Scienziati si accorgono che l’uomo è uomo e la scimmia è scimmia

Pochi mesi fa il filosofo laico Raymond Tallis ha scritto un articolo interessante contro il biologismo: «Il mondo accademico è attualmente in preda a un’epidemia, uno strano e preoccupante biologismo, che ha anche catturato l’immaginazione popolare. Scienziati e filosofi credono che nulla di fondamentale separi l’umanità dall’animalità». Questo biologismo, secondo Tallis -uno che è membro della  British Humanist Association e ha firmato nel 2010 una lettera aperta contro la visita di Benedetto XVI nel Regno Unito- si manifesta in due modi: «uno è l’affermazione che la mente è il cervello o l’attività del cervello», l’altro è «l’affermazione che il darwinismo spiega non solo come l’organismo dell’Homo sapiens sia nato, ma anche ciò che motiva il comportamento delle persone giorno per giorno», ovvero il riduzionismo genetico 

Tallis indica nuovi studi e nuovi libri che sempre più contrastano queste visioni neopositiviste, chiedendosi se queste pubblicazioni siano «un indicatore del fatto che questo potente edificio filosofico stia iniziando a cadere a pezzi, ci aspetta «un futuro migliore in cui il compito di cercare di dare un senso a ciò che siamo non venga ostacolato da uno scientismo riduttivo che ci identifica con l’attività del cervello evolutosi per servire il successo evolutivo? Spero di sì». Chiude poi ovviamente da laico: «Anche se non siamo angeli caduti dal cielo, non siamo solo macchine neurali. Né siamo meramente scimpanzé eccezionalmente intelligenti».

Come spiegava Francesco Agnoli qualche tempo fa su questo sito, c’è un chiaro progetto anti-teista che «non si rassegna a negare Dio», ma vuole «ridurre l’uomo ad un elemento della natura, equivalente ad un sasso o un albero; ridurlo via via a frutto del Caso, a un “esito inatteso”, a una “eccezionale fatalità”, a un aggregato di materia senz’anima, a un meccanismo geneticamente determinato». Negare Dio ha sempre significato negare l’uomo e la sua unicità: ecco che i neodarwinisti, strumentalizzando il darwinismo, lo hanno quindi tentato di livellare alla scimmia, informando che il nostro patrimonio genetico è condiviso al 99% con lo scimpanzé, ma evitando di dire che per l’80% è  in comune con un verme di 1 mm (Caenorhabditis elegans), il 50% è condiviso invece con il dna della banana, e abbiamo lo stesso numero di geni della gallina. Secondo i riduzionisti, dunque, saremmo per l’80% dei vermi e per il 50% delle banane.

Vale la pena comunque notare i risultati di studi in cui gli scimpanzé vengono confrontati con i bambini, come ad esempio quello appena pubblicato circa la cultura cumulativa: i ricercatori hanno addestrato scimpanzé a risolvere dei puzzle e poi a dimostrare le tecniche ad altri scimpanzé. Ma essi non hanno imparato, al contrario di un gruppo di bambini della scuola materna. Affermano: «Gli scimpanzé possono imparare gli uni dagli altri, ma la loro conoscenza non sembra accumularsi e diventare più complessa nel corso del tempo», e questa è una «caratteristica degli esseri umani, che ha dato luogo a realizzazioni come i computer e la medicina moderna». Concludono basiti gli studiosi: «Le differenze tra gli esseri umani e le altre specie sono in realtà più forti di quanto avessimo immaginato prima di avviare questo test». Caspita, ci volevano proprio degli scienziati per fare questa incredibile deduzione! Chi lo dice ora a Telmo Pievani che è stato messo un altro tassello per l’emancipazione dell’uomo dalla scimmia?

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Cos’è l’UAAR e perché è dilaniata da lotte di potere

L’Associazione Atei Agnostici Razionalisti italiani (UAAR) come non l’hai mai vista. Siamo entrati nel forum interno e abbiamo scoperto epurazioni di ex responsabili eretici e guerre intestine tra i soci ed attuali responsabili. E si fanno chiamare liberi pensatori.

 
 
 

Il 27 gennaio scorso abbiamo divulgato gli stretti rapporti tra l’UAAR, l’Unione Atei Agnostici Razionalisti ed i neofascisti di Casapound.

La questione è emersa grazie ai numerosi ex adepti ed ex responsabili che nel tempo sono stati epurati e sbattuti fuori.

La loro colpa? Non essersi sottomessi al “triangolo del potere” costituito dal presidente Raffaele Carcano (detto “Pontifex” dagli ex seguaci), Giorgio Villella (ex segretario) ed Adele Orioli (responsabile delle iniziative legali dell’Uaar).

 

L’UAAR e lo sbattezzo tra i neofascisti di Casapound.

In quell’occasione avevamo citato le parole del presidente Raffaele Carcano mentre si vantava di aver contattato Casapound ma anche -per par condicio- il centro sociale Acrobax, prendendo in giro gli inquirenti, secondo i quali «sarebbe un covo di black-bloc».

Follie, rassicurava il presidente UAAR, tant’è che lo stesso responsabile dell’associazione atea di Roma, Marcello Rinaldi, si è recato dai neofascisti per «organizzare un tavolo di sbattezzo».

E’ interessante apprendere che pochi giorni fa Antonio Manganelli, capo della Polizia, rivolgendosi alla commissione Affari Costituzionali della Camera sui recenti scontri avvenuti a Roma e in Val di Susa tra le forze dell’ordine e i manifestanti, ha spiegato chi siano gli infiltrati violenti: «Arrivano nella città delle manifestazioni vestiti in un certo modo, vi partecipano vestiti in modo diverso, non si lasciano identificare con persone con precedenti. E fermarli lungo la strada significa non trovare loro addosso armi, benzina o altri oggetti, che invece trovano nelle sedi di arrivo: nel centro sociale Askatasuna a Torino e Acrobax a Roma».

Ecco da chi va l’UAAR a proporre lo sbattezzo

 

Le epurazioni degli ex responsabili dissidenti dell’UAAR.

Ancora oggi sul Forum interno dell’UAAR è in corso un feroce scambio di insulti ed accuse tra gli attuali dirigenti, in particolare gli stessi Raffele Carcano e Massimo Maiurana, contro gli ex responsabili epurati oltre che a vari soci dissidenti, come Francesco Paoletti.

Quest’ultimo ha preso le difese di Giacomo Grippa, ex responsabile di UAAR in Puglia, il quale fu cacciato per essersi iscritto al blog di Valentina Bilancioni, altra ex responsabile di Rimini, anch’essa eretica agli occhi della dirigenza e finita “sul rogo” ateo.

La semplice iscrizione al blog dell’ex responsabile è ritenuta dagli attuali dirigenti in contrasto con le finalità dell’UAAR, come affermato da Massimo Maiurana, responsabile della Comunicazione interna. Ovviamente queste dichiarazioni hanno scatenato il putiferio.

«Stai scherzando, vero?», risponde allibito un associato. «Lo statuto UAAR vieta a me, socio (almeno fino a qualche mese fa), di iscrivermi ad un blog? Se dovesse esistere un articolo del genere, l’UAAR sarebbe per davvero da buttare. Tizio, dirigente locale UAAR, deve chiedere il permesso se, a titolo personale, si vuole iscrivere ad un blog?».

