A Washington viene riconosciuta l’obiezione di coscienza dei farmacisti

Certamente si ricorderà la pesante sconfitta incassata dai nemici della libertà di coscienza, devoti di Stefano Rodotà, quando vollero portare la questione dell’obiezione di coscienza dei medici al Consiglio d’Europa nell’ottobre 2010. Si aspettavano una risoluzione che restringesse tale facoltà e invece essa ne uscì ancora più tutelata. Nel marzo scorso, per quanto riguarda l’Italia, il Comitato Nazionale di Bioetica si è pronunciato a favore dell’obiezione di coscienza anche dei farmacisti che non vogliono dare la pillola del giorno dopo.

Il 22 febbraio 2012 nello stato di Washington (USA) un giudice federale ha stabilito che non si possono obbligare i farmacisti e i negozi a dispensare la “pillola del giorno dopo” contro le loro obiezioni religiose. La decisione è sicuramente meritoria, ma non andrebbe lanciato il messaggio che l’opposizione all’aborto sia solo una “questione religiosa”, sappiamo infatti quanti non religiosi sono nostri compagni di strada nel difendere la vita.

Segnaliamo un’intervista al prof. Cesare Mirabelli, noto giurista italiano, già Presidente della Corte costituzionale, il quale ha spiegato quali sono le basi del diritto alla vita e all’obiezione di coscienza in Italia: la legge 194 «protegge in maniera ampia l’obiezione di coscienza. Non ci può essere un interpretazione restrittiva alla legge perché il diritto all’obiezione di coscienza tutela un diritto fondamentale della persona, perciò tutte le attività che sono collegate all’interruzione volontarie di gravidanza non possono essere richieste a chi ha professato l’obiezione di coscienza»

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La famiglia di Richard Dawkins ha fatto fortuna possedendo 1000 schiavi

Non ha intenzione di placarsi il momento buio per Richard Dawkins, il grande sacerdote dell’ateismo internazionale, preso ormai di mira da tutta la stampa anglosassone. Una serie di disavventure lo ha perseguitato sopratutto dal momento in cui è andato in pensione dichiarando al “Corriere della Sera”: «Ho fallito, ho perso la mia battaglia per l’ateismo». Dopo aver sprecato fiumi di inchiostro a sostenere che gli atei sono migliori dei credenti, più intelligenti, più generosi e più onesti, ha scoperto amaramente che il suo segretario personale, che con lui ha condiviso tantissime battaglie, gli ha rubato oltre 300 mila euro. Dopo aver pubblicato numerosi libri in difesa della tolleranza e della apertura degli atei, al contrario dei fondamentalisti religiosi, ha avuto l’idea di moderare i commenti dei suoi fans sul suo sito web, dato che apparivano continui e violenti insulti all’indirizzo dei credenti e sopratutto dei cristiani. Ma i suoi seguaci non gliel’hanno perdonata, coprendolo di insulti e minacce di morte. Recentemente è stato inserito tra i peggiori misogini del 2011, dato che ha zittito una donna che si lamentava di aver ricevuto avances sessuali durante un convegno di atei.

In questi giorni è il britannico “The Telegraph” a metterlo (ingiustamente) alla berlina. Si legge infatti che, dopo aver inveito per anni contro i mali della religione, ora Richard Dawkins «deve affrontare una rivelazione imbarazzante: egli discende da proprietari di schiavi e la sua tenuta di famiglia è stato acquistata con la fortuna in parte creata dal lavoro forzato di questi schiavi». Uno dei suoi diretti antenati, Henry Dawkins, ha infatti accumulato ricchezze in modo tale che la sua famiglia poteva possedere 1.013 schiavi in ​​Giamaica quando avvenne la sua morte nel 1744. La tenuta di 400 ettari della famiglia Dawkins, a Oxfordshire, è stata infatti acquistata attraverso la ricchezza accumulata con la piantagione di zucchero e la proprietà degli schiavi. Dawkins l’ha eredita dal padre, noto azionista londinese.  Si è anche scoperto che un membro della famiglia Dawkins era un sacerdote, molti altri erano parlamentari. Nel 2010 Richard Dawkins ha scritto un necrologio per il padre John, spiegando che egli aveva ereditato una bellissima  tenuta immersa nella natura a Norton Park, da un lontano cugino. Ha omesso di dire però, continua il quotidiano inglese, come le generazioni precedenti avevano accumulato il denaro per acquistarla. Dopo queste rivelazioni, Richard Dawkins si è difeso così: «Condanno la schiavitù con la massima veemenza, ma il fatto che i miei antenati remoti possono essere stati coinvolti in essa non ha nulla a che fare con me. Probabilmente solo 1 su 512 dei miei geni provengono da Henry Dawkins». Questo non è stato sufficiente per Esther Stanford-Xosei, co-vice chairman del Pan-African Reparations Coalition in Europe, il quale ha dichiarato: «Non c’è prescrizione sui crimini contro l’umanità», tuttavia «le sue scuse hanno bisogno di essere sostenute da un’azione precisa. La cosa più appropriata per la famiglia sarebbe finanziare un’iniziativa formativa per raccontare la storia della schiavitù e il suo impatto sulle comunità di oggi, in termini di razzismo e di rapporti fratturati».

Il povero Dawkins non c’entra ovviamente nulla, anche se non vorrei essere nei suoi panni, dato che sarà ora costretto a rivelare come il suo principale eroe, Charles Darwin (assieme a Thomas Huxley), contribuì in modo determinante al ritorno del razzismo in Europa, come hanno spiegato gli storici Giorgio Mosse, Michael Burleigh e Wolfgang Wippermann. Lo stesso Darwin scrisse: «I membri deboli della società civile si riproducono. Chiunque sia interessato dell’allevamento di animali domestici non dubiterà che questo fatto sia molto dannoso alla razza umana […]  Se i prudenti si astengono dal matrimonio, mentre gli avventati si sposano, i membri inferiori della società tenderanno a soppiantare i migliori» (C. Darwin, “L’Origine dell’uomo”, Editori Riuniti 1983, pag. 176,256). Se Dawkins è stato definito -come già detto- tra i peggiori misogini del 2011, Darwin non fu certo da meno: «Si crede generalmente che la donna superi l’uomo nell’imitazione, nel rapido apprendimento e forse nell’intuizione, ma almeno alcune di tali facoltà sono caratteristiche delle razze inferiori e quindi di un più basso e ormai tramontato grado di civiltà. La distinzione principale nei poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge più avanti della donna qualunque azione intraprenda, sia che essa richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione, o semplicemente l’uso delle mani e dei sensi […]. In questo modo alla fine l’uomo è divenuto superiore alla donna» (C. Darwin, “L’origine dell’uomo”, Newton 1994, pag. 936-937).

Luca Pavani

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Recensione del libro: “I veri razionalisti sono i Cristiani”

 

di Marie-Christine Ceruti*

*docente di Filosofia presso la facoltà di teologia ortodossa di Minsk

 

Les Vrais rationalistes sont les Chrétiens (“I veri razionalisti sono i Cristiani”, Dominique Martin Morin 2012). «Razionalisti» un nome usurpato. Questo libro dimostra con le matematiche, la fisica, l’astronomia, la biologi…che la ragione non si trova dal lato di quelli che si ostinano a volere che il caso sia razionale. Esso spiega attraverso quali mistificazioni gli pseudo-razionalisti sono arrivati a far credere che l’ateismo fosse coerente e a forzare i cristiani stessi a persuadersi che la loro fede sia estranea alla ragione.

In effetti la questione che si pone oggi non è perché l’umanità ha creato la religione, attraverso quale processo l’idea di una divinità ha potuto germogliare e/o come mai il Cristianesimo si sia sviluppato, ma piuttosto come l’ateismo possa mai spiegarsi, con una tale ostinazione in realtà oscurantista, per negare l’evidenza. Le scienze della natura, ciascuna dal proprio lato, sviluppandosi, inciampano nell’impossibilità logica dell’assenza di un’intelligenza esterna al mondo, sulla necessità di un inizio dell’universo, su una complessità del vivente che non si può spiegare con il caos, con l’onnipresenza di un’informazione che non ha niente di materiale, con delle leggi fisiche che sono appunto delle leggi, con delle matematiche che si permettono di presentarsi come esterne alla volontà dell’uomo, con una terra, una galassia, un universo che appaiono come un immenso meccanismo organizzato per permettere la vita.

