Marco Politi ci riprova: «colpa di Ratzinger sul caso Maciel»

In occasione della partenza di oggi di Benedetto XVI per il viaggio in Messico (e a Cuba, fino al 29 marzo), patria di Marcial Maciel Degollado e dei Legionari di Cristo, il solito Marco Politi, il vati-laicista de “Il Fatto Quotidiano” ossessionato dal Pontefice, ha pubblicato ieri un ennesimo articolo sensazionalistico contro di lui, accusandolo incredibilmente ancora una volta di aver coperto, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, gli abusi sessuali del fondatore della congregazione religiosa. Dopo che sono state completamente ritirate le accuse al Pontefice sul caso di padre Lawrence Murphy, nel silenzio di Marco Politi, il “caso Degollado” è l’unico rimasto per cercare di gettare fango in qualche modo su Benedetto XVI.

Ma la questione, per quanto riguarda il coinvolgimento del card. Ratzinger, è già chiusa da un pezzo. E’ stato infatti riconosciuto da chiunque e da tutto il mondo (ricordiamo gli editoriale di Piero Ostellino su “Il Corriere della Sera”, quello sul “Wall Street Journal”, quello di Gianluigi Nuzzi su “Libero”, l’articolo intitolato: “Il miglior Papa” apparso sul “New York Times” ecc.), che Ratzinger appena poté agire fu colui che avviò e chiuse la serie di indagini che portarono all’emergere della vicenda, all’immediato allontanamento e sospensione a divinis di Maciel. Sull’ottimo “Blog degli amici di Papa Ratzinger” si definisce il tentativo di Politi un «clamoroso autogol ed un falso storico» e si rimanda ad un articolo interno in cui sono stati raccolti decine di articoli utili a chiarire la vicenda.

Per l’occasione anche UCCR ha voluto creare un dossier sul “caso Maciel”, in cui è stata realizzata una precisa cronologia degli eventi e sono stati approfonditi i ruoli nella vicenda di Giovanni Paolo II, del card. Angelo Sodano, ex segretario di Stato, di Stanisław Dziwisz ex segretario personale di Wojtyla e dell’allora card. Ratzinger.

Le conclusioni che sono state tratte, seguendo il susseguirsi di articoli sulla questione in tutto il mondo, è che il terribile “caso Maciel” serva a far permanere la Chiesa in un profondo stato di umiltà e penitenza, ma sia anche un elogio per l’operato di Benedetto XVI. Diverse ombre vengono contemporaneamente calate sul pontificato di Giovanni Paolo II: è stato comunque riconosciuto che le informazioni a lui indirizzate vennero sempre fortemente filtrate e, quando la questione emerse in modo evidente, egli divenne troppo debole e malato per potersene occupare in prima persona. Le vere responsabilità devono essere attribuite ad altri in Vaticano, a coloro che hanno tradito il Vangelo e la stessa Dottrina della Chiesa. Le colpe ricadono sopratutto ai responsabili dei Legionari di allora che -forse immersi in un contesto profondamente anticattolico- preferirono ignorare o sottovalutare le voci contro il fondatore. Una mente folle, criminale e lucida, quest’ultimo, che seppe farsi proteggere adeguatamente e crearsi tre vite parallele, epurando ogni possibile testimone.

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A Strasburgo vince la famiglia naturale e i diritti del bambino

 

di Maurizio Pucciarelli*
*avvocato

 

Sentenza importante della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (del 15/3/2012 su ricorso n. 25951/07). Il caso riguarda due signore, Dubois e Gas, omosessuali e conviventi da lungo tempo. La prima, qualche anno fa, si era recata in Belgio dove si era sottoposta a procreazione medicalmente assistita eterologa con seme da donatore anonimo e al ritorno in Francia aveva partorito e riconosciuto una bambina. Le due donne avevano poi sottoscritto un PACS (accordo di convivenza) e in forza della loro collaudata unione, la sig. Gas aveva richiesto di poter adottare la figlia della convivente. La legge prevede questa possibilità.

Pensate al caso di una donna con un figlio che si sposi, il marito potrà adottare il figlio della moglie e quest’ultima non perderà la potestà genitoriale sulla propria figlia, ma la eserciterà insieme al marito. Ma, dice la legge francese, questo è possibile solo se i genitori sono sposati. Nel caso di coppie non sposate o di PACS l’adozione di uno dei due soggetti fa perdere la potestà genitoriale all’altro. A causa di queste limitazioni Dubois e Gas sono ricorse alla corte di Strasburgo lamentando di aver subito una discriminazione fondata sul loro sesso e chiedendo la condanna della Francia. Ma la corte ha stabilito che gli Stati membri hanno ampi margini di discrezionalità nel definire i contenuti della vita familiare delle coppie gay e di quelle sposate, e che pertanto non esiste un diritto a che lo status giuridico basato su un accordo di convivenza sia sovrapponibile a quello del matrimonio, anche perché l’art. 12 della Convenzione esplicitamente si riferisce ad un uomo e ad una donna. Inoltre la sentenza ribadisce che la Convenzione EDU non obbliga gli stati aderenti ad estendere il matrimonio alle coppie omosessuali e questo perché il matrimonio conferisce uno status speciale a coloro che si impegnano in esso.

