica Ambientale presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa e docente di Scienze e Teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “N. Stenone” di Pisa. E’ membro del comitato direttivo della Società Europea per lo studio di Scienza e Teologia (ESSAT) e del comitato consultivo europeo del Centro di Teologia e Scienze Naturali (CTNS) di Berkeley, in California. E’ stato coordinatore di biologia presso l’International Research Area on Foundations of Sciences (IRAFS) della Pontifica Università Lateranense (1999-2002) e tra i membri del comitato scientifico del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede».

 

di Ludovico Galleni*
*docente di Zoologia generale ed Etica Ambientale presso l’Università di Pisa

 

Ad Asti venerdì 17 febbraio il Darwin’s day è stato organizzato anche dal Forum culturale della Diocesi. Chi scrive è stato uno dei relatori assieme a Francesco Scalfari del Polo Universitario di Asti. Abbiamo parlato di stabilità ed equilibri della Biosfera e di Teilhard e della scuola latina dell’evoluzione una scuola importante e poco conosciuta, che si riuniva a Sabadell, presso Barcellona attorno alla figura del paleontologo catalano M. Crusafont y Pairò che nel 1966 sarà tra gli editori di un volume in spagnolo intitolato Evolucion  ed edito a Madrid dalla Biblioteca de Autores Cristianos…è il miglior testo di sintesi sull’evoluzione degli anni sessanta. Ma questo particolare Darwin’s day ci permette di fare una serie di riflessioni; il Darwin day non è proprietà privata di nessuna organizzazione ed è un tragico errore presentare Darwin come la bandiera dell’ateismo contemporaneo.

Anzi  può essere interessante vedere innanzitutto il rapporto tra evoluzione e teologia cattolica. Parlare dell’ evoluzione ci chiede innanzitutto di prendere in considerazione il magistero conciliare. In particolare la costituzione Gaudium et Spes” ci ricorda che: «L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa»(n. 44). Quindi il progresso della scienza è uno degli strumenti che vengono messi a disposizione della Chiesa, che il Concilio intende come Popolo di Dio più che come struttura gerarchica, dal mondo contemporaneo per comprender sempre meglio la natura dell’ Uomo e aprire nuove vie verso la verità. Da questo punto di vista l’evoluzione è forse uno dei contributi più importanti che la scienza contemporanea dà alla visione dell’Uomo e quindi obbedendo al concilio, le nuove vie verso la verità non possono fare a meno dell’indagine sull’ evoluzione.

Ma cosa è esattamente l’evoluzione? A questo punto è bene ricordare come l’evoluzione sia il risultato di una ricerca di tipo storico ormai altrettanto provata quanto è provata l’esistenza dell’impero romano. Ovviamente un conto è il fatto o l’evento storico descritto con quasi assoluta certezza, un conto sono le teorie proposte per spiegarlo. Il darwinismo è quindi cosa diversa dall’evoluzione e indica, anche se con notevole approssimazione e anche superficialità storica, una delle teorie proposte per spiegarla, cioè la selezione naturale. E come tutte le teorie deve essere sottoposta a critica e verifica secondo i criteri della metodologia scientifica. Ed è interessante notare come anche per il Concilio (sempre la “Gaudium et Spes”) le scienze rispondono (oltre che alle norme etiche) solo alle loro proprie metodologie: «Perciò la ricerca metodica in ogni disciplina se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio» (n. 36).  E nella metodologia scientifica vi è anche la necessità della ricerca di vie alternative anche se per ora, nel campo della discussione sulle teorie, la selezione naturale rimane quella  maggiormente accettata. Ma cercare via alternative usando delle metodologie della scienza è non solo legittimo ma anche necessario.

Vi è infatti un rischio, ed è quello di elevare il darwinismo a dogma scientifico e questo è un vero e proprio  errore metodologico che, ahimè, è spesso commesso nel furore della polemica. Ma raramente la polemica e i pregiudizi fanno avanzare la indagine scientifica. Ho da poco pubblicato un piccolo volume sulla pluralità delle teorie e non mi dispiacerebbe che fosse letto, diffuso e discusso: Darwin, Teilhard de Chardin e gli altri. Le tre teorie dell’Evoluzione (Felici, Pisa 2010). E’ chiaro che “Darwin’s day” è quindi un termine sbagliato. Occorrerebbe parlare di “Evolution day” oppure, tanto per non usare sempre i termini inglesi, di giornata dedicata all’evoluzione che è il tema principale rispetto alle teorie che la spiegano. “Darwin day” ha purtroppo assunto una connotazione antireligiosa perché si è diffuso un falso storico, cioè quello di una opposizione tra teologia cattolica e darwinismo, dimenticando che se ci fu un ambiente in Inghilterra aperto alle nuove idee della scienza fu quello dei grandi teologi cattolici inglesi come Newman e Wiseman, che divennero poi ambedue cardinali e che nel gruppo di allievi di Huxley ci fu St. G. Jackson Mivart di cui riparleremo. Inoltre, il primo darwinista italiano, Filippo De Filippi era uno zoologo torinese, anche egli cattolico e che propose già nel 1864  delle chiare linee di conciliazione. Se Darwin fu cappellano del diavolo lo fu…del diavolo anglicano.

Perché allora la crisi? Quando T. Huxley e E. Haeckel fecero del darwinismo uno strumento di a-teologia naturale, cioè dell’uso della scienza per negare la necessità di un creatore esterno alla natura o comunque per negare la legittimità razionale della discussione sull’esistenza di Dio creatore, si determinarono anche nel mondo culturale cattolico reazioni di vario genere, alcune purtroppo scomposte e teologicamente sbagliate, e anche reazioni gerarchiche che colpirono proprio chi invece mostrava con chiarezza di metodo la conciliabilità della scienza con la fede. Ma tutto questo fu una reazione, talvolta eccessiva e sbagliata, ma pur sempre una reazione ad un uso scorretto della scienza. E torniamo a Mivart che aveva chiarito molto bene i termini del problema: la selezione naturale interessa la cause seconde e quindi affermare che, se c’è la selezione naturale allora  non c’è Dio, è innanzitutto uno sbaglio logico. Semmai il problema era quello di un aspetto della drammaticità della natura che incrinava l’apologetica della teologia naturale una teologia naturale che però in questi termini era stata già tolta di mezzo da J. H. Newman. Con Teilhard de Chardin poi si dimostrerà non solo che l’evoluzione è perfettamente compatibile con la teologia, ma anzi che apre nuove piste di indagine che purificano sempre più la teologia da pesanti fardelli che le vengono dal passato. Inoltre la fanno aprire al futuro nella prospettiva di un muovere verso che interessa tutto l’Universo: della materia verso la complessità e là dove si creano le condizioni verso la vita e della vita verso ulteriore complessità e la coscienza. Quando si giunge all’essere pensante (l’essere a coscienza riflessa di Teilhard de Chardin) ecco che il muovere verso diviene muovere verso l’alleanza, la redenzione e la salvezza. Ma nella prospettiva teilhardiana vi è un ulteriore importante passo: il muovere verso procede verso la seconda venuta di Cristo grazie ad una nuova umanità che si evolve su una terra costruita dall’azione umana illuminata dall’Alleanza. Ecco da dove viene l’idea riproposta con forza dal Concilio Vaticano II della Chiesa come popolo di Dio in cammino, ed ecco come uno studio serio e una elaborazione di alcuni punti necessariamente difficili e già presenti nell’indagine teologica ancora prima del Concilio mostri ormai come la via aperta da Teilhard de Chardin sia la via della sintesi tra scienza filosofia e teologia, ma anche apra prospettive all’impegno del cristiano sulla Terra. Come si vede, una splendida prospettiva per una nuova sintesi che ci è indicata dal Concilio. E, ad essere sinceri, penso che le resistenze che ci sono in ambienti che si definiscono cattolici all’evoluzione siano fondamentalmente resistenze all’accettazione del Concilio Vaticano II. Ma il rifiuto di un concilio pone al di fuori della Chiesa: infatti se si discute un concilio, non si vede perché non si debbano mettere in discussione anche gli altri e quindi il rischio è quello di un relativismo dottrinale veramente preoccupante e pericoloso.

