Finita la guerra Hitler avrebbe distrutto la Chiesa cattolica

Chi sostiene che ai tempi del nazismo la Chiesa fosse complice di Hitler si scontra con l’opinione della maggior parte degli storici dell’Olocausto, convinti che il dittatore tedesco avesse in mente di eliminare il cristianesimo (ad esempio l’ebreo George L. Mosse, William L. Shirer, Jack R. Fischel ecc.). Persino coloro che affermano che il nazismo fosse un’ideologia cristiana devono ammettere che la fede del Fhürer non coincideva con quella delle chiese tradizionali (cfr. Richard Steigmann Gall, “Il santo Reich”, Milano 2005). È innegabile, infatti, che durante i dodici anni di vita del Terzo Reich, la Chiesa dovette subire restrizioni e vessazioni perché giudicata ostile dal governo nazista.

La notizia non è certo una novità dato che è stata trattata persino durante il processo di Norimberga. Uno dei capi d’accusa imputati al leader nazisti era la persecuzione religiosa. L’accusa dichiarò infatti: «Essi (n.d.a. I cospiratori nazisti) hanno dichiarato il loro obiettivo di eliminare le chiese cristiane in Germania ed hanno perciò cercato di sostituirle con le istituzioni e le credenze naziste; in ordine di ciò hanno perseguito un programma di persecuzione di sacerdoti, chierici e membri di ordini monastici che essi ritenevano opporsi ai loro intenti, ed hanno confiscato le proprietà della chiesa» (Robert A. Graham, “Pio XII e il regime nazista. Note dagli archivi tedeschi”).  La politica tedesca verso la Santa Sede fu criticata persino dagli alleati della Germania perché giudicata infruttuosa: nel settembre 1936 Mussolini fu invitato in Germania e chiese a Hitler di mettere la sordina alla sua campagna di odio anticattolico perché intuiva che la politica religiosa del Reich avrebbe reso assai difficile l’accoglimento da parte del popolo italiano la notizia di un’alleanza con la Germania. La richiesta fu respinta (Denis Mack Smith, “Mussolini” Milano 2002, p. 335). Agli inizi del 1933 il Vaticano stipulò un concordato con il nuovo stato tedesco. Questo atto, che è stato visto come un segno di connivenza con il regime, era in realtà un tentativo di proteggersi da esso. Pacelli dichiarerà all’ambasciata inglese che era come se «una pistola gli era stata puntata sul capo e non aveva alternativa» (A. Tornielli, “Pio XII. Eugenio Pacelli, un uomo sul trono di Pietro”, Milano 2007, p. 1935). Del resto, Hitler non era intenzionato a rispettare gli accordi e fin da subito si susseguirono numerose violazioni, tanto che nei successivi quattro anni si ebbero settanta proteste ufficiali rimaste praticamente senza risposta (A. Tornielli, op. cit. pp. 195-238).

I nazisti erano intenzionati a distruggere l’influenza della Chiesa nella società e si adoperarono a far chiudere scuole, giornali e associazioni cattoliche, a licenziare i religiosi dalle scuole pubbliche, a togliere i crocifissi dagli edifici, a limitare i pellegrinaggi, a confiscare monasteri e a proibire la pubblicazione di articoli a carattere religioso (A. Riccardi, “Il secolo del martirio”, Milano 2000 pp. 63-83). Il regime non intendeva condurre una guerra aperta (i cattolici, pur essendo una minoranza, erano circa il 40% della popolazione), ma preferiva gettare discredito su un’istituzione considerata nemica attraverso una campagna di calunnie, sebbene non mancassero atti di violenza e uccisioni: «Più di un terzo del clero secolare e un quinto circa del clero regolare, ossia più di 8000 sacerdoti furono sottoposti a misure coercitive, 110 morirono nei campi di concentramento, 59 furono giustiziati, assassinati o perirono in seguito ai maltrattamenti ricevuti» (da G. Miccoli, “I dilemmi e i silenzi di Pio XII”, nota 54, p. 444). Dal conteggio sono ovviamente esclusi i laici vicino alla Chiesa e i sacerdoti uccisi o imprigionati nei territori occupati. Per questo a partire dal 1935 si orchestrarono processi contro preti e religiosi accusati di contrabbando di danaro e abusi sessuali seguiti con molta attenzione della stampa. Nel frattempo, la propaganda continuò a presentare il Papa come un nemico della Germania con ascendenze ebraiche (A. Duce, “La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945)”, Roma 2006 p. 56).

Per contrastare questa situazione, Pio XI emanò l’enciclica Mit brennender sorge (“Con viva ansia”) nella quale si denunciavano il razzismo neopagano e le difficili condizioni a cui era sottoposta la Chiesa. La diffusione della lettera fu vietata in Germania, mentre gli attacchi contro i cattolici erano tollerati, per non dire incoraggiati. Il caso limite fu quello di Alfred Rosenberg, ideologo del partito nazista, che pubblicò un libro ferocemente antisemita, “Il mito del XX secolo”, nel quale attaccava anche la Chiesa e il cristianesimo  («La nostra anima è stata contaminata dagli ebrei e ciò è stato fatto per mezzo della Bibbia e della Chiesa Cattolica», si legge). Ufficialmente il libro era una produzione privata, ma in pratica, era raccomandato dal giornale ufficiale delle SS, adottato come testo nei campi di lavoro, nelle case di gioventù, nelle scuole secondarie e d’istruzione superiore e gli attacchi contro di esso venivano censurati. In una protesta al governo tedesco, Pacelli farà notare che «e il signor Rosenberg […] attacca in modo inaudito e vilipende la fede cristiana, le istituzioni ecclesiastiche compreso il papato, la più alta autorità della Chiesa, egli viene dichiarato uomo privato. Ma quando i fedeli e i vescovi protestano contro la propaganda anticristiana del signor Rosenberg […] allora è dichiarato alto funzionario dello stato e del partito e ogni difesa contro i suoi attacchi anticristiani viene dichiarata delitto contro lo stato nazionalsocialista» (da S. Falasca, “Un vescovo contro Hitler” Milano 2006 pp. 108-109 ).