Di grande rilievo anche la valutazione che la Corte EDU dà del divieto di eterologa per le coppie omosessuali. Pur essendo la legislazione francese in materia più permissiva della nostra, requisito essenziale per poter accedere alla fecondazione eterologa è che la coppia sia formata da un uomo e una donna. Le sig.re Gas e Dubois avevano sostenuto che questo costituiva una palese discriminazione nei confronti degli omosessuali, ma la corte di Strasburgo ha ritenuto conforme ai principi della Convenzione la legislazione francese nel momento in cui assegna alla fecondazione eterologa il ruolo di cura contro l’infertilità delle coppie. Infertilità che nel caso di due omosessuali non deriva da una malattia ma dalla natura stessa dei soggetti che stabiliscono il legame. Una difesa dunque a tutto campo dell’istituto del matrimonio e della maternità, che tutela anche il bambino-oggetto dal preteso diritto degli adulti ad avere figli ad ogni costo.

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La storica Piccaluga spiega la rivoluzione di Gesù verso i bambini e l’aborto

Pochi giorni fa abbiamo citato un articolo di Paolo Civati in cui tesseva le lodi del cristianesimo per essersi offerto non ai sapienti ma  ai népioi, cioè ai bambini, agli indifesi, agli stolti, agli ultimi, donando loro il primato degli umili. Un interessante articolo, a firma di Giulia Piccaluga, docente ordinario di “Religioni del mondo classico” presso l’Università “La Sapienza” di Roma, è apparso invece sull’Osservatore Romano, all’interno del quale si analizzava la condizione del bambino in epoca Romana, del bambino non ancora nato e di quello che invece è già venuto alla luce.

Partendo da una lettera di Plinio il Giovane (Ad familiares, VIII, 110) scritta intorno al 107, la prof. Piccalunga -Premio R. Pettazzoni per la “Storia delle Religioni” 1967- ha mostrato come allora i figli, sia quelli già nati, sia quelli che ancora dovevano nascere, erano considerati come proprietà esclusiva del padre e inoltre consentivano, se maschi, allo stesso l’accesso ad alcuni privilegi nella vita politica e sociale. All’epoca, quindi, l’aborto veniva sì punito per legge, ma solo nel caso delle matrone (cioè di donne sposate, libere dalla nascita e di condizione sociale elevata), quando rischiava di ledere la possibilità per il pater familias di ottenere questi privilegi.

Sarà solo con il cristianesimo, continua la storica,  che le cose cambieranno. Infatti, l’atteggiamento di Gesù verso i bambini è totalmente opposto, non è più un oggetto da usare o del materiale grezzo da formare, ma un esempio da imitare per entrare nel Regno dei Cieli (Mc 10, 13-16; Mt 19, 13-15; Lc 18, 15-17). Lo sguardo di Gesù verso i più deboli, «mutando radicalmente la valutazione morale, e quindi sociale dell’infanzia, non potrà non condizionare, ammorbidendola e trasformandola, anche quella del feto in gestazione».  Il feto umano quindi, «non sarà più considerato quale parte integrante del corpo della madre, e dunque lasciato in balia del suo arbitrio, ma, valutato in sé e per sé nella sua proiezione futura, apparirà a tutti gli effetti, potenzialmente, come essere umano, e perciò detentore di anima immortale, e quindi degno di essere tutelato nella sua integrità e rispettato nei suoi diritti», come registrato nel codice di Giustiniano.

Il filosofo Rémi Brague, specialista in filosofia greca, medievale araba ed ebraica e docente presso la Sorbona di Parigi e la Ludwig Maximilian University di Monaco, ha recentemente aggiunto che i cristiani hanno apportato «uno sguardo più acuto per discernere l’umanità laddove fino ad allora si faticava a scorgerla: nel bambino, nella donna, nello schiavo, nel barbaro, cioè il non greco (dal punto di vista dei Greci), nel “pagano” (dal punto di vista degli Ebrei)». Friedrich Nietzsche, nell’”Anticristo” accusò: «Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito» e «l’individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto così assoluto, che non lo si potè più sacrificare».

Davide Galati

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La psichiatra Grossman «l’educazione sessuale non è permissivismo»

La dottoressa Miriam Grossman, psichiatra dell’adolescenza e dell’infanzia presso l’Università della California, ha criticato l’impostazione dell’attuale educazione sessuale perché incoraggia comportamenti a rischio per la diffusione di malattie tra i giovani.
Questo accade, ha detto a EWTN News, perché molta dell’attuale educazione sessuale è orientata al permissivismo sessuale e non alla salute sessuale. Oggi nelle scuole degli Stati Uniti non si insegnare la gestione della propria sessualità, ma come permettere qualunque comportamento sessuale.