Vorrei ricordare un’ultima cosa. Il “Darwin’s day” non è comunque proprietà privata dell’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti, tanto è vero che, lo ricordiamo, è già il secondo anno che viene proposto ad Asti su iniziativa anche del servizio culturale della Diocesi. Ad Asti nel 1994 si svolse un convegno: ”La vita e la sua evoluzione: la teoria evolutiva alle soglie del duemila“, che vide riuniti nel confrontarsi sulle teorie evolutive i maggiori biologi evoluzionisti italiani. Da questa iniziativa nacque poi il Gruppo Italiano di Biologia Evoluzionista (GIBE) che per più di dieci anni si è riunito annualmente per discutere di evoluzione e di teorie evolutive. Io fui uno dei fondatori del gruppo ed eravamo di differenti linee di ricerca ma anche di differenti posizioni filosofiche, ma tutti interessati a discutere di evoluzione e a divulgarla e la passione per l’evoluzione superava le differenze che poi erano anche superate dal rispetto e dalla stima reciproca. E a questo punto mi permetto di riportare un esempio che mi dispiace molto e che mostra come il clima sia mutato. Io sono senz’altro il maggior esperto di evoluzione dell’università di Pisa: infatti sono uno dei pochi in Italia che ha pubblicato a livello internazionale in biologia sperimentale, in biologia teorica e in storia e filosofia della scienza, sempre avendo come riferimento l’ evoluzione. Non sono mai stato invitato ai “Darwin’s day” organizzati a Pisa dall’UAAR. Uno dei miei più cari amici tra gli zoologi italiani, Martino Rizzotti dell’università di Padova e fondatore con me del GIBE, fu anche uno dei fondatori dell’UAAR. Ma abbiamo sempre discusso in maniera appassionata, e aperta di evoluzione e di filosofia della biologia, e non si sarebbe mai permesso di fare iniziative a Pisa senza invitarmi. Era uno spirito di rispetto reciproco che oggi si rischia di perdere e che invece va ritrovato. Finita l’ esperienza del GIBE ecco che è emersa invece la connotazione ideologica profondamente sbagliata. Ma proprio per l’eredità del nostro gruppo che ha portato l’evoluzione in tutta Italia quando l’evoluzione non era di moda, penso che si possa benissimo andare avanti organizzando Darwin’s day in tutta Italia anche con riferimenti diversi da quello dell’UAAR. Io sono a disposizione e nessuno in tutta Italia può avere nulla da ridire. Oltretutto posizioni settarie e limitate dal punto di vista filosofico, rischiano di rendere sempre più facile il gioco a chi nega l’evoluzione per ragioni altrettanto settarie.

Infine vi sono anche persone da ricordare: penso a Piero Leonardi dell’Università di Ferrara che fu uno dei partecipanti dei convegni di Sabadell, ma anche Maria Gabriella Manfredi Romanini che ci ha lasciati nel 2010, docente a Pavia e che è stata la più importante evoluzionista italiana della fine del XX secolo. Era anche molto interessata a Teilhard de Chardin e come presidente della sezione di Pavia del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale organizzò  numerosi incontri su Teilhard de Chardin e sui rapporti tra scienza e fede. Questi incontri si affiancarono a quelli che organizzava sull’evoluzione del genoma, che era il suo campo di ricerca sperimentale. Credo che il modo migliore per ricordarli sia quello di portare avanti il suo impegno per la sintesi. Quindi moltiplichiamo i “Darwin’s day” garantendo la serietà e la competenza dei partecipanti e la libertà e la serietà del dibattito. Ancora: nel 2014 sarà il cento cinquantesimo anniversario del discorso con cui Filippo de Filippi, a Torino mostrava le chiare somiglianze morfologiche tra uomo e scimmie e sottolineava la plausibilità della presenza di un antenato comune ma anche indicava chiare piste di conciliazione tra scienza e fede. Cominciamo a pensare a come ricordarlo

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In Russia torna obbligatorio l’insegnamento della religione nelle scuole

Nina Achmatova dell’agenzia del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) AsiaNews” riferisce che dal prossimo settembre l’insegnamento religioso diventerà obbligatorio in tutte le scuole. Il decreto, approvato da Putin, è condiviso non solo dal Patriarcato di Mosca, ma anche dalla comunità musulmana. Il Muftì della Repubblica Autonoma della Ciuvascia ha dichiarato che «la nuova materia nelle scuole in Chivashia è diventata molto popolare sia tra gli alunni che tra i genitori». Gli alunni delle scuole elementari e medie potranno scegliere tra lezioni sui “fondamenti della cultura religiosa” o “fondamenti di etica pubblica”, oppure frequentare i corsi su uno dei quattro culti che compongo l’anima religiosa della Russia: l’ortodossia, l’islam, l’ebraismo, il buddismo.

Giovanna Parravicini, ricercatrice di “Russia Cristiana”, in una intervista a Tempi, ha ribadito l’importanza di questo decreto: «Dopo 70 anni di ateismo in Russia si riconosce pubblicamente che religione e fede sono aspetti fondamentali della struttura umana e per questo vanno insegnati. […] Putin si è ritrovato un paese in crisi, non solo economica, ma soprattutto umana e familiare. I problemi dell’alcolismo e della tossicodipendenza erano enormi. Ha pensato di chiedere aiuto alla Chiesa, perché moralizzasse la società». Ha anche riportato un esempio particolarmente significativo della “rinascita religiosa” della Russia profonda: «A fine novembre una reliquia della Madonna è stata portata in Russia dal monte Athos. Un milione di persone sono rimaste in coda, con diversi gradi sottozero, per una settimana, 24 ore su 24, arrivando a formare fino a nove chilometri di fila, per vederla. Tutto ciò sarà anche sentimentale, magari, patologico, esagerato, ma il popolo russo ha ancora una domanda profonda di senso che aspetta una risposta e che la crisi dell’uomo che attraversa oggi mette in evidenza».

La notizia non farà di certo piacere a quei laicisti che hanno sperato nell’ateismo di stato come metodo più efficace per la costruzione di una società totalmente irreligiosa. Vogliamo a tal proposito ricordare le imbarazzanti dichiarazioni del luminare Umberto Veronesi apparse nel libro-intervista “Essere laico”, curato da Alain Elkann (Bompiani, Milano, 2007, pp. 55-56): «Le indagini [Veronesi non specifica quali, ndr] ci dicono che il 90% dei russi è rimasto solidamente non credente. Quindi chi conquista con la forza della ragione una posizione agnostica è difficile che torni indietro». Qualsiasi commento a queste parole sarebbe superfluo: finalmente a parlare non sono più le ideologie, ma solo i fatti.

