Nuovo studio: per chi vuole l’eutanasia i pazienti sono “meno vivi”

Alcuni professori del dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova e di quella di Tubinga (Germania) hanno pubblicato uno studio riguardante la percezione che le persone hanno dei pazienti che si trovano in uno stato vegetativo o comunque in stati di coscienza ridotta.

Lo scopo principale era verificare se le posizioni sul fine vita fossero principalmente guidate dai principi morali e religiosi in cui le persone credono. Difatti, come atteso, tanto più le persone abbracciano un principio morale di tipo laicista tanto più considerano appropriata la richiesta di un paziente che chieda, o aveva chiesto da cosciente, l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione. Al contrario, tanto più le persone abbracciano un principio morale che ritiene sacra la vita, tanto meno ritengono che tale richiesta del paziente sia da soddisfare.

Un risvolto di questo studio interessante è la rilevazione di un forte pregiudizio: la concezione di vita e morte non dipende da dati oggettivi, ma da un giudizio di valore precedente: indipendentemente dalle decine e decine di risvegli, tanto più le persone credono nel principio della “libera scelta”, tanto più percepiscono come morti (dovevano dare alla condizione di morte un punteggio) i pazienti affetti da malattie in cui la coscienza è assente o gravemente compromessa, anche se alcune funzioni sono vitali. Non è più dunque la considerazione dei dati (sintomatologia, descrizione nosografica), a fare la differenza, ma il pregiudizio personale. La percezione dello stato di vita/morte dei pazienti non cambia invece, in funzione della patologia, per coloro che ritengono che la vita sia “sacra”.

In tempo di dittatura del relativismo, anche la vita e la morte non sono più condizioni assolute, se è vero che una persona può percepirne un’altra come “parecchio morta”.

Linda Gridelli

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Varese: la lobby omosessuale colpisce ancora

La lobby omosessuale continua a colpire: i buttafuori di una discoteca di Varese hanno allontanato dei ragazzi omosessuali molesti e immediatamente tutte le agenzie di stampa hanno riportato un’unica versione:  «Sette ragazzi vittima di un’aggressione omofoba da parte della security di un locale». Paola Concia (PD) e tutti i leader omosessualisti hanno sfruttato il caso per chiedere una   legge contro l’omofobia (stranamente si sono limitati a questo senza domandare anche l’adozione omosessuale).

Si racconta che i buttafuori della discoteca JustIn di Luino abbiano “identificato” gli omosessuali (tra cui il presidente provinciale dell’Arcigay di Verbania), li abbiano massacrati di botte e buttati fuori dal locale.  Basta però andare sui quotidiani locali, per osservare la diversità di posizioni. Su “Ininsubria: «gay picchiati in discoteca? Storia tuta da verificare», la dinamica è diversa: l’unico soggetto ad avere riportato delle contusioni è un operatore della discoteca, la vicenda sarebbe nata a causa di un ragazzo omosessuale che stava ballando sul cubo e che non voleva lasciare il posto alla ballerina del locale. Anche su “Varesenews” il racconto è diverso da quello dei quotidiani nazionali ossessionati dall’omofobia: «Caso di omofobia o semplice rissa tra ragazzi in discoteca?», ci si chiede. Si sottolinea come sui media si parla di “gravissima aggressione” e dall’altra si sottolinea che «nessuno ha sporto denuncia contro i buttafuori del locale». In un secondo articolo c’è la ricostruzione precisa dei fatti da parte della società che gestisce il locale. Stranamente il sito laicista “Giornalettismo” assume una posizione equilibrata, dando spazio alle dichiarazioni dei responsabili che affermano: «Il JustIn invece ospita le serate gay di Plastic» (devono farlo per non essere etichettati come omofobi?), e poi si dicono pronti a mostrare le riprese video di quanto accaduto per smentire le ricostruzioni dell’Arcigay. Ora si capisce perché non ci sia nessuna denuncia, il caso serviva solo per continuare il vittimismo omosessuale sui quotidiani, i quali si guardano bene però dal riportare, ad esempio, che i dipendenti omosessuali di Google vengono maggiormente pagati, discriminando così gli eterosessuali.

L’intento di strumentalizzare ancora una volta un evento (come per la morte di Lucio Dalla) per motivi politici è chiaro (rovinando anche l’immagine della discoteca di Varese), oltretutto si ritorcerà loro contro nei veri casi di omofobia, quando pochi vorranno dare loro retta. La legge che vuole un’aggravante specifica per gli atti offensivi contro l’omosessualità serve a incutere terrore verso chi osa avere a che fare con gli omosessuali: significativo il caso nel 2007, quando una coppia omosessuale è stata lasciata libera di abusare sessualmente dei bambini dati loro in affido perché gli assistenti sociali hanno avuto paura di intervenire, temendo di essere accusati di discriminazione e omofobia. Ha ragione mons.  Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra: «i nuovi tentativi di creare diritti per minoranze non portano nella direzione giusta, nel senso che mentre vogliamo rispettare la dignità e prevenire violenza e discriminazione contro qualsiasi persona, incluse le persone che hanno un comportamento sessuale diverso, si vuole insistere sul fatto che i principi proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo già prevedono e già provvedono che non ci sia questa discriminazione, per cui arrivare a proporre eventualmente dei diritti particolari va a indebolire il principio dell’universalità dei diritti come è stata finora intesa». Perché, poi, una legge contro l’omofobia e non per chi riceve un’offesa a causa di una condizione di handicap, di malattia, di anzianità o di semplice costituzione fisica (alto, basso, calvo, grasso ecc..)? Inoltre, è la persona ad essere titolare di diritti, non la sua tendenza sessuale.