La campagna antireligiosa fu tutt’altro che inefficace e migliaia di fedeli abbandonarono ogni annola loro confessione (G. Lewis, “I nazisti e la Chiesa”, Milano 2002 pp. 232-233). L’obiettivo ultimo della politica religiosa del nazismo era, infatti, quello di fondare una chiesa nazionale tedesca che avrebbe sostituito la fede in Gesù Cristo nel mito del sangue e della razza ariana. Nel fare questo si cercò di sostituire riti e festività cristiane con nuove feste nazionalsocialiste: s’istituì la festa del solstizio d’inverno per cercare di soppiantare il Natale, si tennero manifestazioni la domenica mattina durante l’orario della Messa e, negli istituti si giunse a proibire il battesimo dei neonati sostituendolo a nuovo rito di iniziazione nella “comunità germanica” (G. Sale, “Udienza al diavolo nazista”).  Ad ogni modo, Hitler era intenzionato per prima cosa a eliminare gli ebrei e a vincere la guerra, e per questo decise di sistemare la questione religiosa dopo la vittoria (che non arrivò). In particolare l’8 maggio 1942 affermò che avrebbe preso le debite misure contro la Chiesa, non appena fosse finita la guerra (le intenzioni di Hitler verso la Chiesa sono comunque documentate dai diari di Joseph Goebbels, dalle memorie di Albert Speer e dalla raccolta di monologhi di Martin Bormann).

Mattia Ferrari

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Studio USA: chi frequenta la chiesa sperimenta miglior umore

Su Livescience.com è stato pubblicato un articolo a firma Stephanie Pappas che riporta i dati di una recente analisi di Gallup, il cui risultato è che gli americani che regolarmente partecipano alle funzioni religiose sono più felici di quelli che non lo fanno. L’effetto è particolarmente elevato la domenica quando chi si reca in chiesa vede aumentare il suo buon umore, mentre chi frequenta meno lo vede diminuire.

L’analisi si è basata su 300.000 interviste raccolte nel 2011 e ha rilevato, su base giornaliera, che chi frequenta i riti della propria religione ha più emozioni positive e meno emozioni negative di chi invece frequenta molto meno. Per chi si reca in chiesa almeno una volta a settimana, ad esempio, riporta 3.36 emozioni positive e 0.85 emozioni negative al giorno, contro le 3.08 emozioni positive e le 1.04 emozioni negative di chi non vi si reca mai. La domenica è il giorno della settimana in cui il benessere dei praticanti e quello dei non praticanti diverge in modo significativo, con un netto incremento dei praticanti e una netta deflessione dei non praticanti. Questa ulteriore differenza si può forse spiegare perché «alcuni americani laici cominciano a temere il ritorno al lavoro del lunedì o limitare le loro attività sociali o di svago domenicale per preparare l’inizio della settimana lavorativa», spiegano i ricercatori.

 

Qui sotto il confronto tra benessere e partecipazione in chiesa

Qui sotto il confronto tra malessere e partecipazione in chiesa

Sul sito di Gallup viene citato Daniel Kahneman, il quale scrive che tutto ciò «suggerisce che il numero amicizie dei fedeli praticanti spiega la soddisfazione di vita più elevata tra di loro. Inoltre, la ricerca ha scoperto che l’amicizia in chiesa è più fortemente correlata con la soddisfazione di vita per amicizie in altri contesti, come ad esempio sul posto di lavoro o in eventi culturali». Diversi studi precedenti hanno già messo in evidenza un collegamento tra l’essere religiosi e l’essere felici, proprio su UCCR esiste un lungo elenco di studi di questo genere.

Davide Galati

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La radiodatazione della Sindone è stata pilotata? Le risposte in un documentario

Tra gli esperti della Sindone l’uscita del documentario “La notte della Sindone”, prodotto da Polifemo e RAI con la regia di Francesca Saracino, era molto atteso. Per la prima volta si è fatta luce sulle ricerche, sui personaggi e sulle presunte misteriose manovre che hanno caratterizzato la controversa datazione al radiocarbonio eseguita nel 1988.

Da allora c’è stato un acceso dibattito all’interno del mondo scientifico, tantissimi i dubbi avanzati a partire da Harry Gove, il principale portavoce e coordinatore degli scienziati per la datazione della Sindone che ha cambiato idea, mostrando in uno studio scientifico seri dubbi sulla datazione medioevale della Sindone. Poi il chimico Raymond N. Rogers, tra i maggiori esperti a livello internazionale in analisi termica, che alla fine di uno studio scientifico ha così affermato«La data emersa dall’esame al radiocarbonio non è da considerarsi valida per determinare la vera età della Sindone».  Anche il responsabile di uno dei laboratori in cui è stata realizzata la datazione,Christopher Ramsey di Oxford, ha affermato in un comunicato ufficiale del 2008 che «Ci sono un sacco di altre prove che suggeriscono a molti che la Sindone è più vecchia della data rilevata al radiocarbonio». Ovviamente va citata la relazione della Società Italiana di Statistica, con la quale sono stati rilevati errori di calcolo e la modificazione di alcuni dati per arrivare al livello di attendibilità dall’1 al 5%, ovvero la soglia minima per poter presentare l’esame scientificamente.

Ora questo documentario, che verrà proiettato domani 28 marzo 2012 dalle 17:30 alle 19:00 presso l’Auditorium Giovanni Paolo II (ingresso libero) dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum a Roma.  Per realizzarlo sono stati analizzati documenti inediti: video, file audio, fascicoli, lettere, foto, e sono stati intervistati i testimoni della vicenda, come il prof. Franco Testore, l’esperto tessile che eseguì la pesatura dei campioni per l’analisi. 

UCCR ha intervistato la regista, Francesca Saracino, cercando di carpire qualche informazione in anteprima. Ci ha gentilmente risposto che «si tratta di una lunga ricerca durata due anni e mezzo per trovare delle prove su varie ipotesi azzardate o meno, che in questi anni sono state avanzate». Anche lei conferma infatti che in questi anni «l’ipotesi di un complotto, di un’analisi “pilotata” è stata portata avanti da tutta una serie di indizi, ma mai davvero qualcosa di concreto, la “prova” è stata trovata. Noi abbiamo trovato le prove che qualcosa di strano c’è stato davvero. E’ questa la novità di questo documentario. Tanti documentari sono stati fatti sulla Sindone, in cui si è affrontato anche il tema del Carbonio 14, ma mai nessuno si è soffermato su questo tema scavando a fondo sul prima, il durante e il dopo la datazione…noi lo abbiamo fatto».