In tutti gli altri campi della salute umana non è così, ad esempio, ha proseguito la Grossman, sono moltissimi i pazienti che non seguono i consigli di dieta dati loro dal medico, ma il medico presenta sempre un quadro onesto della situazione dicendo loro cosa può capitare se non dimagriscono o fanno un po’ di moto, invece nel campo della sessualità ciò non accade, anzi si cerca di permettere al paziente di fare comunque ciò che desidera. Di recente la dottoressa si è trovata a parlare di fronte alla commissione delle Nazioni Unite per la condizione delle donne e ha messo in guardia sul fatto che esse, altamente vulnerabili a ogni malattia sessualmente trasmettibile, soffrono in modo particolare in una cultura che esalta la libertà sessuale. Ha poi chiesto che venga fermata la distribuzione di un opuscolo per i giovani in cui si sostiene la non obbligatorietà ad informare i propri partner di essere eventualmente affetti da HIV, questo perché, dal punto di vista della salute pubblica, sarebbe un disastro, senza tener conto che, in questo modo, un partner sessuale non darebbe il proprio consenso in maniera del tutto libera, non essendo completamente informato.

Infine, poiché i preservativi non sono sicuri al 100% nel prevenire la trasmissione di malattie sessuali, invece di presentare gli incontri sessuali come qualcosa di solamente esaltante e privo di conseguenze, sarebbe più corretto educare i giovani ad un responsabile comportamento sessuale, proprio come affermava qualche mese fa il virologo Carlo Federico Perno. La società dovrebbe comprendere che il sesso non è un gioco e che le malattie a carattere sessuale sono trasmissibili nel momento in cui un individuo diventa sessualmente attivo, indipendentemente dall’uso o meno del preservativo.
Quindi, ha concluso la psichiatra, l’unica vera soluzione è riservare l’attività sessuale per l’età adulta e con un unico partner. L’educazione sessuale dovrebbe andare in questa direzione.

Davide Galati

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Continuano i successi delle cellule staminali adulte

Già in un precedente articolo  notavamo come i risultati delle cellule staminali adulte e cordonali stiano velocemente surclassando quelli delle embrionali, nei confronti delle quali la ricerca è stata già abbandonata in varie occasioni: il trend continua, e le staminali “innocue” riscuotono sempre maggiori successi.

Ad esempio alla San Diego school of medicine della University of California si sono studiate per la prima volte cellule viventi (artificiali) affette da morbo di Alzheimer proprio grazie alle staminali pluripotenti indotte, utili così anche per la ricerca scientifica. Nel frattempo alcune l’utilizzo delle staminali del cordone ombelicale ha trovato nuove applicazioni (ancora sperimentali) nella cura delle malattie della retina che colpiscono milioni di persone ogni anno.  Un ricercatore della Creighton University School of Medicine ha invece rilevato il mese scorso che le staminali adulte siano ora valide candidate alla sostituzione dei trattamenti di Angioplasi concernenti le arterie coronarie, tutt’ora molto invasivi ed inefficienti (un paziente su 10 sottoposto a tali trattamenti viene nuovamente ricoverato nel giro di un mese, secondo una statistica).

Risultati davvero interessanti, insomma, che meritano sicuramente di essere portati all’attenzione di chi continua a scandalizzarsi senza motivo dei “no” alla ricerca sulle staminali embrionali, complice così dell’uccisione di quegli “ammassi di cellule” -cioè la prima fase di vita dell’uomo- che secondo alcuni non avrebbero diritto nemmeno alla sepoltura.

Michele Silvi

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Omosessuali: dal diritto di famiglia alla famiglia di diritto

 

di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

Se si trattasse di chimica o fisica delle particelle, si potrebbe utilizzare il termine di spin (che nel gergo scientifico esprime il momento angolare intrinseco delle particelle, o detto in maniera più grossolana, la spinta che evidenzia la rotazione, per esempio, dell’elettrone) per indicare le spinte contrarie, o meglio opposte, a cui è soggetta l’istituzione familiare. Da un lato, infatti, vi sono le tendenze antigiuridiste che premono affinché la famiglia si de-istituzionalizzi, attraverso, per esempio, la diffusione del cosiddetto “fast-divorce” o la proliferazione delle convivenze more uxorio; dall’altro lato le energie, che potrebbero essere definite socio-pluraliste (poiché tese a rivendicare nuove posizioni giuridiche in nome di un pluralismo morale espresso dai cambiamenti sociali), che invece avanzano con sempre crescente insistenza la richiesta di riconoscimento e tutela giuridica di situazioni che normalmente dovrebbero essere sottratte al diritto per natura (loro intrinseca e del diritto medesimo), come per esempio il matrimonio omosessuale o la omogenitorialità (cioè la genitorialità come diritto delle coppie omosessuali attraverso l’istituto dell’adozione o le tecniche di procreazione medicalmente assistita).