E di fronte a tutto ciò noi troviamo degli sforzi disperati e un po’ pietosi per cercare di far scomparire queste difficoltà. Tutto entra in gioco: la panspermia, il multiverso, il caso, la selezione (che può selezionare solo quello che esiste già, peggio ancora che non può selezionare il migliore grazie ad una scelta di valore, soprattutto quando si tratta di materia inanimata, ma anche nel caso del vivente – perché la vita sarebbe preferibile alla morte o al nulla, se non a causa di una legge, di una legge preesistente?), la divinizzazione della natura che prende la forma di una certa ecologia e che non è che un panteismo mascherato, l’affermazione divertente che gli organismi viventi non sono che bricolage – con un’accozzaglia di esempi che servono solo a dimostrare la nostra ignoranza. Evidentemente il tentativo di confondere le piste e la legge del silenzio, sono ugualmente molto in voga. Quando la conoscenza scientifica in favore di un’esistenza che non si vuole, diventa troppo esplicita, ci si arrangia perché non traspaia. Chi tra il grande pubblico e talvolta persino tra gli scienziati (è il colmo!), sa che cos’è l’entropia, conseguenza del secondo principio della termodinamica, quello di Carnot-Clausius? E quando ciò non è sufficiente la rabbia si installa. Una rabbia che attiene ad un squilibrio affettivo, nervoso sicuramente non razionale, molto sorprendente presso coloro che pretendono appunto di detenere il monopolio della razionalità. Prima di passare ad esaminare il meccanismo psicologico interiore che porta a queste strane conseguenze, non sarà male valutare gli argomenti dichiarati o piuttosto sbandierati esteriormente e ufficialmente per respingere il valore razionale del Cristianesimo.

Il Cristianesimo è forse stato fonte di ignoranza e di oscurantismo, e in questo caso come si spiega che siano i Paesi di antica cultura cristiana quelli ad essere oggi i leader della scienza e del progresso? Della morale cristiana e della morale atea, statistiche alla mano, quale di esse blocca maggiormente l’evoluzione positiva della società e dell’individuo? Come si spiega che la religione più perseguitata nel tempo e nello spazio stia ancora in piedi se è così irrazionale come si pretende?  In effetti è sulla base di tali argomentazioni che si cerca di uccidere il Cristianesimo. Le vere ragioni di questa volontà di massacro non possono essere avanzate. La guerra psicologica ha bisogno di appoggiarsi su dei motivi razionali e non psichici o addirittura patologici. Il Cristianesimo è presentato come un ammasso di credenze soggettive, emotive, e fanatiche. E’ tempo di rovesciare i ruoli… e di porci la questione: il Cristianesimo è irrazionale o è l’entità che, più di tutte le altre, ha difeso e promosso il valore della ragione?

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Perché Telmo Pievani si vergogna dei legami con l’UAAR?

Il 1 febbraio 2012 il biologo Enzo Pennetta ha segnalato sul suo sito web la stretta connessione tra il sito di Telmo Pievani, Pikaia, dove si tratta di evoluzione e darwinismo e l’associazione UAAR, gli atei sedicenti “uniti” e “razionalisti”. Si domandava correttamente: «se la teoria neodarwiniana è solo una teoria scientifica senza implicazioni ideologiche, perché in occasione delle celebrazioni per il natale di Darwin, sul sito Pikaia vengono pubblicati 17 appuntamenti di cui ben otto sono patrocinati dall’UAAR?». La connessione tra UAAR e Pikaia, spiega, appare come una riedizione di quelle società che nella seconda metà dell’800 nacquero per attuare una propaganda materialista e scientista, e quindi in linea con l’idea proposta nell’800 da Comte del superamento della religione e dell’edificazione di uno stato laicista.

 

Ecco infatti come si presentava il sito di Pikaia prima della denuncia del prof. Pennetta:

 

In meno di 10 giorni tuttavia, Telmo Pievani ha fatto sparire tutte le imbarazzanti connessioni: il nome dell’UAAR, come si può vedere qui sotto (e in questo screenshot) è scomparso dalla lista delle conferenze:

 

Le iniziative organizzate dall’UAAR non sono ovviamente state escluse, ma è solo stato nascosto il fatto che siano state organizzate dagli atei fondamentalisti. Perché Pievani si vergogna dell’UAAR? Ricordiamo che recentemente erano stati scoperti altri traffici poco leali del noto evoluzionista-laicista sul suo sito web.

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Sindone: il fisico Di Lazzaro risponde alle (poche) obiezioni

Il Centro di ricerche ENEA di Frascati ha recentemente pubblicato un documento scientifico di enorme portata per tutti gli interessanti alla Sacra Sindone, in quanto si conclude che la scienza non è oggi in grado di replicare l’immagine sindonica nella sua totalità, ma si è solo riusciti a realizzare una colorazione similsindonica attraverso un irraggiamento di un tessuto di lino tramite impulsi laser eccimero. Il dott. Paolo Di Lazzaro, fisico e dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche Enea di Frascati, ha anticipato questo studio proprio su questo sito web nell’ottobre scorso.

La notizia ha fatto in breve tempo il giro del mondo, generando diverse reazioni. Molte appaiono dettate da puro nervosismo, come quella apparsa sul quotidiano britannico “The Telegraph”, dove si è voluto così titolare l’articolo con la notizia: “La Sindone è un falso. Fatevene una ragione”. Si nota come l’autore del testo, Tom Chivers, sia davvero preoccupato nel cercare di allontanare la possibile autenticità della Sindone dalla divinità di Cristo. Essendovi comunque presenti numerose imprecisioni nella citazione del documento ENEA, l’articolista è stato contattato dal dott. Di Lazzaro e ne è nata un’interessante intervista. Le “vere” critiche sono invece arrivate da due soggetti in particolare: il primo è ovviamente il chimico Luigi Garlaschelli dell’Università di Pavia, responsabile scientifico del CICAP e autore dell’imbarazzante “Seconda Sindone”, l’altro è Joe Nickell, scettico e investigatore del paranormale, con un passato da mago da palcoscenico, clown per il carnevale, investigatore privato e mazziere del Casinò. Entrambi hanno prodotto delle argomentazioni e ad entrambi il dott. Di Lazzaro ha inviato delle risposte.

 

In merito a tutto questo UCCR ha intervistato il ricercatore dell’ENEA, cercando assieme a lui di fare il punto sulle obiezioni e sulle risposte.

“Dott. Di Lazzaro, è stato apprezzato il distacco dei ricercatori ENEA da eventuali implicazioni filosofiche/teologiche che i risultati del Rapporto possono aver portato. Tuttavia le maggiori critiche ricevute sono arrivate da studiosi – Garlaschelli e Nickell – affiliati ufficialmente ad associazioni di scettici “di professione”. Valutando tutte le obiezioni ricevute, ha trovato che in generale le loro posizioni siano pertinenti e sufficientemente neutrali?”
«Di fatto, molti studiosi sindonologi si dividono in due fazioni, gli autenticisti a prescindere e gli scettici a prescindere, che si fronteggiano in una sorta di guerra ideologica che non porta ad una sintesi figlia del rispetto reciproco e della comprensione delle altrui ragioni. Questa è almeno l’impressione che ho ricevuto quando mi sono accostato agli studi scientifici sulla Sindone: all’inizio era difficile per me capire chi avesse ragione, come conciliare affermazioni categoriche e opposte, districarsi tra accuse reciproche che ricordano quelle tra Capuleti e Montecchi, tra Guelfi e Ghibellini. Di conseguenza, non mi aspettavo obiezioni neutrali da due esponenti “Ghibellini” come Garlaschelli e Nickell. Sarebbe stato pretendere troppo. Tuttavia, mi aspettavo obiezioni più pertinenti e documentate, e invece nel caso di Nickell (si legga qui l’intervista) ho avuto risposte che mostrano chiaramente come Nickell stava commentando un Rapporto che non ha mai letto.