La questione come si vede è davvero scottante. Dopo che pochi mesi fa i ricercatori di ENEA hanno respinto la possibilità di un falsario medioevale, oggi cade (definitivamente?) l’attendibilità della radiodatazione. La cosa più misteriosa è stata la presenza di persone estranee agli scienziati e agli ecclesiastici addetti, che hanno in qualche modo condizionato i lavori: «Nel documentario ciò viene mostrato», ci ha risposto la regista. «Secondo me si, c’è paura di arrivare alla verità sulla Sindone».  Chi è a Roma non si può certo perdere domani questo evento, anche se «ci saranno altre presentazioni in varie parti d’Italia ma ora non saprei darvi delle date certe. Abbiamo già una distribuzione Home video ( che non è ancora iniziata però) molto importante, di cui presto riveleremo il nome e stiamo cercando una diffusione anche per la televisione. Su questo ultimo punto stiamo trovando alcune difficoltà per due motivi: da una parte la crisi globale, dall’altra parte il tema trattato nel documentario è sempre molto scomodo. Per come poi lo abbiamo affrontato noi diventa ancora più scomodo».

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Un’altra sconfitta per Farina Coscioni: cimitero per i non nati anche in Campania

Il feto è un essere umano, così dice l’embriologia moderna, il feto è una persona, così cominciano a riconoscere gli organi giudiziari, dunque è degno e ha diritto di vivere e di essere sepolto. Oggi le generazioni più giovani sono maggiormente pro-life e questo giustifica i numerosi progressi a livello internazionale sulla tematica dell’aborto, l’oscurantismo laicista sta perdendo terreno e finalmente le forze in campo per difendere gli esseri umani nella loro prima fase della vita sono tante.

Anche in Italia ci sono passi avanti, come in Lombardia, a Roma e Firenze, dove sono stati predisposti dei piccoli cimiteri adibiti ad accogliere i corpicini dei feti soppressi dall’aborto. Maria Antonietta Farina Coscioni e i radicali continuano a strillare a più non posso, tuttavia in questi giorni si è saputo che anche la Regione Campania ha deliberato le linee di indirizzo per dare sepoltura ai feti di meno di 20 settimane. La Regione, per la prima volta, riconosce, sulla scia di un parere del Comitato nazionale di bioetica del 1996, come debba esserci «il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani».

Un’altra importante notizia è che si diffondono nuovamente in Italia le culle pronte ad accogliere i neonati, come le ruote degli esposti di un tempo, figli di donne disperate che intendono abbandonarli. Qualche giorno fa ne è stata inaugurata una nell’ospedale di Padova e, giorni prima, un’altra nella parrocchia di Giarre, nel Catanese, ad opera locale Centro di aiuto alla vita. In Italia la prima culla sorse, grazie al Movimento per la vita, nel 1992 a Casale Monferrato e da allora sono stati fatti molti progressi. E’ un bellissimo servizio di «soccorso» per le madri che scelgono la strada dell’anonimato pur di salvare il figlio anche in situazioni estreme. Un sensore fa scattare un allarme nel caso vi venisse depositato un bambino e una telecamera dentro la culla, collegata con il 118, permette di accertare la presenza del neonato e far scattare i soccorsi, il bimbo verrà affidato al Tribunale dei minori per l’adozione. Evitare l’aborto e lasciare in una culla confortevole la sua creatura sarà l’ultimo gesto d’amore materno.

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Ecco perché il “caso Lautsi” è stato un dono al cristianesimo

A distanza da un anno dalla sentenza definitiva, il caso Lautsi contro Italia, più noto come il caso del crocifisso, ha una grande importanza, non semplicemente dal punto di vista politico e giuridico, ma anche religioso. Ne ha parlato Grégor Puppinck, Direttore del Centro europeo per la legge e la giustizia, affermando che «mai nella storia della Corte e del Consiglio d’Europa un caso aveva suscitato così tanta attenzione e dibattito pubblico». In un percorso senza precedenti, infatti, «ventuno Stati membri della Convenzione europea dei diritti dell`uomo si sono uniti all`Italia per riaffermare la legittimità della presenza del cristianesimo nella società e nell’identità europee. E la Corte lo ha confermato, riconoscendo – in sostanza – che nei Paesi a tradizione cristiana, il cristianesimo possiede una legittimità sociale specifica che lo distingue dalle altre credenze filosofiche e religiose».

Ma quali conseguenze a questa approvazione? Secondo l’esperto, «la Corte sembra cominciare a dare prova di un certo riserbo giudiziario nei casi moralmente sensibili. Mentre la Corte era diventata uno dei terreni favoriti dell`attivismo “ideologico ultraliberale”, soprattutto in materia di bioetica e di sessualità, sembra ora riscoprire che i valori etici e morali sottesi in ogni società meritano rispetto». Questo lo si è potuto sperimentare anche nel recente pronunciamento della Corte di Strasburgo (cfr. Ultimissima 23/03/12), e in tanti altri casi, citati anche da Puppinck.

Il caso Lautsi, sollevato da aree ateo-fondamentaliste italiane è stato un clamoroso autogol. Non solo perché per reazione i crocifissi nelle scuole sono triplicati, venendo appesi anche laddove prima non c’erano, ma «ha avuto anche conseguenze importanti sui dibattiti nazionali relativi alla presenza dei simboli religiosi in scuole, ospedali o parlamenti. Questi dibattiti durano da anni, per esempio in Austria, in Svizzera, in Spagna, in Romania e – fuori dall`Europa – in Québec. La Corte costituzionale d’Austria, come anche quella del Perù, ha giudicato la presenza del crocifisso nelle aule e nei tribunali conforme alla Costituzione. Queste decisioni sono state prese quasi in contemporanea con la sentenza Lautsi». In Svizzera, ha continuato a ricordare il giurista europeo, «il Consiglio di Stato ha respinto il 22 giugno 2011 un ricorso che mirava a interdire l`esposizione del crocifisso nei corridoi di una scuola del Canton Ticino».

