La fecondazione artificiale non è l’unica alternativa all’infertilità

Qualcuno persiste a sostenere che quella cattolica sia “La Chiesa dei no”, ma in realtà è l’unica istituzione che mantiene da secoli lo stesso giudizio sul rispetto della vita dal concepimento alla fine naturale, disinteressandosi completamente del voler apparire “al passo con i tempi”. E’ l’unica istituzione davvero libera, alla faccia dei tanti sedicenti “liberi pensatori”, ovvero davvero emancipata dall’opinione pubblica e dal condizionamento sociale. Oltretutto, per tutti i “no” che afferma -che poi sono in realtà sempre dei “si” al rispetto della vita e della dignità umana- offre sempre una proposta alternativa:  al “no” al profilattico come strumento per la banalizzazione dell’amore e della sessualità, segue la proposta dei metodi naturali (oggi sicuri e affidabili). Al “no” all’uso delle cellule embrionali, segue da parte della Chiesa un investimento di un milione di dollari nella ricerca con le staminali adulte, con convegni e seminari organizzati in Vaticano dalle più alte autorità scientifiche in materia, e così via.

Allo stesso modo, al “no” alla fecondazione artificiale (che stermina decine di embrioni umani) segue la proposta della prevenzione e nel far capire che è possibile risolvere questi problemi rispettando la missione della medicina ippocratica. Questo è alla base del workshop scientifico organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita, dove sono state presentate le conclusioni dei maggiori esperti a livello internazionale in materia. Tutto per dare speranza e soluzioni permanenti alle coppie afflitte da questo grave problema medico. Mons. Ignacio Carrasco de Paula spiega che si vuole «contribuire ad arginare l’aumento continuo dell’infertilità, cioè dell’incapacità di procreare un figlio che rende irrealizzabile il giusto desiderio di paternità e maternità per troppe coppie» e poi «informare sui più recenti sviluppi nella prevenzione e nel trattamento di questa patologia e sulla idoneità – sia in termini di efficacia che di costi – degli interventi genuinamente terapeutici rispetto alle procedure della cosiddetta fecondazione o riproduzione artificiale». Inoltre si vuole favorire il collegamento tra i diversi centri di ricerca e, soprattutto, promuovere lo scambio di giovani ricercatori per arricchire la loro formazione ed esperienza.  Gli scienziati sono stati ricevuti alla fine da Benedetto XVI.

Felice Petraglia, docente di ginecologia all’Università di Siena ha spiegato ad “Avvenire” che «in questi anni tutta la ricerca è andata solo a sviluppare le tecnologia della riproduzione assistita e non ha più affrontato i meccanismi di base che portano all’infertilità». Maria Luisa Di Pietro, docente all’Università Cattolica di Roma ha spiegato che le cause dell’infertilità sono legate a «condizioni di vita e ambientali, ai comportamenti personali, legati alla promiscuità, con un aumento delle malattie sessualmente trasmesse e diagnosticate tardi», ma la ragione preminente resta l’età: «maggiore è l’età della donna, più sarà difficile ottenere una gravidanza». L’approccio esclusivamente tecnico «non tiene conto della sensibilità della coppia, dei suoi valori di riferimento. C’è un’errata credenza per cui la soluzione all’infertilità sia una semplice pratica clinica: ma la procreazione, e la sua mancanza, non è mera “funzionalità”. È piuttosto una condizione che interseca nel profondo la relazione tra i coniugi, coinvolgendoli psicologicamente ed emotivamente»Carlo Bellieni, neonatologo dell’Università di Siena ha ricordato, citando l’ultimo numero della rivista “Fertility and Infertility”, che «aspettare troppo per un concepimento naturale significa un alto rischio di insuccesso». Lo studio ha concluso che «più del 40% delle donne ritenute infertili hanno avuto un figlio senza ricorrere a trattamenti medici perché si trattava di pura sub-fertilità», bisognerebbe dunque essere più sicuri nelle diagnosi, ha commentato. «La fertilità è una cosa seria, ma oggi sembra che l’unica risposta che la società sa dare è il ricorso a metodiche artificiali, senza ricordare che è lo stesso stile di vita di questa società a generare sterilità».  Quel che fa aumentare la sterilità al 15% nei Paesi occidentali contro il 5% nei Paesi in via di sviluppo è l’età materna avanzata: «la fecondazione artificiale può essere uno strumento troppo usato, o usato frettolosamente ed è solo uno dei possibili approcci alla sterilità: esistono strade retrocesse in serie B, quali la prevenzione, la diagnosi approfondita e l’adozione, surclassate ormai dalla medicalizzazione della maternità».

 

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Benedetto XVI arriva su Twitter…subito 20 mila iscritti

A (quasi) 85 anni Benedetto XVI sbarca su Twitter. Non “cinguetterà” di persona ovviamente, però ha dato il suo assenso e ha inviato lui il primo tweet. Ogni giorno per tutta la Quaresima verranno diffusi brevi messaggi del Pontefice, scelti dal Pontificio Consiglio Cor Unum.

Una bella iniziativa della Chiesa, aperta alla tecnologia e con la passione di essere vicina alle persone laddove esse vivono il loro tempo. Ma, nel contempo, continuando a valorizzare le relazioni personali autentiche e denunciando i notevoli rischi di un uso sbagliato dei social network e del web in generale. Il profilo è @Pope2YouVatican (legato al sito www.pope2you.net).