Ricordiamo infine che nessuno ha pensato di riportare queste discriminazioni da parte della lobby omosessuale: le minacce di morte all’intellettuale laica Melanie Phillips, la quale ha osato criticare sul “Daily Mail” i programmi educativi del governo che obbligano i bambini ad essere «bombardati dai riferimenti sugli omosessuali in ogni materia scolastica»le minacce di stupro verso la figlia del Senatore democratico Ruben Diaz Sr. che difendeva il matrimonio tradizionale, il violento agguato notturno al Sindaco di Madrid Alberto Gallardon, a sua moglie e ai suoi figli, perché aveva chiesto di diminuire il volume della musica durante il “Gay Pride”le bottigliate contro la manifestazione pacifica di “American Society for the Defense of Tradition, Family and Property” a New York, l’aggressione ai fedeli durante una funzione religiosa a Milano il dimezzamento delle stipendio di Adrian Smith, padre di due bambini, per aver scritto sul suo profilo Facebook privato che il matrimonio è “fra uomo e donna”, ecc.

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Leader dello Snap ammette: «contro la Chiesa abbiamo pubblicato notizie false»

Mentre il direttore generale della BBC, Mark Thompson, ammette tranquillamente che nelle sue reti televisive nel Regno Unito il cristianesimo viene trattato meno sensibilmente di tutte le altre religioni, David Clohessy, leader della SNAP, “Survivors Network of those Abused by Priests”, associazione anticattolica, fondata da Barbara Blaine, che si autodefinisce come il più grande gruppo di sostegno alle vittime di abusi da parte di religiosi (cattolici, of course), ha ammesso in una recente deposizione legale (2 gennaio, ma resa nota il 1 marzo) che, oltre a non aver mai controllato le licenze lavorative dei consulenti delle vittime alle proprie dipendenze, il gruppo ha pubblicato informazioni false contro la Chiesa cattolica.

Sembrerebbe una situazione paradossale che i grandi accusatori dei casi di abuso insabbiati dalla chiesa siano pervicaci mentitori. Fu la SNAP, infatti, una delle parti mediaticamente più agguerrite nel far scoppiare nel 2010 il caso di padre Lawrence C. Murphy, accusato di abusi sessuali su una cinquantina di bambini sordomuti. L’associazione nel 2010 volle portare sul banco degli imputati – fatto cui diede eco internazionale il “New York Times” – direttamente i vertici del Vaticano, Ratzinger ed il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone, rei, secondo l’associazione, di avere occultato il caso negli anni in cui erano rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il mese scorso le accuse sono state completamente ritiratenel silenzio dei media. In seguito, nel 2011, la SNAP, nonostante i suoi stessi responsabili siano stati incriminati per possesso di materiale pedopornografico, ha presentato all’Aia addirittura un dossier con cui chiedeva che Benedetto XVI venisse processato per crimini contro l’umanità.

Clohessy, dunque, è stato chiamato a deporre presso la corte di Clayton in Missouri, per aver divulgato alla stampa fatti relativi al segreto istruttorio, con lo scopo di diffamare la Chiesa. Nella documentazione presentata alla Corte viene dichiarato che «l’imputato Padre Michael Tierney e la diocesi di Kansas City-St. Joseph sono stati diffamati nel comunicato pubblicato dalla SNAP», è ovvio che un linguaggio del genere non ha altre ragioni che quelle di «calunniare l’imputato nella pubblica opinione e in potenziali giurati – ergo compromettendo lo svolgimento di un giusto processo». Il direttore nazionale dell’associazione, dopo aver evitato di comparire in tribunale saltando numerosi appelli, è stato costretto a deporre il 2 gennaio scorso. Per anni Clohessy ha accusato la chiesa di “evitare le domande difficili”, ma, alla sbarra, sentendo il disagio di stare seduti su una sedia che scotta, in pubblico, tutte le certezze abilmente costruite si sono sgretolate. Ha ammesso di non aver ricevuto nessuna formazione professionale né specifica per l’aiuto alle persone che hanno subito violenza, e che la SNAP viene gestita da casa.

Si è scoperto inoltre che non pare esistere un riscontro fiscale per i servizi di consulenza alle vere o presunte vittime di molestia, né alcuna identificazione o registrazione come “Centro di crisi antiviolenza”. Clohessy non è stato in grado di fornire una definizione di “sindrome da trauma post violenza carnale”, né di “memoria repressa” e per di più non è risultato essere a conoscenza di cosa sia il cosiddetto “esame sicuro”. Alla domanda: «Per sua conoscenza la SNAP ha mai rilasciato alla stampa dichiarazioni che contenevano informazioni false?». Clohessy ha risposto: «Certamente – Sure». Non ha invece voluto rispondere alle domande sulle cifre richieste alle vittime, né su quelle ricevute in donazione dagli avvocati da loro contattati per difenderle. È poi emerso che nel 2007 lo SNAP ha speso solo 600 dollari (sic!) per sostenere le vittime di abusi. Il prossimo interrogatorio forse potrà determinare se l’attività della SNAP sia focalizzata realmente al sostegno delle vittime o se, invece, utilizzi i fondi ricavati dalle parcelle degli avvocati per incentrare programmaticamente la propria azione contro la Chiesa cattolica; mentre la sentenza è prevista per il 20 aprile 2012.