Effettivamente ed incredibilmente nel regolamento dell’UAAR esiste l’articolo che vieta ai membri di danneggiare l’unità dell’associazione, manco fosse una loggia massonica. Lo rende noto un altro socio dissidente, ed è il 4° articolo comma 3: «Il Collegio dei probiviri ha altresì facoltà di prendere provvedimenti nei confronti dei soci che abbiano agito in contrasto con gli scopi, le regole o l’unità dell’UAAR».

Una voce appositamente vaga che, come afferma l’utente, porta a «totale discrezionalità da parte degli organi giudicanti. In base a chi sia il socio oggetto dei ricorsi al collegio, a quanto sia simpatico od antipatico, a quanto “dia fastidio”, eccetera». E’ in questo modo che la gerarchia dell’associazione può decidere quando cacciare chi non si allinea al pensiero unico, come accaduto con Grippa.

Un altro ex socio interviene allibito: «Cioé, non c’è nulla di definito? Stai dicendo che se mi mettessi le dita del naso e il Consiglio ritenesse che la cosa è in contrasto con gli scopi dell’Uaar, oppure che viola le regole dell’Uaar, o ancora che attenta all’unità associativa, potrei essere espulso, se anche i probiviri confermassero?».

Sembra proprio così, e si fanno chiamare “liberi pensatori”!

 

Raffaele Carcano e la guerra di potere nell’UAAR

Le accuse e gli insulti della comunità dell’UAAR sono maggiormente rivolte al segretario Raffaele Carcano, il quale viene letteralmente preso a pesci in faccia dai soci, ancora peggio di come trattano i credenti, senza alcun rispetto per la funzione che svolge.

Vengono in mente le dichiarazioni della ex responsabile UAAR, Valentina Bilancioni:

«Carcano ha dimostrato di essere l’anello mancante tra l’homo sapiens e le anguille […]. La mia impressione è che sia quasi del tutto privo della capacità di valutare le persone, di creare relazioni e dinamiche di gruppo funzionali, di instaurare collaborazioni con realtà esterne, di motivare la base e ingenerare entusiasmo e carica nella piazza. Se non ci sono tali capacità, e magari il vuoto è riempito da qualche senso d’inferiorità, allora si rischia di far danni».

E di danni, il capo degli atei italiani, ne combina uno dopo l’altro.

Ad esempio, ha accolto sul Forum interno l’arrivo di un ennesimo ex iscritto con queste parole: «Uhm, tanto ho messo il dito nella piaga che si è arrivati a riesumare Di Lorenzo per replicare, confermando in tal modo esattamente la mia tesi: l’impegno contro l’Uaar è maggiore di quello a favore della laicità/incredulità».

Riesumare? Carcano tratta come cadaveri gli ex membri e prosegue rivelando, con lucida onestà, cosa sia accaduto in questi anni all’interno dell’UAAR: «Assemblee convocate e gestite irregolarmente, messaggi impropri inviati a soci ed ex soci (solo ad alcuni, beninteso) sfruttando gli elenchi messi a disposizione dall’associazione, continue accuse interne ed esterne all’associazione all’insegna del “mafiosi” condite di illazioni di svariato genere, sessuali comprese. Con tanto di supporto di sostenitori che hanno formulato minacce fisiche e che hanno sostenuto di pedinare i loro “avversari”: e fino al blitz nelle stanze d’albergo degli “avversari” con tanto di souvenir con accluso messaggio in codice. E questa è solo una parte di quanto accaduto».

Il responsabile dell’UAAR conclude con una considerazione generale su quale sia oggi il livello dell’associazione atea:

A questo sfogo viene risposto in malo modo e l’autore è accusato di “pochezza”, altri ribadiscono le accuse di aver fatto epurare questa gente perché diretti concorrenti alla poltrona da responsabile dell’associazione.

 

La responsabile Adele Orioli e la bandiera dell’Unione Sovietica.

Infine, gli ex responsabili dell’UAAR fanno emergere imbarazzanti questioni legate anche ad Adele Orioli, braccio destro di Carcano.

Anche Orioli infatti, oltre alla epurata Bilancioni, ha aperto un blog dove viene denigrata l’UAAR e vengono presi in giro i vari responsabili regionali. Il portale, rivela l’ex responsabile Francesco Paoletti, venne fatto chiudere di nascosto da Carcano, senza alcuna conseguenza per la Orioli, mentre per Giacomo Grippa -come detto sopra- il solo essersi iscritto ad un blog ritenuto sgradito dall’associazione ha significato la totale epurazione.

Un altro utente ricorda a proposito di Adele Orioli che «alla manifestazione della Liberazione del 25 aprile 2008, a Roma, la nota insigne giurista nonché responsabile delle iniziative legali dell’Uaar sfilava tenendo lo striscione dell’associazione dopo essersi accuratamente avvolta ai fianchi a mo’di pareo una bandiera sovietica, con la falce e martello bene in vista. Non una maglietta (e già, a mio avviso, sarebbe stato sbagliato), ma addirittura una bandiera!».

A me, continua l’ex adepto, «pur essendo notoriamente “nostalgico” dell’Urss e derivati, di fare una cosa del genere non mi sarebbe mai neppure venuto in mente». Eppure, ancora una volta, tutto l’attivismo della omertosa gerarchia dell’associazione contro i dissidenti, non ha obiettato nulla alla Orioli. A supporto di queste accuse vengono citati numerosi testimoni.

 

Facciamo nostro il giudizio di un simpatizzante dell’UAAR: «Visto dall’esterno, con tutta franchezza, vedo in tutte queste manovre unicamente un gioco politico per il potere e la dirigenza fa una pessima figura e appare fondamentalmente incoerente per le critiche in questo senso mosse dall’UAAR alla Chiesa cattolica».

Sante parole…

La redazione

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La conversione di Lisa Miller, ex lesbica in fuga per difendere la figlia

Ha dell’incredibile la storia di Lisa Miller, un’ex lesbica che è finita in prima pagina su molti giornali nazionali per aver condotto dopo la sua conversione una battaglia per proteggere la figlia dal trasferimento dell’affidamento genitoriale alla sua ex partner Janet Jenkins. Una storia raccontata attraverso il libro Only One Mommy (New Revolution Publishers 2011), scritto da Rina Lindevaldsen, uno degli avvocati della Miller, in cui si evince che alla radice dell’infanzia da incubo di Lisa vi erano due elementi: la contraccezione e il divorzio.

Fra i suoi primi ricordi infatti vi è quello amaro di sua madre che, al momento di concepire Lisa, usava contraccettivi, in quanto non l’aveva mai voluta: «Ogni volta che mia madre era arrabbiata con me – scrive Lisa – lei tirava fuori il pacco ovale color pesca delle pillole anticoncezionale che aveva conservato per tutti quegli anni per farmi vedere che mancava solo una settimana, che fu la settimana in cui rimase incinta». All’età di sette anni i suoi genitori divorziarono, lasciando lei e suo fratello soli con una madre sempre più malata di mente, distante e crudele: fu così che cominciò a cercare conforto nelle insane fissazioni sull’alimentazione, sulle pillole dimagranti e sulla pornografia, arrivando all’autolesionismo pur di alleviare il dolore emotivo, aggiungendo cicatrici a quelle causate dalle percosse della madre. Nonostante tutto Lisa nella sua educazione ricevette anche influenze positive attraverso amicizie con i sacerdoti della sua chiesa e i suoi insegnanti. La sua educazione religiosa le sarebbe infatti tornata utile nei suoi giorni più bui, offrendole una via d’uscita della sua situazione apparentemente impossibile.