I messaggi saranno tradotti in tante lingue differenti e l’iniziativa è stata avviata il 20 febbraio scorso. Al momento i follower (gli iscritti) sono circa 20 mila, una media notevole di circa 2500 iscritti al giorno!

Ne approfittiamo per segnalare anche il nostro (piccolo) profilo Twitter: @UCCRonline

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I radicali e la strumentalizzazione sentimentale dei disabili

Dopo aver recentemente criticato il nuovo libro dell’intellettuale Sergio Romano, e mostrato quelle che riteniamo le lacune e le contraddizioni presenti nel testo, non possiamo che condividere le opinioni rilasciate pochi giorni fa in merito alle battaglie ideologiche del Partito Radicale.  Su “Il Corriere della Sera” del 19/2, Romano ha infatti paragonato le varie forme di protesta e di catalizzazione dell’attenzione dell’opinione pubblica -come lo sciopero della fame- tra chi davvero ne necessita (giovani greci sommersi dai debiti ed extracomunitari disoccupati e minacciati di espulsione) e chi invece ne abusa, come i militanti radicali. Sono forme di protesta dei “non violenti”, come quelle valorosissime di Gandhi, ma quando si sente per la centesima volta che a scioperare per la fame sarà quel novantasettechiliemezzo di Marco Pannella, la cosa  diventa ridicola.

Il pensiero di Romano è ovviamente molto più fine, anche perché condivide coi radicali l’idea di una laicità negativa, ovvero l’estromissione totale della religione dalla vita pubblica. Ma la critica rimane: «Credo che i radicali, quando si richiamano al grande esempio di Gandhi, commettano un errore. Il Mahatma sapeva che da una guerra convenzionale contro l’impero britannico i suoi connazionali sarebbero usciti perdenti […]. Il digiuno di Gandhi contro la Gran Bretagna, quindi, è l’arma del debole in una guerra asimmetrica di liberazione», così come fecero -continua- tanti altri e i prigionieri di coscienza. Al contrario, «mi sorprende invece il digiuno di chi chiede un lavoro o protesta contro alcune particolari politiche dello Stato in cui vive a da cui riceve una somma considerevole di alti vantaggi, fra cui quello della rappresentanza politica. Particolarmente contraddittorio mi sembra il digiuno dei radicali. Sono certo che non vogliano trasformare la politica interna in un campo di battaglia, ma così accade, di fatto, quando un uomo politico minaccia di usare il proprio corpo come un’arma letale e si dichiara pronto a morire pur di raggiungere il suo scopo. Se la politica democratica è lotta senza spargimento di sangue, questa, spiace dirlo, non è più democrazia». Questo per quanto riguarda i noiosi appelli di Pannella e Bonino.

Poi la seconda questione, emersa particolarmente nella strumentalizzazione della famiglia Englaro e di una vita umana, Eluana, sacrificata per una battaglia ideologica-politica, ovvero come grimaldello per inserire l’eutanasia di Stato. Romano non dice questo, ma il suo ragionamento è su questa falsariga: «Paradossalmente il Partito radicale è il più laico dei movimenti politici italiani, ma si è servito degli handicap fisici di alcuni fra i suoi più tenaci militanti per creare il «martire», vale a dire un personaggio che appartiene alle guerre di religione piuttosto che alle battaglie civili. Nella grande maggioranza dei casi i digiunatori, naturalmente, non desiderano la morte. Vogliono vivere, combattere, e sperano di vincere costringendo l’avversario a deporre le armi. Ma questo, spiace dirlo, è un ricatto […]. Dovrebbero chiedersi quale sia stata, nei casi in cui hanno avuto successo, la ragione delle loro vittorie. Hanno vinto perché, come scrive Emma Bonino, hanno “saputo provocare un pensiero “altro” rispetto a un tema di cui non si vuole neppure sentir parlare”? O hanno vinto perché il «nemico» era impaurito dalla possibilità di apparire responsabile del loro decadimento fisico e, in ultima analisi, della loro morte? Se la risposta giusta è la seconda, la parola ricatto mi sembra appropriata».  

Ovviamente non è mancata la risposta scandalizzata dei radicali, affidata proprio ad un disabile –Gustavo Fraticelli-, co-presidente della Associazione Luca Coscioni. Il contenuto della replica era prevedibile: noi «abbiamo scelto, non ci hanno chiesto, di usare il nostro corpo per rivendicare diritti civili, per scendere nella trincea della battaglia politica». Peccato che questo non sia valso nel caso di Eluana, alla quale è stata ricostruita una presunta volontà di decine di anni prima (quando era tra l’altro in perfetta salute psicofisica), per giustificare la sua eliminazione.  La risposta di Sergio Romano non ha comunque fatto passi indietro rispetto all’accusa iniziale:  «i disabili hanno il diritto di pretendere la solidarietà dei loro connazionali. Il problema discusso nel mio articolo è l’ uso politico delle loro personali vicende […]. Un partito politico, in ultima analisi, è sempre responsabile delle proprie scelte, anche quando gli sono suggerite da altri. In questo caso i radicali hanno elevato Welby e Coscioni a icone delle loro battaglie, hanno introdotto un elemento emotivo e spettacolare nel dibattito politico, hanno cercato di commuovere anziché di convincere, hanno reso più difficile il confronto argomentato e dialettico su temi importanti come quello del suicidio assistito e del testamento biologico».