Roberto Manfredini

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Hitler odiava la Chiesa: «non ha che un desiderio: la nostra rovina…»

In “Novecento, il secolo senza croce” (Sugarco 2011)Francesco Agnoli parla delle origini ideologiche e culturali di Hitler, le quali riescono anche a  spiegare i lager e i progetti di sterminio del Führer. Di certo infatti, non basta il Mein Kampf per poter descrivere completamente la sua ideologia basata su due concetti fondamentali: la Chiesa si trova “in conflitto con le scienze esatte e con l’indagine scientifica”, e il cristianesimo non si è imposto se non grazie ad una “fanatica intolleranza”. Per usare le parole del massimo esponente nazista diremmo che: “Oggi il singolo deve constatare con dolore che nel mondo antico, assai più libero del moderno, comparve col cristianesimo il primo terrore spirituale”.

Adolf, spiega Agnoli su “La Bussola Quotidiana”, crebbe in un ambiente assolutamente pangermanista, ritrovandosi dunque a favore dell’unificazione di ogni cittadino tedesco sotto la Germania. Va sottolineato anche che la monarchia asburgica invece, si rifà ad una storia e a una cultura profondamente diverse e, essendo gli Asburgo molto legati alla Chiesa cattolica, va da sè che i pangermanisti si dichiarino apertamente in contrasto con quest’ultima. Nella sua formazione, Hitler ha incontrato diverse persone, molte delle quali anticlericali. E’ il caso di Lanz von Liebenfels, ex monaco diventato “instancabile avversario della Chiesa cattolica, soprattutto dei Gesuiti e sostenitore del movimento ‘Los von Rom’”, decisamente  in contrasto con il Papato; ma si potrebbe fare riferimento anche a Guido von List, fondatore di alcune associazioni segrete, ma anche autore di romanzi. Nei suoi scritti egli afferma che: “la Chiesa cattolica, gli ebrei, i massoni” sono i principali nemici della razza ariana, colpevoli di voler annientare le abitudini o la mentalità tedesca. Il vero pensiero di Hitler sulla Chiesa è emerso con “Conversazioni a tavola di Hitler”, il volume recentemente pubblicato che contiene discorsi privati tenuti dal Führer una volta salito al governo. Iniziano ad essere trascritti dal 5 luglio 1941 per ordine del capo della cancelleria del partito nonché segretario del Führer, Martin Bormann. Per inquadrare la persona, giusto facendone un accenno, basta dire che Bormann affermò: “La religione cristiana è un veleno, di cui poi è molto difficile liberarsi e che infetta i bambini”. Tornando alle “Conversazioni”, Hitler sostiene che il Cristianesimo non è altro che una delle manifestazioni della perfidia ebraica. La notte del 20 febbraio 1942 infatti, affermerà che “Il cristianesimo costituisce il peggiore del regressi che l’umanità abbia mai potuto subire, ed è stato l’Ebreo, grazie a questa invenzione diabolica, a ricacciarla quindici secoli indietro”.

Gesù Cristo non viene considerato ebreo da Hitler, ma sarebbe stato semplicemente un ariano che tentò di “attaccare il capitalismo ebraico” e per questo venne ucciso. L’approdo è facile, la falsificazione della dottrina cristiana arriva ad incolpare l’ebreo san Paolo per aver creato la religione cristiana. Hitler parla anche delle colpe della Chiesa e dei cristiani: l’impero romano, regno dell’arte, della tolleranza e della civiltà, è crollato grazie a loro. Fu così che il Führer affermerà: “Sono sicuro che Nerone non ha mai incendiato Roma. Sono stati i cristiani-bolscevichi”. Il pensiero dunque, è sempre lo stesso: i cristiani, figli dell’ebreo Paolo, sono sicuramente la causa della caduta dell’Impero ma anche gli artefici delle barbarie degli ultimi 20 secoli. La Chiesa cattolica, per il più criminale dittatore della storia, sarebbe il “regno della menzogna”, che insegna agli uomini la follia della transustanziazione e le favole su “un preteso aldilà”; ma si occupa anche di raggirare i vecchi che hanno paura di morire, “non mira che a fini interessati”, i preti non sono altro che “aborti in sottana”, “brulichio di cimici nere” e i suoi missionari, per finire in bellezza, sono “gli ultimi dei maiali”, “ripugnanti” e “perversi”.

Hitler dichiara anche di aver creduto sin dai 14 anni, età in cui si scontrava di continuo con il suo insegnante di religione, al fatto che la soluzione avrebbe dovuto essere una e violenta: la “dinamite” per sterminare i preti e con essi malvagità e menzogne. C’è da dire anche che il Führer si dimostrò molto furbo: pur condividendo con Bormann l’avversione alla Chiesa e ai cristiani, sapeva che certe operazioni andavano fatte con prudenza e cautela, o addirittura di nascosto. Egli rivelava spesso ai suoi fidi collaboratori che l’ora dei conti con la Chiesa e con il cardinal von Galen, il suo più agguerrito avversario, sarebbe arrivata presto, ma solo alla fine della guerra. In varie occasioni Hitler frenò addirittura le repressioni contro la Chiesa intraprese da Bormann, non perché fosse contrario, ma perché temeva profondamente che “potessero ritorcersi sfavorevolmente sullo stato d’animo del paese in guerra”. La conferma a quanto detto proviene da due fonti: il Mein Kampf per primo, e le memorie di Albert Speer, architetto personale del Führer e ministro degli armamenti per secondo.

Per concludere è interessante essere a conoscenza di altri suoi pensieri, i quali vanno assolutamente a confermare tutto ciò che finora è stato riportato: “Ho conquistato lo Stato a dispetto della maledizione gettata su di noi dalle due confessioni”, quella cattolica e quella protestante (13 dicembre 1941); “Un male che ci rode sono i nostri preti delle due confessioni. Attualmente non posso dar loro risposta che si meritano, ma essi non perderanno nulla ad aspettare. Ogni cosa è trascritta nel mio registro. Verrà il momento in cui regolerò i miei conti con loro e non prenderò vie traverse” (8 febbraio 1942); “Ora la principale attività dei preti consiste nel minare la politica nazionalsocialista” (7 aprile 1942); i preti oggi ci insultano e ci combattono, “si pensi per esempio alla collusione tra la Chiesa e gli assassini di Heydrich… Mi è facile immaginare che il vescovo von Galen sappia perfettamente che a guerra finita regolerò fino al centesimo i miei conti con lui…” (4 luglio 1942); “Il clero è un rettile…il vescovo Preysing è un rettile… La Chiesa cattolica non ha che un desiderio: la nostra rovina (11 agosto 1942).

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Darwin Day 2012, il biochimico Tortora: «c’è troppa ideologia darwiniana»

Penultimo giorno della nostra celebrazione dell’anniversario del grande naturalista Charles Darwin (1809-1882), padre della teoria evolutiva delle specie animali e vegetali per selezione naturale, in risposta all’attività di circoli di scettici e razionalisti che vorrebbero appropriarsi, attraverso annuali convegni e relazioni su Darwin, delle conseguenze scientifiche del suo pensiero per trarne conclusioni filosofico-teologiche, in particolare circa l’inesistenza di un Creatore. Questa strumentalizzazione ha generato per reazione numerosi movimenti creazionisti, i quali rispondono con un’altrettanto indebita interpretazione letterale della Bibbia. Volendo distaccarci da questi due fondamentalismi, abbiamo chiesto un commento ad alcuni ricercatori e docenti universitari, esperti in tematiche scientifiche e filosofiche. Abbiamo iniziato lunedì con il matematico Luigi Borzacchini, seguito dal contributo dell’antropologo Fiorenzo Facchini, da quello del premio Nobel per la fisica William D. Phillips, dall’intervento dell’evoluzionista Massimo Piattelli Palmarini, da quello della filosofa Laura Boella, quello del del fisico Gerald L. Schroeder e dal commento di ieri del biochimico Mariano Bizzarri.

