Scienza contro filosofia, la falsa alternativa

 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario

 
 

Mai come oggi le scienze naturali hanno goduto di prestigio, presso i ceti colti e ricchi come presso i più poveri e meno istruiti, di tutti i Paesi. Ciò si deve al successo delle applicazioni tecnologiche, sfruttate ovunque dagli uni e dagli altri con avidità: quando si ammala, anche il filosofo scettico si sottopone ai test di ecografi, Holter, Tac, …; nel suo lavoro, pure il teologo tradizionalista si serve di pc ed internet; quando esegue un software di tracking navale o fa trading sui tassi di cambio, anche il pirata somalo illetterato usa i satelliti per intercettare le prede nell’oceano Indiano prima ed investirne i riscatti a Londra e Dubai poi; ogni ragazzino/a del mondo chatta con gli amichetti al telefonino; ecc. L’apprezzamento verso la tecnica si trasforma immediatamente (cioè, senza una pausa di riflessione critica) in venerazione verso la scienza, la promozione di livello provenendo dall’alone di mistero che nelle masse circonda le procedure della ricerca scientifica in contrasto con l’esibizione sfacciata di gingilli high tech nelle vetrine dei centri commerciali.

Nessuna sorpresa quindi se coloro che si sono dedicati a tale attività, gli scienziati, sono la categoria oggi più corteggiata dai media. Sorprende, invece, che essi siano spesso intervistati non tanto nella loro disciplina specifica, ma dove la loro opinione vale come quella di ogni altro uomo. Dove, più precisamente? In ogni campo non scientifico: sociale, politico, morale, religioso… Così accade per es. che un famoso oncologo venga interpellato più spesso in etica, eudemonologia ed estetica (“per una vita buona, felice e bella!”) e magari in politica energetica, piuttosto che sugli ultimi progressi nella lotta ai tumori. Eppure anche gli scienziati fanno parte della specie umana: accade loro di sbagliare nel lavoro, dove per caratteristica delle procedure scientifiche la replica dell’esperimento e lo scrutinio severo della comunità scientifica internazionale intervengono di regola a correggere l’errore (vedi il caso recente dei neutrini); gli accade quando filosofano nei talk show, ma qui il prestigio della scienza e l’assenza di falsificazione creano un’aura d’infallibilità.

L’ibridazione più divertente di scienziato-professionista/filosofo-dilettante si verifica quando il personaggio si consegna al pubblico adorante, sentendosi innanzitutto in dovere di recitare il dogma positivista secondo cui solo le proposizioni scientifiche hanno senso mentre quelle filosofiche vanno lasciate ai perditempo e, celebrato il funerale della filosofia, subito dopo la resuscita per uso personale, indisturbato per il resto del discorso. La schizofrenia è stata illustrata qualche settimana fa in un articolo di Enzo Pennetta riguardante un’uscita di Luca Cavalli-Sforza. «Gli unici discorsi che val la pena affrontare sono quelli scientifici, gli altri sono privi di consistenza», il genetista aveva appena finito di sciorinare, che subito si lanciava allegramente in una serie di osservazioni filosofiche riguardanti il senso della vita, la religione, la letteratura, ecc., senza che l’intervistatore prostrato ai suoi piedi sollevasse il ditino per contestargli la contraddizione flagrante. Nella sua autobiografia “Perché la scienza? L’avventura di un ricercatore” Cavalli-Sforza aveva ripetuto lo schema per 300 pagine: «La filosofia cerca la verità attraverso il ragionamento, ed è gravemente ostacolata, a mio parere, da un limite fondamentale insito nel linguaggio. Per ragioni pratiche, ogni linguaggio ha sempre un certo livello di ambiguità: molte parole hanno più di un significato e di solito è il contesto a dirci qual è quello giusto, cioè quello inteso da chi le ha pronunziate […]. So benissimo che questo discorso non piacerà negli ambienti più intellettuali e astratti, e quello dei filosofi è forse il più astratto di tutti, ma mi sento in dovere di farlo per onestà, consapevole che mi costerà l’accusa di non capire nulla di filosofia. L’accusa probabilmente è giusta, ma sono convinto che per fare della buona scienza non sia necessaria la filosofia» (sottolineatura mia). E così via, lo specialista in amminoacidi e nucleotidi proseguiva imperterrito, senza accorgersi di avere scritto in questo caso non un saggio sul DNA, ma un quaderno di filosofia ingenua, ricorrendo ad un “ambiguo”, “nebuloso”, “impreciso” ed “incerto” idioma: la lingua italiana. Se una delle funzioni più importanti della filosofia è d’insegnare l’arte della definizione, l’analisi della logica e la corretta procedura argomentativa, a cominciare dal rispetto dell’aristotelico principio di non contraddizione che proibisce di affermare contemporaneamente A e non A, a Cavalli-Sforza servirebbe frequentare fuori laboratorio un corso di logica. Imparerebbe allora, oltre a non contraddirsi, che nessun linguaggio che usi il calcolo proposizionale del second’ordine (e quindi nemmeno il gergo della sua arte, la biologia) è immune dalle ambiguità delle lingue ordinarie.