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Un’altra bufala anticlericale: il caso delle ostie allucinogene

Ennesima bufala anticlericale in pochi giorni. Prima quella del video falso dei radicali, poi quella le armi Beretta e ora quella delle ostie allucinogene. Il tutto con la complicità dei giornalisti di oggi che non sanno più fare il loro mestiere e si piegano al puro sensazionalismo. Fortunatamente ce ne sono altri che riescono a smontare in fretta queste false notizie. Chissà per quanto ancora, però.

Quella delle ostie allucinogene è davvero incredibile: gli amministratori di una banale pagina Facebook (che di solito non ha tanti frequentatori, tranne in questo caso), non si sa per quale motivo, hanno scritto una notizia completamente inventata. Si sono inventi il nome di una chiesa, “Santo Spirito” a Campobasso, si sono inventati il nome di un sacerdote, don Achille, e si sono inventati una messa domenicale in cui i fedeli, dopo aver ingerito le ostie, «si sono letteralmente scatenati. C’era chi sosteneva di vedere il proprio santo prediletto, chi in balia di visioni infernali abbracciava il crocifisso, chi rubava il calice del vino al prete, il povero don Achille, costretto a nascondersi in confessionale inseguito da due vecchine che lo prendevano a borsettate dandogli del demonio». Hanno perfino creato l’arrivo delle forze dell’ordine, una lotta con i fedeli e una finta dichiarazione di un poliziotto: «Mai visto niente del genere e sono stato al G8». Perfino l’arrivo della polizia scientifica che ha spiegato che le ostie erano fatte con cereali contenenti gli sclerozi della segale cornuta, il principio di base della droga LSD. Una storia di cattivo gusto, giusto -ancora una volta- per infangare la Chiesa.

La cosa più incredibile è che il quotidiano locale “AbruzzoWeb” ha ripreso integralmente la notizia e da quel momento ha fatto il giro del web, arrivando sui principali quotidiani come “Il Messaggero” , “Il Mattino” (che solo da poco ha aggiunto nel titolo che si tratta di una bufala), “Libero” (che ha cancellato la pagina ma rimane visibile l’url con il brutto titolo), idem IlSole24Ore, e così via. La cosa peggiore è che quelli di “AbruzzoWeb” si sono inventati il fatto che anche loro volevano fare uno scherzo e hanno perfino attaccato l’Arcidiocesi di Cambobasso che ha osato lamentarsi.

I finti tonti hanno fatto anche gli amministratori della pagina di Facebook da cui tutto è partito, restando basiti per l’incredibile diffusione della notizia (arrivata fino in Brasile!). Almeno loro, tuttavia, hanno chiesto le scuse della Diocesi di Cambobasso, «nella speranza che ci possano, Cristianamente, perdonare» (forse temevano una querela). Fortunatamente tanti quotidiani hanno reagito sdegnati di fronte all’accaduto, condannando senza mezzi termini i colleghi. Ognuno può approfondire su “Google”. Facciamo nostra la perplessità di “Avvenire”: «Ma perché sempre addosso alla Chiesa, come all’orso del Luna Park? Per ora ci scappa da ridere, ma non sarebbe l’ora di finirla?».

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Quando la scienza inciampa trova sempre qualche filosofo “d’ufficio”

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Mariano Bizzarri, docente di Biochimica e professore di Patologia Clinica presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università “La Sapienza” di Roma. E’ direttore del “Systems Biology Group Lab” presso il medesimo Ateneo. E’ segretario generale della ISSBB (Italian Society for Space Biomedicine and Biotechnology) e Presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana»

 

di Mariano Bizzarri*
*docente di Biochimica presso l’Università “La Sapienza” di Roma

 

Certo, a ben guardare la copertina del n. 1/2012 di Micromega, in cui il ritratto di Che Guevara campeggia a fianco di una sorta di mostro cibernetico, sarebbe ben difficile dubitare che l’uomo – o almeno certi uomini – possano discendere dalla scimmia. Lo aveva già scritto Elio Vittorini – fascista della prima ora e poi redentosi nello scoprirsi improvvisamente comunista, all’indomani del 25 luglio –  quando distingueva tra “Uomini e no”. Così anche per Telmo Pievani, c’è “Scienza” e altre cose che – a suo parere – “Scienza non sono”. Questo modo manicheo di guardare alla ricerca scientifica, accaparrandosi solo i risultati a favore di una tesi precostituita e “rimovendo” tutti gli altri, è invero proprio di coloro che, per la verità, hanno ben poca dimestichezza con la scienza reale. Quella che si fa, concretamente in laboratorio o sul campo. Che insegna molta umiltà e lascia poco spazio al flusso ininterrotto di pubblicazioni che solo un filosofo può permettersi. Ho sempre rilevato quanto fosse anomalo come i più ardenti difensori della scienza positivista allignassero tra i filosofi progressisti, orfani di Marx, incapaci di concepire la Fede se non come un grumo di superstiziosi, costretti a rivolgere il loro bisogno di pietas verso l’idolo ultimo: la Scienza innalzata a suprema dispensatrice di quelle certezze che sarebbero altrimenti  incapaci di  costruirsi.