In definitiva, un caso nato per eliminare la presenza cristiana dallo spazio pubblico ha «avuto, e ha, una profonda portata unificatrice tra i diversi popoli europei. L’esplicito appoggio all’Italia di ben 21 Paesi testimonia che il cristianesimo resta nel cuore dell’unità europea. E a proposito di unità, il caso Lautsi è stato anche un’occasione di ulteriore riavvicinamento tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse e ha dimostrato che la proficua collaborazione – di cui esse si sono reciprocamente rallegrate permette loro di riguadagnare una più forte, profonda e legittima influenza sui dibattiti e sugli orientamenti della politica europea. E proprio in questo senso il caso del crocifisso potrà avere le conseguenze più significative e a lungo termine». Ricordiamo che UCCR ha creato un dossier specifico per il “caso Lautsi”.

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Etica laica: un’occasione perduta

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Stefano Biavaschi, assistente in Teologia presso l’Università Cattolica, formatore di insegnanti e catechisti e collaboratore con i principali quotidiani nazionali. Ha contribuito alla formazione etica dei nuovi funzionari iracheni per conto di “Transparency International” dopo il conflitto in Iraq, ha lavorato per Rai e Mediaset ed è da alcuni anni conduttore a Radio Maria di trasmissioni a carattere culturale. Ha pubblicato diversi libri e la sua opera di maggior successo è “Il Profeta del Vento“»

 

di Stefano Biavaschi*
*assistente alla Cattedra di Teologia presso l’Università Cattolica di Milano

 

Dal mondo laico ci si aspettava qualcosa di più, ci si aspettava un’etica fondata sulla ragione. Ci si aspettava che chi non ha Dio come punto di riferimento cercasse comunque il vero, il bello, il buono. Invece è stata sfornata una cultura della morte, una cultura in cui perfino l’essere umano non conta più nulla, e può essere eliminato a piacimento in qualsiasi fase della sua esistenza.

L’ultimo episodio dei due “bioeticisti” italiani, Giubilini e Minerva, che sostengono l’eliminabilità dei neonati non graditi, estendendo così la logica dell’aborto a qualche settimana dopo il parto, fa toccare con mano il fallimento di una ricerca che avrebbe dovuto essere fondata sulla Ragione, e non sullo spietato utilitarismo ove l’uomo non è più creatura amorevole al servizio degli altri, ma un mostro a cui tutto il mondo è riferito, prostrato diabolicamente ai suoi piedi. Sì, diabolicamente, perché non c’è più nulla di umano in quello di cui stiamo parlando. E’ possibile chiamare ancora “uomo” chi non avrebbe alcuno scrupolo nell’atto di uccidere nella culla un neonato? Non riusciamo nemmeno a credere che Alberto Giubilini e Francesca Minerva, messi alle strette nella circostanza concreta che hanno teorizzato, si avvicinerebbero davvero a quella culla con un ago avvelenato. Se invece sì, allora ogni dialogo è davvero interrotto, e a quel punto cessa anche il nostro rispetto.

E cessa di essere un possibile soggetto di dialogo anche la Consulta di Bioetica che essi rappresentano; una consulta che dichiara di perseguire “un’etica laica”. Ma se la legittimazione di questi omicidi sono l’ultima conquista della cosiddetta etica laica, allora non abbiamo più nulla da spartire con essa. Il conflitto con l’etica “laica” doveva portare frutti utili, il compito di quest’ultima dove essere quello di sviluppare l’autonomia della ragione, di scoprire a cosa conducessero i preziosi strumenti della ragione umana quando essa sospendeva le verità rivelate. Anche i razionalisti, nel loro limite, avrebbero potuto dare un importante contributo; un contributo che ci sarebbe stato d’aiuto per non scivolare nelle continue tentazioni verso il fideismo. Invece abbiamo perso i nostri antagonisti; abbiamo perso quelli che potevano essere, nella comune ricerca della verità, dei degni rivali. Perché sono come marinai che hanno abbandonato del tutto la nave, lasciando completamente a noi la barra del timone. In un certo senso ne siamo grati: nessuno meglio di loro indica che senza Dio non c’è più morale, che solo Lui può guidare la storia, che l’uomo senza il suo Creatore cessa immediatamente di essere uomo. E’ l’ennesima dimostrazione che l’essere umano non può fare a meno di Dio.

Peter Singer, il filosofo australiano cui quei due “bioeticisti” si sono ispirati, è figlio di una coppia di ebrei scappata durante la Shoah: come è possibile che l’Olocausto non gli abbia insegnato nulla? Che senso ha che scriva libri come “Liberazione animale” accusando l’uomo di “specismo” (razzismo contro gli animali), e poi giustificando l’eliminazione dei neonati indesiderati? O che scriva “Il progetto grande scimmia” per poi praticare di fatto lo “specismo” contro gli esseri umani? “La vecchia morale non serve più”, sostiene Singer. Benissimo, ma è questa la morale alternativa cui si è ridotto dopo tanta ricerca con la sola ragione? E’ la spietata conferma che senza la fede l’uomo non va proprio da nessuna parte. Non trova affatto una via ugualmente bella, ugualmente dignitosa.

E nei rari casi in cui la trova, se ancora la trova, è perché sebbene la sua testa sia girata all’indietro, i suoi piedi camminano ancora sul selciato steso con cura dai suoi padri. Solo Cristo è la luce della storia. Ed anche questa volta il mondo “laico” ce l’ha fatto capire; ancora di più.

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Quell’asino di Odifreddi

Il “matematico incontinente”, come ormai è stato simpaticamente etichettato il blogger italiano Piergiorgio Odifreddi, ha scritto un articolo sul suo portale (in cui esalta abbastanza patologicamente il “vivere senza senso”) intitolato: “Quel coccodrillo del Papa”. Sperando di essere ironico ha sostenuto che Benedetto XVI sia «partito per il Messico e Cuba, per una missione di fondamentale importanza: riportare “a casa” un cucciolo di coccodrillo di una specie in via di estinzione, sequestrato dal Corpo Forestale dello Stato a un privato che lo teneva illegalmente in casa, affidato alle cure del Bioparco di Roma, e infine donato al Papa».