Questo approccio, se da una parte è comprensibile a causa della lingua (il nostro Rapporto è scritto in italiano) dall’altra depone per una scarsa serietà della persona. Come si fa a commentare qualcosa che non si conosce? Il risultato di questa mancata lettura del Rapporto da parte di Nickell è stato un commento “per sentito dire” a presunte affermazioni che non abbiamo mai scritto. In aggiunta a questo handicap, Nickell si è avventurato in dichiarazioni che evidenziano la sua ignoranza (nel senso proprio del termine: non conoscenza) di alcuni importanti risultati STURP, e questa “non conoscenza” lo porta a fare affermazioni che non trovano riscontro scientifico. E’ possibile che questa inadeguatezza a commentare risultati scientifici sia anche dovuta alla radice culturale di Nickell, che è un famoso prestigiatore e detective, laureato in Letteratura Inglese e Folklore, ma non ha mai seguito studi scientifici, e a maggior ragione poco conosce di misure e laboratori, per non parlare dei fondamenti di fisica e chimica applicata ai tessuti. Incredibilmente, in internet è possibile trovare una sua foto in camice, con in mano una lente e una provetta, davanti ad un microscopio, ma forse questo fa parte dei suoi studi sul folklore».

 

“Entrando più nel merito, come ha valutato gli argomenti del prof. Luigi Garlaschelli? Sembra che il cuore della sua critica sia l’argomento usato da McCrone, ovvero che sulla Sindone –afferma lui- ci sarebbero fibre ingiallite anche al di fuori dell’immagine stessa e questo dipenda da un normale processo di invecchiamento. Inoltre tende a minimizzare i risultati dicendo che anche lei e il suo team avete fallito –assieme a lui e alla sua “seconda” Sindone- poiché siete soltanto riusciti a colorare una sola fibra, su migliaia con le caratteristiche desiderate. Cosa ne pensa?”
«Il Prof. Garlaschelli ha scritto due commenti sul nostro Rapporto, uno sul sito “UARR” e l’altro sul sito “Queryonline”. Sono commenti molto diversi nel tono e nella forma, tanto da sembrare scritti da due persone distinte. Gli argomenti proposti nel sito “Queryonline” mi sono apparsi garbati e meritevoli di una risposta, che è stata pubblicata in questa pagina. In generale, ho avuto l’impressione di una lettura affrettata del nostro Rapporto, parzialmente riconosciuta da Garlaschelli nella sua replica. Nello specifico, ci sono diversi punti “tecnici” nel commento del Prof. Garlaschelli che a mio parere sono errati e/o confusi, e li ho elencati nella mia risposta, a cui rimando per i dettagli.

Per quanto riguarda l’obiezione di Garlaschelli sulle fibre ingiallite al di fuori dell’immagine, si tratta di un fatto ben noto e riportato già nel 1981 dai chimici STURP Heller e Adler in un articolo che abbiamo citato nel nostro Rapporto. Heller e Adler scrissero che tutto il telo sindonico è ingiallito a causa dell’età, ma le fibre di immagine apparivano più gialle delle fibre non di immagine, come se avessero subito un invecchiamento accelerato rispetto alle altre fibre. Apparentemente Garlaschelli sembra ignorare gli studi al microscopio delle fibrille effettuati da Rogers, dai quali risulta chiaro che solo le fibre di immagine presentano la sola pellicola esterna colorata, il cosiddetto “ghost”. Insomma, sia le fibre di immagine che quelle non di immagine sono colorate, ma non si tratta della stessa colorazione, né dello stesso invecchiamento. Deve esserci stato un fattore esterno che ha generato l’immagine solo in corrispondenza del corpo avvolto dal telo. Per quanto riguarda il lavoro di McCrone, consiglio di leggere l’interessante dibattito scaturito nella replica di Garlaschelli al link precedentemente riportato. Più in generale, la scarsa rilevanza scientifica e la non obiettività dei risultati riportati da Mc Crone e pubblicati sulla rivista da lui stesso diretta (questo fatto da solo la dice lunga) è stata dimostrata in un lavoro di grande pazienza del Dr. Heimburger che ha confrontato punto per punto tutti i risultati sperimentali e le deduzioni di Mc Crone con i risultati STURP. L’articolo si intitola “A detailed critical review of the chemical studies on the Turin Shroud: facts and interpretations” e si trova in questa pagina.

Infine, l’obiezione di Garlaschelli sulla sola fibrilla (tra le circa mille che abbiamo esaminato al microscopio) colorata nella sola pellicola esterna che dimostra il nostro fallimento, è davvero stupefacente e merita un commento. Garlaschelli non fa altro che riportare (pro domo sua) quanto affermato nel nostro Rapporto, che qui riassumo: grazie ad impulsi di luce ultravioletta estremamente brevi e potenti siamo riusciti a replicare alcune caratteristiche dell’immagine sindonica, tra cui la tonalità del colore, la mancanza di fluorescenza, la bassa temperatura di processo. La superficialità della colorazione ottenuta è di circa 7 millesimi di millimetro (quindi molto più sottile di quanto ottenibile con metodi chimici) e almeno una fibrilla risulta colorata nella parete primaria cellulare (spessa 0,2 millesimi di millimetro). Come spiegato in dettaglio nel Rapporto, la difficoltà di colorare la sola parete primaria cellulare risiede nello strettissimo intervallo di valori di intensità, numero e modalità di successione degli impulsi laser che porta alla colorazione sub micrometrica. Per inciso, è possibile che l’uso di una lunghezza d’onda ancora più breve, nell’ultravioletto estremo, possa migliorare la statistica di fibrille colorate nella parete primaria cellulare, oltre a favorire l’effetto 3D a causa del forte assorbimento di questa parte dello spettro elettromagnetico da parte dell’aria, per cui le parti del telo più distanti dalla sorgente non vengono colorate. Ora, tornando all’obiezione del Prof. Garlaschelli, risulta stupefacente perché implicitamente afferma che abbiamo fallito a riprodurre la Sindone. Ma noi non abbiamo mai pensato di riprodurre l’immagine sindonica tramite un laser. Che senso avrebbe? Viceversa, il successo e le novità dei nostri risultati sperimentali sono testimoniate dai seguenti fatti:
a) Abbiamo dimostrato che impulsi di luce possono innescare alcuni processi fotochimici che permettono di avvicinarci ad alcune delle straordinarie caratteristiche fisico-chimiche dell’immagine sindonica, risolvendo una diatriba scientifica (sinora mai chiarita) tra i Professori Jackson e Rogers (membri STURP) che risale al 1990, sulla reale possibilità che impulsi di luce possano creare una colorazione similsindonica.
b) Abbiamo confermato sperimentalmente per la prima volta che alcune catene di reazioni chimiche ipotizzate da Heller e Adler nel 1981 possono effettivamente giocare un ruolo nella colorazione similsindonica.
c) Gli impulsi di luce generano una colorazione che al microscopio si rivela nettamente più simile all’immagine sindonica rispetto alla colorazione ottenuta tramite tecniche chimiche a contatto, specie per quanto riguarda lo spessore della colorazione.
d) La estrema difficoltà tecnologica nel riprodurre alcune caratteristiche microscopiche dell’immagine sindonica (confermata peraltro dai risultati del Prof. Garlaschelli) permette di poter ragionevolmente escludere l’ipotesi di falso medioevale».