Si delinea insomma un mutamento della piattaforma teoretica del diritto: si assiste al passaggio in cui il diritto riconosce la famiglia come qualcosa che gli pre-esiste limitandosi a disciplinare in primo luogo i suoi aspetti patrimoniali ed in secondo luogo quelli relazionali, ma ricalcando le linee poste dalla natura, alla famiglia ingegneristicamente progettata, modellata e costruita dal diritto (sia nella sua epifania legislativa che in quella giurisprudenziale) secondo lo schema predefinito per cui non esistono schemi predefiniti. L’istituto familiare si ritrova, in sostanza, schiacciato tra forze di valenza opposta: la degiuridificazione da un lato e la iper-giuridificazione dall’altro. In quest’ottica si muovono da un lato il disegno di legge sul divorzio breve presentato in Parlamento e la sentenza della Cassazione n. 4184/2012 dello scorso 12 marzo in cui si sancisce, pur rigettando il ricorso ed in assenza di una espressa normativa in tal senso, l’esistenza di un diritto alla vita familiare per le persone del medesimo sesso. Tralasciando tutte le questioni sociologiche, statistiche, psicologiche, esistenziali che ruotano attorno alla questione della omosessualità e quelle più tecnicamente giuridiche del caso affrontato dalla Cassazione (riguardando il problema della trascrizione nei registri di stato civile italiani del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso), occorre sgombrare la mente da ogni preconcetto ideologico per far spazio al problema bio-giuridico rappresentato dalla possibilità di riconoscere un diritto alla vita familiare per le coppie omosessuali.

La Corte di Cassazione richiamandosi alla pronuncia della CEDU del giugno 2010 nel caso Schalk e Kopf c. Austria, ritiene che è oramai assodato il superamento del concetto tradizionale di famiglia e che sebbene sia rimessa alla libertà (sovranità) legislativa dei singoli Stati la possibilità di disciplinare le forme familiari diverse da quelle tradizionali, non si può fare a meno di riscontrare l’esigenza di una tutela (che per il momento è di natura giurisprudenziale, almeno in Italia) dell’interesse alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso. La Cassazione si richiama anche alla sentenza n. 138/2010 della Corte Costituzionale con cui il giudice costituzionale rigetta la richiesta di riconoscimento giuridico e formale per via giurisprudenziale delle coppie omosessuali poiché un eventuale accoglimento altro non sarebbe che una intromissione della giurisdizione in ambiti riservati al legislatore, ma pur tuttavia riconoscendo che le coppie dello stesso sesso sono comunque portatrici di interessi e di pretese degne di essere disciplinate e garantite. Occorre rilevare che tutte le suddette pronunce sembrano afflitte da una miopia di fondo, poiché tutte incentrate sull’idea che il modello familiare sia inevitabilmente mutato, pur senza mai addivenire ad una definizione della famiglia. Ciò che più sorprende è soprattutto la posizione dei giudici italiani aditi, posto che l’art. 29 della Costituzione, in questo senso, sembra sufficientemente chiaro allorquando dichiara che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».

Dalla norma costituzionale anzidetta si evincono infatti alcune conclusioni irrefutabili: 1) con il verbo “riconoscere” il costituente ha inteso sottolineare che vi sono delle dimensioni della realtà e del giuridico che pre-esistono all’ordinamento non in quanto meta-normative, ma in quanto la loro normatività è meta-statuale e lo Stato non può che limitarsi ad accogliere ciò che lo precede; del resto in questo senso Aristotele nella sua “Politica” ben spiega che lo Stato ( la polis ) non si può costituire senza la famiglia; 2) la famiglia è una società naturale, nel doppio senso di unione tra uomo e donna come previsto dalla natura, e nel senso che essa attiene all’ambito del diritto naturale, cioè quel diritto che in quanto tale non può essere soppresso o escluso dal diritto positivo, cioè dalla volontà legislativa dello Stato; 3) la famiglia è tale in quanto fondata sul matrimonio, cioè su una disciplina giuridica che ne sancisca la fuoriuscita dal sentimentalismo del privato e ne cristallizzi la rilevanza pubblica e sociale. In ordine al terzo punto, occorre ammettere che le pretese di matrimonio avanzate dalle coppie dello stesso sesso si comprendono proprio alla luce di questa necessità di uscire dalla costruzione privata della coppia, per accedere alla dimensione pubblica della famiglia che come tale è fondante rispetto alla società, cioè alle relazioni tra consociati. Proprio la carica relazionale assurge ad elemento costitutivo della famiglia (come scriveva Aristotele, infatti, «la famiglia è la comunità che si costituisce per la vita», nel senso che è una società naturale in quanto in essa e soltanto in essa, prima d’ogni altra occasione, l’uomo scopre la propria natura relazionale, cioè il proprio essere – per utilizzare la nota e felice formula – un “animale sociale” ) tal che questo elemento intrinseco della natura della famiglia è così ineliminabile da essere avvertito anche dalle coppie omosessuali. Ma questo è proprio il cuore del problema.