Matteo Donadoni

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Maurizio Mori: «l’infanticidio? Da non scartare a priori»

Nelle scorse settimane le dichiarazioni pro-infaticidio dei ricercatori italiani Alberto Giubilini e Francesca Minerva pubblicate su “Journal of Medical Ethics” hanno letteralmente fatto il giro del mondo. La loro idea è contenuta in questa frase: «Se una persona potenziale, come un feto e un neonato, non diventa una persona reale, come voi e noi, allora non c’è qualcuno che può essere danneggiato, il che significa che non vi è nulla di male. Quindi, se si chiede se uno di noi avrebbe potuto essere danneggiato, se i nostri genitori avrebbero deciso di ucciderci quando eravamo feti o neonati, la nostra risposta è ‘no’».

I due ricercatori sono di chiara area laicista e abortista, responsabili della “Consulta di Bioetica Onlus”, cioè i promotori della ”bioetica laica”, tra i cui soci onorari vi sono Beppino Englaro e Carlo Flamigni (presidente onorario dell’UAAR, l’Associazione di Atei e Agnostici Razionalisti). Come abbiamo scritto in questo articolo, riteniamo le dichiarazioni dei due laici ricercatori farneticanti ma anche interessanti: hanno infatti contribuito a divulgare l’ovvietà che non vi è alcuna differenza tra un feto umano e un neonato. I due ricercatori però sono giunti a conclusioni opposte rispetto al mondo pro-life: anziché affermare che l’aborto dovrebbe essere vietato come lo è l’infanticidio, loro hanno preferito lasciare legale l’aborto e proporre la liberalizzazione dell’infaticidio.

Solo il nostro sito web, e successivamente Francesco Agnoli su “Il Foglio, ha fatto notare il legame tra i due ricercatori e la “Consulta di Bioetica”. L’8 marzo scorso lo stesso presidente della “Consulta”, Maurizio Mori ha voluto difendere i due “suoi” ricercatori (l’unico che lo ha fatto nel mondo finora). Innanzitutto occorre sottolineare come lo stesso Mori sia membro dell’editorial Board della rivista che ha accolto l’articolo, ovvero il “Journal of Medical Ethics” . Nel comunicato ufficiale ha condannato le (presunte) minacce a livello internazionale che avrebbero ricevuto Giubilini e Minerva che ora, a detta di Mori, vivrebbero «da giorni sotto scorta», e ha  attaccato chi vorrebbe limitare la ricerca scientifica e intellettuale, dimenticandosi però che anche la sola selezione dei temi da discutere presuppone una scelta di valore o ideologica (come infatti lui riconosce).

Ma Maurizio Mori va ben oltre e arriva ad avvallare la tesi di Minerva e Giubilini, entrambi membri del Consiglio Direttivo della “Consulta di Bioetica Onlus”: «non si può, tuttavia, dire», afferma Mori, «che la tesi sia di per sé tanto assurda e balzana da essere scartata a priori solo perché scuote sentimenti profondi o tocca corde molto sensibili». Ricordiamo che la tesi dei due ricercatori è questa: «uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile». Dunque per Mori e la “Consulta di Bioetica” (laica) uccidere i neonati non sarebbe da scartare a priori, ma bisognerebbe discuterne. E il socio onorario Beppino Englaro, cosa dice di tutto questo?

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Piergiorgio Odifreddi “sconfitto” a Nichelino: invecchiato e appannato

La notizia è riportata su “Nichelino online”, il quotidiano web del comune piemontese in provincia di Torino. Si informa che al Liceo Copernico di Torino, a pochi passi dalla casa del noto “matematico incontinente” Piergiorgio Odifreddi, come è stato simpaticamente soprannominato,  si è tenuta pochi giorni fa una serata di dibattito sul tema “Scienza e Fede” con la partecipazione di studenti, genitori ed insegnanti.

Ricordiamo che Odifreddi -nonostante sia in pensione da parecchio- persiste a farsi chiamare “scienziato” anche se non ha mai realizzato una pubblicazione sottoposta a peer review in vita sua. In realtà è un divulgatore scientifico, per altro tra i peggiori in Italia dato che è l’unico ad aver vinto per due volte (2007 e 2009) il premio “Asino d’Oro”, assegnato da alcuni docenti universitari, per i peggiori articoli scientifici pubblicati (finalmente si è riusciti a inserire la questione anche su Wikipedia nella biografia di Odifreddi, nonostante la pagina sia stata creata da Odifreddi stesso, come ha ammesso nel controverso libro “Perché Dio non esiste”). Tuttavia gli organizzatori, ancora una volta -come accade in tutte le trasmissioni televisive- non hanno chiamato a controbattere a Odifreddi un altro divulgatore scientifico, ma un sacerdote. Questa scelta è una mossa poco corretta nel dialogo “scienza e fede”, sia perché tutti gli uomini di scienza sono in grado di parlare di “fede” (esperienza personale),  ma non tutti i sacerdoti sono in grado di parlare di “scienza” (strumento di conoscenza umano), sia perché si persiste nel portare avanti le due leggendarie equazioni: “scienza=ateismo” e “fede=sacerdote o, comunque, non scienziato”.