 

“Rispetto agli argomenti usati da Nickell, il centro del suo dissenso è basato sempre sulla “seconda” Sindone creata da Garlaschelli, la quale avrebbe dimostrato che sia possibile replicare l’immagine mediante l’applicazione di pigmenti, vernici chimiche e acidi rimanendo ad una profondità di colorazione di soli 0,2 micrometri di spessore, come di fatto si vede sulla Sindone originale. Sostiene anche che comunque questa profondità non sia verificata in tutti i punti dell’immagine sindonica. Cosa ne pensa?”
«Per quanto riguarda la (in)competenza di Nickell nel parlare degli aspetti chimici e fisici della colorazione sindonica, ho già espresso il mio parere nella risposta alla prima domanda. Lasciamo stare. Per quanto riguarda invece lo spessore di colorazione ottenuto dal Prof. Garlaschelli, lui stesso ammette nella sua replica che non ha mai effettuato questa misura, che pure dovrebbe essere una delle più importanti da controllare prima di poter dichiarare di aver riprodotto una Sindone molto simile all’originale. I Colleghi chimici che ho consultato escludono che con le paste, acidi, coloranti usati da Garlaschelli si possa ottenere uno spessore di colorazione inferiore a 15-20 millesimi di millimetro. Oggi sappiamo che lo spessore della colorazione è solo una delle tante differenze sostanziali, visibili a livello microscopico, tra la Sindone di Torino e la copia di Garlaschelli, si veda ad esempio questo articolo. Ribadisco che la mal riuscita copia di Garlaschelli, al contrario di quanto dichiarato dal Professore, è una ulteriore dimostrazione di quanto sia improbabile che un falsario del Medioevo abbia potuto realizzare la Sindone senza microscopio, senza conoscenze medico-legali, senza un laboratorio chimico attrezzato come quello del Prof. Garlaschelli».

 

“Dopo questa pubblicazione, per continuare ad indagare su questo affascinante mistero, quali altri studi andrebbero fatti secondo lei? Su cosa bisognerebbe concentrarsi per avvicinarsi alla verità?”
«A parer mio, è utile tornare alla lista di esami proposta nella relazione conclusiva dello STURP. Tanto per fare un esempio, ripetere la misura del C14 su campioni prelevati in diverse parti del telo che siano stati preventivamente analizzati e caratterizzati con diagnostiche avanzate, sia chimiche che microscopiche. Oggi abbiamo a disposizione tecnologie diagnostiche molto avanzate come lo SNOM (Scanning Near Field Optical Microscopy) che potrebbe dare utili informazioni. Sarebbe anche interessante provare tecniche alternative di datazione oggi disponibili (posso citare i metodi enzimatici e diversi tipi di spettroscopia). Si tratta di tecniche meno precise della radiodatazione tramite C14, perché possono datare il telo con una incertezza di diverse centinaia di anni. Tuttavia, essendo queste tecniche alternative basate su principi completamente diversi da quelli della radiodatazione, e quindi con differente sensibilità rispetto ai problemi che possono condizionare i risultati, sarebbe assai utile il loro confronto con le misure C14, per individuare eventuali errori dovuti, ad esempio, a contaminazioni».

 

“Un ultima domanda, professore. A livello personale, con la Sindone è un capitolo chiuso? Oppure c’è il desiderio di proseguire negli studi in futuro?”
«La Sindone è un enigma scientifico interessante e sfaccettato, e come Scienziati non possiamo rimanere indifferenti ai diversi quesiti scientifici tuttora insoluti sulla immagine sindonica. Per fortuna non sono le idee che ci mancano. Se un domani dovesse aprirsi la possibilità di acquistare la strumentazione adatta a migliorare la nostra conoscenza sui fenomeni chimici e fisici all’origine della immagine sindonica, io e il mio gruppo saremmo ben lieti di dare un contributo fattivo sulla base della nostra esperienza dei meccanismi di interazione luce-materia acquisita in decenni di sperimentazioni e studi. Più in generale, allargando la visuale, in Italia sono presenti competenze scientifiche a largo spettro e di livello internazionale che potrebbero essere utilizzate per mettere insieme i pezzi del puzzle scientifico che l’immagine sindonica ci propone. Quello che manca in Italia è la volontà di investire nella Ricerca, in modo da mettere a frutto le enormi competenze esistenti. Non solo in campo sindonico».

 

Concludiamo ringraziando ancora una volta della disponibilità il dr. Di Lazzaro e informando che da ieri sono ricominciati gli incontri settimanali presso l’Ateneo Regina Apostolorum di Roma all’interno del II° semestre del Diploma in Studi Sindonici. E’ possibile avere ulteriori informazioni su questo sito, ricordiamo che tra i relatori parteciperanno, tra gli altri, il fotografo Barrie Schwortz, il Prof. Avinoam Danin, la Prof.ssa Emanuela Marinelli e il dott. Di Lazzaro.

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Continuano le bugie dei radicali: pubblicato un video falso

Il Partito Radicale non è mai riuscito a superare l’1% di consensi, eppure riesce comunque ad avere un forte peso mediatico. E’ una vera anomalia italiana, non troppo facilmente spiegabile. Abbiamo già smascherato numerose loro falsità, come la propaganda radicale circa l’innocenza e la non pericolosità della Cannabis ad esempio.

Abbiamo anche sottolineato il loro rapporto “morbido” con i pedofili e sopratutto la loro difesa verso chi crea e visita siti web con immagini pedopornografiche. Sei bambini su dieci vengono adescati dai pedofili attraverso la rete e loro affermano, attraverso l’on. Marco Cappato segretario dell’Associazione Luca Coscioni e deputato europeo radicale: «Mi pare che i radicali siano stati e siano molto chiari nel denunciare i metodi da caccia alle streghe sui casi di pedofilia, così come il proibizionismo su internet […] Al centro delle varie operazioni antipedofilia c’è stata la demonizzazione di Internet, con procedimenti penali anche a carico di chi ha semplicemente visitato siti pedofili». Maurizio Turco, vicepresidente vicario del Partito Radicale, in risposta ad un articolo apparso su “Libero” in cui si chiedeva di bloccare il traffico di materiale pedopornografico in internet, ha scritto: «In uno Stato di diritto, essere pedofili, proclamarsi tali, o anche sostenerne la legittimità non può essere considerato reato […]. Si tratta di affermare il diritto -senza virgolette- di tutti e di ciascuno a non essere condannati -e nemmeno giudicati- sulla base della riprovazione morale che altri possono provare nei confronti delle loro preferenze sessuali». Su questa scia d’onda, sempre l’onorevole Marco Cappato, ha difeso nel 2006 al TG2 il diritto dei pedofili olandesi ad avere il loro partito politico, esprimendo il desiderio che la pedofilia venga regolata da leggi, «così non ci sarebbe violenza ma soltanto “amore”».

L’ennesima operazione losca dei radicali è per fortuna stata svelata su tantissimi quotidiani in questi giorni. Indaffarati nel voler togliere ogni esenzione ICI al mondo no profit e alla Chiesa, hanno infatti pubblicato un video risultato essere fonte di informazioni completamente false. Volevano infatti a tutti i costi dimostrare che la Diocesi di Ferrara non paga l’Ici su alcuni immobili di sua proprietà. Il video è stato pubblicato sul sito de “Il Corriere della Sera” e ha avuto ampio risalto. Peccato che il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani abbia annunciato che è stato commesso un “errore madornale” e che «l’arcidiocesi e il Seminario l’Ici la pagano. Eccome!». Ha anche riconosciuto che «Dietro questa vicenda c’è anche tanta politica», forse lasciando intendere alla pressione subita dai radicali. Il sindaco ha poi chiesto scusa, chiedendo «ai radicali ma anche all’editore che lo ha messo in rete, di ritirarlo per non perpetuare l’ingiustificata accusa nei confronti della Chiesa di Ferrara, con relativo e inaccettabile danno di immagine». Ha poi accennato alla «manutenzione straordinaria per la cattedrale di cui la diocesi si fa carico. Questa presa di responsabilità della Chiesa nei confronti di un patrimonio che appartiene a tutta la città deve essere invece sottolineata con forza». Ma ormai il danno è stato fatto. Il “Corriere” ha tolto il video dalle sue pagine e ha pubblicato un “articolo di riparazione” (in realtà su “Corriere TV” il video c’è ancora, anche se non sembra essere funzionante). “Avvenire” ha parlato di «falsità cattiva, montata scientificamente, ma non con scrupolo», e ha accusato i quotidiani di lasciarsi fregare dai radicali senza incrociare le fonti e senza verificare le bufale che inventano settimanalmente. Si legge: «è la conferma di una pericolosa degenerazione del buon costume civile e giornalistico. È una deriva che si può e si deve fermare». La presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia dice di avere acquisito il materiale che poi porterà in Consiglio.