Lo scopo dell’intervento di Odifreddi è quello di sensibilizzare i suoi fedeli contro il fatto che il Pontefice utilizzi un aereo dell’Alitalia per i suoi viaggi. Dovendo in qualche modo introdurre la notizia del viaggio in Messico e a Cuba ha scelto di parlare del coccodrillo, evitandosi così il fastidioso (per lui) accenno sulla vera missione del Papa, cioè parlare di democrazia in due Stati fortemente laicisti. Il Messico, dopo un susseguirsi di tutta una serie di governi di ispirazione massonico-laicista, non ha ancora una legge in discussione sulla libertà religiosa il riconoscimento di quel ruolo pubblico che qui finora non ha mai avuto. Cuba è stata invece dominata fino agli anni ’90 da un ferocissimo ateismo di Stato. Di questo Odifreddi non può ovviamente parlare, preferendo l’omertà sorniona e l’ironia.

Tornando ai motivi dell’articolo del noto blogger in pensione, il cuore della sua accusa è questa: dato che il premier Monti ha proibito di usare aerei e voli di stato per i ministri che non siano in missione ministeriale, «la coerenza non vorrebbe dunque che si cominciasse anche a far dimostrativamente pagare al Papa i costi dei suoi numerosi viaggi all’estero?». Innanzitutto, come ha scritto Sergio Romano su “Il Corriere della Sera”, citando il vaticanista Accattoli, «i voli papali non sono a “titolo gratuito”, ma pagati dal Vaticano e dai giornalisti che ne usufruiscono ai prezzi di mercato dei “voli speciali”, calcolati secondo i parametri della Iata: “International Air Transport Association” […]. Tra le compagnie aeree c’è una forte gara ad aggiudicarsi i voli papali per il forte ritorno di immagine: portare il Papa vuol dire apparire con l’aereo e il logo per più giorni in decine di telegiornali di ogni paese del mondo. Una visibilità pubblicitaria equivalente costerebbe un patrimonio». Dunque il Vaticano paga il volo, come tutti gli altri.

Confermando le parole di Accattoli, occorre ricordare che sono gli stessi responsabili della compagnia aerea a proporsi entusiasticamente di accompagnare il Papa, come ha spiegato Rocco Sabelli, amministratore delegato di Alitalia, il quale oltretutto ha spiegato nel libro: “Compagni di Viaggio. Interviste al volo con Giovanni Paolo II” (Lev 2011): «Nella vicenda di Alitalia del 2008 la scelta del Papa di continuare a volare con noi è stata fondamentale per la nostra immagine». Un fortissimo ritorno di immagine, dunque oltre al biglietto pagato c’è anche un vantaggio economico per tutti. Rocco Sabelli ha anche ricordato che i Papi hanno sempre volato con Alitalia, e questo è un motivo di vanto per la compagnia: «Considerando la nazionalità dell’attuale pontefice, si era fatta avanti la maggiore compagnia tedesca (Lufthansa) per offrire di portare il Papa nei suoi viaggi. Ma il Papa ha voluto proseguire a volare con noi di Alitalia ed ora lo accompagneremo in Messico, a Cuba e a settembre a Beirut». L’ AD di Alitalia ha raccontato come nella preparazione dell’ aereo papale il personale sia emotivamente coinvolto «anche se si è in un ambiente molto laico, essere scelti per far volare il Papa è un motivo di grande orgoglio e responsabilità».

Odifreddi dovrebbe stare attento a ironizzare sugli animali….si diverte con il coccodrillo del Papa, ma chissà se avrà fatto il simpatico anche con il suo Asino d’Oro. Quell’asino che Odifreddi vince, occorre dire, solo quando parla di scienza (l’unico divulgatore ad averne vinti due fino ad esso, 2007 e 2009 per i peggiori articoli scientifici), ma che meriterebbe sicuramente anche per questa sua ennesima odifreddura.

 

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Messico: bagno di folla per il Santo Padre

Un milione di fedeli ha accolto Benedetto XVI in Messico, lungo le strade di Guanajuato e Leon. L’entusiasmo popolare è alle stelle, dice la stampa e anche il Pontefice ne è rimasto sorpreso. Papa Ratzinger ha già incontrato otto familiari di vittime della criminalità organizzata: il cristiano, ha ammonito poi il Pontefice in un Paese insanguinato dalla violenza, «non risponde al male con il male», bensì «è sempre strumento del bene, araldo del perdono, portatore di allegria, servitore dell’unità». Con il presidente Calderon si è parlato di disarmo nucleare e il Pontefice ha auspicato un trattato anti-armi la cui «proliferazione ha favorito l’azione criminale della delinquenza». Si è poi rivolto particolarmente -oltre agli impegni istituzionali- ai circa 4.000 bambini riuniti nella “Plaza de la Paz”. Ricordiamo che in Messico la Chiesa attende dalla legge in discussione sulla libertà religiosa il riconoscimento di quel ruolo pubblico che qui finora non ha mai avuto.

La diretta video del viaggio del Papa è visibile qui.

La Santa Sede ha intanto pubblicato alcuni dati sulla Chiesa cattolica nei due Paesi latinoamericani, Messico e Cuba forniti dall’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa e aggiornati al 31 dicembre 2010. Il Messico ha una popolazione di almeno 108.000.000 abitanti, di cui quasi il 92% è di religione cattolica. Il territorio messicano conta 6.744 parrocchie, 163 vescovi, 16.234 sacerdoti e 30.023 religiosi e religiose. Un totale di 1.856.735 studenti frequenta gli 8.991 centri di istruzione di tutti i livelli gestiti dalla Chiesa o da enti ecclesiastici, i quali dirigono anche 5.082 centri caritativi di proprietà della Chiesa, di cui 257 ospedali, 1.602 ambulatori, 8 lebbrosari, 329 orfanotrofi e asili nido, e più 2.100 consultori familiari ed altri centri per la protezione della vita. A Cuba invece il 60,19% della popolazione dell’isola caraibica è di religione cattolica, ossia 6.766.000 abitanti su un totale di 11.242.000. 304 le parrocchie, 17 vescovi e 361 i sacerdoti. Ecclesiastici e/o religiosi gestiscono a Cuba anche 17 centri caritativi, di cui ad esempio 2 ambulatori, 1 lebbrosario e 8 case per anziani o disabili.