 
 

Il prof. Paolo Tortora è professore ordinario di Biochimica presso l’università di Milano Bicocca, dove è anche Coordinatore del Dottorato in Biologia. È referee per alcune riviste scientifiche internazionali e collabora con l’Istituto Iinserm U710 di Montpellier (Francia). Ha cortesemente risposto così a due nostre domande:

 

“Prof. Tortora, la teoria di Darwin ha secondo lei la capacità di negare l’esistenza di un Creatore, così come insegnato dalla teologia cristiana? Può eventualmente contribuire in qualche modo alla riflessione teologico-filosofica?”
«Questa domanda rimanda a una problematica più generale: vale a dire se l’osservazione della realtà, e in particolare di alcuni suoi aspetti, possa dare un’indicazione, parziale o conclusiva, in merito all’esistenza e alla natura di una realtà trascendente. Come è universalmente noto, si tratta di un problema che accompagna la riflessione umana fin dalla più remota antichità. In epoche più recenti, lo straordinario sviluppo scientifico occorso soprattutto a partire dal XIX secolo ha fatto da propulsore a correnti di pensiero che, di pari passo che si approfondiva la comprensione delle leggi che governano il mondo fisico, arrivavano nella sostanza a negare ogni dimensione trascendente. Il concetto di fondo sotteso a queste concezioni è che la religione sia un surrogato all’ignoranza, ossia un tentativo umano di dare ragione di ciò che nella realtà materiale risulta ancora incompreso. Stando a questa visione, il movente originario del senso religioso non sarebbe l’interrogativo circa il mistero entro cui l’intera realtà è racchiusa, ma l’esigenza di dare spiegazioni opportune agli interrogativi circa il mondo visibile. Da tali presupposti discende come conseguenza necessaria che la visione religiosa debba arretrare di pari passo che si incrementa la conoscenza scientifica.

In un contesto culturale europeo che era già in parte orientato in tal senso, nel 1859 Darwin pubblica la sua opera principale (denominata sinteticamente “L’origine delle specie”). Non mi sembra questa la sede per delineare nel dettaglio la teoria darwiniana. È tuttavia indispensabile menzionarne almeno gli aspetti essenziali come premessa alle riflessioni che seguiranno. Darwin asseriva che nelle specie biologiche si genera un’ampia variabilità dei caratteri (la cui reale genesi gli era comprensibilmente ignota, date le conoscenze dell’epoca), che i singoli individui sono continuamente in lotta per la sopravvivenza all’interno e all’esterno della specie, e che sopravvivono solo i più adatti, vale a dire quelli le cui caratteristiche fisiche li rendono più adatti a procurarsi le risorse necessarie per la vita e a sottrarsi agli attacchi dei predatori (in termini più moderni potremmo dire: gli individui che possiedono le mutazioni più adatte allo scopo). Tali individui otterrebbero un vantaggio riproduttivo propagando il loro patrimonio genetico. Ciò spiegherebbe sia la trasformazione di una specie in un’altra come adattamento a variate condizioni ambientali, sia la divergenza delle specie, vale a dire la genesi di due specie da una sola, che può aver luogo a seguito della segregazione degli individui della stessa specie in due popolazioni distinte che, come conseguenza, potrebbero evolvere indipendentemente.

Questo detto, è sommamente opportuno precisare, prima di ogni riflessione critica in merito, che l’evoluzione biologica è un dato stabilito dalle attuali conoscenze scientifiche al di là di ogni ragionevole dubbio. Questa semplice osservazione preliminare intende mettere al riparo di grossolani equivoci che purtroppo ancora oggi così spesso confondono il dibattito a questo riguardo. La teoria evoluzionistica darwiniana non è infatti sinonimo di evoluzione, talché le possibili critiche alla teoria dello scienziato britannico debbano necessariamente essere classificate come negazioni dell’evoluzione biologica. Come ben sappiamo, fin dall’inizio le discussioni attorno alla teoria darwiniana furono accesissime e ancora oggi non hanno cessato di esserlo. Soprattutto sono due gli aspetti attorno ai quali ruota il dibattito. Uno, di carattere generale è il principio secondo il quale il mondo biologico è dotato di una intrinseca capacità di evolvere, ultimamente governata da dinamiche puramente immanenti e apparentemente casuali. L’altro, più specifico (che soprattutto gli inizi incontrò uno sdegnato rifiuto), consegue dagli aspetti generali della teoria, ed è il concetto che “l’uomo discende dalla scimmia” (in realtà, si dovrebbe dire più correttamente, che l’uomo discende da specie le cui caratteristiche fisiche e cognitive erano comparabili a quelle delle attuali scimmie antropomorfe).

Nell’ambito di varie confessioni cristiane sorse inizialmente un rifiuto, per delle ragioni ultimamente sostenute dal concetto che in base alla rivelazione fosse possibile stabilire anche le modalità di intervento di Dio nel mondo naturale. Se inserita nel contesto culturale dell’epoca, la reazione di rifiuto era comprensibile, in quanto la teoria darwiniana introduceva indubbiamente degli elementi di rottura, soprattutto in relazione all’approccio metodologico su cui si basava (ma non del tutto quanto ai contenuti, dato che il concetto di evoluzione biologica è ben più antico di Darwin). D’altra parte, il pensiero materialista brandì la teoria di Darwin come un’arma per sbaragliare ogni credenza religiosa, fondando questa pretesa su diverse motivazioni. Da un lato la teoria (o più propriamente: l’evidenza dell’evoluzione biologica che divenne chiara con Darwin) dimostrava effettivamente la insostenibilità dell’interpretazione letterale della Bibbia. Molto di più, la posizione culturale materialista faceva leva sul concetto che la teoria darwiniana rendeva superfluo il ricorso a un principio trascendente per giustificare la comparsa del mondo biologico e soprattutto dell’uomo. In una parola, essa sembrava espungere dal mondo ogni intervento soprannaturale. Non denominerei darwinismo questa posizione culturale, ma piuttosto ideologia darwiniana. Non è inutile osservare, a questo riguardo, che lo stesso Darwin nell’opera sopra citata osservò: “Non vedo nessuna ragione valida sul fatto che le teorie sostenute in questo volume possano urtare la sensibilità religiosa di qualcuno” (bisogna anche dire che nel corso degli anni egli si allontanò progressivamente dalla fede). Se ci si riflette, le due posizioni culturali sopra delineate (quella dei credenti e quella dei materialisti), sono basate su errori uguali e contrari, in quanto entrambe promanano dalla presunzione di poter definire le modalità di intervento di Dio nel mondo, entrando persino nel merito delle leggi naturali. Più specificamente, la posizione materialista sembra stabilire in modo molto perentorio un “a priori” per quanto riguarda ciò che è incompatibile con l’esistenza di un Creatore benefico e ciò che non lo è. Lo stesso Darwin poco dopo la pubblicazione della sua opera scriveva, commentando un caso ben noto di parassitismo nel mondo animale: “Non riesco a persuadermi che un Dio benefico e onnipotente abbia volutamente creato gli Icneumonidi con l’espressa intenzione che essi si nutrano entro il corpo vivente dei bruchi”. È evidente che in qualche senso siffatte posizioni “dettano le condizioni a Dio”, stabilendo in anticipo quale debba essere la fisionomia di un Ente creatore. Questa stessa osservazione mette in risalto, a mio avviso in modo conclusivo, che il problema si situa a un livello metodologico inaccessibile alla conoscenza e al metodo scientifico in quanto tali: infatti, non potrà essere certo la scienza a stabilire la natura dell’Ente Creatore.