Anche Stephen Hawking, nel suo zibaldone di pensieri “Il grande disegno”, comincia col proclamare la morte della filosofia ed il passaggio del testimone della verità alle scienze naturali: «La filosofia è morta. Essa non ha tenuto il passo con gli sviluppi della scienza moderna, in particolare della fisica. Di conseguenza sono ora gli scienziati a portare la fiaccola della conoscenza». E, dopo la dichiarazione di rito, il tecnico delle stringhe elenca otto grandi domande cui si propone di rispondere, “scientificamente”: 1) Come possiamo capire il mondo in cui viviamo?; 2) Come funziona l’Universo? 3) Qual è la natura della realtà?; 4) Da dove viene il tutto?; 5) L’Universo richiede un Creatore?; 6) Perché c’è qualcosa piuttosto che niente?; 7) Perché esistiamo?; 8 ) Perché le leggi di natura sono queste piuttosto che altre? Il lettore accorto capisce al volo che soltanto la seconda domanda appartiene alle scienze naturali, mentre le altre sette sono di carattere filosofico, in quanto elusive del metodo sperimentale.

E’ confermato nella sua intuizione dal prosieguo della lettura del libro dove l’autore, tanto è brillante nella (sua ipotesi di) risposta all’unica questione scientifica, altrettanto balbetta e sragiona nelle altre sette. Hawking scrive: «Poiché esiste una legge di gravità, l’Universo può creare e di fatto crea se stesso da niente». Questa frase merita di entrare nel Guiness dei primati: 4 nonsensi in una riga. Se è raro, infatti, che l’uomo di strada si contraddica due volte nella stessa frase, il cosmologo che ha occupato per 30 anni a Cambridge la cattedra già di Newton e di Dirac lo fa 4 volte qui, nella proposizione che sintetizza tutta la sua ricerca metafisica:
Nonsenso n. 1: «Poiché esiste la legge di gravità… »: altolà! Allora l’Universo non è sorto da niente, ma dalla legge di gravità pre-esistente.
Nonsenso n. 2: la legge di gravità è la stessa cosa della gravità? Ovviamente no: la prima è un’equazione matematica che descrive un fenomeno naturale, la seconda è il fenomeno naturale, noto fin dalla preistoria ai nostri avi che, senza conoscere l’equazione di Newton, lo usavano in difesa salendo sulle alture e potendo così scagliare dall’alto verso il basso proiettili con maggior violenza dei nemici. E, con l’eccezione degli sciamani operanti in Amazzonia, Nuova Guinea ed Oceania – che appartengono a culture dove non è ancora stato inventato il metodo galileiano –, tutto il mondo distingue tra la capacità descrittiva e la sterilità prescrittiva delle formule nell’evocazione di eventi naturali. Insomma la legge di gravità non può fare alcunché, men che mai creare un Universo, perché per fare serve un agente.
Nonsenso n. 3: «L’Universo può creare e di fatto crea…”: la potenzialità di fare una cosa e l’atto di farla sono due stati distinti, essendo la prima un’apertura sia all’accadere che al non accadere del secondo. Va spiegato perché un evento solo possibile si è realizzato “di fatto” qualche tempo fa, e non è rimasto (per l’eternità) allo stato di potenzialità latente.
Nonsenso n. 4: «L’Universo crea se stesso», come dire «l’Universo è causa dell’Universo». Se A è causa dell’effetto B, si richiede l’esistenza della causa A per il realizzarsi dell’effetto B: quindi la proposizione “A è causa di A” è priva di senso, perché invoca l’esistenza di A per spiegare l’esistenza di A. Anche ad Hawking servirebbe un Bignami di filosofia aristotelica…

«Per fare della buona scienza non è necessaria la filosofia» dunque? Einstein bollerebbe gli autori di questi ragionamenti da bar Sport come operai di reparto cui è preclusa la visione d’insieme del lay out di fabbrica. In una lettera del 1944 lo scopritore della relatività moderna raccomandava l’insegnamento della filosofia agli scienziati con queste parole: «Io concordo pienamente con te sull’importanza ed il valore educativo della metodologia, della storia e della filosofia della scienza. Oggi molta gente, tra cui scienziati di professione, mi sembrano come chi ha visto migliaia di alberi, ma non ha mai visto una foresta. La conoscenza dei fondamenti storici e filosofici fornisce quel genere di indipendenza dai pregiudizi di cui soffre la maggior parte degli scienziati di oggi. Questa indipendenza creata dall’intuizione filosofica è, a mio parere, il segno distintivo tra un puro artigiano o specialista ed un vero ricercatore della verità» (Lettera a R.A. Thornton, Einstein Archive, Hebrew University in Jerusalem, EA 6-574).