Dopo aver vissuto un matrimonio travagliato e, infine, aver tentato il suicidio, Lisa ricevette un altro duro colpo durante il ricovero in un reparto psichiatrico in Virginia, in cui un consulente la informò che lei era lesbica e che doveva cercare la compagnia sessuale di altre donne: «Non c’è da meravigliarsi che il mio matrimonio terminò lì. Sebbene in quel momento avessi lasciato alle spalle tutte le mie dipendenze d’infanzia, purtroppo, entrai nella dipendenza dell’omosessualità» scrive Lisa. Fu così che iniziò il suo rapporto, culminato in unione civile in Vermont, con un’alcolista, Janet Jenkins, con la quale decisero di ricorrere all’inseminazione artificiale di Lisa, che avrebbe portato alla nascita di Isabella. Ma fu proprio nella miseria della sua relazione sessuale immorale e conflittuale con Janet che Lisa rischiò di perdere Isabella prima che nascesse. Fu allora che fece una richiesta speciale a Dio, promettendogli che se avesse salvato la sua bambina, avrebbe lasciato lo stile di vita omosessuale. Isabella nacque sana, e sebbene Lisa non mantenne sin da subito la sua promessa, il suo rapporto con Janet continuò a deteriorarsi, creando i presupposti per la sua conversione: «Fu allora – ricorda la Miller – che Dio riportò alla mia mente il patto che avevo fatto con lui pochi mesi prima. Quando mia figlia aveva 17 mesi, lasciai lo stile di vita omosessuale e ritornai con mia figlia a casa mia in Virginia, dove lei era stata concepita ed era nata».

Fu soltanto allora che cominciò tutta la controversia giuridica della sua ex partner per ottenere il diritto di genitorialità e di tutela su Isabella e per poterla così strappare a Lisa, sua madre naturale. Sebbene il nome di Janet non comparisse sul certificato di nascita della bambina e sebbene inoltre la costituzione della Virginia negasse esplicitamente ogni riconoscimento alle unioni civili, i giudici di Vermont e Virginia hanno rigirato la legge, creandone addirittura una nuova che permettesse a Janet di poter essere considerata “madre” di Isabella con conseguente diritto di affidamento. Motivo che ha spinto Lisa Miller a lasciare il suo paese con sua figlia, tuttora ricercate dall’amministrazione Obama. «I cristiani hanno bisogno di sapere cosa sta accadendo – ha detto l’avv. Lindevaldsenl’idea che una donna debba a quanto pare lasciare il paese per proteggere la sua bambina non dovrebbe accadere in America, e non penso che abbastanza Cristiani conoscano quanto accaduto per cui non si rendono conto che le persone per le quali votano in un anno elettorale hanno conseguenze dirette su cose come questa».

Raffaele Marmo

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La lobby omosessuale si vendica di Lucio Dalla, gli amici rispondono

Anche i funerali di un grande artista come Lucio Dalla sono diventati loccasione per attaccare la Chiesa, ma in realtà quello che sta emergendo è questo: una vendetta della comunità omosessuale contro il cantante, perché egli non voleva saperne di essere usato come una bandiera per la loro ideologia.

Lo ha detto chiaramente padre Padre Bernardo Boschi, confessore del grande artista:  «La Chiesa condanna il peccato, non il peccatore quando questi fa un certo cammino. Questi soloni che imperversano, dicendo che la Chiesa è ipocrita non sanno niente della Chiesa. Dalla era una persona di grande fede e non ha mai voluto conclamare la propria omossessualità, le polemiche sono una vendetta dei gay che vogliono fare del cantante una bandiera». Ildefonso Chessa (nella foto a sinistra), che ha celebrato il rito funebre, ha affermato: «Avrei celebrato i suoi funerali anche se si fosse dichiarato con un coming out».

Facciamo comunque una sintesi di tutto quanto sta accadendo: il nostro sito ha voluto sottolineare la fede incrollabile di Lucio Dalla, il suo sentirsi cattolico pienamente, il sito di Vatican Insider ha invece ricordato l’ultima intervista, proprio alla televisione cattolica  TV2000: «C’e’ un disegno che tutti noi abbiamo e devo ringraziare Dio per tutto quello che ho avuto». frati francescani di Bologna, dai quali Lucio andava a Messa, hanno ricordato che Dalla «aveva una sensibilità religiosa che gli faceva sentire la presenza di Dio nella natura e nella vita, era la fede di un uomo che, nonostante il successo, aveva fragilità personali vissute con dolore, sperimentava la fatica del vivere». Spiegano anche che la canzone “L’anno che verrà”, «l’aveva composta assieme a Padre Michele Casali in parlatorio». Anche “Avvenire” e “L’Osservatore Romano” lo hanno ricordato con belle parole.

La giornalista Lucia Annunziata lo ha invece insultato. Poche settimane fa ha rischiato di essere travolta dalla furia omosessualista per aver pronunciato questa frase in televisione: «Io avrei difeso Celentano anche se avesse detto che i gay vanno mandati nei campi di sterminio», ora sta cercando di redimersi invitando i gay nella sua trasmissione e attaccando Lucio Dalla per essere stato «vicino all’Opus Dei, ma di non aver mai mosso un passo per chi era gay, come lui». Eppure lo stesso Dalla disse di apprezzare il messaggio del fondatore dell’Opus Dei, San Josemaria, ma chiarì di non essere iscritto (lo ha confermato il portavoce del movimento ecclesiale). La giornalista ha poi attaccato la Chiesa: «Ti seppelliscono in cattedrale se non dici che sei gay», eppure -come ha detto don Chessa-, anche se Dalla fosse stato omosessuale non sarebbe stato diverso da chi commette altri peccati morali, come pecchiamo tutti noi. Oppure qualcuno vuole scagliare la famosa “prima pietra”? Ricordiamo che il grande Giovanni Testori, omosessuale e cattolico, non solo ricevette il funerale cattolico ma anche i ringraziamenti per la sua testimonianza di credente da parte del quasi beato mons. Luigi Giussani, che celebrò le esequie.  La Chiesa accoglie e aiuta tutti i peccatori, non respinge nessuno.