Per Pievani, enfant prodige coccolato dall’intellighenzia progressista, la teoria di Darwin non è un contributo storicizzato alla ricerca della verità, ma dogma di fede, dato che ha ricevuto ampia e ripetuta conferma sperimentale. Evidentemente Pievani ha poca dimestichezza con l’imponente mole di dati che, pur movendo dalla visione evoluzionistica, hanno nel corso degli ultimi decenni mostrato lacune rilevanti al modello darwinista. Basti, per tutti, citare dall’ultimo libro di Piattelli-Palmarini e J. Fodor, “Gli errori di Darwin”: «Non sappiamo molto bene come funzioni l’evoluzione; non lo sapeva neanche Darwin e non lo sa esattamente […] nessun’altro. Nessuno degli scienziati che lavora in ambito sperimentale è ormai più “un genuino adattamentista”; anche se fanno piacere, questi “riallineamenti” non sono “la norma nella biologia in generale […] certo non sono la norma per l’opinione informata in campi […] come la filosofia della mente, la semantica del linguaggio naturale, la teoria della sintassi, le teorie del giudizio e della decisione, la pragmatica e la psicolinguistica. In tutte queste discipline il neodarwinismo è assunto come un assioma: non viene mai, letteralmente, messo in questione. Una concezione che sembri contraddirlo, direttamente o per implicazione, è ipso facto rifiutata, per quanto plausibile possa sembrare. Interi dipartimenti, riviste e centri di ricerca operano secondo questo principio. Di conseguenza il darwinismo sociale cresce rigoglioso, come il darwinismo epistemologico, il darwinismo psicologico, l’etica evoluzionistica e, il cielo ci scampi, l’estetica evoluzionistica.  Se volete vedere i loro monumenti date un’occhiata alle pagine scientifiche dei quotidiani». Come dir meglio?

Sappiamo però come tale volume sia stato recepito dalla critica. Dopo aver invano cercato di impedirne la pubblicazione in Italia, le corazzate della libera informazione (“Repubblica” e “Corriere della Sera” in testa), lo hanno infangato in tutti i modi possibili. E i due poveri malcapitati, nonostante la loro comprovata competenza e fede anti-religiosa, sono stati messi alla gogna. Il fatto è che la critica al darwinismo va al di là della pur accesa diatriba scientifica. E investe ambiti ideologici (politici) e metafisici. L’adesione (acritica e cieca) al darwinismo è oggi la cartina di tornasole per decidere chi possegga una concezione del mondo “realmente scientifica” e chi sia invece un povero mentecatto. Per Pievani la «scienza [è oggi] in grado di spiegare la meravigliosa e ambivalente unicità di Homo sapiens senza ricorrere a salti ontologici o trascendenze». Siamo contenti che Egli possa trarre da ciò una rassicurante certezza. Ma questa è materia di psicologia. Pievani non ci dice in realtà nulla di come e dove questa verità sia stata acquisita. Un esercito sterminato di ricercatori sta infatti cercando ancora le risposte. Forse Pievani trarrebbe beneficio dal raggiungerli in laboratorio piuttosto che continuare a scrivere libri che, alla lettera, non aggiungono nulla, ma proprio nulla, alla “verità scientifica”. Pievani deve farsene una ragione: quando la comunità scientifica discute ancora accanitamente a proposito di un argomento, questo accade perché è ancora alla ricerca di una spiegazione organica, razionale e non contraddittoria. Insomma, tutto quello che la teoria di Darwin non è.

Un articolo abbastanza recente (M. Lynch, The frailty of adaptive hypotheses for the origins of organismal complexity PNAS, 2007, 104: 8597–8604), ha messo criticamente in evidenza come, a proposito di Darwin, occorra fare chiarezza tra ciò che è il dato scientifico e quello che appartiene alla mitologia che ci si è costruito sopra. E’ utile riproporre questa tabella riassuntiva che bene evidenzia i punti principali del darwinismo su cui, contrariamente a quanto possa pensare o dire Pievani, c’è molto da “discutere”. Nel corso degli anni la teoria dell’evoluzione ha dovuto riconsiderare l’ipotesi lamarkiana (includendo nel modello l’eredità epigenetica e quella acquisita), ridimensionando il ruolo delle mutazioni e della selezione naturale, ammettendo l’incapacità di spiegare i “salti” evoluzionistici, gli “anelli mancanti” (stiamo ancora cercandoli da qualche parte), e i processi morfogenetici. Pievani cita incautamente il “caso”, assimilandolo quasi ad “arbitrarietà”. Proprio la disciplina che più estensivamente ha studiato il “caso” (pensiamo qui alla termodinamica dei sistemi dissipativi del Nobel Prigogine) ha contribuito a rimettere in discussione l’ipotesi darwinista. L’evoluzione dei sistemi dissipativi si svolge infatti per salti (facendo pervenire il sistema su stati stabili noti come attrattori) e non per continuità “progressiva”, come previsto dal darwinismo classico. Gli organismi complessi posseggono una dinamica non lineare, estremamente sensibile alla fluttuazioni di stimoli i più diversi (e non necessariamente genetici), capace di orientare il sistema verso l’acquisizione di un numero definito di forme possibili a fronte delle infinite possibilità teoriche. In altri termini, l’evoluzione è consentita solo se, all’interno dello spazio delle fasi, il sistema riesce a raggiungere uno degli attrattori previsti. L’attrattore ha una straordinaria capacità di resistere alle perturbazioni indotte (mutazioni, cambiamenti ambientali) e ciò ne assicura la stabilità. Questo spiega perché a fronte di infinite possibilità gli esseri viventi – dalla cellula all’Uomo – assumano solo un numero definito di conformazioni (forme), privilegiate da una logica che non è più quella delle interazioni microscopiche (bottom), ma impressa a livello globale dall’alto (top-down).