Da che cosa è provocata questa deriva irrazionalistica contro la quale Einstein metteva in guardia già 70 anni fa? È la specializzazione, bellezza! L’altra faccia dello sviluppo tecno-scientifico è la comparsa di una nuova specie terrestre, i tecnici superspecializzati: essi si sono eletti tedofori della conoscenza del sol dell’avvenire, ma si sono fissati così maniacalmente nella loro ristretta area di lavoro da aver perso il senso del valore della filosofia come logos sintetico e veritativo, e da ignorare perfino di possedere nel loro background culturale un pregiudizio (naturalistico) che ne acceca, fuori del loro antro, la ragione contro l’evidenza. La loro razionalità è una delta di Dirac: sanno tutto su niente, e niente su tutto.

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Censimento 2011: in Irlanda i cattolici sono l’84%

I dati del nuovo censimento, pubblicato il 30 marzo scorso, dimostrano che oltre l’84% degli irlandesi descrivono loro stessi come cattolici (3,86 milioni), una notizia importante dopo i vergognosi casi di pedofilia che hanno sconvolto la Chiesa irlandese. Lo stesso è accaduto negli USA.

Il 5% dice di non appartenere ad alcuna religione, tra cui la maggioranza sono immigrati. In sorprendete calo è la Chiesa metodista irlandese, tradizionalmente una delle quattro principali chiese dell’isola.

La crescita dei cattolici si accompagna tuttavia, purtroppo, ad un aumento dei divorzi, seguendo così l’indebolimento della famiglia presente in tutta Europa. Oltre il 21% dei bambini irlandesi vengono allevati da un solo genitore e un altro 6% viene allevato da conviventi.

Ricordiamo che in Irlanda l’aborto è illegale (a meno che la madre non sia in pericolo di vita), e gli studi dimostrano che vi è una bassa incidenza di cancro al seno, una buona salute mentale tra le donne e e il 70% dei cittadini approva il divieto.

 

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L’attaccamento a Dio: una forma di legame adulto


 
di Maria Beatrice Toro
*psicologa e psicoterapeuta

 

«Molti aspetti delle credenze e dei comportamenti religiosi possono essere interpretati in maniera utile e significativa anche in termini di dinamiche d’attaccamento» (Kirkpatrick). Il presente contributo rappresenta l’ideale continuazione del lavoro svolto in precedenza e pubblicato sul sito UCCR, a proposito del legame tra religiosità e benessere psichico, intendendo approfondire le dinamiche interiori che si attivano nell’esperienza di Dio. In particolare, ciò che mi accingo a illustrare è una possibile chiave di lettura della relazione tra l’uomo e Dio alla luce delle teorie elaborate in merito al legame di attaccamento tra il bambino e il suo caregiver, ovvero la persona (o le persone) che lo accudiscono, rispondendo, come oggi si sa, ai suoi bisogni relazionali prima ancora che a quelli alimentari (come aveva, diversamente, teorizzato Freud, immaginando che le prime pulsioni del bambino fossero indirizzate verso il soddisfacimento del bisogno orale-alimentare).

Con il termine “attaccamento”,  Bowlby vuole indicare ( (Bowlby, J., “Una base sicura”, Raffaello Cortina, Milano 1988)  il primo legame affettivo, intimo, duraturo, estremamente significativo dal punto di vista emotivo, che si stabilisce fin dalla nascita tra un bambino e una figura di riferimento, madre, padre, surrogato, che si prende cura di lui, lo protegge e lo sostiene nei tentativi di esplorazione dell’ambiente circostante. Questo legame garantisce al piccolo la sopravvivenza dal punto di vista fisico e psicologico e gli consente di adattarsi all’ambiente sociale che lo circonda. Il legame di attaccamento si basa su una serie di comportamenti messi in atto da entrambi i componenti della relazione: sorrisi, vocalizzi, pianti e rispettive reazioni del caregiver, compresi avvicinamenti e allontanamenti. Tutti i bambini nei primi anni della loro vita costruiscono questo legame verso le figure genitoriali, inclusi i bambini vittime di maltrattamenti o abusi. Non tutti, però, lo stabiliscono nella dimensione della sicurezza, infatti la qualità del legame dipenderà dalla tipologia degli scambi interattivi tra genitore e bambino. La relazione che scaturisce dal legame di attaccamento, sia esso sicuro o insicuro, una volta interiorizzata, verrà utilizzata anche come modello di riferimento da attuare in tutte le relazioni intime che verranno a crearsi nelle successive fasi evolutive. Tali modelli operativi interni, per attenerci sempre al gergo utilizzato da Bowlby, subiscono l’influenza degli eventi che si susseguono nel corso della vita per cui con lo sviluppo, verso il raggiungimento della fase adulta, tali modelli relazionali vengono riproposti nei rapporti con i pari, con il partner, verso il proprio figlio qualora si scegliesse di diventare genitore ma anche nella relazione di amore con Dio.