In ogni caso, basterebbe rifarsi alla storia del pensiero fino ai nostri giorni, rilevando così che anche tra gli scienziati si sono sempre annoverati tanto i non credenti quanto i credenti, mentre quando si tratta di teorie scientifiche, la comunità scientifica finisce presto o tardi per far proprie quelle indiscutibilmente avvalorate dalle evidenze sperimentali. Anche solo questa elementare osservazione rende evidente che in materia di trascendenza il solo approccio scientifico è intrinsecamente incapace di portare a qualsiasi conclusione. Ciò nondimeno, non è mancato chi in tempi recentissimi ha asserito letteralmente: “Le ragioni per non credere non vogliono essere argomentazioni filosofiche compatibili con o dedotte da conoscenze scientifiche, bensì “ragioni scientifiche” tout court, perché le scienze naturali sono l’unica sorgente di conoscenza attendibile sul mondo” (T. Pievani – “La vita inaspettata”, 2011). Qui è del tutto evidente, a mio parere, il corto circuito logico, laddove l’asserto principale (“le scienze naturali sono l’unica sorgente di conoscenza”) è un a priori che non deriva certo dalla sperimentazione scientifica!
Per quel che riguarda il merito della teoria darwiniana, non mi è possibile entrare nel dettaglio (è ben chiaro che ciò richiederebbe uno spazio smisurato). Mi limiterò quindi ad alcune brevi osservazioni.

Indiscutibilmente, la fortuna della teoria è legata anche alla sua struttura concettuale apparentemente semplice, che la rende comprensibile a chiunque, e al contempo la rende potenzialmente capace di rendere conto di una complessità di fattori; d’altro canto, il suo successo paradossalmente discende anche dal fatto che è ben difficile se non proprio impossibile verificarla o falsificarla in senso metodologico, come invece accade nel caso delle ordinarie teorie scientifiche. Verificabilità o falsificabilità significa infatti avere a disposizione un sistema sperimentale sul quale sia possibile intervenire, sottoponendolo a condizioni definite a piacere dallo sperimentatore, ed effettuare successivamente delle misure in tali condizioni, valutando infine se i risultati siano in accordo con la teoria medesima. È evidente che ciò non è attuabile in questo contesto specifico, e come conseguenza la teoria risulta difficilmente attaccabile sul piano sperimentale. Detto questo, non sorprendentemente la teoria darwiniana è soggetta a limiti notevoli, se si pensa a quanto esigue fossero le conoscenze dell’epoca in materia di biologia: praticamente nulla era noto circa i meccanismi molecolari di immagazzinamento dell’informazione genetica, della sua trasmissione e delle funzioni biologiche fondamentali. Senza la pretesa di dare una elencazione esaustiva, tra i problemi aperti posso citare a titolo esemplificativo, la difficoltà concettuale nell’immaginare la generazione di strutture straordinariamente complesse a partire da organismi molto semplici per graduale accumulo di mutazioni; oppure l’esistenza di strutture corporee alle quali è virtualmente impossibile assegnare un significato adattativo. Ma più sostanzialmente, in tempi recenti più voci hanno messo in evidenza l’ipotesi che il reale propulsore dell’evoluzione non sarebbe la pressione ambientale ma una dinamica evolutiva interna agli organismi (si veda in particolare il libro di Jerry Fodor e Massimo Piattelli-Palmarini: “What Darwin got wrong”; edito in Italia da Feltrinelli). Non voglio entrare in questa sede nel merito di tali critiche e delle problematiche ad esse correlati: con ciò voglio semplicemente dire che la teoria di Darwin dovrebbe essere criticabile come qualsiasi altra teoria scientifica, in una sana dialettica solo tesa ad approfondire sempre di più la verità. Sembra invece che chi ha l’ardire di muovere critiche siffatte si renda colpevole di “lesa maestà” (così è stato anche nel caso del libro citato), e quasi invariabilmente viene gratificato dell’epiteto di creazionista. Questo clima ancora oggi così “surriscaldato” lascia chiaramente intendere che uno dei moventi del dibattito sul darwinismo non sia puramente scientifico, ma chiami in causa una visione complessiva della realtà.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda (“Può la teoria di Darwin eventualmente contribuire in qualche modo alla riflessione teologica-filosofica?”), le riflessioni che ho riportato sopra mettono in evidenza che la teoria ha di fatto contribuito a tale riflessione. Non ho gli strumenti per sviluppare in modo dettagliato le problematiche che sono associate alla domanda postami, in quanto la teologia e la filosofia non sono il mio ambito di competenza; tuttavia posso dire che a questo riguardo si osserva una dinamica riscontrabile anche in molti (se non tutti) gli altri ambiti della conoscenza scientifica. Vale a dire, a seconda della attitudine personale le reazioni degli scienziati (ma potrei dire anche di ogni uomo) sono state le più disparate. Questo è evidentemente la conseguenza della condizione di “penombra” in cui l’uomo si trova nella conoscenza della realtà. In altre parole, nulla di ciò che conosciamo può portare a una negazione di una dimensione trascendente, ma al contempo nulla può costituire una evidenza matematica della sua esistenza. Personalmente faccio mia la riflessione del fisico britannico Paul Davies, il quale scrisse: “Noi vogliamo sapere perché le leggi della natura sono quelle che sono, in particolare perché sono così ingegnose e appropriate da permettere a materia ed energia di autoorganizzarsi nella maniera sorprendente che ho descritto, una maniera che suggerisce l’esistenza di uno scopo”. La mia professione mi porta a investigare i meccanismi che governano il funzionamento delle molecole proteiche e delle cellule, e io non cesso di stupirmi di come abbiano potuto svilupparsi dal nulla strutture tanto complesse e al contempo così armonicamente ordinate alla loro funzione. Ciò nondimeno, l’americano Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica, scrisse: “Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo”. Dunque, la dinamica della libertà, e non certo la conoscenza scientifica, è il fattore decisivo a questo riguardo».

 
“Cosa ne pensa di queste giornate celebrative di Darwin, anche laddove non c’è particolare contrasto alla sua teoria? Perché, secondo lei, non accade lo stesso per altri celebri uomini di scienza?”
«La mia risposta a questa domanda sarà in realtà brevissima, in quanto è nella sostanza già contenuta nelle riflessioni che ho prodotto nella precedente risposta. Oggi esistono infatti in Occidente (e così pure in Italia) orientamenti culturali sostenuti da circoli di scienziati e pensatori che usano della scienza come strumento ideologico per diffondere nel comune sentire una concezione atea e materialista. Ebbene, il darwinismo (o meglio l’ideologia darwiniana come ho osservato in precedenza) è una delle “teste d’ariete” di questa operazione, che fa un uso surrettizio della scienza, o meglio di un certo modo di presentarla all’opinione pubblica».