Le forme non sono quindi accidenti casuali dell’evoluzione, ma correlazioni ottimali prescelte da una ratio. Ed è questa ratio che può sfruttare o meno l’eventualità rappresentata da modificazioni casuali: il caso viene utilizzato per produrre ordine solo se è coerente con il disegno impresso nello spazio delle fasi. Materia per riflessione, non per pamplets ideologici e polemiche pretestuose. Insomma, c’è molto da fare e da capire (come ricercatore ne sono contento: saremmo altrimenti disoccupati!). Darwin – è proprio il caso di dirlo – non è il Vangelo. E prima o poi qualcuno dovrebbe dirlo a Pievani. Il Nostro si può sempre consolare con qualche filosofia orientale. Ma altrettanto chiaramente va detto che strumentalizzare la scienza per sostenere una visione politica e filosofica è ben misero sotterfugio. La verità è che da sempre l’uomo è alla ricerca di una spiegazione del tutto. E’ stata cercata nella magia, nella religione, nella filosofia politica (“proletari di tutto il mondo unitevi e poi capirete…”) e ovviamente nella Scienza. Non mi pare che qualcuno abbia però trovato la soluzione giusta. Questo è l’atteggiamento laico per eccellenza: ammettere le limitazioni, riconoscere i fallimenti. E da qui ripartire, inventandosi un approccio diverso. O magari riscoprendo un uso diverso di vecchi strumenti. Per questo, fare di Darwin un dogma è non solo un errore, ma un’offesa per coloro che la scienza la fanno davvero.

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Femministe contro cimitero per feti abortiti, ma le donne si ribellano

Per tutti quei genitori che, come me, hanno avuto la disgrazia (ben due volte!) nella vita di perdere un bambino ancora nel grembo di sua madre, dopo aver visto e sentito il suo cuoricino battere, sentire le parole “Giardino degli Angeli” equivale ad assaporare per un attimo un’immagine di pace, di serenità, e quasi di gioia, nella consapevolezza che rivedranno il loro angioletto un giorno, nella pienezza dell’amore della Casa del Padre. Giardino degli Angeli è il nome dato ad uno spazio di 600 mq all’interno del cimitero Laurentino a Roma ed è sorprendente sentir chiamare così un lotto di terreno destinato alla sepoltura.

Salvo scoprire che per qualcuno è un attentato alla libertà della donna, il fatto che altre donne possano seppellire i propri figli in luoghi appositi, dignitosi, e, per giunta, abbelliti da delle camelie. Infatti, scrivono con orrore sul sito dell’associazione “Se non ora quando?”: «No, il cimitero per feti non lo voglio, non ci sto a dare per morti quelli che non sono nati». L’autrice dell’articolo, Alessandra Bocchetti, imposta tutto il ragionamento su una premessa falsa: «attenzione, questi attacchi non vogliono negare la possibilità di abortire, perché in una società cinica come la nostra che una donna abortisca, in verità, non frega proprio niente a nessuno, altrimenti ci sarebbero dei veri programmi, dei concreti aiuti, assistenza vera e non quelle misere procedure che dovrebbero fare vergogna ad un paese civile e cattolico». L’autrice, vera cinica, come si evince dalla dura intransigenza laico-talebana del pezzo, attribuisce il proprio cinismo alla società per poi, da ciò, sostenere che, se una donna abortisce, in verità, non frega proprio niente a nessuno; il che è ovviamente falso. Dunque, si costruisce un falso ragionamento per giustificare la propria malafede. Secondo l’autrice, infatti, seppellire i bambini non nati è un attentato che ha «per obiettivo la parola: autodeterminazione». Il linguaggio stesso dell’accusa è violento (si parla più volte di attentato, lotta) e rivelatore di un sostanziale nichilismo di fondo, con cui si riduce la maternità ad una violenta banalizzazione che la svuota di ogni positività morale ed affettiva, considerandola freddamente «ragione di una catena perpetua».

Insomma: guerra totale ai valori millenari della nostra civiltà, alla bellezza della vita e, nella fattispecie, perfino alla pietas di una madre e di un padre affranti ed ammutoliti dal mistero del dolore. Perché: «La lotta non è finita, è sempre in corso. Per questo ci dobbiamo tenere alla larga dai cimiterini. Capisco che il dolore possa essere grande, ma penso che dovremmo imparare a portarlo nel cuore. Il vero oggetto del contendere è sempre e solo la libertà delle donne». Addirittura – conclude – sarebbe una cosa vergognosa per un paese cattolico – invece, è bene sapere che la pratica del seppellimento dei feti abortiti non è l’ultima trovata di qualche estremista cattolico.