Don Riccardo Robella, parroco a Nichelino, si è quindi confrontato con Odifreddi e il quotidiano locale, scrive che «nel confronto con gli studenti la brillante dialettica, per la quale il professore è celebre, è parsa a tratti un po’ appannata. Il parroco invece, per usare una metafora calcistica, ha giocato a tutto a campo e alla fine è andato a rete…». Sul fatto che Odifreddi stia anno dopo anno perdendo i colpi ne abbiamo parlato più volte sul nostro sito web, identificando l’inizio del triste epilogo del professore quando venne malamente cacciato dal Festival della Matematica nel 2009. Interessante l’ironia finale riportata a conclusione dell’articolo sul quotidiano locale: «Sarà che don Riccardo giocava praticamente in casa, dato che al Liceo Scientifico Copernico ci sono molti studenti di Nichelino. Parecchi frequentano pure la sua parrocchia: studenti più che vispi, cristiani ma tutt’altro che cretini…E’ vero professor Odifreddi?».

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Studio inglese: «persone religiose fanno più beneficenza»

Come abbiamo spiegato in questa pagina, uno degli obiettivi di questo sito è quello di affrontare spesso tematiche assolutamente secondarie per un credente ma che sono invece un’ossessione di primaria importanza del mondo laicista. Al cristiano non importa nulla, ad esempio, se fa più o meno beneficenza di un musulmano o di un non credente. Il cristiano sa benissimo che non è più buono degli altri, ma non è nemmeno preoccupato dell’ideologia moderna della filantropia, il cristiano non calcola il “ritorno” delle sue azioni gratuite (altrimenti non sarebbe gratuità), non lo fa per mettersi a posto la coscienza, non fa rumore e non accende la luce quando compie un’azione caritatevole (“non sappia la tua mano destra cosa fà la tua mano sinistra”, Mt 6,2-4).

Eppure la cultura laicista, avendo come unica proposta la reazione distruttiva rispetto alla proposta cristiana, cerca sempre la competizione: sono particolarmente fissati nell’informare che loro fanno più filantropia, o comunque dimostrare a tutti i costi che è una loro priorità. Lo si è capito abbastanza bene dopo il terremoto di Haiti nel 2010, quando Richard Dawkins (il guru mondiale degli atei militanti) ha occupato per giorni i quotidiani inglesi raccontando di aver organizzato una donazione “atea” (chiamata “Non-Believers Giving Aid”) attraverso la “Richard Dawkins Foundation for Reason and Science”. Tanto di cappello, verrebbe da dire senonché si è poi scoperto che tutti i fondi raccolti sarebbero stati inoltrati alla Croce Rossa Internazionale e a Medici senza Frontiere. La domanda è sorta a tutti spontanea: perché non donare direttamente a queste due organizzazioni senza passare per un mediatore? La risposta è stata data qui.

A questo punto diventa divertente ogni tanto scendere al loro livello e leggere i risultati di uno studio sociologico di cui abbiamo già parlato, dove si rileva che i non credenti preferiscono sostenere opere a favore degli animali e della vegetazione mentre i credenti sostengano primariamente Ong (maggiormente non confessionali) impegnate per disastri ambientali, riduzione della povertà, persone con disabilità e progetti per lo sviluppo del bambino. Nel 2011 su “Social Behavior and Personality: an international journal” è stato rilevato invece che a Taiwan, area con un buon mix di religione popolare, ateismo e religioni (buddismo e cristianesimo), gli adulti hanno maggiori probabilità di fare donazioni verso enti di beneficenza confessionali e che le persone non religiose appaiono molto meno inclini a fare beneficenza rispetto alle altre categorie di persone, sopratutto i cristiani. Un mese fa è stato invece rilevato da “Charities Aid Foundation” (CAF) che le persone religiose donano soldi in beneficenza due volte di più rispetto a persone senza fede, e solo il 31% dei donatori religiosi hanno dato soldi ad una attività religiosa. Il direttore di CAF, Richard Harrison, ha dichiarato: «Questi risultati dimostrano che non solo le persone di fede religiosa sono più generose e caritatevoli, ma che la loro donazione non è unicamente focalizzata sui propri enti confessionali. La cultura del “dare” nei circoli religiosi si dimostra ammirevole, un fenomeno che arricchisce in modo chiaro la nostra società».

Luca Pavani

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Nuovi documenti: Pio XII favorì la nascita dello stato di Israele

Sono ormai passati nove anni da quando l’ebreo Gary Krupp fondò, nel 2003, la Pave the Way Foundation, che si propone di “promuovere eventi culturali, educativi, caritativi e tecnologici, e di eliminare gli ostacoli non teologici tra le fedi.” La fondazione ha tutt’ora intenzione di far uso del rispetto internazionale ottenuto negli anni verso la fine della violenza e dell’abuso nelle religioni.

In questo sito se ne è già parlato svariate volte e molto spesso il protagonista di tali articoli è sempre uno: Eugenio Pacelli, meglio conosciuto come Papa Pio XII. Si torna in questi giorni a parlare di questa figura estremamente discussa sulle pagine de “Il Corriere della Sera”, proprio in occasione di un’operazione della fondazione “Pave the Way”: nonostante un ingenuo scivolone circa la fondazione (che non è ebraica, come riportato) si riporta la notizia della pubblicazione di “nuovi documenti storici” dai quali si ricava che: «Per circa quarant’ anni, dal 1917 fino al 1958, prima come vescovo e nunzio, e poi come papa, Pio XII, Eugenio Pacelli, si adoperò costantemente per permettere la costruzione dello Stato d’ Israele e per agevolarne il riconoscimento internazionale». Un documento specifico, datato 1944, che consisteva nella risposta di Pio XII a Domenico Tardini, allora segretario di stato Vaticano, contrario al sostegno nei confronti del futuro stato di Israele: «Gli ebrei hanno bisogno di una propria Patria», scrisse di suo pugno il Papa, che molti definirono e definiscono, instancabilmente, “amico dei nazisti”. Questo documento si trova nella sezione chiusa della Biblioteca Vaticana e non sarà disponibile fino a quando gli archivi verranno completamente aperti.