Posto, infatti, che l’unione omosessuale è costitutivamente sterile, come ricorda il filosofo del diritto Prof. Francesco D’Agostino, essa non può essere considerata come una famiglia, in quanto l’elemento della relazionalità con l’apertura all’ordine delle generazioni è in essa precluso. Ciò non significa, ovviamente, che altrettanto valga per le coppie eterosessuali sterili, poiché in esse la sterilità è un elemento eventuale e patologico, mentre nelle unioni omosessuali è inevitabile e fisiologico. E’ questo un motivo fondato, tra i tanti, per cui si dubita fortemente che le unioni omosessuali possano godere del medesimo status familiare di quelle eterosessuali; ed è sostanzialmente per questo motivo che non può parlarsi di un loro matrimonio, essendo questo aperto alla procreazione. Come indica, infatti, l’analisi etimologica del termine medesimo matrimonio, dal latino matris munia, cioè doveri della madre, esso non può che contemplare la relazione tra l’ordine delle diverse generazioni, cioè il rapporto tra genitori e figli, ovvero tra coloro che generano e coloro che sono generati. In ciò per Hegel consiste la suprema e naturale eticità del matrimonio. Levi-Strauss insegna che la tradizione di alcune popolazioni aborigene australiane non consente di accogliere lo straniero all’interno della tribù finchè questi non sia riuscito a rispondere alla domanda degli anziani: «Chi è il tuo maeli ( padre del padre )?». Levi-Strauss chiarisce che si discute così di questioni genealogiche fino a quando tutti gli interessati non si dichiarano soddisfatti sulla esatta determinazione della relazione dello straniero con ciascuno degli indigeni: da ciò si evince l’importanza della discendenza, del padre del padre, che è inevitabilmente preclusa nella relazione omosessuale, distinguendola così nettamente dalla famiglia.

E proprio perché alle unioni omosessuali tutto ciò è intrinsecamente precluso si è verificato in Inghilterra il caso riportato da tutti i principali quotidiani nazionali ed esteri per cui una Corte d’Appello londinese ha dichiarato che per un bambino è un bene maggiore avere tre genitori, seppur tutti omosessuali, piuttosto che solo due madri omosessuali. Il fatto in breve: due donne omosessuali per sancire la propria unione e soddisfare il proprio bisogno di maternità chiesero ad un proprio conoscente, anch’egli omosessuale, di donare il suo seme per procedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (eterologa); dopo qualche tempo il padre biologico cominciò a voler vedere riconosciuti i propri diritti di padre adendo il giudice per la protezione della propria posizione. Alla fine la Corte d’Appello ha emesso il suddetto verdetto ammettendo che un bambino possa avere tre genitori, di cui due madri ed un padre e pur tutti omosessuali. Tralasciando le evidenti problematiche connesse alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, tralasciando il fatto per cui un bambino possa avere tre genitori (o anche più), tralasciando i problemi dell’identità genetica, tralasciando lo sviluppo degli equilibri psichici di un bambino che cresca con due madri ed un padre, tralasciando il paradosso per cui i bambini dei divorziati spesso finiscono per non avere neanche un genitore, diversamente dai figli della provetta che ne possono avere più di due ( si dovrebbe cominciare a parlare di redistribuzione dell’amore genitoriale come per decenni si è parlato di redistribuzione della ricchezza? ), occorre ribadire che la sentenza londinese è paradossale per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo: perché si considera alla base della famiglia non più una coppia, ma anche un gruppo; a questo punto verrebbe da chiedersi perché non si debbano legalizzare in Europa la poligamia, la poliandria, o, per seguire le tesi di Jacques Attalì, il “poliamore”, cioè in sostanza il matrimonio di gruppo tra più persone di sesso diverso o uguale. In secondo luogo: che il giudice abbia riconosciuto i diritti del padre biologico costituisce non solo una ulteriore prova della sterilità costitutiva del rapporto omosessuale (poiché né l’uomo, né le due donne avrebbero potuto diventare genitori senza l’unione reciproca dei propri gameti), ma dimostra che per fondare una famiglia, cioè una società naturale aperta alla relazionalità ed all’ordine delle generazioni, non può che esservi l’unione tra un uomo ed una donna; in altri termini, solo così può davvero parlarsi di famiglia.