 

Qui sotto l’arrivo di Benedetto XVI in Messico (23/03/12)

Qui sotto il discorso di Benedetto XVI rivolto ai ragazzi messicani (25/03/2012)

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Dr. John Crown: «mai un caso in cui l’aborto fosse veramente necessario»

Dr. John CrownUn’asserzione che potrebbe suonare scontata alle orecchie dei sostenitori del diritto alla vita ma che lo è decisamente meno se a pronunciarla è un eminente dottore irlandese che per sua stessa ammissione non si definisce pro-life. Il dottor Crown, oncologo, professore e recentemente politico irlandese, ha infatti dichiarato: «Non credo d’aver mai incontrato un caso dove l’aborto fosse necessario a salvare la madre».

L’affermazione, giunge in un momento cruciale per il diritto alla vita nella repubblica Irlandese, sotto attacco dalla riscossa del movimento abortista che fino ad oggi aveva sempre considerato e utilizzato l’IVG come “terapia salva vita” fondamentale per la salute della donna come il cavallo di battaglia per le sue campagne. Tuttavia, a minare la credibilità degli abortisti, insieme alla voce del dottor Crown s’aggiunge anche il recentissimo studio del Pensions and Population Research Institute (PAPRI) che sottolinea la «bassa incidenza di malattie materno-infantile» e una generale miglior salute tra le donne irlandesi, riconducibile al divieto all’aborto.

I gruppi pro-life locali hanno accolto favorevolmente la dichiarazione del dottore, sostenendo che «conferma quello che i medici esperti più anziani hanno sempre detto: l’aborto non è mai medicalmente necessario». Inoltre, sottolinea Rebecca Roughneen di Youth Defence, come gli abortisti si siano lanciati in una campagna sfacciata di “falso allarmismo” in cui «ripetono continuamente le stesse bugie […]. Il fatto è che, come il Dottor Crown ha fatto notare, tutte le prove mediche dimostrano che non sono vere». La notizia è stata è stata riportata da LifeSiteNews.com.

Nicola Z.

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Il successo dell’eugenetica negli USA, in Europa e nei Paesi secolarizzati


 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

Proseguiamo il discorso sull’eugenetica iniziato in Ultimissima 9/03/12. Negli Stati Uniti l’eugenetica si sviluppò inizialmente nei laboratori di Long Island dai seguaci di Francis Galton. I programmi eugenetici statunitensi erano perseguiti e difesi in nome dell’ideologia pseudoscientifica progressista che come obiettivo aveva quello di migliorare l’umanità per arrivare alla selezione di individui perfetti. Qui, come scrive Valentina Costa, sperimentazioni come le sterilizzazioni dei non adatti, la segregazione di bambini e bambine nelle scuole statali, la lobotomia e l’elettroshock furono utilizzati come vere e proprie cure di prevenzione e di salvaguardia di quelle persone meritevoli che avrebbero avuto il compito di portare avanti nella specie i loro caratteri superiori. I milioni di immigrati provenienti da tutt’Europa furono, assieme ai cosiddetti ritardati mentali, ai poveri, alle prostitute, agli alcolisti, i principali bersagli dell’eugenetica americana. Inizialmente la gente proveniente dal “Vecchio Mondo” era vista come una fortuna per l’industria in rapida ascesa: era infatti una fonte preziosa di manodopera a basso costo; col passare degli anni però le troppe e crescenti differenze culturali, linguistiche, religiose finirono per alimentare un malcontento generale da parte del popolo americano, tradizionalmente patriottico e fiero della propria cultura. In questa situazione gli eugenisti svolsero un ruolo fondamentale, facendo nascere un vero e proprio sentimento di odio nei confronti degli immigrati, considerati oramai biologicamente inferiori.

Uno fra i primi e più famosi eugenisti americani fu Henry H. Goddard, il quale si incaricò di individuare tra tutti gli immigrati che sbarcavano a Ellis Island, coloro che avrebbero potuto costituire un pericolo per i futuri figli d’America. Goddard sottoponeva a test mentali le persone che egli stesso riteneva potenzialmente malate, insane, o “deficienti” a causa del loro aspetto. La presunta validità dei risultati di questi test è però oggettivamente tutta da verificare, in quanto essi venivano fatti, oltre che in una lingua sconosciuta agli immigrati (l’inglese), in condizioni ostili e disumane, dopo una traversata oceanica su un ponte di “terza classe”. E’ facile comprendere come questi test non potessero che dare la conferma alle supposizioni di Goddard riguardo l’inferiorità mentale degli immigrati; l’interpretazione che fu data inoltre mise in allarme il popolo americano perché dai test emergeva che i nuovi arrivati non solo erano “ritardati”, ma questa loro caratteristica era in costante crescita. Sembrava perciò necessario evitare in ogni modo una contaminazione del sangue americano, in quanto la debolezza mentale era sicuramente da ritenersi geneticamente trasmissibile. Goddard arrivò ad affermare con scientifica certezza che “la debolezza mentale è una condizione della mente o del cervello che si trasmette con la stessa regolarità con cui vengono ereditati il colore degli occhi o dei capelli”.