Nel 1917, mons. Pacelli (allora segretario degli Affari Straordinari) incontrò il presidente della World Zionist Organization, Nahum Sokolow, ed organizzò per lui un incontro con Papa Benedetto XV per discutere la creazione di una patria ebraica. Il 15 febbraio 1925 avvenne un secondo incontro. Il 15 novembre 1917, il nunzio Pacelli agì su richiesta urgente della comunità ebraica della Svizzera per un suo intervento perché si temeva un massacro degli ebrei in Palestina da parte dell’Impero Ottomano. Pacelli chiese al governo tedesco, che si era alleato con i turchi ottomani, di proteggere gli ebrei della Palestina, “anche con l’uso delle armi”.  Nel 1926, continuano i documenti pubblicati dall’ebreo Krupp, Pacelli lanciò un appello a tutti i cattolici di unirsi al movimento pro-Palestina in Germania.

E’ stato anche ritrovato anche il discorso di Pio XII pronunciato nel 1946 davanti ad una delegazione araba venuta a Roma per dissuaderlo ad appoggiare una patria ebraica in Palestina. Pio XII concluse l’incontro lasciando delusa la delegazione e parlando di «persecuzione scatenata da fanatici antisemiti contro il popolo ebraico». Secondo una ricerca condotta dalla Fondazione Raoul Wallenberg, è stato Pio XII che “ha spianato la strada” ai Paesi cattolici membri delle Nazioni Unite per votare positivamente a favore di una spartizione della Palestina nel novembre del 1947. Sono stati scoperti anche articoli di giornali su come il Vaticano incoraggiò la Spagna a riconoscere lo Stato ebraico nel 1955. Il direttore della Pave the Way Foundation, Elliot Hershberg, ha dichiarato: «la nostra ricerca ha dimostrato che il rapporto positivo di Papa Pio XII nei confronti del popolo ebraico iniziò nella gioventù di Pacelli […]. I documenti che abbiamo scoperto rivelano i numerosi interventi di Pacelli per salvare vite di ebrei e proteggere le tradizioni ebraiche. Questa evidenza ripudia le accuse che Pacelli fosse in ogni modo antisemita, che è stato accreditato come un fatto da alcuni storici». Segnaliamo che nuovi documenti arrivano anche dal dott. Preziosi, che ha rilevato traccia degli aiuti prestati dal vescovo mons. Palatucci agli internati ebrei e politici del campo di concentramento di Campagna- Pio XII era al corrente e in almeno cinque occasioni intervenne di persona.

Michele Silvi e Luca Pavani

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L’evidenza dei miracoli, in memoria della scoperta di J.C. Maxwell

 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario

 
 

Agli stolti che m’irridono perché credo ai miracoli chiedo come essi siano così ciechi da non vederne la presenza diffusa in Natura. Mi basta, o Signore, “guardare le cose che hai fatto”, come Agostino; ammirare “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”, come Kant. Di recente sono stato a Lourdes: non sono andato a vedere gli storpi che prendono a camminare o i ciechi che acquistano la vista, ma solo per ringraziarti, Dio mio. Con riverenza mi sono bagnato all’oceano di bontà accudente quel mare di dolore, che là si concentra ogni giorno da ogni continente: vi sono tante delusioni che nelle persone sensibili aprono la strada alla sfiducia, ma là ho visto il miracolo che la sofferenza e Dio non sono necessariamente una contraddizione, ma possono essere la soluzione di chi trova l’Assoluto sull’orlo dell’abisso. Nella mia esperienza, Signore, e per la mia sensibilità, i miracoli più evidenti sono le leggi naturali, che Tu ottimo legislatore hai scelto e che la nostra limitata ragione si spiega in parte, e non tanto i casi che la nostra ὕβρις non si spiega affatto e presume fuori di quelle leggi. Un fenomeno naturale che mi lascia incantato sono le onde elettromagnetiche.

Esse manifestano la loro magica essenza nelle frequenze radio delle telecomunicazioni, nell’infrarosso riscaldante, nelle miriadi di colori della luce, nell’ultravioletto abbronzante, nei raggi X della medicina e in quelli gamma delle altissime energie prodotte nelle stelle e negli acceleratori di particelle. Nel momento in cui scrivo queste note, onde elettromagnetiche create dalla mia mente rimbalzano freneticamente tra le sinapsi del mio cervello; altre, dopo essersi propagate dai miei neuroni ai nervi digitali palmari, provocano attraverso la tastiera del pc l’eccitazione degli strati elettronici periferici dei cristalli liquidi del monitor, materializzandosi nelle parole di pixel che vi si accendono; altre avvolgono di luce la stanza in cui mi trovo, l’irraggiamento mi riscalda il corpo e riflette dal display alle mie retine i puntini luminosi, consentendo l’immediato controllo della mia mente sul testo; altre ancora, rimbalzando dal wireless al cavo telefonico, da questo ad un satellite, e dal satellite ad un altro cavo, trasmettono in tempo reale il file, man mano che evolve, al cloud, un server in South Carolina; nel disco del server, altre onde subito polarizzano 228.416 settori contigui nei due opposti stati magnetici e producono una stringa di altrettanti 0 ed 1 che rappresenta isomorficamente il mio testo e conserva al sicuro una copia dei miei pensieri. E poi? Ancora, le radiazioni residue di tutti i suoni, i sentimenti, le parole, i pensieri provocati e vissuti da tutte le generazioni di cose, piante, animali e uomini che mi hanno preceduto, mi avvolgono, trasmettendomi la storia cifrata incancellabile dell’Universo, dalla più antica, la primigenia radiazione di fondo fissata dal Big Bang ed osservata nel 1964 da A. Penzias e R. Wilson (Nobel, 1978).