Tutto ciò non significa che agli omosessuali non possano essere riconosciuti alcuni diritti che discendono dalla loro relazione (per esempio la reversibilità del contratto di locazione dell’immobile in cui si vive), significa soltanto che la loro unione, diversamente da quanto ritenuto senza una dovuta riflessione dalla recente sentenza della Cassazione e dalla CEDU, può essere tutelata già con gli strumenti giuridici esistenti, ma senza la possibilità di equiparazione alla “vita familiare”, come del resto aveva timidamente accennato la stessa Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 4/2011 allorquando ebbe modo di precisare che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». In conclusione, la sentenza londinese, pur con tutti i suoi difetti, sembra contraddire la sentenza della Cassazione italiana, circostanza che induce a riflettere non tanto e non solo sulla omogeneità degli ordinamenti giuridici nell’epoca dell’Unione Europea, ma soprattutto sulla condizione giuridica della famiglia stirata e compressa da ogni parte fino ad un suo più totale sfibramento, il quale è sempre il primo passo per la perdita di salute e tonicità della società medesima.

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Nel 2010 i cattolici crescono di 15 milioni

Aumenta di 15 milioni il numero dei cattolici e quello dei preti nel mondo. Sopratutto piacevole è la crescita in Asia, dove spesso i cristiani sono vittima di ostilità e persecuzioni, come è stato ricordato nel primo anniversario dell’assassinio, in Pakistan, del ministro delle minoranze cristiano Shahbaz BhattiLo ha stabilito la nuova edizione dell’Annuario Pontificio e dell’Annuarium Statisticum Ecclesiae, analizzando i dati che portano ad affermare come vi siano oggi nel mondo 1 miliardo 196 milioni e una presenza mondiale che rimane stabile attorno al 17,5%. Tra il 2007 e il 2008 i cattolici sono cresciuti di 19 milioni, dal 2008 al 2009 la crescita è stata di 15 milioni. Dal 2009 al 2010 c’è stato, come detto, un aumento di fedeli pari all’1,3%.

Una diminuzione si è verificata in America Meridionale (da 28,54 a 28,34%) e in Europa (da 24,05 a 23,83%), mentre una crescita è avvenuta in Africa (da 15,15 a 15,55%) e in Asia Sud Orientale (da 10,41 a 10,87%). Cresciuto il numero dei vescovi (da 5.065 a 5.104), in particolare in Africa (+16 nuovi vescovi), America (+15) e Asia (+12), mentre una lieve flessione si è manifestata in Europa (da 1.607 a 1.606) e in Oceania (da 132 a 129). Prosegue anche la tendenza alla crescita del numero dei sacerdoti, che ha avuto inizio dal 2000: oltre 412 mila sacerdoti nel mondo con un incremento di 1.643 unità. L’aumento riguarda l’Asia (con +1.695 sacerdoti), l’Africa (con +761), l’Oceania (con +52) e l’America (con +40 unità), mentre un calo in Europa (-905 sacerdoti). Crescita anche dei religiosi professi non sacerdoti, da 54.229 nel 2009 a 54.665 nel 2010. In calo invece le religiose, che scendono a 721.935 da 729.371 che erano nel 2009. In costante crescita nell’ultimo quinquennio (+4%) il numero degli studenti di filosofia o di teologia nei seminari diocesani o religiosi: passano dalle 114.439 unità del 2005 alle 118.990 del 2010.I seminaristi maggiori diminuiscono invece in Europa (-10,4%) e in America (-1,1%), ma aumentano in Africa (+14,2%), in Asia (+13,0%) e in Oceania (+12,3%).

Alla Chiesa interessano poco i numeri fine a se stessi, questo lo sappiamo. Ci piace perciò sottolineare ancora una volta le parole di Benedetto XVI nel 2010: «Sono statistiche che certo hanno la loro importanza. Mostrano quanto la Chiesa sia vasta, quanto ampia sia in realtà questa comunità che abbraccia razze e popoli, continenti, culture e persone di ogni genere […] E’ segno di quanto sia viva la Chiesa. Osservandola soltanto dal punto di vista dell’Europa, sembrerebbe in declino. Ma è solo una parte dell’insieme. In altri luoghi della terra, la Chiesa cresce ed è viva, è molto dinamica. Ma il potere del Papa non è in questi numeri». E, citando sant’Agostino, ha aggiunto: «molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro».

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In Danimarca la guerra alla sindrome di Down a colpi di aborto

«È chiaro che la Chiesa cattolica possa non essere d’accordo con l’eutanasia. Personalmente però ritengo che questa posizione non sia veramente umanitaria. La Chiesa (…) predica la pietà, ma in questo caso si rivela crudele poiché, secondo una valutazione puramente emotiva, richiede il perpetuarsi di una penosa sofferenza senza fine». Questo toccante intervento di tolleranza modernista, dinanzi al quale tutti gli abortisti anticattolici sorriderebbero soddisfatti, lo dobbiamo a Valentin Faltihauser, uno dei responsabili della morte di più di 250 mila persone per colpa delle malsane idee eugenetiche naziste: questa fu la sua difesa al processo di Norimberga. Le parole dello scienziato nazista sono le stesse che scorrono dagli “esperti” in qualsiasi show televisivo e nelle opinioni dell’uomo medio.