Rosy Bindi ha subdolamente approfittato della morte di Dalla per chiedere il matrimonio omosessuale (ogni occasione è buona, no?), mentre Aldo Busi, violento anticlericale e omosessuale, ha insultato Dalla, parole che Paolo Flores D’Arcais ha sottoscritto pubblicandole su Micromega: «Ho sempre pensato che Lucio Dalla fosse un checchesco buontempone, un chierichetto furbastro – le sue interviste sono un vero florilegio di banalità in ossequio alla morale comune e all’autorità costituita- e non basta la morte per cancellare la magagna del gay represso cattolico». Lo definisce «povero cristo scansafatiche indegno di altra attenzione», «indigesto, per amore della pila sapeva individuare bene dove andare a fare il baciapile». Concludendo: «Non so se le canzoni di Dalla sono belle o brutte, come ne sento l’attacco alla radio, spengo». L’Associazione Nazionale Sociologi e l’Osservatorio sui Diritti dei Minori hanno invece definito Aldo Busi un “pro-pedofilia”, dato che il laicista sostiene il diritto di fare sesso con i tredicenni e nel 1996 ha dichiarato: «ma da quando la pedofilia è un crimine? Io ho fatto di tutto! Se anche un adulto masturbasse un ragazzino, che male ci sarebbe?». All’altro omosessuale militante, Franco Grillini, che sta strillando contro la Chiesa come una zitella, perché avrebbe vietato le canzoni durante il funerale per il fatto che Dalla era omosessuale, ha risposto invece Alfonso Signorini«Ma che discorsi sono? Io sono omosessuale e cattolico praticante, e conosco le liturgie..e non si è mai visto che a Messa venissero suonati canti profani». 

Fortunatamente in tanti stanno comunque condannato gli omosessualisti, perfino i radicali ironizzano sulla Annunziata, impegnata «a diffondere il vangelo dell’omosessualità dalle tribune televisive e dai tribunali di carta». Il “Corriere della Sera” ha parlato di «tentativo, goffo e fallimentare, non privo di un certo bigottismo laico», perfino il teologo ateo Vito Mancuso ha difeso “a suo modo” la Chiesa. Michele Serra ha affermato che la Chiesa è offensiva perché all’inizio del funerale un sacerdote ha spiegato quel che in tutti i funerali si dice: “Chi vuole accostarsi alla Comunione deve essersi prima confessato”. Per Serra è stato un attacco agli omosessuali presenti ai funerali, ma è stato a lui risposto su “Europa”. Gli sciacalli omosessuali stanno anche polemizzando perché Marco Alemanno è stato definito semplicemente un “compagno”, ma ad essi ha risposto Benedetto Zacchiroli, carissimo amico del cantante, teologo e gay dichiarato: «La definizione di Marco Alemanno quale amico e collaboratore di Lucio Dalla, l’ho scritta io. Non c’entra niente Santa Romana Chiesa […] Io stesso non gli ho mai chiesto se fosse gay, né lui me l’ha mai detto. Sono stanco di questo modo “antico” di essere gay, di gente che pretende che uno si dichiari per poi strumentalizzarlo. Tra l’altro non è vero che se Lucio fosse stato gay dichiarato non gli avrebbero fatto i funerali in Chiesa. Non esiste nessuna “postilla” in questo senso. Quanto poi alla liturgia era quella delle domenica di Quaresima. Nessuno della famiglia ha mai chiesto che ci fossero le musiche di Dalla. E’ stata una cerimonia sobria, come lui avrebbe voluto».

Infine, l’ultima questione: qualcuno continua a insistere comunque che Dalla fosse omosessuale, ma a rispondere è lo stesso artista in un’intervista datata ad una rivista per gay: «Non mi sento omosessuale, ma veramente, spero che lo capisca. Non mi sento omosessuale e mi sembra imbecille che dica di esserlo e mi sembrerebbe ancora più imbecille se mi sentissi omosessuale e non lo dicessi […] la mia cultura non è una cultura omosessuale, il mio modo di organizzare il lavoro non è omosessuale […]. Ho un grande rispetto per gli omosessuali come per tutti gli uomini in genere anche per quelli che in realtà mi sembrano miei nemici» (qui l’intervista integrale). Informiamo anche che “il Corriere della Sera” ha pubblicato le dichiarazioni degli amici più stretti di Lucio Dalla: «Mi sorprende che una giornalista seria come Annunziata abbia parlato con tanta sicurezza e leggerezza di cose che non sa. Ha delle informazioni private? Io ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere Lucio più di trent’anni fa e di aver lavorato accanto a lui per venti anni, eppure non mi sentirei di affermare con sicurezza quello che ha affermato Annunziata», dice Bruno Sconocchia, il manager di Dalla. Su Marco Alemanno invece -la persona che negli ultimi anni è stata più vicina al cantante-, il manager dichiara: «La ragazza che è stata tutto il tempo accanto a lui in chiesa è la sua compagna da anni. Lo sa questo Annunziata?».

Insomma, un’altra occasione in cui la Chiesa esce a testa alta dimostrando che non è come viene solitamente descritta, un’altra conferma di quanta ideologia ci sia nei giochini laicisti-omosessualisti. Peccato che non si possa stare in silenzio a salutare e celebrare un grande uomo (omosessuale o eterosessuale che sia), senza il continuo disturbo delle varie lobby.

 

 Qui sotto Giuliano Ferrara, perplesso di fronte al rancore verso Lucio Dalla e la Chiesa (anche sul nostro canale Youtube)

AGGIORNAMENTO 7/03/12
Simone Baroncini, cugino di primo grado di Lucio Dalla, ha risposto così ad un giornalista che chiedeva dell’omosessualità del cantante: «Lei è di Bologna? E sa con certezza che Lucio fosse gay? L’ho visto spesso con delle donne, mentre pur essendo stato in vacanza con lui alle Tremiti (anche con Marco Alemanno) non ho mai notato più di un profondo affetto fraterno, anzi, paterno da parte di mio cugino nei confronti dell’amico e collega». Le voci sulla sua omosessualità nascono «dal fatto che nella sua vita ha convissuto spesso con degli uomini, come fu per Ron e come era fino a qualche giorno fa con Marco, che ha sempre presentato come amico. Fra l’altro Alemanno è fidanzato con una ragazza. Non l’ha vista la giovane donna che gli stava al fianco durante i funerali?».

Mario Luzzatto Fegiz, critico musicale e firma storica del “Corriere della Sera” scrive: «Il coming out è roba da militanza anni ’70, decisamente anacronistico. Chapeau a Lucio Dalla quindi». E ancora: «Quello che sto vedendo attorno alla morte di Dalla ha l’aspetto di un bidone di spazzatura. Mi riferisco ai comportamenti associazioni gay, dei gay piu’ o meno famosi e di quei giornalisti da operetta come l’Annuziata che invece di rispettare un uomo e un grande artista scomparso, strumentalizzano la sua morte per promuoversi, per farsi pubblicità per attaccare (come sempre) la chiesa. Sono spregevoli. Di fronte ai morti si prega».

L’ateo e anticlericale Aldo Busi ha rincarato la dose contro Dalla: «Un uomo gay di nascosto e massimamente se uomo pubblico […] mi indigna fino a provarne schifo e, proprio come un evasore, lo costringerei ad andare in giro con la gogna al collo»

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Studio USA: il divorzio danneggia i figli ed indebolisce la società

Secondo un recente studio statunitense, il divorzio indebolirebbe tute le principali istituzioni della società. La ricerca condotta da Patrick F. Fagan ed Aaron Churchill tocca una serie di ambiti: primo fra tutti la relazione con i genitori. Si legge infatti che “lo stress causato dal divorzio danneggia il rapporto madre-figli nel 40% delle madri divorziate. Questa carenza è più marcata quando i figli sono al liceo e all’università”. Secondo lo studio, inoltre, “quasi la metà dei bambini – che nel 90% dei casi vivono con la madre – ha dichiarato di non aver visto il padre nel corso dell’ultimo anno”.