Uno dei primi studiosi che ha applicato la teoria dell’attaccamento al vissuto di fede religiosa è Lee A. Kirkpatrick. Lo psicologo americano ritiene che l’applicazione del modello d’attaccamento alla fede religiosa per certi versi appare “più chiara rispetto a quella delle relazioni di coppia” anzi «sotto molti aspetti la fede religiosa può fornire una visione unica dei processi di attaccamento nell’età adulta» (Kirkpatrick, L., A., “Attaccamento e rappresentazioni e comportamenti religiosi”, In Cassidy, J., Shaver, P.R. (Eds.). Manuale dell’attaccamento, Fioriti, Roma, 1999). L’elemento centrale del pensiero di Kirkpatrick è l’idea che Dio sia percepito come figura d’attaccamento, per cui il credente percepisce di vivere una personale esperienza di relazione caratterizzata dagli elementi della vicinanza e della sicurezza, che subiscono diverse sorti nella storia personale del singolo.

La fede è dunque – dal punto di vista psicologico – un’esperienza di relazione: in essa il credente si abbandona completamente e con fiducia ad un Altro diverso da sé, Dio. L’esperienza di fede, quindi, è preparata dalla profonda esperienza emotiva e affettiva del sentirsi amati, accettati e accolti (Diana, M., “Dio e il bambino. Psicologia ed educazione religiosa”, Elledici, Leumann, Torino, 2007), oppure del sentirsi nell’insicurezza e nel pericolo, alla ricerca di una cura.  Un elemento cardine della fede cristiana consiste nella certezza che Dio è amore: questo è proprio il sentimento che si pone a fondamento del rapporto duale Dio-uomo fintanto che, spesso, la conversione è stata paragonata all’esperienza dell’innamoramento. L’intima relazione tra l’uomo e Dio, dal punto di vista psicologico, può esser letta come legame di attaccamento, caratterizzato da quattro elementi specifici (Kirkpatrick, L. A., op. cit.):

  • La ricerca e il mantenimento della prossimità a DioEsistono diverse modalità per sentire la vicinanza a Dio, un esempio consiste nel credere all’onnipresenza e ritenersi pertanto sempre in prossimità rispetto a Dio, o, ancora, il fedele si reca nei “luoghi di culto sacri”, per esperire una forte vicinanza al Signore. La massima espressione della prossimità consiste nella preghiera contemplativa e meditativa; attraverso la preghiera il credente si percepisce vicino al suo Dio poiché può instaurare un silenzioso ma intenso dialogo mediante cui stabilire un contatto diretto.
  • Dio come rifugio sicuro. La religione sembra essere un appiglio di fondamentale importanza nei momenti di maggiore difficoltà che la vita ci chiama ad affrontare, questi vengono vissuti come elementi stressogeni da un punto di vista fisico e psichico. Basti pensare a condizioni in cui si vive una malattia grave, una situazione avversa o ancora peggio la perdita improvvisa o meno di un proprio caro. In tali situazioni Dio viene vissuto come un rifugio immateriale, come colui che può offrire sostegno.
  • Dio come base sicura. Il concetto di “base sicura” è un caposaldo della teoria dell’attaccamento, in ambito religioso si ritiene che ogni fedele percepisce la figura divina come un entità onniessente, disponibile, in grado di comprendere anche l’incomprensibile. La si potrebbe definire come la base sicura ideale, dal momento che, a differenza dei genitori spesso impegnati nel lavoro o in altro, Dio si può invocare in ogni momento, anche il più intimo, anche il più tragico, per ricevere la forza di cui necessitiamo in quel particolare frangente della nostra esistenza.
  • Reazioni alla separazione o alla perdita. «la separazione da Dio è la vera essenza dell’inferno» (Kirkpatrick, L., A., op. cit.). Il processo di attaccamento è riscontrabile anche nelle reazioni alla separazione o alla perdita della figura d’attaccamento; la perdita della fede si può vivere, in una prospettiva psicologica, analogamente alla fine di relazioni interpersonali importanti.