I radicali, al posto di chiedere scusa, hanno incredibilmente dichiarato di essere «più di chiunque altro parte lesa», quindi più della Chiesa e della Diocesi di Ferrara che paga regolarmente l’Ici e viene diffamata comunque dalla stampa. Dicono anche che chiederanno i danni al Comune e ad “Avvenire”. Sul loro sito web (di Ferrara) il video comunque rimane presente e anche l’articolo che lo introduce dove si chiede di «diffondere questo video il più possibile». Al patetico vittimismo radicale ha risposto monsignor Danillo Bisarello, direttore dell’Ufficio amministrativo diocesano di Ferrara ed economo del seminario, e quindi della diocesi, a sua volta diffamato dai radicali: «Mi sono sentito profondamente offeso. E’ stata pubblicata una mia intervista in cui affermavo che nella nostra diocesi tutti gli enti ecclesiali pagano l’Ici per gli immobili non destinati esclusivamente al culto, per un importo di oltre 200mila euro annuali. Posso perciò confermare quanto dicevo nell’intervista rilasciata a dicembre: non basta la presenza di una cappella per il culto, all’interno di un’attività commerciale, per ottenere l’esenzione». Lo stesso giorno i radicali hanno chiesto all’assessore al Bilancio del Comune di Ferrara, Luigi Marattin (qualcuno già gli chiede, giustamente, le dimissioni), se per un certo elenco di strutture (hanno scelto solo enti ecclesiastici, tanto è profonda la loro ideologia anticlericale) ed egli ha sbagliato a dare le informazioni. Tuttavia i radicali , continua mons. Bisarello, «ovviamente non hanno contattato me personalmente, né i miei collaboratori. Gli avrei impedito di prendere una bella cantonata». Se fossero persone non ideologiche dunque non avrebbero sbagliato, se fossero!

 
AGGIORNAMENTO 23/02/12 DELLE 15:07
“Magicamente” il video della bugiarda inchiesta è stato rimosso dal sito web dei Radicali di Ferrara e sono state perfino barrate alcune frasi che invitavano alla diffusione dei contenuti.

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Ha senso la morale senza Dio? Rispondono Dostoevskij e Francis Collins


 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

Pensiamoci bene. Che senso ha la vita morale degli individui, se non esiste un criterio superiore di giustizia? Chi è autore della legge? Esiste una legge vera, giusta, che valga per tutti perché superiore, precedente all’uomo, oppure ogni uomo ha il diritto di credere ciò che vuole, di farsi la sua verità morale, la sua etica? L’uomo è un animale in-cosciente, le cui azioni sono sempre “buone”, come quelle degli animali, perché volute dalla natura, regolate dall’istinto, oppure è un essere cosciente (quale differenza!) capace di scegliere, padrone della sua vita, che può essere libero dall’imperiosità brutale dell’istinto e dei sensi? A ben vedere proprio l’esistenza di una vita morale ha convinto grandi uomini della storia che la natura dell’uomo è non solo animale ma anche spirituale, e li ha portati a porsi la domanda su Dio. Ne citerò solo due: il grande romanziere Fedor Dostoevskij e uno scienziato moderno, uno dei più importanti genetisti di questo secolo, Francis Collins.

Dostoevskij è il massimo rappresentante del realismo russo, nell’epoca in cui altri letterati, come l’ “ateo-diversamente credente” Emile Zola, ritengono che l’uomo possa col tempo diventare “onnipotente” grazie alle sue conoscenze scientifiche, e possa essere studiato esattamente come un “ciottolo della strada”, non essendo, in fondo, nulla di più. Dostoevskij “esplora le strade della città, i vicoli più solitari e ignorati, descrivendo le bettole più sordide, gli antri più sinistri, le stamberghe più malsane… il ventre infetto e brulicante di Pietroburgo, sede del vizio e della degradazione umana”, alcolizzati e prostitute, contadini trasformati in operai, costretti ad una vita infame, e poi in rivoluzionari violenti e nichilisti: ma c’è, nell’autore russo, una distanza enorme dal positivismo e dal determinismo di Emile Zola (che dà importanza assoluta all’ambiente, alle condizioni materiali e sociali); c’è una indagine continua sulla spiritualità del singolo uomo, dotato di libero arbitrio, chiamato a scegliere (e qui c’è il dramma esistenziale) tra il bene e il male, la Fede e l’ateismo…

Dio, il male, la colpa (cioè la morale) sono proprio la tematica fondamentale del nostro autore, ignorata dai naturalisti francesi, che fa di lui un romanziere profondamente dotato di senso religioso e, insieme, un “romanziere psicologico”, precursore degli esistenzialisti. Siamo dunque agli antipodi della cultura positivista dell’epoca, come pure di quella odierna: mentre Dostoevskij racconta e approfondisce gli abissi umani, medici positivisti come Emilio Littre affermano che “il delitto è pazzia”; criminologi come Cesare Lombroso analizzano e catalogano i “crani deficienti”, ritenendo così di poter chiudere la personalità, la libertà, l’originalità di ogni singolo uomo nelle sue caratteristiche fisionomiche; credendo – anche qui la parola non è a caso – che l’uomo sia definito ed esaurito da ciò che si vede e si tocca, dall’ampiezza del cranio, dalla lunghezza degli arti, dalle malformazioni, dalla volumetria e dai bernoccoli della testa. Esattamente come faranno i primi teorici del razzismo; o Charles Darwin, quando riterrà che il cranio della donna, di dimensioni più ridotte rispetto a quello del maschio, sia un segno della sua inferiorità ; o i nazionalsocialisti, quando gireranno il mondo, sino in Tibet, per fare calchi di gesso sul volto degli indigeni, per risalire, tramite misurazioni e fisionomia, all’originaria razza superiore. Un po’ come oggi, allorché sempre più spesso si cerca di far passare una tendenza sessuale, una devianza, o una virtù, come una pura questione genetica.

Per comprendere la visione del mondo di Dostoevskij occorre ripercorrerne, brevemente, la vita: Fedor frequenta ambienti sovversivi, atei, propugnatori di una rivoluzione in Russia, per abbattere lo zar e creare una nuova società. Nel 1849, però, molti di loro, tra cui il nostro, vengono arrestati dalla polizia zarista. Dostoevskij viene condannato a morte, poi lo zar commuta la pena in quattro anni di deportazione in Siberia. L’unica lettura, in questo lunghissimo periodo, sarà quella di un Vangelo, regalatogli da una donna mentre viene portato a scontare la pena. In seguito a questa esperienza il nostro muterà fortemente prospettiva, divenendo critico verso le proprie idee del passato e mostrando un profondo rispetto per la chiesa ortodossa e l’autorità costituita e un certo disprezzo per gli intellettuali russi che leggono gli illuministi europei disprezzando profondamente la propria terra e la propria patria. Intanto il suo matrimonio fallisce, viaggia per l’Europa, ricadendo di continuo nella passione per il gioco e per le donne, scrivendo articoli di giornale e romanzi a ritmo continuo, anche per far fronte alle spese ed ai creditori (spesso scrive i romanzi di notte, imbottito di caffè e di tabacco per rimanere sveglio). La sua vita disordinata si conclude nel 1881.