Il dramma relazionale si ripercuote anche sull’educazione religiosa che, da quanto emerge, è accolta con meno interesse. L’abbandono della fede, oltre ad escludere un rapporto personale con Dio, impedirebbe l’interiorizzazione di quei valori che maturano l’identità sociale dell’individuo: l’amore coniugale, l’impegno sociale, l’importanza di un lavoro, la salute fisica e mentale. Ma gli effetti del divorzio si abbattono anche sul rendimento scolastico che registra un calo significativo a partire dalla scuola elementare. Secondo lo studio “i figli di coppie divorziate hanno il 26% di probabilità in più di abbandonare la scuola secondaria”. In un sondaggio, citato nello studio, condotto su studenti della settima e dell’ottava classe (seconda e terza media nel sistema italiano) la separazione dei genitori rappresenta il terzo evento più stressante su una scala di 125, preceduto solamente dalla morte di un genitore o di un parente stesso. “Il divorzio – così concludono i ricercatori – indebolisce la società, la famiglia, la chiesa, la scuola e lo stesso governo”.

In uno studio pubblicato su “American Sociological Review” nel 2001 si è dimostrato come per i bambini «il divorzio prevede più bassi livelli di benessere psicologico in età adulta». Nel 2010 sul “Canadian Medical Association Journal” si è rilevato che «il divorzio offre il doppio di probabilità di ictus ai figli». Nel 2011 ricercatori italiani hanno dimostrato che la separazione dei genitori quando si è ancora bambini, comporta gravi problemi respiratori in età adulta, sempre nel 2011 una ricerca ha dimostrato il maggiore tasso di suicidi per i figli dei divorziati. Uno studio autraliano ha invece sottolineato un peggior benessere psicologico dei bambini con genitori single o divorziati. Sono da sottolineare due articoli in merito su “Vatican Insider” e “La Bussola Quotidiana”.

A questo punto verrebbe da chiedersi se, di fronte ad una questione di semplice buonsenso, ci sia bisogno di un costoso rapporto statistico. In un’epoca di grandi innovazioni che sembra aver perduto il senso innato delle cose, la risposta è sì. Purtroppo anche l’ovvio va confermato. Va comunque rilevato che ancora una volta la ricerca scientifica avvalora la lungimirante posizione della Chiesa contenuta nel Catechismo: «Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte. Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno. Il carattere immorale del divorzio deriva anche dal disordine che esso introduce nella cellula familiare e nella società. Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale».

Filippo Chelli

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Margherita Hack vuole insultare la religione, in parrocchia e di Venerdì Santo

A Benedetto XVI è stato impedito di partecipare ad un invito presso l’Università La Sapienza, ma la papessa atea, Margherita Hack, pretende di criticare la Chiesa in una sala parrocchiale il giorno del Venerdì Santo. I membri del consiglio parrocchiale, assieme ad uno comunale, hanno tuttavia respinto la richiesta e in questi giorni è scattata la ben collaudata macchina del fango contro la Chiesa, la quale passa ancora una volta per intolleranza.

E’ un bel giochino organizzato da associazioni laiciste e dall’assessore Roberto Guardagnini per mettere in difficoltà la parrocchia, quest’ultimo infatti, dichiaratamente laicista, sapeva bene –spiega “Avvenire”– che la sala parrocchiale «non è disponibile per proiezioni e manifestazioni apertamente in contrasto con l’insegnamento cristiano». Ha quindi voluto dare risalto alla cosa invitando la Hack a presentare in prima nazionale il suo nuovo libro contro la bioetica cristiana nel piccolo paesello in provincia di Trento, proprio all’interno del teatro parrocchiale e proprio il giorno in cui i cattolici ricordano la Passione di Cristo. Uno scherzo mica male, «Guardagnini ha potuto fare la vittima. Bastava si rivolgesse, a due chilometri, al prestigioso e laico auditorium Rotari, alla Cittadella del vino», conclude il quotidiano della CEI.

Ma chi è Margherita Hack? E’ una scienziata? Ma scienziato è chi fa ricerca e la Hack ha fatto poco nulla, né ha mai scoperto qualcosa. E’ stata semplicemente una docente di astrofisica, come tante altre, ha diretto molto bene l’Osservatorio Astronomico di Trieste, nulla di più. E’ decisamente sconosciuta all’estero e in Italia la si ricorda più per le sue posizioni violente e ideologiche che per l’attività scientifica. Viene comunque divinizzata, qualcuno vorrebbe appendere il suo faccione nelle scuole come simbolo stesso della Scienza. La Hack è diventata nota alle telecamere nel 1971 quando firmò il manifesto contro il commissario Luigi Calabresi (definito “torturatore”), da allora si è mescolata alla militanza politica nei comunisti italiani, alla protezione da parte dei media e l’aura di sacralità le è stata automaticamente cucita addosso, come si fa per imbalsamare i miti. E’ arrivata perfino a chiedere la cittadinanza onoraria di Firenze al terrorista curdo Abdullah Ocalan. La signora Hack, donna intelligente, non ha sempre accettato di essere strumentalizzata: proprio l’anno scorso ha aperto al nucleare, divenendo «da guru dei girotondini a mito da rottamare», nel 2011 ha fatto inorridire gli invas-atei che la seguono affermando«Scienza e fede possono benissimo convivere […] È quello che dico sempre, anche essere atei, come essere credenti, è una fede». Su Facebook la definiscono “Maga Magò“, la “Vanna Marchi del nucleare” e “Margherita Crack“, e anche i gruppi contro di lei sono triplicati: qui, qui, qui ecc. Qualche duro colpo gliel’hanno rifilato anche i suoi colleghi (loro sono in attività), correggendo più volte gli innumerevoli errori scientifici (anche grossolani) che pullulano nei suoi libri. La sua visione del mondo è sempre rimasta fortemente scientista e ormai anacronistica, recentemente è stata definita (assieme al suo compare Odifreddi) «nipote ritardata del positivismo». L’astrofisico italiano Paolo Maffei-, lui davvero scienziato-, cattolico e praticante, si è spesso lamentato con la Hack , perché la collega si serve da anni della scienza per negare la fede, mentre lui non ha mai voluto usare la scienza per difendere la sua fede. Due approcci diversi, molto significativi: il primo fondamentalista e il secondo laico.

Come dicevamo all’inizio, oggi la ex astrofisica vorrebbe entrare nella sala parrocchiale di Mezzolombardo (Trento) per insultare i credenti, la religione e la Chiesa, accusandola senza alcun contraddittorio di essere retrograda, promuovere l’eutanasia, l’aborto, l’omosessualità, la fecondazione artificiale e tutte le belle cosine che ha in mente. Oltretutto, non in un giorno qualsiasi, ma il 6 aprile, ovvero il Venerdì Santo. Uno dei membri parrocchiali, Andrea Bezzi -che è anche preside delle scuole primarie “Darwin” di Mezzolombardo- ha detto: «Nel regolamento del teatro è spiegato chiaramente che spettacoli che possano ledere la sensibilità cattolica non saranno ospitati al San Pietro. Come dirigente scolastico del personaggio invitato alla serata non ho nulla da dire. Anzi, esprimo la mia massima stima alla Hack come astrofisica e, se venisse a parlare di questi temi, la ospiterei anche a scuola. Ma come cattolico, nel ruolo che al momento rivesto, sono chiamato a prendere posizione […]. In questo libro la Hack prende una posizione dura nei confronti della religiosità. A titolo personale, credo che la serata si potrebbe fare, ma non di venerdì santo, data che escluderebbe di fatto i cattolici, e con un contraddittorio». Condividiamo la posizione espressa anche su Italia Oggi, ci viene da ridere invece  a leggere che il sostegno alla Hack arriva perfino dal leader dei satanisti italiani Marco Dimitri, che la definisce: «Quanto di più prezoso abbiamo […]. Una stella che guarda le stelle». Pensate quanto è strumentalizzata questa vicenda!