 

RETTIFICA
In merito alla citazione: “Le ragioni per non credere non vogliono essere argomentazioni filosofiche compatibili con o dedotte da conoscenze scientifiche, bensì ‘ragioni scientifiche’ tout court, perché le scienze naturali sono l’unica sorgente di conoscenza attendibile sul mondo”, tale citazione è da attribuirsi a Richard Dawkins (“L’illusione di Dio”, 2006) e non a Telmo Pievani. L’intervistato si scusa con l’interessato e con i lettori.

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Cara UAAR, dove sono finite quelle famose 250 euro?

“Come riportavamo in Ultimissima 31/03/11, l’UAAR ha espulso dall’associazione diversi responsabili regionali ritenuti “eretici e dissidenti” con l’accusa di aver osato contraddire -in barba alla tanto decantata “libertà di pensiero”- il segretario nazionale Raffaele Carcano e non essersi allineati al “pensiero unico” imposto dall’Associazione.

Uno dei dissidenti “decapitati” dal segretario ci ha inviato di recente la comunicazione che riportiamo integralmente qui sotto”

 
 
 
 

di Giacomo Grippa
* ex coordinatore Regionale dell’UAAR per la Puglia, ed ex coordinatore del Circolo provinciale di Lecce

 

Alla polemica sulla democrazia interna delle organizzazioni, compreso i partiti, sono solito aggiungere una critica radicale all’Uaar, da cui sono stato defenestrato. La riproposizione di questa critica è stata percepita da tanti miei interlocutori come ispirata da astioso risentimento. Non è così, sia perché la rivendicazione della democrazia va posta sempre e ovunque, verso le chiese e verso le supposte non chiese, sia perché la denuncia della involuzione dell’Uaar è basata su motivi non personalistici.

La defenestrazione di tutti gli oppositori é stata orchestrata alle porte del congresso del 2010, nonché per la gestione di una sostanziosissima eredità, tenuta occultata. La involuzione è consistita nel restringere il numero dei dirigenti a poche unità, dopo aver precostituito le condizioni della loro elezione. Un’associazione nazionale che era in espansione è retta da un Segretario con poteri tipici dei sistemi presidenziali (esecutivo e legislativo insieme) e da sette coadiutori. Il rapporto con le altre articolazioni (i circoli provinciali) è di tipo gerarchico. A questi ora, grazie alle iscrizioni (in calo), al 5XMille e alla sostanziosissima eredità -finalmente venuta alla luce-, si dispensano, specialmente ai più ingenui, rimborsi ed iniziative, con lo stesso contestato sistema della ripartizione dell’8xMille dalla CEI alle diocesi. Il segretario, trasferitosi -orfano di candidatura partitica-, da Milano a Roma, gongola ormai in una gestione dolce e dorata, e non solo sua, cura le attività della sede di Roma come se fosse un collegio elettorale.

La contestazione, portata avanti da molti e dal sottoscritto, si fondava sul verticismo assoluto della direzione, sette persone, costituenti più una segreteria che una direzione nazionale. Riguardava poi l’assenza di un Collegio dei Revisori dei Conti, della trasparenza e della consultabilità degli atti contabili. Ma quello che più risultava incompatibile, nella convivenza dei casta eletta con gli oppositori, era la reiterata proposta di questi ultimi a limitare i mandati del Segretario (nei sindacati per es. è di due) e l’incompatibilità tra carica di segretario o dirigente e candidatura partitica elettorale. Non va tralasciata, inoltre, la critica sull’opportunismo politico di questa Uaar, che tacita la centrale battaglia per l’abolizione del Concordato pur di strapppare il riconoscimento ministeriale come APS (Associazione di Promozione Sociale) per diventare beneficiara principalmente del 5xMille e della importante legittimazione processuale, cioè stare autonomamente in giudizio per denunce di violazione del principio di laicità.

La mia contestazione continua anche perché alla decapitazione, in omaggio alla liberta di pensiero e di critica validi in casa d’altri, si aggiunge la denuncia per aver trattenuto illegalmente un contributo erogato dalla Regione Puglia per l’organizzazione, da me curata, del Darwin Day di Lecce nel febbraio 2010. Il giorno prima dell’evento fu proposto ai probi Viri il provvedimento di espulsione per la mia adesione al blog attivato, dalla disassociatasi ex-dirigente del circolo di Rimini, con articoli ritenuti anti-Uaar, proprio come Berlusconi riteneva anti-italiane le critiche dei suoi oppositori. Il Darwin day fu la stessa sera annullato, ma si tenne ugualmente in forma ridotta per il mancato arrivo della mia comunicazione al resto dei relatori. La Regione Puglia, dopo aver acquisito la rendicontazione delle spese sostenute per la relativa organizzazione, erogò il contributo di € 250,00 che, come avvenuto negli anni precedenti, la tesoriera dell’Uaar mi faceva recuperare con apposito accredito bancario. Ma volete che dopo le mie indigeribili critiche alla direzione dell’Uaar, questa potesse adempiere correttamente? Insieme alla sanzione della espulsione, hanno potuto finalmente mettere a segno un volgare dispetto: mi dissero che il Darwin Day non si era realmente tenuto, e poi che non lo merito perché non avrei rendicontato le spesa all’Uaar.  Eppure la rendicontazione è stata da me regolarmente prodotta alla Regione, che ha erogato il contributo. Inoltre, se il Darwin day non si è svolto come loro dicono, l’Uaar avrebbe comunque l’obbligo di restituire la somma alla Regione. Non possono farlo perché sanno che si beccherebbero una denuncia per diffamazione.

Il tutto comunque sarà risolto dal Giudice di pace! E volete per questo che non si parli dello nostrano stitico papa degli atei, di una Uaar monarchico-presidenziale, della dolce, dolce-capite bene- dorata sistemazione del gruppo che l’assiste? Penso che condividiate che la democrazia, il decentramento, l’autonomia territoriale, la trasparenza, i controlli, i contrappesi, le incompatibilità vadano rivendicati sempre e ovunque, nei partiti, come nelle istituzioni, nelle chiese, come nell’Uaar. Con una “preghiera” all’Uaar, lasci pubblicare questa nota nelle liste delle associazioni laiche o atee a cui viene indirizzata.

 

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Pedofilia: ritirate le accuse al Papa sul “caso Murphy”, Marco Politi resta zitto

Si moltiplicano in Italia e all’estero i casi di sacerdoti accusati di pedofilia, diffamati sulla stampa e poi risultati completamente innocenti ed estranei ai fatti, come i più recenti: don Martin Steinerpadre John GeoghaJames Patrick Jennings e il reverendo Charles Murphy. Emblematico è il caso di don Giorgio Govoni, morto di infarto dopo le (ingiuste) accuse o quello di mons. Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca.

Il 26 marzo 2010 la stampa cercò anche di coinvolgere Benedetto XVI, le accuse partirono dal “New York Times” e arrivarono anche in Italia, su tutte le prime pagine dei quotidiani.  Il caso fu quello di padre Lawrence Murphy, un “prete” che dal 1950 al 1974 aveva lavorato in una scuola per bambini sordomuti di Milwaukee abusando di centinaia di ragazzi.

Jeff Anderson, l’affarista avvocato americano che si “occupa” di difendere le vittime abusate da sacerdoti, cercò di tirare in ballo il Pontefice, che al momento dei fatti guidava la Congregazione per la Dottrina della Fede, accusandolo di “insabbiamento” e sostenendo che la responsabilità delle azioni di un dipendente possono ricadere sul suo datore di lavoro (in questo caso, la diocesi di Milwaukee dove era padre Murphy), ma anche sulla Santa Sede, la quale può -secondo la teoria- controllare i vescovi in tutto il mondo. Il quotidiano “La Repubblica” pubblicò perfino tutti i documenti dell’accusa, mentre la nota associazione Snap (della cui attività diffamatoria abbiamo creato un dossier) iniziò a distribuire volantini contro Papa Ratzinger al confine tra l’Italia e la Città del Vaticano. Il vati-laicista de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Politi, consumò fiumi di inchiostro accusando Ratzinger di “insabbiamenti”, di “perdita di credibilità” e chiedendone implicitamente le dimissioni.