Tra i grandi romanzi spiccano “Delitto e castigo” (1866), “I demoni” (1871) e “I fratelli Karamazov” (1880). Nel primo di questi compare la tematica, che poi affascinerà Nietzsche, della ricerca della libertà come affermazione dell’io al di là di ogni morale, di ogni coscienza, “al di là del bene e del male”. Il protagonista, un ex studente squattrinato, Raskòl’nikov, uccidendo a colpi di accetta una vecchia usuraia, vuole, oltre che ottenere dei soldi, chiarire a sé stesso se è un “Napoleone” o un “pidocchio”, se appartiene alla categoria della massa, degli “uomini comuni”, per i quali la legge morale è sacra, o agli “uomini non comuni”, destinati a grandi imprese, per i quali non valgono le leggi ordinarie. Per questo può dire: “Non ho ucciso una persona, io; ho ucciso un principio!”. Questo principio è l’affermazione di una superiorità delle leggi morali, di una superiorità di Dio che quelle leggi oggettive impone: ai personaggi di Dostoevskij che vogliono affermare la loro illimitata libertà è chiaro il concetto che per fare ciò debbono sbarazzarsi di Dio, affermare la propria divinità, per divenire “uomo-dio” (se si scarta Dio è l’uomo ad essere assolutizzato). Ma Raskòl’nikov fallisce: compiuto il delitto non riesce neppure a rubare, i nervi gli cedono, è preso dal delirio e dal panico, non ha neppure la lucidità di occultare subito eventuali indizi. Diviene conscio di non essere un secondo Napoleone, e in lui rimane il vuoto, un forte senso di indegnità. Se infatti tutta la nostra possibilità di affermarci passa per questo mondo, chi non ottiene prestigio, potere, onore, come Napoleone, per che cosa è vissuto? Che scopo ha raggiunto? Ma Raskòl’nikov viene cambiato dall’incontro con Sonja, una ragazza buona, dolce, intensamente cristiana, che si prostituisce per salvare i genitori dalla mendicità. Col tempo le cose cambieranno: “una futura redenzione”, “una nuova concezione della vita” si affacceranno nell’animo di Raskòl’nikov. Ma Dostoevskij accenna soltanto alla sua rinascita, al suo cambiamento: è un’altra storia, che non racconta. Gli interessa solo un fatto: la coscienza esiste, si fa sentire, batte i suoi colpi; il Bene e la Verità non sono relativi al capriccio dell’uomo, ma oggettivi. Ciò che è giusto, è giusto, perché Dio esiste: ciò che è sbagliato, malvagio, cattivo, nessun uomo potrà renderlo giusto e buono, perché non è Dio ! Per concludere, in “Delitto e castigo” è presente la dialettica cristiana peccato-sofferenza che redime – misericordia. Il peccato rende impossibile la vita a Raskòl’nikov, lo isola, lo estranea dal resto dell’umanità; la sofferenza, la croce portata con rassegnazione e consapevolezza, è il mezzo per la sua redenzione, come gli dice Sonia nella frase sopra citata; la misericordia è l’amore gratuito di Sonia verso di lui che lo stupisce e lo spinge a cambiare.

Nel romanzo “I demoni”, invece, Dostoevskij parte dall'”affare Necaev”, un intellettuale anarchico che piacerà molto a Lenin, autore del “Catechismo del rivoluzionario”, processato ai suoi tempi per aver fatto uccidere un membro del suo gruppo e che alla fine si suicida. Dostoevskij sceglie dunque una vicenda reale per esprimere le sue nuove idee politiche. Nel romanzo, che descrive appunto i terroristi, definiti anche “nichilisti” o “demoni”, Necaev diviene Verchovenskij e l’anarchico Bakunin diviene Stavrogin. Entrambi, essendo atei, vivono nella dimensione del “tutto è permesso”: Verchovenskij ha un progetto politico, di “distruzione universale”, che non si arresta di fronte a nulla: come Marat all’epoca della rivoluzione francese, invita a “tagliare teste”, a “lapidare” pur di costruire una società secondo il proprio disegno. Alla fine Stavrogin, impazzito, si impicca; così anche un altro protagonista, Kirillov: il suo è un suicidio metafisico, una dimostrazione di disprezzo verso la nozione di Dio. Anche in questo romanzo l’autore ci dà un messaggio esistenziale chiaro: escluso Dio, l’uomo non può che mettersi al suo posto. Chiamato a decidere, a scegliere, non ha altro metro, altro riferimento, che se stesso, la propria idea, la propria soggettività, il proprio egoismo. L’io che non riconosce una origine, una dipendenza, un limite, si fa inevitabilmente Dio, mentre si proclama ateo.

Ma il più grande romanzo di Dostoevskij è forse “I fratelli Karamazov”: quest’opera ha, come altre del nostro, il fascino di un grande racconto poliziesco, ricco di suspanse, nato dalla riflessione su un vero parricidio, di cui Dostoevskij, in Siberia, aveva conosciuto l’autore. “La principale questione che sarà agitata in tutte le parti del libro – scrive Dostoevskij – è la stessa della quale ho sofferto coscientemente o incoscientemente per tutta la vita: l’esistenza di Dio. Giganteggiano due figure, quella di Alioscia Karamazov, con la sua visione cristiana del mondo (il modello di ciò che l’autore russo vorrebbe essere?) e quella, opposta, di suo fratello Ivan, con la sua tormentata ricerca della libertà attraverso la rivoluzione nichilista, con il suo essere malato di occidentalismo, cioè, per Dostoevskij, di ateismo; con la sua incapacità di accettare certe realtà della religione, come la sofferenza, l’umiliazione e la croce. Ivan, con i suoi discorsi e le sue filosofie, è il vero ispiratore dell’uccisione del padre, sebbene non ne sia l’esecutore materiale. Anche qui un’uccisione “filosofica”, perché con i suoi discorsi ha convinto il futuro assassino, il fratellastro Smerdiakov, che tutto è legittimo, perché Dio non esiste. Lo ribadisce il diavolo ad Ivan: “La coscienza! Che cosa è la coscienza? Sono io stesso che me la invento. Perché mai mi tortura? Per un’abitudine. Per un’universale abitudine del genere umano, vecchia di settemila anni. Liberiamocene, e saremo degli dei!”. Si ripete, così, lo stesso concetto di Raskòl’nikov e di Kirìllov: “Se non esiste Dio, tutto è permesso”. Alla fine Ivan, sentendosi colpevole per la morte del padre e per l’ingiusta condanna dell’altro fratello, il violento e passionale Dimitrij, impazzisce; Smerdiakòv, l’omicida materiale, si uccide, e Dimitrij, che tanto aveva odiato il padre sino a volerlo eliminare in cuor suo, verrà condannato, pur essendo innocente. Delitto, coscienza, libertà, accettazione del castigo, riconoscimento che esiste una legge morale oggettiva, divina: questa, in sintesi, l’antropologia di Dostoevskij.

Pochi anni più tardi la Russia sarebbe stata sconvolta dalla rivoluzione comunista e dall’ondata di morte e di persecuzione di Lenin e Stalin. Il primo, inventore dei gulag, avrebbe affermato: “Per noi non esiste e non può esistere il vecchio sistema di moralità e di umanità…La nostra moralità è nuova…A noi tutto è permesso…Sangue? E sangue sia…” (R.W. Clark, “Lenin”, Bompiani). Stalin, invece, prefigurato profeticamente, insieme ai suoi seguaci, nei “demoni” senza Dio di Dostoevskij, avrebbe detto: “Ivan il Terribile era estremamente crudele. Ma bisogna far vedere perché doveva essere crudele. Uno degli errori di Ivan il Terribile sta nel fatto che non ha sterminato fino alla fine cinque grandi famiglie feudali…lui ammazzava qualcuno e poi pregava e si pentiva a lungo. Dio era per lui un impaccio in questa opera. Bisognava essere ancor più risoluti (Gianni Rocca, “Stalin”, Mondadori, Milano, 1988, p.352). Dio, cioè una legge morale superiore e precedente all’uomo, non fu dunque, per l’“uomo d’acciaio”, per l’autore dello sterminio dei kulaki, per il carceriere dei gulag, per l’inventore della “grandi purghe”, un “impaccio” e un freno! Fu, Stalin, un uomo emancipato da Dio, un Raskòl’nikov, un Ivan, un Necaev coerente sino alla fine e senza pentimenti. Non temette la Giustizia di Dio, né ritenne di dover invocare la sua Misericordia, perché aveva deciso di non riconoscere alcuno al di sopra di sé.