La Hack a tutto questo ha risposto dicendo: «Certamente la decisione è un esempio di fondamentalismo religioso, ma ripeto, cadendo proprio il Venerdì santo, si può capire il punto di vista del comitato parrocchiale. Comunque non ne faccio una tragedia: a giugno compirò novant’anni, ne ho fatto talmente tante di conferenze in giro che quel giorno posso anche starmene a casa mia a studiare ancora». Ecco brava, ad insultare la Chiesa sarai ben accolta nei vari circoli laici oppure puoi startene pure a studiare a casa tua…, non sia mai che il celebre fisico -lui per davvero- James Clerk Maxwell avesse ragione: «Solo coloro che pensano a metà diventano atei, coloro che vanno a fondo col loro pensiero e vedono le relazioni meravigliose tra le leggi universali riconoscono una Potenza creatrice» (citato in “Discussioni sulla fisica moderna”, Boringhieri 1980, pag. 26).

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Sottolineare la differenza tra l’uomo e l’animale è sempre più necessario

Esiste oggi una forma di animalismo sfrenato che è davvero deleteria. Non si parla certo di chi difende e protegge gli animali dalla inutile violenza, cosa di grande valore e sensibilità, ma l’accusa è verso quella forma di fanatismo che diventa un vero accanimento verso l’uomo, ritenuto “cancro del pianeta”, un ritorno al panteismo o alla devozione di una Terra Madre (Gea). Ovviamente la componente laicista della società ne approfitta per diffondere il riduzionismo dell’uomo all’animale, si veda ad esempio il pensiero di Singer, Dawkins, Zapatero, Hack, Veronesi. Proprio quest’ultimo ha parlato qualche giorno fa di scimmie come «nostri fratelli e sorelle». Il loro scopo è sempre lo stesso: denigrare la Creatura per negare il Creatore. Contro questo isterico eco-animalismo si è scagliato di recente il filosofo laico Fernando Savater.

E’ evidente che oggi, purtroppo, difendere l’eccezionalità dell’uomo viene oggi visto come una discriminazione diretta degli animali, un preludio per una loro discriminazione. Ma questa è una deduzione folle e completamente ingiustificata: esistono tantissimi cattolici vegani, vegetariani e ambientalisti e con maggiore sensibilità di altri circa le sorti del Creato. Cattolici che si battono per interrompere le crudeltà verso i suini e cattolici che propongono l’ambientalismo blu, altri invece che preferiscono usare il loro tempo per assistere gli uomini, i bambini, gli anziani e gli ammalati. Ognuno fa il suo, senza nessuno fondamentalismo, senza voler paragonare l’uomo all’animale (anzi, solo certi animali, quelli più teneri) o estendere loro i diritti umani. Questa è pura antropomorfizzazione.

In proposito, il filosofo Tommaso Scandroglio ha ottimamente commentato una recente vicenda giudiziaria tra alcune orche e i proprietari di tre grandi parchi acquatici americani. Gli avvocati di Peta (People for Etichal Treatment of Animals) hanno trascinato in giudizio questi ultimi perché le orche sono ridotte in schiavitù dato che sono state tolte dal loro ambiente naturale, sono costrette a nuotare in piccole vasche e obbligate – come se fossero lavori forzati – ad esibirsi per il divertimento di noi uomini. Questo cozzerebbe con il 13° emendamento della Costituzione americana che vieta la schiavitù e i lavori forzati. Le orche, dicono, non devono essere lese nella loro libertà “personale”, ma devono far ritorno nell’Oceano. I giudici hanno tuttavia respinto la richiesta stabilendo che l’emendamento si applica solo agli esseri umani: «Nella storica frase “We the people…” (“Noi, il popolo…”) nessuno alludeva alle orche». Attenzione: certamente ci sono situazioni in cui in questi parchi acquatici gli animali vengono maltrattati, e quindi è opportuno vigilare come fanno questi attivisti, ma è la strategia usata ad essere assurda, proprio in quanto si è tentato di difendere gli animali paragonandoli agli uomini.

 

Il filosofo ha fatto alcune considerazioni molto interessanti da cui abbiamo preso spunto per smontare questa ideologia fanta-ecologista disumana, nel vero senso della parola.

1) PERCHE’ SOLO ALCUNI ANIMALI? PERCHE’ NON LE PIANTE?  “Le orche hanno dei diritti”, dicono. E’ possibile essere d’accordo, ma a patto che per non discriminare nessuno dovremmo riconoscere dei diritti non solo ai tenerissimi panda, ma anche a pulci, zecche, pidocchi, ragni, piccioni, topi, scarafaggi, formiche, mosche, zanzare ecc. Ma anche i batteri appartengono al regno animali, dunque se l’animale vale quanto l’uomo dovremmo smettere di curarci l’influenza o l’HIV? Bisognerebbe che questi militanti smettessero anche di girare a piedi o in auto per le loro battaglie, dato che ogni loro movimento comporta il massacro di milioni di animali (sotto le scarpe, sul parabrezza ecc.). E perché poi discriminare le piante? Questi fanatici, aggressivi verso chi non è vegetariano, fanno scorpacciata di vegetali, anche se è dimostrato che vi sia in essi attività neurologica e, addirittura, gli ortaggi comunicherebbero tra loro lanciandosi richieste di aiuto. Magari quando scorgono in lontananza Michela Brambilla o Margherita Hack? Il diritto delle piante dove va a finire?

2) ESTENDERE LORO ANCHE DIRITTI MINORI? Se le orche hanno diritto alla libertà ciò comporta necessariamente riconoscere riconoscere loro anche diritti minori o di pari importanza: diritto di compravendita, di voto, alla pensione, di coniugio, etc. Tutte modalità attraverso cui la libertà di un individuo si esprime e che quindi non possono essere negate.

3) RICADUTE TRAGICOMICHE? Se la sentenza americana avesse avuto esito positivo le ricadute sarebbero state tragicomiche: obbligo di tutti i possessori di bocce in vetro contenenti pesci rossi di sversare il contenuto in mare o nel lago. Anche cardellini, fringuelli, pappagalli e canarini avrebbero visto aprirsi le porte delle loro gabbiette a motivo di questo animalesco indulto (per entrambe le specie ovviamente il risultato sarebbe stato la morte improvvisa dato che sono animali domestici). Da qui ovviamente il divieto perpetuo di trasmettere il cartone animato Gatto Silvestro perché il canarino Titty dietro le sbarre avrebbe sicuramente configurato apologia di reato. Infine il dubbio: forse che anche l’amato cane Fido implicitamente ci chiede di lasciarlo in mezzo ad una strada per ritornare libero allo stato brado condizione originaria dei suoi lontani progenitori, piuttosto che restare legato ad un guinzaglio impacchettato in un maglioncino rosso. Però se lo facessimo saremmo di certo travolti dall’ira di una pletore di animalisti convinti. Insomma ci troveremmo tra due fuochi: Fido libero o ridotto in schiavitù ma non abbandonato? Un’altra domanda: ama di più i pesci o i pappagalli chi li tiene nell’acquario/gabbietta o chi li lascia liberi nel loro ambiente?