Le onde elettromagnetiche non sono materia, ma una forma di energia strutturata in un campo tensoriale 4-dimensionale di ordine 2 antisimmetrico, vibrante ininterrottamente fino a mille miliardi di miliardi di volte al secondo e propagantesi nel vuoto alla velocità di 300.000 km/sec. Nulla come le onde elettromagnetiche permea tutte le regioni dello spazio-tempo dell’Universo in maniera così delicata da risultare del tutto invisibile, ed insieme così pervasiva da registrarne tutta la storia. Esse sono state invisibili compagne dell’uomo per centinaia di migliaia d’anni e tuttora lo sono per la maggioranza della gente che, senza provare stupore, dà per scontato che la tv di casa trasmetta audio e video ripresi a lunga distanza, il proprio cellulare replichi la voce di una persona all’altro capo del mondo, la sola pressione d’un interruttore allaghi di luce la stanza, una Tac analizzi l’interno del corpo umano entrandovi ed uscendovi come un fantasma, qualcosa arrivi quotidianamente dal Sole ad illuminare e riscaldare il pianeta Terra alimentandovi la vita e la coscienza, dopo aver percorso nello spazio vuoto 150 milioni di km.

Un giovane matematico scozzese, J.C. Maxwell, il 17 marzo 1861, pubblicò nel “Philosophical Magazine” un’unificazione delle leggi riguardanti elettricità e magnetismo (fino ad allora considerati fenomeni distinti) in un sistema di equazioni che oggi si scrivono:

Caro lettore, anche se non conosci la matematica, fermati un istante ad ammirare la simmetrica bellezza e la miracolosa stringatezza di due equazioni che in pochi bit concentrano un terzo di tutti i fenomeni naturali e metà delle applicazioni tecnologiche moderne! «La matematica […] possiede non solo la verità, ma una bellezza suprema, fredda e austera, come quella di una scultura, ma senza richiami alla nostra più debole natura, senza i sontuosi orpelli della pittura e della musica, ma pura e sublime e capace di una perfezione severa come solo l’arte più grande può avere. Il vero spirito di gioia, l’esaltazione, il senso di essere più che un uomo, che sono la pietra di paragone dell’eccellenza, stanno solo nella matematica e nella poesia» (B. Russell). Oltre il miracolo dell’essere delle onde elettromagnetiche, Maxwell svelò quel giorno altri trascendentali riguardanti la loro verità e bellezza. Vero è il logos che ne previde l’esistenza: le equazioni nell’intenzione di Maxwell dovevano servire solo a codificare i fenomeni elettrici e magnetici noti; ma tra le loro soluzioni emerse qualcosa di nuovo, mai osservato prima: le onde elettromagnetiche, appunto. Solo qualche anno dopo, il fisico tedesco H.R. Hertz, guidato nella sua ricerca da quella previsione matematica, le osservò e ne misurò i parametri in laboratorio. La potenza predittiva contenuta in quelle equazioni non si ferma qui, perché da esse Maxwell poté desumere anche la velocità con cui questi “angeli” (secondo una dizione, poetica ma non tanto, di R. Feynman, Nobel 1965) si spostano nello spazio, un numero che ammutolì il mondo perché coincideva con la velocità della luce. Dunque la luce, questo fenomeno su cui per secoli si erano interrogati i filosofi e che occupava per proprio conto un settore della fisica, è composta di onde elettromagnetiche: nelle equazioni di Maxwell stanno anche le leggi dell’ottica!

Di solito, con metodo galileiano s’intende l’uso descrittivo della matematica per le leggi naturali e se ne lascia in ombra l’uso predittivo. Eppure, questa “irragionevole efficacia della matematica” (E. Wigner, Nobel 1963) non è rara e, altrettanto della prima, non trova nessuna spiegazione scientifica. Anno 1930: Urano e Nettuno seguono orbite non del tutto rispondenti alla legge di gravitazione…, a meno che non ci sia più in là un altro pianeta, piccolo e lontano, mai osservato. Puntando il telescopio nella direzione e sulla distanza indicata dalla matematica, in quell’anno fu trovato Plutone! E cento anni prima era toccato a Nettuno. L’antimateria fu predetta nel 1927 da P.A.M. Dirac (Nobel, 1933) con la sua magica equazione dell’elettrone (che gli fu suggerita da motivazioni estetiche: “La verità è bellezza”, disse per spiegarne l’intuizione), ma solo alcuni anni dopo fu osservata in laboratorio. E lo stesso miracolo si ripeté nell’unificazione matematica dell’elettromagnetismo con la forza nucleare debole delle radiazioni beta, che prima (1979) valse il Nobel a S. Glashow, A. Salam e S. Weinberg che la teorizzarono e poi (1983) a C. Rubbia e S. van der Meer, che la verificarono nei laboratori del Cern. Un altro miracolo riguardante le onde elettromagnetiche è costituito dalla possibilità data alla ragione umana di conoscerle, e di ricavarne così infinite tecniche, a partire dalla prima in ordine di tempo, il telegrafo senza fili di G. Marconi (Nobel, 1909). Nelle equazioni di Maxwell la mente umana ha concentrato tutte le leggi dell’elettricità, del magnetismo e dell’ottica, così che se fossero consegnate ad un’intelligenza aliena, a questa non servirebbe altro per progettare la tecnologia del telefono, o di un televisore, o di un microscopio, o di un motore trifase, o della motrice di una metropolitana. I miracoli descrittivi, predittivi, estetici e tecnologici del campo elettrodebole si ripetono nelle altre due forze della fisica: la gravitazione e la cromodinamica. «Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo come a un miracolo o a un eterno mistero? A priori, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. […] È qui che compare il sentimento del miracoloso, che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi del pensiero di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli. La cosa curiosa, invece, è che dobbiamo contentarci di riconoscere il miracolo, senza poter individuare una via legittima per andar oltre» (A. Einstein, Nobel 1921).