 

Conclusioni.
Le teorie oggi prevalenti in psicologia ci insegnano a considerare che il primo bisogno umano sia la relazione, piuttosto che l’oralità. Nella relazione si costruiscono identità, percezione dell’altro, ponendo le basi per il proprio modo di vivere e dare significato alla vita. Alla luce di tali considerazioni viene da chiedersi cosa riserverà il futuro a coloro che durante l’infanzia non hanno avuto modo di saggiare un legame basato sulla fiducia. I bambini che hanno sviluppato un legame di attaccamento insicuro verso i propri genitori, crescendo, potranno fare riferimento alla relazione tessuta con il partner, con un amico o con una figura formativa rilevante quale un educatore, un insegnante, un sacerdote. Questo ripiegamento emotivo consentirà di modificare la struttura del proprio modello insicuro finora interiorizzata per dirigersi verso la sicurezza. Questi stessi bambini potranno, quale opzione di crescita, rivolgersi a Dio, come figura in grado di colmare le lacune vissute. Quanto costruito in passato si potrà mettere in discussione ed essere oggetto di una profonda trasformazione, attraverso una nuova relazione d’amore, duratura nel tempo e caratterizzata da sicurezza, accoglienza, reciprocità.

Si ringrazia la Dott.ssa Claudia Romani per il confronto sul tema oggetto del presente articolo.

 

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Bibliografia

Bowlby, J., Una base sicura, Raffaello Cortina, 1988, Milano
Simonelli, A., Calvo, V., L’attaccamento: teoria e metodi di valutazione, Carocci, 2002, Roma
Cassibba, R., Attaccamenti multipli, Unicopli, 2003, Milano
Fizzotti, E., Psicologia dell’atteggiamento religioso. Percorsi e prospettive, Centro Studi Erickson , 2006, Gardolo;
Diana, M., Dio e il bambino. Psicologia ed educazione religiosa, Elledici, 2007, Leumann, Torino
Ainsworth, M., D., S., Blehar, M., C., E., Waters, S., Wall, Patterns of attachment: a psychological study of the strange situation, Erlbaum, Hillsdale, 1978
Roveran, R., Attaccamento e relazione tra uomo e Dio, in «Famiglia Oggi», 4, 2007
Bruno, S., Le radici affettive del rapporto con Dio: un possibile percorso di educazione alla fede,in «Vita pastorale», 4, 2008
Kirkpatrick, L., A., Shaver, P., R., An attachment theoretical approach to romantic love and religious belief, in «Personality and Social Psychology Bulletin», 18, 1992
Kirkpatrick, L., A., Attaccamento e rappresentazioni e comportamenti religiosi, In Cassidy, J., Shaver, P.R. (Eds.). Manuale dell’attaccamento, Fioriti, Roma, 1999
Attachment and Religious Representations and Behavior, in J.Cassidy – Shaver, P., R., (a cura di), Handbook of attachment. Theory, Research and Clinical Applications, The Guilford Press, 1999, New York

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Usa, raduno degli atei: «dobbiamo ridicolizzare chi crede in Dio»

Pochi giorni fa si è svolto in un parco di Washington il “Reason Rally” (“il Raduno della Ragione”), battezzato anche come: «La più grande manifestazione di non credenti nella storia». Un evento così importante che il “New York Times” ha pensato bene di disinteressarsene completamente.

Ventimila atei fondamentalisti si sono ritrovati per chiedere di non essere discriminati dalla società americana e nel frattempo hanno discriminato le persone religiose. Fortunatamente numerosi quotidiani hanno sottolineato l’ennesima dimostrazione (dopo i recenti fatti di Madrid) dell’incapacità della cultura laicista di dimostrarsi tollerante e di saper proporre qualcosa di diverso dalla distruzione della religione. La manifestazione si è svolta ascoltando musica dalla band rigorosamente atea, chiamata “Bad Religion”, e contemplando il sermone dell’onnipresente Richard Dawkins. C’è stato spazio anche per una sentimentale testimonianza affidata al figlio di un pastore protestante, Nate Phelps, che ha parlato dei mali delle religioni e della stupidità di chi crede in Dio. Tanto per cambiare.

Richard Dawkins ha letteralmente invitato  a “deridere” e “ridicolizzare” pubblicamente i cattolici: «se dicono di essere cattolici, parlano sul serio quando dicono che il vino si trasforma in sangue? Bisogna prendersi gioco di loro, ridicolizzarli! In pubblico, ha urlato alla folla. «Io non disprezzo le persone religiose, io disprezzo quello che rappresentano», ha inveito. Ha poi concluso l’intervento elogiando la “verità” e la “bellezza” dell’evoluzione darwiniana. David Silverman, presidente degli American Atheists, ha chiesto di avere “tolleranza zero” verso chi non è d’accordo con l’ateismo. Diversi manifestanti hanno indossato t-shirt e brandito cartelli in derisione e disprezzo per la religione, numerose le bestemmie e scritte come: «Non sono sicuro se sei cristiano o soltanto molto stupido». Un nostalgico della persecuzione romana dei cristiani aveva una maglietta con scritto: «tanti cristiani, così pochi leoni», mentre c’era chi sosteneva una croce con maschera da pagliaccio in cima (vedi foto).