In Danimarca il governo ha intrapreso una propria guerra contro la Sindrome di Down tramite fitta propaganda e la pur notevole iniziativa di aver reso gratuita l’analisi prenatale del bambino. L’inquietante scopo finale però è quello di abortire ogni feto “imperfetto” fino all’estinzione totale della malattia entro il 2030. «Ora (in Danimarca, n.d.A.) si eliminano i bambini Down…» scrive Josephine Quintavalle, la più nota esponente laica del movimento pro-life britannico, fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, «ma chi può determinare cosa sia l’imperfezione? In Inghilterra, ad esempio, lo fa lo Stato che ora si è spinto anche più in là, ritenendo inaccettabile qualsiasi anomalia fisica: la legge consente l’aborto fino al nono mese se il bambino ha il labbro leporino o se ha un dito in più. Anche il naso storto o le orecchie a sventola sono difetti: se seguiamo la logica perfezionista pure i bambini con queste imperfezioni dovrebbero essere abortiti». Il rischio eugenetico non si è estinto con il razzismo del primo novecento, ma ha solo cambiato faccia, ricoprendosi di una patina individualistica e faustiana estremamente popolare.

Il Professor Giorgio Israel, docente ordinario di Matematica presso “La Sapienza”, così si è recentemente espresso a tal proposito: «Esiste da sempre il mito prometeico della perfezione […], la convinzione che si possa vincere la malattia, ogni difetto e creare un’umanità perfetta c’è da tempo. Se il nazismo la saldava con un’ideologia razziale, oggi è diffuso invece il mito individualistico, per cui ognuno deve poter scegliere come deve essere fatto perfino suo figlio. Cambia la forma, ma alla base c’è sempre la stessa illusione: rifare ciò che sarebbe stato fatto male dalla natura». Il matematico rileva due problemi di questa ideologia: «il primo è il pangenetismo, l’idea secondo cui tutto è genetico, ogni aspetto negativo della persona è riconducibile ai geni. L’ambiente non c’è più, non contano i rapporti. Eppure una persona può essere perfetta, avere un cuore sanissimo e ammalarsi di cuore perché gli muore una persona cara. Non tutta la vita dell’uomo è inscritta nella genetica. Oggi invece, senza nessun presupposto razionale e scientifico, si crede così». Il secondo si riassume in questa domanda: «Chi decide quale vita è degna di essere vissuta? Chi dice che è meglio eliminare il feto piuttosto che far nascere un bambino Down? L’altro giorno ho visto una persona con una grave imperfezione: non aveva una gamba. Ma, proprio come Pistorius, correva con una protesi. Lui ha reagito, chi può decidere che quella non è una vita degna? Questo è un criterio nazista». Basterebbe ricordare la storia di Lizzie Valasquez o quella delle gemelle Abby e Brittany nate in un solo corpo.

Noi preferiamo lasciare a Dio (o, per i non credenti, alla Natura) il compito di decidere chi debba morire e chi debba vivere: l’unica speranza è che a tali più miti consigli tornino anche i vate dell’eugenetica contemporanea, prima che sia troppo tardi per tutti: anche per i loro figli.

Marzio Morganti

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Notizia shock: il “Fatto Quotidiano” difende i cristiani

Il 16 marzo 2012 è successa una cosa incredibile: il quotidiano italiano “Il Fatto Quotidiano”, diretto da due cristiani come Antonio Padellaro e Marco Travaglio (il secondo pure “cattolico”!) ha preso (velatamente) posizione in difesa di due lavoratrici inglesi licenziate perché hanno osato indossare una collanina con una croce durante l’orario di lavoro. Mentre in Oriente i cristiani vengono eliminati fisicamente, in Occidente la discriminazione assume la forma del licenziamento o della vessazione che passa sotto il termine di “cristianofobia”. La cosa non è nuova ed è comune in tutti gli Stati laicamente avanzati, più volte è stata denunciata su diversi quotidiani italiani, di destra e sinistra, (“Il Foglio” e “Europa” in particolare) e da esponenti credenti e non credenti, come Bernard-Henri Lévy. Ma che perfino il “Fatto Quotidiano” abbia riconosciuto -seppur con imbarazzo- l’assurdità di questo opprimente laicismo occidentale è un evento storico.