L’essere, il vero e il bello delle leggi fisiche è un “miracolo”, un “dono immeritato”, “che non possiamo spiegarci” (E. Wigner). Di fronte ad esso, l’aut aut non mi pare quello positivista tra fede e ragione, ma quello esistenziale tra fede ragionevole nel Logos divino e fede irragionevole nel caso. Se tanti premi Nobel per la fisica parlano di miracolo, lo posso fare anch’io? Se la radiazione cosmica di fondo, che pervade l’Universo, è la traccia del Big Bang, l’armonia matematica pervasiva del Cosmo e la sua intellegibilità non sono l’impronta del Logos creatore e della Sua presenza nella creatura umana?

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Doveva essere abortito, oggi è un bimbo bellissimo

L’incredibile storia che viene raccontata dal “Daily Mail” è quella di Ryan Marquiss, un bambino nato con il cuore al di fuori del corpo che, dato per spacciato dai medici, è riuscito invece a continuare a vivere normalmente grazie ai suoi genitori contrari all’aborto.

Tutto è cominciato quando la madre di Ryan, alla 12° settimana di gravidanza, venne informata dai medici che era stato riscontrato nel feto l’ectopia cordis, una malformazione congenita estremamente rara caratterizzata da un’anomala posizione del cuore (qui alcune foto). Oltre a ciò, fu anche riscontrata una sindrome del cuore destro ipoplasico. Una combinazione di anomalie a cui mai nessun feto o neonato è sopravvissuto, motivo per il quale i medici consigliarono ai genitori di abortire, ma essi coraggiosamente decisero di rifiutare: «volevamo che la natura seguisse il suo corso – ha affermato la madre di Ryan – per questo abbiamo rifiutato l’aborto. Eravamo consapevoli che se fosse sopravvissuto alla nascita sarebbe stato un miracolo».

La gravidanza giunse incredibilmente a termine, ma Ryan presentava un cuore che sporgeva dal petto al di fuori del corpo, per cui sarebbe stato necessario intervenire chirurgicamente per evitare infezioni riposizionando il cuore nella sua naturale posizione e sistemando i flussi sanguigni cardiaci anomali dovuti alle malformazioni. Fu così che Ryan a sole 2 settimane di vita subì il primo intervento, seguito da più di una dozzina di operazioni nei 2 anni successivi. Oggi Ryan è un bellissimo bambino di 3 anni con la prospettiva di una infanzia normale e felice, circondato dall’affetto di una numerosa famiglia che non ha voluto rassegnarsi ad una scelta comoda come l’aborto ma che, al contrario, contro il parere di tutti i medici, si è fatta coraggiosamente carico delle difficoltà di quello che evidentemente consideravano come proprio figlio sin dal momento del concepimento. La famiglia Marquiss tiene aggiornato un bellissimo blog a questo indirizzo.

Raffaele Marmo

 

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Padre Pio non fu perseguitato dalla Chiesa

«Sono fuori dal tunnel del divertimento» cantava il simpatico Caparezza nel 2004. Nella recente intervista per “Il Corriere della Sera” ha però parlato della sua simpatia per Padre Pio, volendo poi ricordare che «fu perseguitato dalla Chiesa ufficiale». Una “divertente” leggenda, che però non trova pieno riscontro nelle indagini che sono state fatte da allora.

Ne ha parlato pochi mesi fa lo storico italiano Marco Roncalli, spiegando che non furono le prime allarmanti confidenze di padre Agostino Gemelli a provocare l’indagine del Sant’Uffizio nel 1921 su Padre Pio. Essa partì da due dichiarazioni del luglio 1920, acquisite dal vescovo di Foggia Salvatore Bella e finite a Roma: quella del farmacista Domenico Valentini Vista e della cugina Maria De Vito, i quali avanzarono il sospetto che il Padre si procurasse da sé, con l’acido fenico e la veratrina, le presunte stimmate. La “Chiesa ufficiale” si comportò sempre in modo differente dalle proposte di Padre Agostino Gemelli, il quale incontrò la prima volta il cappuccino senza nessun incarico dal Sant’Uffizio.