Il cantautore Tim Minchin, come si nota nel video, ha dedicato una canzone a Benedetto XVI (“Pope Song”), in cui parla di lui come «figlio di p**** assetato di potere», «auto-inflazionato bigotto». Gentili parole sono state rivolte anche ai cattolici: «fottiti figlio di p***», «sei ancora un figlio di p*** papista» e così via. Secondo “The algemeiner” è stato il momento più rivelatrice di cosa sia stato il “Rally Reason”.

Numerose le critiche sui media. Il volto noto della Bbc, Melvyn Bragg, ha accusato Dawkins di “ignoranza” e di mostrare “non rispetto” per la religione. Sul “Washington Post” ci si è chiesto: «se credono che Dio non esiste, perché sono così arrabbiati? Quello che ha scioccato i mezzi di comunicazione è stata la loro ostilità aperta verso le persone di fede». Critiche sono arrivate anche dalla non credente Barbara J King su www.npr.org. Su “Foxnews” è stato ricordato che «l’ateismo ha una storia, una storia bruttaSecondo stime prudenti, il ventesimo secolo, negli esperimenti di governo laici, hanno visto la morte di oltre 100 milioni di persone». L’editorialista di “The Atlantic”  ha scritto rispetto all’evento: «la mancanza di ragionevolezza si evince dalla partecipazione di Richard Dawkins. Egli ha incoraggiato la gente non solo a mettere in discussione gli insegnamenti religiosi, ma di “ridicolizzare” la credenza religiosa e mostrare “disprezzo” per essa».

Significativo il commento di Bill Donohue, presidente di “Catholic League”: «E ‘impossibile per gli atei fare una manifestazione senza insultare le persone di fede. Ma soprattutto loro detestano i cristiani, e nessun gruppo di persone è tanto odiato da loro quanto i cattolici romani. La manifestazione di sabato non ha fatto eccezione […]. I cattolici prendano nota: il fatto che gli atei ci attaccano molto più di qualsiasi altro gruppo religioso, è un ambiguo complimentoSanno chi è il vero nemico da odiare, sanno chi devono sconfiggere».

La redazione

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La FAO smentisce radicali e neomalthusiani: «nel 2050 ci saranno cibo e risorse per tutti»

La forza di chi ritiene lecito uccidere esseri umani al primo stadio di vita, cioè gli abortisti, è così potente perché a loro si sono uniti nel tempo gli ecologisti o, meglio, gli eco-catastofristi. Quelli che sostengono la bomba demografica, in poche parole, cioè che l’uomo sia il cancro del pianeta e che sterilizzazione, contraccezione e aborto siano indispensabili per controllare l’aumento demografico.

In Italia negli anni ’70 era attivo il Club di Roma, associazione che si ispirava a Thomas Malthus, specializzata a diffondere notizie allarmanti sulla popolazione mondiale, prevedendo catastrofi e distruzioni a causa di un presunto eccesso di popolazione. Il fondatore, Aurelio Peccei, riteneva che medicina ed igiene sono mezzi buoni ma usati per fini cattivi, favoriscono cioè la “proliferazione cancerosa” di uomini che continuano a «vivere sul pianeta come vermi sulla carogna» (da “Cento pagine per l’avvenire”, Mondadori, 1981). Pensate che questi fondamentalisti non siano legati al Partito Radicale? Ovviamente vi sbagliate, inutile dire che Peccei è il padre spirituale di Marco Pannella, come spiega bene questo sito web concentrato sull’argomento. Oltre ai radicali, un altro noto neo-malthusiano  in Italia è Giovanni Sartori, di cui abbiamo già parlato. L’aborto sarebbe quindi giustificato come contrasto alla natalità e alla fantomatica “bomba demografica”, un argomento pericoloso che ci ha spinto a dedicare ad esso uno dei nostri dossier.

In questi giorni comunque, agli aborto-ecologisti radicali sono arrivate addosso come uno treno le dichiarazioni del direttore generale della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, José Graziano da Silva. Durante un convegno a Ginevra con i rappresentanti delle aziende private, governi, scienziati e ONG per discutere se saremo in grado di sfamare la popolazione nel 2050, ha infatti dichiarato: «Ci sono risorse per assicurare cibo per tutti, ora e anche per altri quattro decenni». I problemi della mancanza di cibo nel mondo derivano non dalla sovrappopolazione, ma dal fatto che «si perde o si spreca un terzo del cibo prodotto ogni anni, cioè circa 1.300 milioni di tonnellate», come ha stabilito uno studio della FAO e dell’Istituto Svedese per le biotecnologie alimentari. Nei Paesi in via di sviluppo il ​​40% delle perdite avviene dopo la raccolta, lavorazione, trasporto e stoccaggio. L’obiettivo dunque è quello di «studiare come garantire la sicurezza alimentare», non c’è nemmeno bisogno di aumentare oltre il 60% la produzione alimentare. Dato confermato dal ministro nigeriano, che ha aggiunto: «se riduciamo le perdite del 25%, ci sarebbe cibo in più per oltre 500 milioni di persone all’anno, senza alcun bisogno di aumentare la produzione».