 

Francis Collins non è un romanziere, come Dostoevskij, ma un famoso scienziato americano, nativo della Virginia, che si specializza nella seconda metà del Novecento in chimica e fisica a Yale, “alla ricerca di quella eleganza matematica”, scrive, che lo “aveva attirato in questo ramo della scienza”. La sua posizione rispetto a Dio è quella di un agnostico, che non si chiede più di tanto e che scivola via via nell’ateismo pratico e poi teorico. Dalla chimica alla biochimica, alla medicina, alla genetica: “ero sbalordito dall’eleganza del codice genetico umano e dalle molteplici conseguenze di quei rari momenti in cui il suo meccanismo di trascrizione si inceppava”. Col tempo, soprattutto a causa di certi incontri, con situazioni e persone, Collins si rende conto di “aver optato per una cecità volontaria e di essere caduto vittima di qualcosa che si poteva descrivere solo come arroganza, avendo evitato di prendere seriamente in considerazione il fatto che Dio potesse rappresentare una possibilità reale”. Colui che prenderà il posto del genetista ateo James Watson alla direzione del più importante progetto di studio sul genoma umano, il Progetto Genoma, si rende cioè conto che la sua grande curiosità per la natura, la genetica, l’immensamente piccolo, convive con una chiusura alla totalità della realtà, alla domanda sul senso ultimo, totale, di ciò che esiste.

In una tortuosa ricerca Collins finisce per leggere “Scusi, qual è il suo Dio?”, di Clive S. Lewis, un ex ateo che si era riproposto di confutare tramite la logica l’esistenza di Dio, ma che era approdato al risultato opposto. Lewis offre a Collins la possibilità di interrogarsi sulla legge morale, sul bene e sul male, sulla loro origine: il senso del bene e del male è solo l’effetto di determinate tradizioni culturali? E’ solamente una conseguenza di pressioni evolutive, come sostengono i sociobiologi? L’impulso altruistico nasce da un interesse personale, del tipo “io ti do qualcosa affinché tu mi dia”, e null’altro? Collins riflette sulla natura umana, sul rimorso che ci attanaglia, quando riteniamo di aver sbagliato, pur magari avendone ricevuto un vantaggio; sulla coscienza che ci interroga e ci suggerisce, sulla capacità di certe persone, come madre Teresa o altre figure storiche, di dare totalmente se stesse, gratuitamente, al di fuori di qualsiasi orizzonte materialistico. Socrate, Gesù, Madre Teresa, coloro che muoiono per un bene più grande, ma intangibile, per il prossimo, per un ideale spirituale, sono forse solo dei pazzi, degli errori genetici, o non piuttosto uno schiaffo in faccia alle teorie materialistiche e deterministiche sull’uomo? L’altruismo disinteressato, scrive Collins, “costituisce una sfida rilevante per l’evoluzionista e rappresenta un vero scandalo per il pensiero riduzionista”, e “l’agape di Oskar Schindler e madre Teresa smentisce questo tipo di pensiero. Incredibile ma vero, la legge morale mi chiederà di salvare l’uomo che sta affogando anche se è mio nemico” (F. Collins, “Il linguaggio di Dio”, Sperling & Kupfer, Milano 2007, pp. 20-22). Questo, checché ne dicano coloro che ritengono l’uomo determinato in tutto dalla genetica: aggressivo o mite, fedele o infedele, giusto o malvagio, a seconda di determinati geni, di determinati meccanismi interni, indipendenti dalla volontà, dalla libertà, pur relativa, dell’uomo. Collins, che di geni si intende, capisce che l’uomo è assolutamente qualcosa di diverso, di non determinato, di non riducibile ad una sua parte, quella fisica: può progettarsi, costruirsi, lottare contro certe tendenze malvagie, o assecondarle; può scegliere una strada, pentirsi, riscattarsi o proseguire nell’abisso dell’egoismo e della cattiveria. Ogni azione, ogni scelta è una possibilità libera, in cui l’uomo si realizza, esprime se stesso, indipendentemente da comandamenti genetici, o da impulsi interni incontrollabili. Condizionato, certo, dalle circostanze e dalla sua natura corporale, ma non totalmente determinato, come i sassi, o le stelle, né regolato dagli istinti, solamente, come gli animali.

Dopo le considerazioni sulla legge morale, Collins prosegue analizzando le sue conoscenze scientifiche e paragonandole alla fede cui è approdato. Il Big Bang? “L’idea di un inizio finito dell’universo non è del tutto consonante con la concezione buddista”, come non lo è con le visioni panteiste, ma si accorda perfettamente con l’idea di un Dio Creatore trascendente ed è quindi perfettamente compatibile con la teologia medievale cristiana e col pensiero biblico. Anzi, si può tranquillamente dire che è un’idea filosoficamente già intuita da pensatori cristiani assai prima della nascita della scienza moderna. La genetica? Per lui è “il manuale di istruzioni di Dio”, “il linguaggio di Dio”, che però “non spiegherà mai certi speciali attributi umani, come la conoscenza della legge morale e l’universalità delle ricerca di Dio”.

Da: Perché non possiamo essere atei (Piemme 2009)
 

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Il dott. Guizzetti: «chi è in stato vegetativo comunica in un modo nuovo»

Dobbiamo alle gemelle Kessler, le famose ballerine della tv nostrana degli anni Sessanta, la rinnovata attenzione della stampa su un tema controverso come quello dell’eutanasia. Le gemelle in realtà parlano di “patto d’amore“, cioè di “staccare le macchine” qualora una delle due si trovasse a cadere in stato vegetativo. Nulla di nuovo, si è tentati di dire. Già nel recente passato simili pretese sono state avanzate da persone che ritenevano la loro malattia e/o stato di vita indegno di essere vissuto e conseguentemente hanno rivendicato il diritto di poter porre fine alla loro esistenza disponendone in modo assoluto, tanto da richiedere l’altrui cooperazione.

Nel caso delle gemelle Kessler la novità è costituita da questa sorta di vicendevole soccorso da esercitarsi materialmente e moralmente in nome dell’amore fraterno e familiare, sulla base di un “patto” manifestato a priori prima di un evento invalidante. Si tratta, come è evidente, di questioni particolarmente spinose sotto il duplice profilo etico e pratico, non volendo qui parlare dei profili normativi. Da un lato il Catechismo della Chiesa Cattolica ritiene “moralmente inaccettabile”, legittimando l’interruzione dell’accanimento terapeutico (nn. 2277-2278). Una risposta tratta dalla esperienza quotidiana con persone in stato vegetativo è quella che meglio può aiutarci a capire e la affidiamo al primario del centro Don Orione di Bergamo, Giovanni Battista Guizzetti.

Sono parole che aprono tutto un mondo sconosciuto ai più: «molto spesso, quando si fa riferimento allo stato vegetativo, non si ha idea di cosa si stia parlando. Si pensa a persone trasformate in soprammobili, quando in realtà si tratta di imparare a capire il loro linguaggio, di avere un nuovo vocabolario per parlare con loro». Si instaurano cioè nuove relazioni in cui «insieme ai parenti impariamo a riconoscere il loro nuovo modo di comunicare, che passa da un movimento impercettibile di una mano o di una palpebra. Una smorfia, che qualcuno liquiderebbe sbrigativamente come un tic, può essere invece una risposta a una domanda che si è fatta, a uno sguardo di affetto, un modo per manifestare uno stato d’animo, perché sì, mettiamocelo in testa, una persona in stato vegetativo prova sentimenti e emozioni esattamente come noi sani». Nascono, dunque, relazioni del tutto nuove mentre quelle che si avevano in precedenza con la persona caduta in stato vegetativo non esistono più. Si riparte daccapo con un nuovo tipo di relazione, da costruire poco per volta.