Il risultato? Una durissima reazione ed una sonora stroncatura nei commenti all’articolo. Si tratta di donne, innanzitutto, e non certo cattoliche, come Elisa: «esigo che nessuno, e sottolineo nessuno, usi le sue parole per calpestare il mio lutto, definendo la sepoltura di mio figlio e quella di tanti altri feti ed embrioni come delle invenzioni per attaccare la 194. La invito a non vedere fantasmi ovunque e a tornare in contatto con la realtà …La rabbia con cui si scaglia contro la sepoltura dei bimbi morti in gravidanza la fa portavoce del più becero oscurantismo, dove chi non la pensa in un certo modo è da combattere, negare, annullare…che pena, che miseria!». O la reazione di Margherita, che, con acume direi parmenideo, smaschera subito il sofisma: «apprendo ora, dalle sue parole, di avere quattro non-figli. Non sono nati, non sono morti, quindi… non sono? Oppure sa dirmi lei dove sono ora i miei non-figli? parole fredde, come le sue, che pretendono che il mio dolore e quello di tante donne e uomini come me, sia relegato nel silenzio perché disturba. Disturba la politica, disturba una lotta senza pari, disturba il cuore di chi non sa dire dove siano finiti quei miei quattro non-figli che ancora fanno stringere un nodo alla mia gola. Già, perché non piango il callo che si è staccato dal mio piede, né la verruca che mi hanno asportato; non piango quando taglio le unghie, e nemmeno ogni volta che ho le mestruazioni. Ma quell’ammasso di cellule erano nel mio corpo, e ci batteva un piccolissimo ammasso di cellule cardiache, e quando quel battito si è fermato, allora sì che ho pianto!».

Ma ci sono parole anche di giovani padri che, come me, ritengono di ribellarsi a queste farneticazioni indegne del genio femminile e della ragionevolezza che ogni battaglia culturale dovrebbe, in ogni caso, avere. Anche se, credo, avere il cattivo gusto di fare una battaglia culturale per definire “rifiuti ospedalieri” e non semplicemente bambini i propri figli, sia il vertice della vergogna, il trionfo becero di un satanico nichilismo, che ha svuotato il cuore della modernità del proprio battito vitale. E che a farlo sia addirittura una donna, francamente, mi spaventa.

Matteo Donadoni

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Lo IOR e le armi Beretta, altra bufala anticlericale

Il secondo azionista delle armi Beretta sarebbe lo IOR, la Banca Vaticana. E’ una fake news smentita anche da un comunicato della stessa Beretta Holding, nata dalla foto del cardinale polacco Józef Glemp con in braccio un fucile, invitato in Russia a far visita alla minoranza di soldati cattolici.




Ogni tanto è giusto occuparsi della fabbrica di bufale, uno dei tanti rami dell’anticlericalismo militante.

Oggi è ancora più facile attaccare la Chiesa grazie al web: una notizia può fare il giro del mondo in pochi istanti, indipendentemente se sia vera o no. Come diceva Mark Twain: «Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe».

Nel 2010 è stata diffusa una falsa notizia in cui si diceva che un prete americano sarebbe morto mentre faceva sesso con un cavallo. Ne avevamo parlato in Ultimissima 25/10/10.

Per non parlare, poi, della foto in cui Papa Ratzinger viene fatto passare come ex-nazista diffondendo una fotografia appositamente tagliata in cui sembra fare il tipico saluto dei seguaci di Hitler, quando invece sta semplicemente celebrando una Messa, si veda Ultimissima 25/03/11


La foto del cardinale con il fucile Beretta?

In questi giorni ne gira un’altra: il cardinale polacco Józef Glemp è stato fotografato mentre prova un fucile da guerra e la foto (qui sopra) viene diffusa sostenendo si tratti della certificazione che lo IOR (Istituto per per le Opere di Religione) è il secondo azionista della fabbrica d’armi Beretta.

L’intenzione è quella di far perdurare l’immagine della Santa Sede come un’organizzazione losca che, dietro il paravento del Vangelo, sarebbe pronta anche a sganciare bombe atomiche pur di far soldi ed avere potere.

Peccato che la foto non è stata scattata nella fabbrica Beretta e nemmeno in Italia, i personaggi della stessa sono russi, tranne il cardinale Józef Glemp che, in un suo ultimo viaggio diplomatico in Russia, fu inviato in una caserma militare a far visita pastorale alla minoranza religiosa dei soldati cattolici. Nell’occasione, in un eccesso di euforia dei padroni di casa, gli è stato messo in mano questo fucile (scarico, manca persino del calcio) per una semplice foto bizzarra.

Un gesto eccessivamente ingenuo da parte del prelato, considerando il livello degli aggressori del cattolicesimo L’arma che impugna inoltre, non è una Beretta, bensì il nuovo fucile Dragunov SVD.

La questione si è comunque chiusa con il  comunicato ufficiale della stessa Fabbrica Armi Pietro Beretta (FAPB) diffuso da Luisa Achino: «In relazione a notizie diffuse nei giorni scorsi circa la composizione dell’azionariato di Beretta Holding, la società smentisce nella maniera più ferma che IOR o società ad esso riconducibili siano parte della compagine degli azionisti della società stessa o di società da essa controllate. Beretta Holding, che controlla un gruppo di imprese principalmente attivo nel settore dello sport, caccia e tempo libero, è un’azienda di proprietà famigliare da 15 generazioni».


La notizia rimane sui blog anticlericali.

Su Facebook si ipotizza che dietro alla foto vi sia una sorta di “vendetta” verso il cardinale Glemp, vecchio amico di Papa Giovanni Paolo II ed il cardinale più importante in Polonia, molto attivo contro il comunismo. Di fatti, fra i primi a riportare la notizia è il sito web “Quaderni socialisti” intitolando: “Lo Ior va alla guerra”. Ora l’articolo è stato cancellato, ma ne rimane traccia sul web.