Uno tra i fondatori dell’ American Eugenics Society, Madison Grant, sosteneva l’esistenza di tre razze europee: i Nordici, dominatori, avventurieri, aristocratici, fiduciosi in se stessi, protestanti; gli Alpini, sottomessi all’autorità politica o religiosa; ed infine i Mediterranei, cattolici, schiavizzati totalmente. Alcuni dati presenti in testi di psicologia dell’epoca riportavano che l’83% degli ebrei, l’80% di ungheresi, il 79% di italiani e l’87% di russi andava giudicato ‘debole di mente’, candidato quindi alla sterilizzazione… Nel 1917 quindici Stati avevano adottato una legislazione in campo eugenetico, che comprendeva restrizioni, obbligo di certificati medici di sana costituzione per il matrimonio, sterilizzazioni (lo Stato dell’Indiana fu il primo a introdurre tale metodo nel 1907), segregazioni in ospedali e scuole statali. Nel 1944 gli Stati che regolarmente e in maniera sempre maggiore effettuavano la sterilizzazione sui propri cittadini “inadatti” erano trenta; il totale delle persone colpite da questo trattamento è superiore alle 40 mila; dagli anni Venti agli anni Trenta le sterilizzazioni annue erano circa 200/600, ma dopo gli anni Trenta esse aumentarono fino a toccare le 2000/4000. C’è da sottolineare che nonostante per la maggior parte delle leggi sulla sterilizzazione fosse previsto il carattere volontario e consenziente da parte degli inadatti, in realtà il maggior numero di operazioni venne fatto in modo costrittivo. Per far ciò si ricorreva all’inganno e all’utilizzo di false scuse, quali l’incapacità di dare direttamente il consenso di alcuni malati mentali e l’autorizzazione firmata da parenti o tutori di queste persone. Ma gli uomini e le donne che venivano sottoposti alla sterilizzazione forzata nei manicomi degli Stati Uniti, come testimoniato dagli Stati della Virginia e della California, erano in maggioranza neri o immigrati, persone che certamente erano in grado di intendere e di volere.
Il sostegno popolare di cui godevano gli istituti di segregazione, come le Scuole Statali, e di sterilizzazione, fu davvero notevole; anche la formazione di una commissione di esperti, provenienti soprattutto da Università americane, col compito di far luce sulle problematiche di maggior importanza e complessità, come ad esempio la salute pubblica, fu accolta benevolmente. Queste commissioni, che contavano un gran numero di esperti provenienti dall’ E.R.O. di Davenport e Laughlin, furono una proposta iniziata con la Wisconsis Idea.

Molte delle leggi eugenetiche, fatte nei primi anni del Novecento allo scopo di liberare la società dagli inadatti, rimasero in vigore fino agli anni ’70, come per la Virginia che fu l’ultimo Stato nel 1979 a rimuovere la legge sulla sterilizzazione forzata. In totale ventisette dei cinquanta stati americani adottarono leggi eugenetiche tra il 1907 ed il 1979; determinante fu il fatto che ricerche ed esperimenti furono tutti finanziati da associazioni e persone molto noti del capitalismo statunitense. Tanto per citare alcuni nomi noti: H.Ford, J.Kellogg, J.Rockfeller ed il gruppo petrolifero Standard Oil. L’eugenetica insomma era riuscita a diventar parte di qualsiasi genere di istituzione, dalla sanità, al Wellfare, all’istruzione, divenendo nel 1928 un corso universitario in 328 colleges, tra cui Yale, Harvard, Standford. Anche il premio Nobel James Watson ci dà alcune informazioni interessanti: “A salutarla (l’eugenetica) con entusiasmo furono soprattutto coloro che oggi sarebbero definiti la ‘sinistra liberale’. I socialisti fabiani abbracciarono in massa la causa; fra loro George Bernard Shaw scrisse: ‘Oggi non esiste alcuna scusa ragionevole per rifiutarsi di affrontare il dato di fatto che nulla, se non una religione (sic) eugenetica, può salvare la nostra civiltà’”. “L’eugenismo”, continua Watson, “era d’obbligo anche nel nascente movimento delle donne. Le femministe paladine della contraccezione – Marie Stopes in Gran Bretagna e, negli Stati Uniti, Margaret Sanger , fondatrice di Planned Parenthood (ancor oggi influente associazione abortista, ndr) – consideravano l’eugenetica come una forma di controllo delle nascite. Nel 1919 la Sanger disse senza giri di parole : ‘Più figli da chi è dotato e meno da chi non lo è: questo è il primo punto per il controllo delle nascite’ ”. Sempre Watson illustra la continuità tra l’eugenetica galtoniana e quella nazista ricordando che “poco dopo essere saliti al potere, nel 1933, i nazisti avevano promulgato una legge completa sulla sterilizzazione – la legge per la prevenzione dei difetti ereditari- esplicitamente basata sul modello americano…nell’arco di tre anni furono sterilizzate 225 persone”.

E mentre Galton coi suoi “resoconti africani” “avvallava i pregiudizi sulle razze inferiori”, Wallace, “scopritore insieme a Darwin della selezione naturale (ma assertore dell’unicità dell’uomo, ndr), condannò l’eugenetica nel 1912, ritenendola ‘null’altro che l’invadente interferenza di un arrogante casta scientifica’ ” . Per approfondire questo argomento si può consultare anche il libro di Stefan Kühl, “The Nazi Connection”, in cui si parla del legame tra il movimento eugenetico americano, soprattutto wasp, e quello nazista, e delle intense relazioni tra scienziati eugenisti americani e scienziati eugenisti tedeschi, per lungo tempo.
Riassume Valentina Costa: “Importante è sottolineare come gli eugenisti americani non abbiano mai preso le distanze per differenziare tra la loro “buona” eugenetica e la “cattiva” eugenetica dei nazisti; ne furono anzi entusiasti, tanto da considerare la legge nazista come la realizzazione del ‘modello di sterilizzazione eugenetica’. I numerosi gruppi, società, istituti e laboratori di ricerca e sperimentazione di eugenetica, sorti negli USA a partire dai primi anni del ‘900, ebbero fedeli rapporti con i loro corrispondenti tedeschi, fin dalla fine degli anni Venti. La collaborazione tra eugenisti americani ed eugenisti tedeschi continuò per tutti gli anni Trenta, nel corso dei quali ci furono molte occasioni di incontro, di scambio di opinioni, di informazione sugli sviluppi e di reciproci apprezzamenti per il lavoro condotto. Nemmeno in seguito all’approvazione delle Leggi razziali di Norimberga nel 1935, con le quali si dava inizio alle persecuzioni sistematiche nei confronti degli ebrei, gli eugenisti americani fecero mancare il loro appoggio al Reich. Due anni dopo l’ascesa al potere di Hitler, un membro del movimento eugenetico della Virgina manifestava così la sua preoccupazione che l’America perdesse il primato su ciò che loro per primi avevano sviluppato partendo dalle teorie di Darwin e del cugino Galton; egli diceva: ‘I tedeschi ci stanno battendo al nostro stesso gioco’.
Un altro esempio di appoggio alle ideologie naziste da parte degli Stati Uniti ci viene da Harry Laughlin, sovrintendente dell’Eugenetics Record Office. Egli, sfruttando la sua posizione, cercò di far conoscere la propaganda razziale dei nazisti e fece tradurre un film propagandistico tedesco, realizzato allo scopo di diffondere nella società americana l’idea dell’indispensabilità dei provvedimenti di sterilizzazione dei malati. Questo filmato fu proiettato in chiese protestanti, club, college ed istituti superiori. Nel ’36 l’Università’ di Heidelberg assegnò a Laughlin la laurea ad honorem per i suoi risultati in ambito scientifico”