Tuttavia in questi giorni, qualche riga su alcuni quotidiani informa la chiusura davanti alla Corte distrettuale del Wisconsin della vicenda ritenuta “il caso più emblematico di insabbiamento”, ovvero il “caso Murphy”. Tutte le denunce contro Ratzinger e i cardinali Tarcisio Bertone e Angelo Sodano sono state ritirate.  L’avvocato della Santa Sede, Jeffrey S. Lena, ha spiegato che si è fatta «l’archiviazione immediata della causa, senza che sia necessaria una sentenza in merito emanata dalla corte. Hanno ritirato tutto perché sapevano che avrebbero perso se avessero continuato a perseguire il caso. Non volevano una pronuncia negativa da parte del giudice». Ovvero la dimostrazione palese che le pesanti  accuse rivolte a papa Ratzinger due anni fa erano completamente inconsistenti. Lena ha continuato: «A mio parere, la vittima è stata utilizzata per promuovere un attacco giuridicamente insostenibile contro la Santa Sede».

Marco Politi? Muto come un pesce. Questa conclusione è stata riportata esclusivamente da “Avvenire”, da “La Stampa” (Andrea Tornielli) e dal “Tempo” (Andrea Acali) . Nei Paesi anglosassoni, dall'”Huffington Post”, dal “Washington Post” tra i “big”, seppur non in prima pagina ma nella sezione “religione”. La sproporzione con quanto accaduto il 26 marzo di due anni fa, scrive “Avvenire”, è plateale. E ingiustificata. Radiovaticana ha commentato: «Si è conclusa nel silenzio dei mass media una dolorosa vicenda di abusi che avrebbe voluto coinvolgere il Papa e la Santa Sede». Vatican Insider ricostruisce ottimamente la vicenda. Già allora si era parlato di uno dei soliti falsi attacchi al Pontefice, lo avevano fatto l’editorialista de “Il Corriere” Pierluigi Battista e tanti altri. Rimane il pensiero del grande intellettuale (non cattolico) americano Philip Jenkins sul “Mito dei sacerdoti pedofili” e sul fatto che oggi l’unico pregiudizio accettabile è essere anticattolici.

 

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Darwin Day 2012, il biochimico Bizzarri: «Neodarwinismo? Bandiera progressista»

Anche oggi continuiamo la nostra celebrazione dell’anniversario del grande naturalista Charles Darwin (1809-1882), padre della teoria evolutiva delle specie animali e vegetali per selezione naturale. Purtroppo circoli di scettici e razionalisti, organizzando come ogni anno convegni e relazioni su Darwin in occasione del suo anniversario, vorrebbero appropriarsi delle conseguenze scientifiche del suo pensiero per trarne conclusioni filosofico-teologiche, in particolare circa l’inesistenza di un Creatore. Questa indebita strumentalizzazione ha scatenato il rumoroso conflitto tra ateologi fondamentalisti e creazionisti protestanti, i quali si oppongono ai tentativi laicisti facendo una indebita interpretazione letterale della Bibbia. Volendo distaccarci da questi due approcci errati, abbiamo chiesto un commento ad alcuni ricercatori e docenti universitari, esperti in tematiche scientifiche e filosofiche. Abbiamo iniziato lunedì con il matematico Luigi Borzacchini, seguito dal contributo dell’antropologo Fiorenzo Facchini, da quello del premio Nobel per la fisica William D. Phillips, dall’intervento dell’evoluzionista Massimo Piattelli Palmarini, dall’intervista alla filosofa Laura Boella e dal contributo di ieri del fisico Gerald L. Schroeder.

 
 

Il prof. Mariano Bizzarri è docente di Biochimica e professore di Patologia Clinica presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma. E’ direttore del Systems Biology Group Lab presso il medesimo Ateneo. E’ segretario generale della ISSBB (Italian Society for Space Biomedicine and Biotechnology) e Presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana. Autore di oltre 90 pubblicazioni scientifiche, ha dato alle stampe numerosi testi specialistici e divulgativi. Ha cortesemente risposto così a due nostre domande:

 

“Prof. Bizzarri, la teoria di Darwin ha secondo lei la capacità di negare l’esistenza di un Creatore, così come insegnato dalla teologia cristiana? Può eventualmente contribuire in qualche modo alla riflessione filosofica e teologica?”
«La teoria di Darwin (e soprattutto alcuni sviluppi del cosiddetto neo-darwinismo) ha mostrato i suoi limiti, soprattutto perché il gioco combinato del caso (per mezzo del quale verrebbero introdotte le “innovazioni” in Biologia) e della necessità (le regole deterministiche che presiedono alla trasmissione ereditaria dell’informazione genetica) si è rivelato inadeguato a spiegare sia l’emergenza dell’ordine nelle strutture biologiche (dove la “forma” sembra essere determinata prima ancora che dal corredo genetico, dalla interazione di forze fisiche a corta e lunga distanza), sia la stessa eredità che viene assicurata in parte da componenti citosoliche (cosiddetta eredità materna). Bisogna pertanto distinguere il mito, costruito sulle acquisizioni del darwinismo, dai dati scientificamente provati. L’ipotesi di Darwin è in fondo una ipotesi, per l’appunto, una teoria, non una verità assoluta e completa in ogni sua parte. Come tale non vedo come potrebbe ragionevolmente pretendere negare alcunché quando ancora non riesce a rendere ragione di come emergano nuove forme in ambito biologico. E’ una pericolosa illusione ritenere che la riflessione “teologico-filosofica” possa avvantaggiarsi dalle scoperte scientifiche: non è il progresso materiale a dettare l’agenda della speculazione metafisica».

 

“Cosa ne pensa di queste giornate celebrative di Darwin, anche laddove non c’è particolare contrasto alla sua teoria? Perché, secondo lei, non accade lo stesso per altri celebri uomini di scienza?”
«Nel tempo Darwin ha finito per diventare una bandiera del pensiero “progressista”, spesso a prescindere dal contenuto scientifico dei suoi contributi che, peraltro, sono largamente sconosciuti sia dalla maggioranza della popolazione sia a molti ricercatori. Di Darwin si conosce una sorta di vulgata rimasticata e semplificata che non di rado viene confusa con i contributi di ciò che conosciamo come “post-darwinismo”, anche questo estremamente variegato e tutt’altro che omogeneo al suo interno. I contributi offerti da S.J. Gould (autore della teoria degli equilibri puntiformi) per esempio, hanno poco a che vedere con il riduzionismo estremo e meccanicista di Dawkins. L’ipotesi darwinista nell’accezione correntemente propagandata offre una spiegazione semplicistica (e quindi facilmente comprensibile) a tutti coloro che, in fondo, vogliono porsi meno problemi possibili per spiegare questioni complesse come l’origine della vita e dell’evoluzione.