Anche il sito web Cronache Laiche” riporta la notizia, salvo poi smentirla dodici giorni dopo tramite un trafiletto nascosto. La notizia rimane senza smentita invece su diversi blog e su siti web come “Cado in piedi” “I segreti della Casta” e Uomoplanetario.com. In questi portali, tuttavia, i lettori hanno già scoperto la bufala.

La redazione

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Richard Dawkins “imbarazzante”: si dimentica il titolo dell’opera di Darwin

 

di Enzo Pennetta*
*biologo

 

Richard Dawkins, che qualcuno ha soprannominato il “levriero di Darwin“, dopo non aver saputo indicare un solo caso di evoluzione con aumento d’informazione verificata sotto i nostri occhi, adesso non sa citare il titolo dell’opera principale di Chrales Darwin. Eppure la scarsa conoscenza del Nuovo Testamento era stata da lui portata come prova della poca attendibilità di coloro che si definiscono cristiani.

Come infatti riportato dal Daily Mail del 15 febbraio 2012, la Richard Dawkins Foundation for Reason and Science nella sua attività di ricerca avrebbe “dimostrato” che: «…poche persone sono veramente cristiane e così le loro credenze non dovrebbero avere parte nelle scuole o nella macchina dello Stato». A sostegno di questa tesi, Dawkins ha affermato, nel corso dell’intervista, che un cristiano su sei non ha mai letto la Bibbia, e che inoltre: «Molti di loro non vanno in chiesa e che un sorprendente numero non saprebbe dire qual è il primo libro del Nuovo Testamento».

 

E’ stato a questo punto che Giles Fraser, ex canonico della St Paul’s Cathedral, ha posto al prof. Dawkins  una domanda che ha dato inizio al seguente scambio:

Fraser«Richard, se ti chiedessi qual è il titolo completo dell’Origine delle specie, sono sicuro che potresti dirmelo».

Dawkins– «Sì, potrei»

Fraser«Avanti allora»

Dawkins«On The Origin Of Species… Uh. Con, oh Dio! On The Origin Of Species….c’è un sottotitolo riguardo la conservazione delle razze favorite nella lotta per la vita…»

Fraser– «Sei il Papa del darwinismo… Se avessi fatto alla gente che crede all’evoluzione questa domanda e fossi tornato dicendo che il 2% ha risposto bene, sarebbe stato terribilmente facile per dire che dopo tutto non ci credono. Non va bene fare questo tipo di domande. Loro si identificano come cristiani e penso che dovresti rispettarli».

 

La risposta corretta era On The Origin Of Species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life”. A questo punto possiamo provare a fare un’ipotesi: Fraser sperava in un piccolo errore di Dawlins, ma probabilmente si attendeva una risposta corretta per poi poter affermare che anche un sacerdote conosce l’autore del primo libro del Nuovo Testamento, ma che forse anche i sostenitori del darwinismo non conoscono l’intero titolo dell’opera principale di Darwin. E invece è accaduto qualcosa d’imprevedibile: Richard Dawkins, il “levriero di Darwin“, non ha saputo dire il titolo completo dell’opera principale di Charles Darwin. L’episodio è avvenuto nel corso di una registrazione radiofonica che è possibile ascoltare qui  al minuto 1,50 circa). E a questo punto esclama anche un surreale “Oh Dio…” aumentando, secondo i metodi della sua Fondazione, la percentuale delle persone credenti nel Regno Unito. 

Evidentemente questo nuovo silenzio di Dawkins ha un primo effetto immediato: le argomentazioni della Richard Dawkins Foundation for Reason and Science, sulla non attendibilità delle percentuali di cristiani tra la popolazione vengono a cadere. Ma esiste anche una seconda importante conseguenza del silenzio di Dawkins. Se il più grande difensore del darwinismo, riconosciuto tale anche dagli altri sostenitori, scienziati e non, non conosce il titolo dell’opera fondamentale di Darwin, come possiamo ritenere che ne conosca bene il contenuto? Forse è per questo che continua a strumentalizzarla contro la religione?

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Leggi restrittive e aborto, il dott. Puccetti smonta la ricerca di Planned Parenthood

Gli aborti tendono a non essere sicuri in paesi con una legislazione restrittiva«Le leggi restrittive sull’aborto non sono associate a tassi di abortività più bassi», tale proposizione (contro ogni buon senso) è inclusa nel recente studioInduced abortion: incidence and trends worldwide from 1995 to 2008sponsorizzato nientepopodimeno che dal Guttmacher Institute, il braccio di ricerca di Planned Parenthood, l’ente abortista più grande del mondo.

La tesi sostenuta dalla pubblicazione, riportata peraltro sulla prestigiosa rivista medica “Lancet”, risiede nella correlazione di un minor tasso d’abortività nelle regioni dove la legislazione a riguardo è più permissiva e della necessità di ulteriori investimenti in pianificazione familiare e in servizi per «l’aborto sicuro». Non sono mancate prevedibili manifestazioni di tripudio da parte delle organizzazioni abortiste ma molti dubbi di ordine scientifico e metodologico sono stati sollevati. In Italia ne ha parlato il dott. Renzo Puccetti,  specialista in medicina Interna e membro della Research Unit della European Medical Association nel suo articolo pubblicato su Zenit dove apertamente si chiede «se davvero questa lettura sia rispettosa della realtà, o se invece non sia piuttosto una rappresentazione conveniente per una prospettiva molto ideologica». 