4) AVERE DEI DIRITTI COMPORTA DEI DOVERI Se vogliamo estendere agli animali i diritti destinati agli uomini, questa stessa libertà per forza di cose comporterà delle responsabilità. Da che mondo è mondo se io uomo uso male della mia libertà dovrò pagarne le conseguenze: libero di andare in giro in auto, ma se investo una persona me ne assumerò le conseguenze anche legali. La dolce Tilly, una di queste cinque orche, in passato ha sbranato ben due dei suoi addestratori. Nulla di scandaloso: ci sarà pur un motivo se questi cetacei in inglese sono conosciuti con l’appellativo di killer whales. Essendo in America però la nostra Tilly si meriterebbe un’immensa sedia elettrica. In Italia, a Livorno, un branco di cani ha sbranato in questi giorni un camionista, padre di famiglia. Un cane non randagio, addomesticato e “amico dell’uomo” ha massacrato un bimbo di 9 anni nel 2008, nel 2009 la stessa sorte è toccata a un bimbo di un anno, pochi mesi fa un neonato è morto dopo l’aggressione del cane dei genitori. Di fronte a tutto questo, chi invocasse la scriminante “l’animale è innocente perché è l’istinto ad averlo costretto ad agire così”, entrerebbe in palese contraddizione:  se è l’istinto a presiedere alle azioni degli animali, allora dobbiamo concludere che i loro atti sono determinati da madre natura e quindi non sono liberi, come quelli umani. Ma allora significa che cagnolini e orche sono schiavi dell’istinto. E dunque, che senso ha berciare tanto nel difendere i loro diritti “umani” di libertà? Oppure vale anche il contrario: dato che si vuole ridurre l’uomo ad un animale sociale, come la formica o la scimmia, perché non esigiamo che il trattamento di impunità riservato agli animali sia esteso anche agli assassini della nostra specie?

In questo periodo storico in cui ci si batte così tanto per valorizzare le differenze quando si parla di omosessualità, esiste una violenta oppressione verso chi valorizza la differenza tra uomini e animali o, nel campo umano, tra maschi e femmine. Un altro incredibile paradosso?

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Il Papa veste Prada? No, era una bufala

Una delle prime fake news contro Benedetto XVI. Vestirebbe scarpe Prada e indosserebbe abiti firmati ed un anello d’oro che sfamerebbe l’intera Africa. Tutto falso, ovviamente.

 
 
 

La prima bufala contro Benedetto XVI è apparsa pochi mesi dopo la sua elezione al soglio pontificio.

L’autore è stato il quotidiano La Repubblica citando il britannico Independent.

La “notizia” è che il Papa avrebbe indossato per il suo pontificato «occhiali da sole dal design moderno e giovanile, dotati di lenti ampie e fascianti, portati anche durante udienze particolarmente assolate; cappello da baseball di colore bianco con la visiera calata sulla fronte» e «un paio di mocassini rossi firmati Prada, casa di moda tra le più esclusive».

Anche se poi, si precisa: «L’azienda non conferma». 

Questo era lo scoop a cui hanno abboccato decine e decine di siti web e blog e la notizia si è trascinata negli anni.

La leggenda è stata così confezionata: il Papa veste Prada, vive nel lusso, è servito e riverito mentre nel mondo c’è gente che muore di fame.

 

Benedetto XVI veste Prada? No, semplici mocassini rossi.

Nel 2008 l’Osservatore Romano ha provato a smentirla, ottenendo pochi risultati purtroppo. Lo stesso ha provato a fare l’Ansa nel 2010.

Di recente si è tornati sulla questione grazie ad una pagina Facebook dedicata proprio al Pontefice.

Si riporta la notizia che è il sarto novarese Adriano Stefanelli a produrre le scarpe papali, rosse ad indicare il sangue del martirio, che fanno parte dell’abito del papa fin dal Medioevo e da allora sono indossate da ogni pontefice. Nessun costo, dato che Stefanelli afferma: «Io le mie scarpe al Papa le regalo, perché a volte la passione paga più del denaro».

Le sue relazioni con il Vaticano, si legge, hanno avuto inizio nel 2003 quando, assistendo in tv alla Via Crucis, vide Giovanni Paolo II malfermo e sofferente, e decise di confezionargli un proprio paio di scarpe, a suo dire più comodeE così dev’essere stato, poiché da allora ha continuato a produrle anche per Benedetto XVI.

E quando sono rovinate? Le butta via e se ne fa dare di nuove? Assolutamente no, il Papa le invia a Antonio Arelllano, un peruviano che ha il suo negozio a due passi dal Vaticano e le fa riparare. Ovviamente a pagamento.

 

L’anello d’oro di Benedetto XVI sfamerebbe l’Africa intera?

Si affronta anche il tema dell’insopportabile moralismo sull’anello d’oro indossato dai Pontefici. Un anello, dicono convinti gli anticlericali, che varrebbe migliaia di miliardi che, se venduto, “sfamerebbe l’Africa intera”. Diciamoci la verità…chi non ha mai sentito questa frase?

Eppure si tratta di semplice oro, ha la grandezza e dunque il valore commerciale di due fedi nuziali, e viene usato, come timbro, per sigillare ogni documento ufficiale redatto dal Papa.

 

Lasciamo le conclusioni all’ottimo autore dell’articolo: «Sparare sulla Chiesa è facile come farlo sulla Croce Rossa. La Chiesa, quando pure risponde, lo fa a parole. Non va oltre, non trascende, non querela, non denuncia. Dunque non si rischia nulla ad attaccare la Chiesa, e per di più si fa la parte degli emancipati, dei liberi di pensiero».

E poi, ha proseguito il debunker della fake news, «non trovano neppure contraddittorio: la stragrande maggioranza dei cattolici sono disinformati, apatici nella loro fede, ben lieti di credere al primo anticlericale della strada piuttosto che al loro Papa. E quelli tra di essi, che pure la verità la conoscono, il più delle volte tacciono, o parlano con un filo di voce, per non apparire bigotti, per non contraddire il pensiero dominante».

Questa bufala delle scarpe Prada, «è una delle tante dimostrazioni di come la mentalità corrente sia dettata da luoghi comuni, falsi, e pregiudizievoli, e come coloro che credono di essere informati e autonomi nel giudizio in realtà siano i più pilotati dai menzogneri dell’anticlericalismo di professione o schiavi della loro stessa ideologia».

La redazione

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Come l’uomo può salvarsi dalla secolarizzazione?

Anche in Italia è arrivata un nuovo tipo di dipendenza, quella da sovraesposizione da internet. Una forma che porta a ”sentimenti compulsivi, isolamento sociale, dipendenza patologica e perdita di contatti reali”, questo perché l’uomo secolarizzato non può che divinizzare tutto, esasperare tutto. La risposta al senso della vita lo si cerca “a tentoni” ovunque, finendo per incaponirsi su cose che non possono rispondere. Oggi c’è l’illusione che la risposta possa arrivare dalla scienza, dalla tecnologia, dal moltiplicarsi di conoscenti sui social network. Ma, come accade seguendo tutti gli idoli, il danno è ancora maggiore.