Radicali e fanta-ecologisti vari possono stare tranquilli: non esiste nessuna bomba demografica, nessuna necessità di contrastare la natalità, se migliorano le politiche sociali ci sono risorse e cibo per tutti. Marco Pannella lo sa bene, la sua bilancia in bagno può confermare.

Luca Pavani

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“Effetto Ramanujan”: un argomento fisico contro il darwinismo


 

di Giorgio Masiero*,
*fisico e docente universitario

e Michele Forastiere*,
*insegnante di matematica e fisica

 
 
 
È indubitabile che una buona comprensione intuitiva della propria nicchia ambientale costituisce un vantaggio evolutivo per una specie. La comprensione delle relazioni d’equivalenza e d’ordine, l’esecuzione delle operazioni aritmetiche, l’intuizione dei concetti geometrici elementari, l’idea di velocità, ecc. sono strumenti utili alla vita umana, che in un ambiente di lotta per la sopravvivenza condiviso con altre specie viventi possono aver dato origine ad un’algebra, una geometria ed anche una meccanica primitive. In un paradigma evolutivo, i “circuiti neurali” umani potrebbero essere stati selezionati in corrispondenza ai criteri suddetti, essendo ogni avanzamento avvenuto in modo casuale e contingente, neutro rispetto alla fitness darwiniana. A partire da Galileo, però, una matematica sempre più astratta e sempre meno intuitiva si è dimostrata necessaria e sufficiente a descrivere molti meccanismi nascosti della realtà fisica. Nasce perciò un problema: com’è potuto accadere che i circuiti neurali di Homo Sapiens Sapiens siano stati selezionati allora per comprendere, o per creare, strutture matematiche che hanno superato di gran lunga la soglia oltre la quale esse erano indifferenti nella produzione di vantaggi competitivi per la specie? In altre parole: quale vantaggio competitivo può aver dato ai nostri progenitori la disponibilità d’un cervello fin dall’inizio completamente attrezzato all’elaborazione della teoria delle stringhe?

Chiameremo questo problema “effetto Ramanujan”, in onore del matematico indiano Srinivasa Aiyangar Ramanujan (1887–1920) che, giovanissimo e senza istruzione superiore, produsse solitariamente e con l’uso quasi esclusivo dell’intuizione una serie di straordinari teoremi. Fuori dell’India e ai giorni d’oggi, si deve considerare che esistono ancora gruppi umani cosiddetti primitivi, che non hanno mai prodotto una matematica degna di nota prima di entrare in contatto con il resto del mondo – prosperando, peraltro, per decine di millenni senza avvertirne il bisogno – ma che hanno espresso soggetti in grado, una volta avuto accesso agli ordinari curricula di studi, di dimostrare l’abilità matematica di qualsiasi altro essere umano appartenente al mondo progredito.

Perché la mente umana risulta, tramite la matematica, capace di descrivere finemente la realtà fisica in un vastissimo insieme di modalità che vanno ben oltre la sfera della comprensione intuitiva necessaria alla lotta per la sopravvivenza? La mente è persino in grado, proprio grazie agli strumenti matematici e tecnologici da essa sviluppati nell’ultimo secolo, di vedere gli ostacoli che si frappongono ad una (ipotetica) comprensione totale della realtà fisica. Così sappiamo, per esempio, che le attuali metodologie di analisi (matematiche e sperimentali) non permettono una descrizione unitaria e coerente del campo gravitazionale sotto i limiti spazio-temporali planckiani: una teoria che coniughi la relatività generale con la meccanica quantistica è attesa da tempo e la strategia attuale della cosmologia quanto-gravitazionale, che passa attraverso la somma di storie di Feynman, appare di valore euristico. E in conseguenza dei due teoremi d’incompletezza di Gödel, non si è nemmeno sicuri che una tale composizione esista e sia maneggiabile.

Formuliamo ora la congettura:

S = “La mente giungerà col tempo ad elaborare una struttura logico-matematica atta a descrivere la realtà naturale in modo completo”.

S si suddivide in due declinazioni alternative:

SN = “La tecno-scienza riuscirà col tempo a comprendere tutta la realtà naturale, senza ricorso alla metafisica” [Naturalismo e ragione umana interamente accordata con la realtà naturale “dimostrati”].

ST = “La mente riuscirà col tempo a comprendere tutta la realtà naturale, includendo un ricorso fondativo alla metafisica, non valendo per la realtà naturale un principio di chiusura causale” [Spiritualismo e ragione umana interamente accordata con la realtà naturale “dimostrati”].

 

La negazione di S, X = NOT(S) suona:

X = “La realtà naturale è, nella sua interezza, inconoscibile alla mente”.