L’articolo è firmato da Daniele Guido Gessa, che probabilmente sarà ora massacrato di invettive dal vati-laicista de “Il Fatto” Marco Politi. Gessa spiega che i due casi di discriminazione sono finiti davanti alla Corte europea dei diritti umani dove, però, sono intervenuti anche i legali del ministero degli Esteri inglese secondo cui “vietare la croce non danneggia i diritti garantiti dall’articolo 9 dello Human Rights Act inglese”. Eppure lo stesso articolo riconosce la “libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato”. Il primo ministro David Cameron ha però affermato che il suo «personale punto di vista è che i lavoratori cristiani debbano potere indossare una croce», ma il ministro per le pari opportunità Lynne Featherstone ha comunque ordinato ai legali del governo di procedere alla Corte europea dei diritti umani con un parere negativo. Il caso andrà avanti nelle aule della corte nelle prossime settimane. Il giornalista de “Il Fatto” ha citato poi le parole lasciate dal noto personaggio televisivo Delia Smith sul suo sito web (seguito regolarmente da due milioni di utenti). L’articolo si è concluso ricordando che «nel Regno Unito, ogni volta che si fa una domanda di lavoro in un ente o in un’istituzione, ma anche in un’impresa privata, viene richiesto il credo religioso dell’aspirante lavoratore. Indicarlo non è un obbligo, ma recenti indagini dimostrano come sempre più persone tendano a nascondere la propria fede».

C’è da dire che i più maliziosi ritengono che questa leggerissima difesa dei cristiani da parte del quotidiano di Padellaro sia il male minore scelto pur di attaccare il fastidioso (è conservatore!) primo ministro Cameron. E’ anche interessante notare, nei commenti all’articolo di Gessa, quanto siano malleabili i lettori: il “Fatto” ieri attaccava i cristiani che osano criticare l’aborto? E allora tutti ad insultare i cristiani. Il “Fatto” oggi difende i cristiani? E allora tutti a difendere la libertà d’espressione dei cristiani…oltretutto anche con argomenti validi: «E’ il classico caso in cui il problema sta negli occhi di chi guarda», scrive correttamente un utente. E continua: «Anche la mela morsicata della Apple è collegata alla Bibbia (si riferisce alla mela di Adamo ed Eva) e vuole rappresentare la tentazione. Ma quanti lo sanno? Non tanti, quindi nessuna rivolta. La croce stessa per un non credente non dovrebbe significare nulla, o al massimo identificare la persona che la possiede come cristiana. C’è anche la possibilità che una persona si preoccupi per le implicazioni di quella croce (“voglio abortire e questa ha la croce e sarà sicuramente contraria….. voglio un altro medico”) […]. La vicenda fa emergere un problema che dovremo affrontare anche noi: rispetto per l’altro significa annullare le differenze per legge, stendere un bel tappetone che faccia sembrare tutti uguali i cittadini…..oppure tollerare che ognuno esprima la propria diversità?».

Simone Aguado

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Al Policlinico di Napoli vince la vita, nessun medico abortista

Al Policlinico federiciano di Napoli ha vinto la vita, per un po’ nessun essere umano verrà più soppresso perché non c’è più un medico disposto ad uccidere quel che l’embriologia definisce “nuovo essere umano, unico e irripetibile”. La decisione è stata di sospendere il servizio di Ivg e la somministrazione della pillola Ru486.

Dopo il blocco delle liste d’attesa, le donne sono state dirottate in altri presidi ospedalieri, la decisione è maturata dopo la morte del ginecologo Francesco Leone, unico medico abortista rimasto. Il direttore generale del Policlinico, Giovanni Persico, ha chiesto alla Regione l’autorizzazione ad assumere un altro ginecologo non obiettore, ma come ci dicono le statistiche gli obiettori superano notevolmente l’80%. D’altra parte sono solo loro che vedono cosa sia davvero l’embrione e il feto umano, e bisogna riflettere sul perché vi sia questa maggioranza bulgara di medici non disposti ad uccidere un essere umano.

Per restare in tema, fanno ridere, se non indignare, le urla di Maria Antonietta Farina Coscioni, deputato radicale e presidente onoraria dell’Associazione Luca Coscioni (sai che onore…), che si scaglia contro il cimitero per i feti abortiti a Firenze, voluto dal sindaco Matteo Renzi (PD), inneggiando a «provvedimenti contro i farmacisti “obiettori”». La definisce una decisione «di retroguardia e oscurantista» quella di provvedimenti che prevedono «la sepoltura di feti come fossero esseri umani, sconcerta che un analoga decisione sia ora adottata dalla giunta di centro-sinistra di Firenze». Evidentemente il centro sinistra dovrebbe ignorare le evidenze scientifiche (e nella maggior parte dei casi effettivamente lo fa, mentre il centro destra non ignora ma fa poco per essere coerente con questa presa di coscienza). Le posizioni oscurantiste della Coscioni superano perfino l’alleanza politica dato che lo stesso Renzi milita nella stessa area politica, il quale comunque risponde prontamente parlando di “norma di civiltà”.

 

Qui sotto un video dimostrativo di cosa sia il feto umano dalla 10° alla 14° settimana (si consideri che in Italia l’aborto è previsto fino alla 22°)

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