«Il Guttmacher Institute», sottolinea, «fa parte di quella che viene chiamata “lobby dell’aborto” e che chiede alle istituzioni internazionali di riconoscere l’interruzione volontaria di gravidanza come parte dei cosiddetti diritti riproduttivi». Inoltre, rispetto alla metodologia, parla di «zibaldone grezzo […]  assai distante da quella trasparenza sui metodi seguiti che consente la verificabilità e riproducibilità propri del metodo scientifico galileiano». E’ verificabile «l’enorme grado di variabilità ed incertezza che sottende tutte le metodologie impiegate per stimare gli aborti clandestini». Su questa base incerta non è da dimenticare la testimonianza diretta del dottor Nathanson -responsabile di 75.000 aborti, poi convertito al Cattolicesimo e alla causa pro-life-, riguardo alla tecnica pluri-collaudata del gonfiare il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza come strumento di pressione per l’ottenimento di provvedimenti pro-aborto. Inoltre, rispetto allo studio, bisogna considerare l’impiego di dati crudi anziché corretti per i numerosi fattori in grado di modificare gli stessi dati […] Ci si chiede così perché gli esperti che hanno pubblicato lo studio non abbiano corretto i dati di abortività per i numerosi fattori che notoriamente influiscono sul ricorso all’aborto: reddito, religiosità, fecondità, scolarità, razza, solo per citarne alcuni.».

L’invito è quello di comparare le stime del numero degli aborti prima della legalizzazione in alcuni paesi occidentali, come fa lo stesso ricercatore. Inoltre sono numerosi gli studi (indipendenti) che certificano direttamente come «legalizzare l’aborto significa accettare l’aumento degli aborti»: in Italia, così come in Romania, negli Stati Uniti, in Perù così come in Irlanda,  ecc.  E se anche il nostro parlamento (in modo trasversale), decide di dotarsi di un Intergruppo parlamentare per la vita, allora significa che è veramente palese -come sostiene il Prof. Puccetti- che «combattere per leggi restrittive significa combattere per la vita». Segnaliamo la testimonianza di questa mamma,  lacerata dall’IVG e che dopo 15 anni ha trovato il coraggio di condividere l’insegnamento che ha tratto dal proprio dolore, e la storia di Debora, capace di donare la propria vita per quella della figlia neonata.

Nicola Z.

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Le ire omosessualiste contro Giovanardi, ma le frasi erano estrapolate

Bisogna stare molto attenti a quello che si dice, specialmente se non si è concordi con la vulgata massmediatica omosessualista. Ne ha fatto le spese l’Onorevole Carlo Giovanardi del PdL: dopo una intervista su Radio 24 nella trasmissione “Non ci sono più le Mezze Stagioni”, il politico di destra si è visto assalito e minacciato dai soliti fanatici del politicamente corretto.

Nell’intervista diffusa pubblicamente è apparso che Giovanardi avrebbe definito il bacio fra omosessuali con una metafora legata alla minzione in pubblico (sic!). Curioso che l’Onorevole abbia impiegato ben cinque giorni per reperire la trascrizione integrale dell’intervista, tagliata ad hoc in più di tre quarti della sua interezza e poi resa pubblica, dove traspare chiaramente che suddetta metafora non era riferita al bacio omosessuale in sé, ma alla generica decenza in pubblico, sia per eterosessuali che per omosessuali: una normale estremizzazione figurativa per rendere al meglio il concetto in un discorso parlato. Nessun insulto o discriminazione verso gli omosessuali.

In più di cinque giorni la bufera è ovviamente scoppiata contro di lui e nella mente di molti ormai l’Onorevole è l’omofobo feroce e disumano a prescindere dalle prove, in perfetto ritardo, della sua innocenza. Ancora più notevole la risposta di Alessio Mori, Segretario Provinciale dei Giovani Democratici di Modena il quale, dopo aver ammesso la sua ignoranza riguardo le disperate dichiarazioni provate di Giovanardi sulla propria innocenza, ha continuato a perpetrare comunque l’immagine fasulla scaturita dall’intervista. Il giovane ha indubbiamente talento nel mestiere che si è scelto, farà di certo carriera. Auguriamo all’Onorevole di passare indenne la tempesta contro di lui e speriamo che le minacce rivolte alla sua famiglia (prontamente negate dal Mori) siano solo fuochi di paglia. Nel non voler prendere alcuna parte politica, ma solo umana, si può comunque notare come per mentire e raggirare le persone non serva affatto inventare di sana pianta: basta raccontare verità mutilate.

Proprio in questi giorni negli USA la stessa furia omosessualista si è abbattuta su una ragazzina di 14 anni, Sarah Crank, la quale ha semplicemente testimoniato a difesa del matrimonio tradizionale presso il Maryland Senate Judicial Proceedings Committee. Su di lei sono piovuti insulti e minacce di morte: «E ora tutti conoscono il suo nome, quindi speriamo che presto si sentirà che è stata vittima di vessazioni e atti di bullismo», recita un commento pubblicato su “LGBTNation.com”. Oppure su YouTube: «Se mai vedrò questa ragazza, io la ucciderò. Questa è una promessa». «I suoi genitori dovrebbero essere sterminati», «Il motivo per cui l’aborto deve rimanere legale è per evitare a piccoli bigotti come questa di nascere», «Uccidi questa bambina e i suoi genitori, per il mio compleanno sarebbe un regalo meraviglioso, grazie» e tante altre cose carine di questo tipo.

Marzio Morganti

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