Può essere interessante, sempre per comprendere meglio dove può giungere una ideologia materialista coerentemente applicata, dare uno sguardo anche all’opera di Micheal D’Antonio, “La rivolta dei figli dello Stato”, ambientata in America sempre negli anni del trionfo dell’eugenetica. Scrive il D’Antonio: “La Fernald e oltre un altro centinaio di istituti statali che hanno confinato centinaia di migliaia di bambini americani – molti dei quali assolutamente normali – furono al centro di un tentativo nazionale a lungo respiro, in gran parte dimenticato, di creare una razza umana migliore. Per oltre cinquant’anni i medici e i burocrati statali hanno applicato ai bambini e alle bambine problematici i principi dell’allevamento del bestiame per isolare ed eliminare i ceppi di qualità inferiore. Questi individui furono marchiati con lo stigma di deboli di mente, ma gran parte di loro sarebbe oggi considerato normale secondo gli standard diagnostici in uso. Il movimento eugenetico americano svolse campagne pressanti per far edificare questi istituti e farvi rinchiudere i bambini reputati inadatti alla riproduzione…Questi bambini inermi furono rinchiusi in istituti da funzionari e burocrati che fecero un uso distorto dei test per il calcolo del Quoziente Intellettivo. Una volta reclusi furono sottoposti all’isolamento, al sovraffollamento, ai lavori forzati e a regolari abusi fisici tra i quali vanno ricordati la lobotomia, l’elettroshock e la sterilizzazione chirurgica”. Inoltre “gli scienziati della Fernald usavano i residenti per un’enorme varietà di studi diversi che spaziavano dalla psicochirurgia al testosterone. L’uso dei bambini istituzionalizzati come soggetti di ricerca non fu limitato alla Fernald. Negli anni ’60 i bambini della scuola Willobrook di New York, per esempio, furono contaminati col virus dell’epatite da ricercatori che sostenevano che l’avrebbero contratta in ogni caso” .

L’eugenetica nel resto del mondo. Come si è già accennato, l’eugenetica, oltre che negli Usa e in Germania, ottenne notevoli successi anche in altri paesi e presso altre ideologie. Si può tranquillamente parlare di una eugenetica rossa (Cina e Corea del Nord), verde (alcuni teorici animalisti ed ambientalisti nazisti, come Walter Darrè, e contemporanei), e socialdemocratica. Sempre, in ogni modo, fu fondata sulla riduzione dell’uomo ad animale. L’eugenetica nella prima metà del Novecento era tanto diffusa che al processo di Norimberga ai tedeschi non fu contestata come crimine contro l’umanità la campagna di sterilizzazione forzata attuata in Germania a partire dal 1938. Sarebbe stato troppo facile, per gli imputati, ricordare che erano stati preceduti da campagne analoghe condotte, ancora prima, o in contemporanea, negli Usa, in Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia, tutti paesi, non a caso, in cui la voce della Chiesa cattolica era debole o quasi nulla. In Svezia, per esempio, i primi provvedimenti eugenetici datano al 1922 e vennero condotti dai socialdemocratici, su impulso delle teorie di due premi Nobel, i coniugi Gunnar e Alva Myrdal .

E’ bene ricordare che l’eugenetica fu una vera ossessione di quegli anni, anche nel nostro paese, dove però fu mitigata dalla cultura cattolica, e non riuscì quindi a tradursi in provvedimenti legislativi concreti. Si pensi al fatto che nel 1889 lo psicologo Giuseppe Sergi, nel suo “Le degenerazioni umane”, proponeva una repressione violenta dei degenerati, quali i criminali, i vagabondi, i parassiti”, arrivando ad affermare: “Chiamo degenerati tutti quegli esseri umani i quali, pur sopravvivendo nella lotta per l’esistenza, sono deboli e portano i segni più o meno manifestamente di questa loro debolezza, tanto nelle forme fisiche che nel mondo di operare; e chiamo degenerazione il fatto di individui e di loro discendenti, i quali nella lotta per l’esistenza non essendo periti, sopravvivono in condizioni inferiori e sono poco atti a tutti i fenomeni della lotta susseguente” . A tali aberranti considerazioni, e all’eugenetica in genere, la Chiesa cattolica si oppose da subito, con più successo dove più alto era il numero dei cattolici, ad esempio con l’enciclica Casti connubii del 1930, dura condanna dell’aborto e della pretesa dell’autorità pubblica di vietare ad alcuni il matrimonio, o addirittura di sterilizzare quanti venissero ritenuti a rischio di “prole difettosa”. Occorre, scriveva il papa, provare a dissuadere dalla procreazione coloro che rischiano di avere figli malati, ma “le pubbliche autorità non hanno alcuna potestà diretta sulle membra dei sudditi” e “non possono mai, in alcun modo ledere direttamente o toccare l’integrità del corpo, né per ragioni eugeniche, né per qualsiasi altra cagione”. Naturalmente questa enciclica suscitò le tradizionali reazioni nevrotiche degli eugenisti, tutti compatti, che fossero inglesi, tedeschi o italiani. Scrisse la rivista “Eugenics rewiew” nel 1931: “Bisogna tristemente riconoscere che da qui in avanti non ci può essere nessuna tregua tra noi, che cerchiamo la salvezza a modo nostro, e i crociati di Roma. Poiché in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di più che un invito a regredire al medioevo rivolto ai singoli cattolici; ci troviamo di fronte, se interpretiamo correttamente, ad un invito alla crociata contro la libertà di pensiero e di azione dallo Stato moderno” . Libertà di pensiero, lesa laicità, crociate, intromissioni ecclesiastiche, oscurantismo medievale, autonomia dello Stato: sempre i soliti slogans, triti e ritriti, dei giorni nostri!

Da: Perché non possiamo essere atei (Piemme 2009)

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