Da un altro punto di vista il neo-darwinismo ha prodotto una pseudo-evidenza scientifica che ha legittimato e nobilitato le filosofie materialiste e le politiche anti-metafisiche (ed anti-religiose) del novecento. Non desta meraviglia, pertanto, che il “darwinismo” sia diventato la bandiera tanto del marxismo (dopo la parentesi grigia di Lysenko in Unione Sovietica e la rimozione del ricordo di Stalin), quanto del pensiero biotecnologico affermatosi negli USA e quindi in Europa a partire dai primi anni ’70. L’obiettivo, in entrambi i casi, è quello di spiegare la vita in termini di semplici interazioni meccaniche e molecolari, confinando a tale livello la complessità della Biologia. A prescindere dalle implicazioni filosofiche, tale approccio ha legittimato lo sviluppo di un’industria che sulla manipolazione dei mattoni fondamentali del vivente (si pensi solo agli OGM) ha costruito le proprie fortune. Pensiero progressista e industria del biotech hanno così sorprendentemente stabilito una insana alleanza. Come non ritrovarsi quindi d’accordo nel celebrare colui nel nome del quale tutto questo è stato reso possibile? E’ triste constatare come invece altri scienziati, che hanno magari offerto meno facili certezze e più ampia materia di riflessione e temi su cui interrogarsi (penso a Poincaré, Heisemberg, Prigogine, solo per citarne qualcuno) siano non solo ignorati dai media, ma spesso sottovalutati o misconosciuti presso gli stessi ricercatori».

 

“Professore, secondo il suo punto di vista, quale tipo di rapporto intercorre tra la scienza e la fede? Di opposizione? Di collaborazione? Oppure sono due sfere completamente separate?”
«Le discipline scientifiche producono risposte dotate di senso quando fanno riferimento ad ambiti e livelli che sono loro propri. La fisica newtoniana non saprebbe spiegare il comportamento della materia a livello atomico, per esempio. La cinetica chimica non sa spiegare il funzionamento di reti complesse che procedono secondo una dinamica non-lineare e così via dicendo, potremmo stilare un lungo elenco. Non esiste una teoria scientifica del tutto, né una che abbia pretese metafisiche. Dalla scienza non credo pertanto sia lecito attendersi nulla che riguardi l’ambito della riflessione teologica, un ambito che, appunto, sfugge completamente all’investigazione scientifica. La Scienza è muta dinanzi alle sempre attuali questioni che, ancora oggi, angosciano e tormentano l’Uomo: quale è il senso della sofferenza, perché siamo nati, dove andiamo e da dove veniamo, perché dobbiamo morire o, ancora, cos’è la vita. Per cui, diamo a Dio ciò che è di Dio, e agli scienziati ciò che compete il loro (ristretto) ambito di osservazione».

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Asia: la Chiesa continua a crescere…

«Allora essi partirono e predicarono dappertutto» (Mc 16, 20). Quando si parla di cristiani in India, è inevitabile pensare alle drammatiche vicende dello stato dell’Orissa, ma in questo caso riceviamo buone notizie dal remoto angolo nordorientale indiano: l’Arunachal Pradesh. Ai piedi dell’Himalaya, è la zona del paese dove la chiesa cattolica è cresciuta di più negli ultimi 30 anni: circa 10.000 battesimi di adulti all’anno in media raggiungendo un numero poco inferiore ai 200mila battezzati.

Monsignor John Thomas Kattrukudiyil, vescovo di Itanagar, capitale dello Stato dell’Arunachal Pradesh è testimone della crescita, la quale – ammette – è dovuta principalmente al fatto che le religioni tradizionali sono basate sul timore, mentre il cristianesimo sull’amore; lo stupore degli orientali di oggi deve essere simile al sentimento che provarono gli antichi pagani, fra cui Greci e Romani, di fronte alla speranza soteriologica e prepotentemente gioiosa della Buona Novella: «i giovani non erano affatto felici con le loro pratiche religiose tradizionali. Ad esempio, – dice il vescovo – dovevano offrire molti sacrifici quando qualcuno era malato. Questo è molto costoso e poiché la religione tradizionale imponeva sempre di più tali spese, si sono rivolti a una nuova religione, il cristianesimo che ha chiesto loro solo di pregare Gesù». In India, infatti, quando qualcuno è malato, è pratica comune rivolgersi al tradizionale capo religioso del villaggio, il quale, in genere, tende a farne risalire la causa a uno spirito maligno, di conseguenza è necessario placare l’entità malefica: dunque, bisogna offrire in sacrificio, ad esempio dieci mithun – il bisonte indiano – o cinque maiali o dieci mucche. Per un villaggio ciò comporta sacrificare centinaia o migliaia di animali e questo è un grande onere, oltre che fatto irresponsabile ed illogico, per un paese in cui la povertà è endemica.

Questi giovani, perciò, non appena hanno visto un’alternativa, l’hanno abbracciata. Ora, queste conversioni, non sono scevre da un certo interesse, ci troviamo ad uno stadio per così dire originario, primordiale, del cristianesimo, specialmente nell’optare per un Padre amorevole in contrasto con gli spiriti minacciosi e persecutori. Ma è pur sempre accoglimento della Parola e conversione del cuore, la catechesi, ora agli albori, seguirà; anche se questa presenta certamente le sue proprie difficoltà: un terreno difficile, strade disagevoli, per raggiungere i villaggi e la questione della lingua: una moltitudine di dialetti che non tutti i sacerdoti sono in grado di imparare, così sono necessari traduttori e laici catechisti. E a proposito di conversione, come nell’Orissa e in altri stati, anche nell’Arunachal Pradesh c’è una legge anti-conversione. E’ nata dal timore immotivato da parte di una parte degli indù che il cristianesimo potesse diffondersi in tutta l’India. Tuttavia, prosegue il prelato: «Il governo e la popolazione tribale ci accettano a causa del nostro contributo nel campo educativo. Tutti sanno che l’intero nord-est deve molto ai missionari, perché una grossa percentuale della popolazione che ha ricevuto un’educazione è passata dalle nostre scuole».

La crescita dei cattolici non è, però, un fenomeno limitato al subcontinente indiano, ma che investe anche altre regioni dell’Asia, così ad esempio l’isola di Java, in Indonesia, nel nuovo anno ha registrato una forte crescita del numero dei candidati al sacerdozio con oltre 250 studenti nei seminari. Nel giugno 2012 – riferisce l’agenzia AsiaNews – il Seminario minore di San Pietro Canisio a Mertoyudan, nello Java centrale, festeggierà i 100 anni di vita. Un traguardo importante per l’istituto di proprietà dell’arcidiocesi di Semarang, ma retto dai gesuiti insieme a sacerdoti “nativi”. Padre Gandhi Hartono, docente e preside del Seminario conferma che il desiderio del sacerdozio è in forte crescita con un aumento del 15-20% su base annua. La comunità cattolica indonesiana ha festeggiato la crescita delle vocazioni, come conferma anche il vescovo di Purwokerto (altra città di Java) mons. Julianus Sunarka che esclama: “il numero è enorme”.

Per concludere, più a nord, in quella che era l’enclave inglese di Honk Hong, oggi riunificata alla madrepatria, l’anno scorso, gli adulti battezzati sono stati tra i 300 e i 500, e, comprendendo anche i bambini, sono state battezzate oltre 6mila persone. Questo è il frutto di una politica oculata: infatti, otto anni fa, la chiesa in Hong Kong ha lanciato un programma pastorale che prevedeva un maggiore impegno nell’evangelizzazione e questo ha incoraggiato tutti i fedeli di Hong Kong a fare di più per portare la fede ad altre persone, per condividerla con gli altri.

Matteo Donadoni

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