Padre Gemelli aveva qualche dubbio scientifico circa la stimmate, ma nella lettera per l’assessore del Sant’Uffizio, monsignor Nicola Canali, scritta il 16 agosto ’33, egli lamentò il fatto di non aver mai pubblicato nulla su Padre Pio, e ritenne infondate le accuse che gli furono mosse da un medico, il dott. Giorgio Festa. Nel 1924 Gemelli aveva infatti sostenuto: «Le stigmate di San Francesco non presentano solo un fatto distruttivo, come in tutti gli altri, ma bensì anche un fatto costruttivo […]. Questo è un fatto assolutamente inspiegabile della scienza, mentre invece le stigmate distruttive possono essere spiegate con processi biopsichici». Nella lettera a mons. Canali affermò però: «Evidentemente  il dr. Festa, ha giudicato che con tale mia assolutezza di giudizio io mi riferissi al Padre Pio […]. L’illazione è ingiusta….». Gemelli non pensava dunque a padre Pio quando riferì di alcuni presunti stimmatizzati esaminati e ritenuti non autentici.

Il Sant’Uffizio -come si è detto- rifiutò sempre le proposte poco diplomatiche di Gemelli per stabilire la verità sulle stimmate (come le ingessature), ma scelse di ricorrere ad un visitatore apostolico dai pieni poteri, ritenendo questo meno invasivo. Morto Benedetto XV, anche il successore Pio XI continuò nello stesso modo. Tutt’altro che «interventista a priori», o «pilotato da Gemelli», scrive Roncalli.  Il Sant’Uffizio, dopo la prima consulenza chiesta al domenicano Joseph Lémius che scartò le proposte di Gemelli, si rivolse al vescovo di Volterra Carlo Raffaello Rossi nominandolo «uomo delle indagini». Egli, dopo la sua ispezione, elencherà «argomenti teologici» sulle stimmate affermando che «sembri non manchino motivi per far propendere in favore del dono sovrannaturale».

Tuttavia nel 1923 il Sant’Uffizio si pronunciò sulle stimmate con il “non constare” (cioè «non risulta», diverso da «si esclude»), esso era un pronunciamento sospensivo e non un giudizio sui fatti relativi al cappuccino. La leggenda della “persecuzione” si basa sopratutto sulla decisione unanime dei cardinali del marzo ’31 di proibire a Padre Pio di celebrare in pubblico e di confessare. Ma tale disposizione fu da intendersi più come argine al devozionismo e per sottrarre il frate ai minacciati disordini di alcuni esaltati, e venne comunque sospesa da Pio XI. Padre Pio non venne nemmeno «perseguitato» da Giovanni XXIIIcome ha spiegato Andrea Tornielli l’anno scorso-, il quale non diede mai credito alle presunte notizie raccolte da alcuni collaboratori, ma decise alla fine di affidarsi al più equilibrato e fondato giudizio del vescovo di Manfredonia, rifiutando sanzioni pesanti verso il cappuccino con le stimmate.

Sulla veridicità di queste ultime vale la pena sottolineare il pronunciamento recente del prof. Ezio Fulcheri, docente di Anatomia patologica all’Università di Genova e di Paleopatologia all’Università di Torino: «Ma quali acidi, quali trucchi… Diciamolo una volta per tutte, sgomberando il campo da ogni equivoco e sospetto: le stimmate di Padre Pio da Pietrelcina sono inspiegabili scientificamente. E anche se, per ipotesi, se le fosse prodotte volontariamente, martellandosi un chiodo sulla mano trapassandola, la scienza attuale non sarebbe in grado di spiegare come quelle ferite profonde siano rimaste aperte e sanguinanti per 50 anni […]». Ha continuato Fulcheri: «Faccio notare che nel caso di Padre Pio ci trovavamo ancora in era pre-antibiotica, e dunque la possibilità di evitare infezioni era ancora più remota di oggi. Non posso immaginare quali sostanze permettano di tenere aperte le ferite per cinquant’anni. Più si studia l’anatomia e la fisiopatologia delle lesioni, più ci si rende conto che una ferita non può rimanere aperta com’è accaduto invece per le stimmate di Padre Pio, senza complicazioni, senza conseguenze per i muscoli, i nervi, i tendini. Le dita del frate stimmatizzato erano sempre affusolate, rosee e pulite: con ferite che trapassavano il palmo e sbucavano sul dorso della mano, avrebbe dovuto avere le dita gonfie, tumefatte, rosse, e con un’importante impotenza funzionale. Per Padre Pio, invece, le evidenze contrastano con la presentazione e l’evoluzione di una ferita così ampia, quale ne sia stata la causa iniziale. Questo è ciò che dice la scienza». Segnaliamo anche due testi interessanti usciti recentemente: “Oboedientia et Pax. La vera storia di una falsa persecuzione” (edizioni Padre Pio e Libreria Editrice Vaticana) e “Padre Pio e il Sant’Uffizio (1918-1939)” (Edizioni Studium 2011)

Concludendo, la cosiddetta “Chiesa ufficiale” -come la chiama Caparezza- non perseguitò Padre Pio, anche se certamente ci furono uomini di Chiesa che lo accusarono fortemente. Interessante, infine, anche quel che il noto cantante italiano ha rivelato verso la fine dell’intervista: «sono agnostico. Non so se Dio esiste, non so cosa ci sia dopo la morte. Ma trovo l’ateismo consolatorio. Più della fede. L’idea che esista un’altra dimensione, di essere osservato da qualcosa che non riesco a vedere, mi fa paura. Ho bisogno di tenere a bada i miei demoni». Ma non era la fede in Dio ad essere un placebo? Un atto consolatorio contro la morte e la paura? Poco prima aveva detto di essersi ispirato a Piergiorgio Odifreddi su Padre Pio, e ora smonta proprio il caposaldo dell’argomento anti-teista del suo ispiratore?

La redazione

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