Lo ha spiegato con lucidità Carlo Buttaroni, presidente dell’Istituto di ricerca Tecnè, sul quotidiano “L’Unità”: «Ci siamo illusi che la tecnologia sarebbe stata capace di dare risposte alle nostre esigenze di relazioni. Un’aspettativa che abbiamo pagato a caro prezzo. Perché insieme alla crescita della complessità tecnologica si è diffusa anche una cultura del risparmio emotivo che ha generato nuove forme di disagio sociale legate alla solitudine, all’apatia, alla malinconia […]. La solitudine dell’io-globale nasce dall’aver creduto che medium potenti avrebbero risparmiato la fatica della ricerca interiore e della relazione con l’altro». L’aver generato tante monadi impaurite, è il frutto più letale dei Paesi secolarizzati e relativisti, dove oggi più di un terzo degli abitanti (Europa occidentale) soffre di disturbi psicologici. L’uomo che ha rinnegato un senso ultimo alla vita non riesce più a dare un senso adeguato nemmeno al presente, che diventa una serie slegata di infiniti  istanti: «Tutto ciò», continua il ricercatore, «ha ricadute nella capacità di percepire gli eventi della vita come una trama dotata di senso, mentre si affermano esperienze di vita in cui in ogni istante è autonomo, separate dal mondo, con momenti che non si legano a quelli che li hanno preceduti e a quelli che li seguiranno. La vita è percepita come una serie di tante esperienze parallele, che non s’intrecciano e non si legano, che non costituiscono una narrazione». 

Si scorge da queste parole l’inconsapevole parallelo con quanto affermato un anno fa da Benedetto XVI: «La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzione a evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio profilo pubblico». Tornando all’analisi del ricercatore italiano, egli continua la sua sottolineatura del disagio vissuto dall’uomo moderno: «quello che conta è vivere ogni momento di vita in modo funzionale, adeguato alle esigenze che quel momento richiede. Tutto questo mette in crisi la dimensione dell’identità degli individui e la possibilità di sviluppare progetti di vita, perché progettare significa selezionare nel presente ciò che è coerente con il passato e soprattutto con le attese e gli obiettivi futuri. E tale selezione non può avvenire in una concezione del tempo in cui ha senso solo ciò che offre il presente e un determinato contesto, dove tutto prende forma in un universo funzionale e stabilizzato, dove cresce, per dirla con Bauman, “la solitudine del cittadino globale”, la sua insicurezza di fronte alle nuove incertezze. Ed  è paradossale trovarsi costantemente esposti al rischio della perdita di se e del senso della vita, nello stesso istante in cui il pensiero scientifico insegue l’immortalità».

Buttaroni non offre come soluzione il ritorno al mistero della realtà, al riavvicinarsi alla proposta cristiana. Egli, dopo aver analizzato bene la situazione attuale, parla di una vaga esigenza di «cambio di vita e di prospettiva verso un nuovo ordine di valori e di riferimenti. Si sente la necessità di parole che spieghino la vita che viene avanti, la solitudine e la sofferenza dell’altro, in una visione che restituisca significato alla vita e allo stare insieme […] Un “nuovo inizio”» che unisca l’uomo «ai suoi simili all’interno di un progetto e una trama dotata di senso che è appunto la storia». Un ipotetico scenario, dunque, in cui l’uomo possa riposare sentendosi parte di una comunità e potendo dare un senso compiuto alla vita e alla storia. Ma questo, per noi cristiani, non è forse quello che già viviamo nella Chiesa? Anche Leopardi, anche Pascoli desideravano la stessa cosa e il teologo Luigi Giussanicommentando i loro poemi– ha scritto giustamente: «Il Verbo si è fatto carne, venne fra i suoi  e i suoi non se ne sono accorti. Ma l’uomo senza quella risposta rimane nella vita ultimamente irresoluto, anche se febbrilmente pieno di iniziative, a guardia del nullo abisso […]. Nel grande enigma il terribile frutto è la solitudine, e nella solitudine la paura». La soluzione all’enigma, cioè all’esistenza senza Risposta ultima, non è creare infiniti rapporti virtuali,  non è stringersi impauriti gli uni agli altri -come “I due orfani” di Pascoli- per sperimentare «l’unico tepore che può attutire il gelo dell’enigma universale», come scrive ancora Giussani. Il cristiano può offrire come unica risposta allo smarrito uomo moderno la stessa che ha dato Gesù ai primi due discepoli: «Venite e vedrete»  (Gv 1, 38).

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Crescono gli obiettori perché i medici si accorgono chi è l’embrione

È dello scorso 3 febbraio l’intervista, comparsa sulla testata online “Ilsussidiario.net” al giurista Filippo Vari, professore straordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma, ove insegna anche Istituzioni di Diritto pubblico, su un tema di estrema attualità: quello dell’obiezione di coscienza.

Il sito esordisce ricordando alcuni dati, che abbiamo pensato di riportare anche qui (i dati sono riferiti alla regione Lombardia): –ostetrici obiettori di coscienza: 64%; anestesisti obiettori di coscienza: 42%; infermieri obiettori di coscienza: 43%. L’idea dell’intervista è sorta dalla dichiarazione della consigliera di Sinistra e Libertà, Chiara Cremonesi, secondo la quale sarebbe necessario eliminare l’obiezione di coscienza. L’articolo si apre subito con una domanda ed una risposta fondamentali, il cui verdetto è la constatazione dell’inesistenza del diritto ad abortire: «Il legislatore ha previsto che esclusivamente in presenza di determinate condizioni la donna possa interrompere la gravidanza volontariamente», ha affermato il giurista. Riguardo, invece, l’obiezione di coscienza, questa «è anch’essa un diritto, che ha fondamento costituzionale. La Consulta ha, infatti, sottolineato più volte che la proiezione della coscienza individuale ha tutela in virtù, in particolare, dell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo. Oltretutto anche la legge 194 prevede tale diritto. Il personale sanitario, quindi, non può essere obbligato a compiere un atto così grave. L’importanza dell’obiezione di coscienza, oltretutto, è stata riconosciuta anche, di recente, in sede europea, in particolare, in una risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa», e non esistono deroghe se non in caso «l’intervento del personale sanitario sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo».

L’intervistatore chiede dunque chiarimenti sul motivo per cui il numero di obiettori sia aumentato negli ultimi anni, e sul sospetto di condizionamenti da parte delle strutture sanitarie espresso dalla Cremonesi: la risposta è semplice, secondo Vari: «Il dato dipende da altri fattori: le moderne tecnologie rendono sempre più evidente come la vita sia tale sin dal concepimento. Chi è medico difficilmente non se ne accorge». Per cui il giurista arriva alla conclusione che «eliminare o restringere l’obiezione di coscienza sarebbe un atto estremamente grave. Obbligherebbe i medici a comportarsi come automi, a esercitare la professione in contrasto con la propria coscienza. Oppure determinerebbe delle discriminazioni inaccettabili, fondate sulle convinzioni personali dei medici, vietate da ogni normativa vigente».

Michele Silvi

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