Nessuno si augura di ritrovarsi con un familiare in una simile condizione, questo è evidente, ma bisogna reimparare ad amarlo, in un mutato contesto di relazioni interpersonali che sono pur sempre instaurate tra persone. Che altro aggiungere a quanto detto finora? Le parole del Dottor Guazzetti non abbisognano di altri commenti, che sarebbero a questo punto superflui. Si impone invece l’evidenza di un mondo come quello delle persone in stato vegetativo che sono a tutti gli effetti uomini e donne la cui condizione non è degradata o indegna di essere vissuta. Questo stato di vita non impedisce la relazione intersoggettiva: necessita unicamente di un differente codice di comunicazione e quindi un modo di ascolto diverso ma non per questo privo di senso. Per converso, se guardassimo più da vicino al tipo di relazione che si instaura con l’opzione per l’eutanasia, non potremmo non evidenziare la disparità nel rapporto che si instaurerebbe, poiché: o il soggetto che vuole porre fine alla propria esistenza si impone alla coscienza dell’operatore che deve materialmente agire, oppure l’operatore è il signore della vita di chi vuole smettere di esistere. E’ plausibile parlare ancora di “patto d’amore” in una simile evenienza?

Salvatore Di Majo

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Spagna: aumentano i fedeli a messa e le donazioni alla Chiesa

Dopo i tanti segnali negativi arrivati in questi ultimi anni dalla Spagna, cominciano le buone notizie: nonostante l’indottrinamento portato da Zapatero, si è verificato nel corso del gennaio 2012 un leggero aumento del numero di persone che partecipano alla Messa rispetto al gennaio 2011.

Lo ha stabilito l’ultima statistica del CIS (Centro di Ricerca sociologica), dove, informa il quotidiano “La Razon”, si rileva che il numero dei credenti che frequentano la Messa quasi ogni Domenica e nei giorni festivi è aumentato di 2,1 punti: del 72% che si dichiara “cattolico”, il 56% ha quasi mai frequentato la chiesa (il 58,1% nel gennaio 2011) e il 15% va in chiesa regolarmente (rispetto al 12,9% allo stesso mese del 2011). Un altro 16,5% ha partecipato più volte alla Messa durante l’anno, il 9,01% “una volta al mese” e il 2,7% (in crescita rispetto all’1,9% dell’anno scorso) ha partecipato più volte la settimana. Inoltre, il 2,8% si dichiara “credente di un’altra religione”, il 14,5% “non credente” e l’8,8% “ateo”.

Il quotidiano spagnolo vede la cause di questa «rinascita religiosa» (un eccesso di ottimismo, secondo noi) alla presenza del Papa quest’estate a Madrid e in quei due milioni di pellegrini della Giornata Mondiale della Gioventù che hanno invaso la capitale, scuotendola dalla deriva di pigrizia e nichilismo in cui è avvolta, assieme a tante altre capitali europee. Lo stesso effetto è stato notato nel 2011 nel Regno Unito, dopo la visita del Pontefice nel 2010 in occasione della beatificazione del card. John Henry Newman.

Da un altra fonte, sempre restando in Spagna, si apprende che nel 2011 la Chiesa cattolica spagnola ha ricevuto un milione di euro in meno dai contribuenti rispetto all’anno precedente. Tuttavia il numero dei cittadini che ha voluto donare alla Chiesa è tornato ad aumentare per il quinto anno consecutivo (cfr. Ultimissima 28/2/11). In particolare sono pervenute 200mila dichiarazioni in più ma con 1.162.820 euro in meno a causa della crisi, ha spiegato monsignor Juan Antonio Martinez Camino, segretario e portavoce della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE). Ha poi aggiunto: «È una reazione assai positiva da parte di migliaia di cattolici e persone che, senza essere praticanti, collaborano con la Chiesa per contribuire alle sue necessità in maniera immediata e non burocratica».

Luca Pavani

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Il caso di Danilo Quinto: chi tocca il partito radicale muore

Una lunga militanza nel partito Radicale di cui fu anche Tesoriere, vent’anni della sua vita dedicati anima e corpo a sostenere le idee di un partito, senza alcun guadagno personale e per sincera devozione alla causa. Eppure tutto questo non è bastato a Danilo Quinto per farsi riconoscere due decadi di lavoro onesto e passione, ma gli è fruttato una denuncia a tavolino per supposte frodi ai danni del partito Radicale per il cospicuo risarcimento di 200.000 euro. A nulla sono servite le prove documentate della sua specchiata onestà, nei verbali originali delle riunioni dove ogni movimento di denaro veniva approvato dallo stesso consiglio direttivo del partito.

Danilo Quinto è oggi un sincero credente dalla spiritualità profonda, figlio di un percorso verso la Fede iniziato nel 2004 per merito della donna che sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi figli. Nel 2005 lascia il suo posto nel Partito Radicale, chiedendo la giusta retribuzione per il lavoro svolto e iniziando di conseguenza il calvario processuale di cui abbiamo già parlato. Nelle sue parole traspare una serena remissione alla volontà di Dio e nessun odio verso i suoi nemici, sebbene è ormai chiaro che tutto quello che sta passando non sia frutto di una sua colpa reale, ma della vendetta personale dei suoi vecchi compagni di Partito.

Sorge spontanea una domanda, a questo punto: come è possibile che un partito da sempre minoritario possa riuscire a portare così tanto avanti una palese vendetta personale? Cosa spinge i paladini della liberalità assoluta ad accanirsi in questo modo contro un loro vecchio collega, un compagno di battaglie per di più con una famiglia a carico? L’immagine di partito pacifista e progressista cozza pesantemente con la realtà di sopraffazione verso i “traditori”. La corruzione e la falsificazione di prove processuali, per pura vendetta personale, mostra come questo partito -scarso di sostenitori-, abbia in realtà un’influenza che travalica i meccanismi della democrazia. Tutto ciò, per lo meno, dovrebbe far nascere domande.

Danilo su “La Bussola Quotidiana” ha più volte dimostrato come la vera anomalia italiana sono i soldi pubblici che arrivano al partito di Pannella, a partire dall’Affare Radio Radicale. Egli ha parlato delle paradisiache pensioni dei parlamentari radicali, al di là delle loro battaglie di facciata, dei continui introiti statali  al Partito indipendentemente dal colore della maggioranza di governo, dell’impresa politico-imprenditoriale che è oggi il partito di Pannella & Bonino, dei veri motivi per cui si battono per lo svuotamento delle carceri (coagulare una nicchia di consenso). Infine ovviamente dei 10 milioni di euro intascati per la loro radio, anche grazie all’inspiegabile supporto di politici sedicenti cattolici, come Mario Baccini, Laura Bianconi, Luigi Bobba, Pierluigi Castagnetti, Renato Farina, Giuseppe Fioroni, Marco Follini, Maria Pia Garavaglia, Savino Pezzotta e Eugenia Roccella. Su questa vicenda, da poco tempo, è stata aperta questa pagina Facebook a cui invitiamo tutti ad aderire.

Ma chi prova a mettere il naso negli affari di Pannella e soci, –spiega Cascioli– evidentemente deve mettere in conto di pagarne le conseguenze, perché gli amici dei radicali sono tanti, insospettabili e piazzati ovunque nei posti che contano. In questo articolo l’ex radicale descrive l’abbandono del “male”, come lo chiama lui, ovvero l’addio al Partito. In quest’altro la sua conversione. Siamo sicuri che Danilo avrà giustizia, in questa vita o nell’altra. Diffondiamo quanto possiamo la sua storia e le sofferenze che è costretto a subire: rendiamogli giustizia per quello che è nel nostro potere di fare.

 

Qui sotto la descrizione di Danilo Quinto (del 9/02/12 per Corrispondenza Romana) su quanto avvenuto, video pubblicato anche sul nostro canale Youtube

Marzio Morganti

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