X ha due declinazioni alternative:

XN = “La realtà naturale è fondamentalmente caotica; il parziale accordo oggi registrato con la mente è un fatto contingente e storicamente transitorio”.
XT = “La realtà ha una logica intrinseca che è solo parzialmente comprensibile dalla mente. Al massimo, la tecno-scienza potrà accrescere la sua comprensione della realtà naturale, ma non vi riuscirà mai in modo completo”.

Dal momento in cui Galileo enunciò l’assunzione alla base del programma scientifico moderno secondo la quale l’Universo “è scritto in lingua matematica” (“Il Saggiatore”, 1623), la ragione umana attraverso l’indagine scientifica ha svelato mille misteri della Natura che si sono tradotti in miriadi di applicazioni tecnologiche. Possiamo dunque asserire:

SP = “La scienza ha dimostrato, finora, di saper descrivere con un grado di precisione crescente il funzionamento della realtà fisica”.

Da ciò possiamo inferire che esiste una probabilità non nulla che anche tutta la realtà naturale sia governata da una logica intrinseca e che tale logica coincida con forme di astrazioni proprie del pensiero umano. Non negheremo ad una concezione ottimista dei poteri della ragione il diritto di assumere che la proposizione vera SP (che afferma i successi passati e presenti delle scienze naturali) costituisce un supporto alla congettura S, cioè:

P(S | SP) ≈ 1

In una delle due declinazioni alternative, SN o ST, questa fiducia è una convinzione condivisa da naturalisti e teisti in ugual misura: si pensi, per esempio, alla TOE di S. Hawking e al Super-Mondo di A. Zichichi. Ora ci chiediamo: qual è la probabilità dell’effetto Ramanujan assumendo il paradigma darwinista D? Ovvero, qual è la probabilità che l’uomo, evolvendosi per caso e necessità nelle savane africane pleistoceniche, abbia sviluppato, grazie ad una successione di casi fortuiti e contingenti, tutti i circuiti neurali necessari a formulare le strutture matematiche delle diverse categorie (insiemi, semigruppi, gruppi, spazi vettoriali, spazi topologici, varietà differenziali, ecc.) che sarebbero servite centinaia di migliaia di anni dopo a descrivere gli intimi meccanismi di funzionamento della realtà naturale – quando tali circuiti cerebrali non avevano nessun vantaggio immediato in termini di fitness? Considerando che:
Le citate elevatissime capacità di astrazione matematica non costituivano allora un tratto adattativo, capace di migliorare la fitness evolutiva (perché sono semplicemente neutre dal punto di vista darwiniano, e quindi furono dovute alla sola contingenza) e che
quelle capacità hanno comportato “per necessità” delle leggi fisiche un aumento d’informazione del genoma.
A quanto possiamo stimare – tenuto conto della legge di Shannon – la probabilità bayesiana che siano comparse le corrispondenti complesse strutture neurali per caso e necessità, dato D? È ovvio assumere:

P(SP | D) << 1

dove possiamo riassumere la proposizione D nei seguenti termini:
D = “Il ricorso ai meccanismi di caso e necessità è una spiegazione coerente e sufficiente dell’effetto Ramanujan”.

Questo sarebbe un confutatore (“defeater”) di SP, se non fosse che SP è vera e quindi a risultare confutata è la premessa D, con un elevato grado di probabilità. Esaminiamo ora la probabilità P(S | D), in cui non conosciamo il valore di verità di S. Possiamo ragionevolmente supporre:

0 ≈ P(SN | D) ≡ P(S | D) ≤ P(SP | D) << 1

La prima relazione è un confutatore per SN, a meno che D non sia falsa. Dunque, risulta illogica la credenza in SN (la posizione scientista, ovvero di giustificazione scientifica del naturalismo) se si assume il darwinismo! Se, inoltre, si sostiene la credenza P(S | SP) ≈ 1, che pure appartiene allo scientismo, ne consegue di nuovo che D è falsa, con un elevatissimo grado di probabilità. Insomma, a meno di rinunciare al darwinismo, non è ragionevole credere che si possa un giorno corroborare scientificamente il naturalismo!

Alla credenza congiunta nel darwinismo resta una sola via d’uscita, la proposizione X, specificamente la XN. Infatti la XT contiene un elemento deista: se la realtà naturale ha una logica soltanto parzialmente comprensibile dalla mente, essa è un sistema capace di elaborare informazioni – nella fattispecie, uno che lo è in misura infinitamente superiore alla mente (ciò che allude ad un panteismo spinoziano). Vale la pena chiedersi, però, che cosa comporta la congiunzione di XN e di D. A nostro parere, una sola cosa: il multiverso. Ma questa credenza, anche prescindendo dalla sua dubbia connotazione scientifica, è auto-contraddittoria. Infatti ogni tipologia di multiverso richiede un substrato di meta-leggi logiche e matematiche preesistenti (in caso contrario non sarebbe compatibile con SP) e ciò implica a sua volta una credenza di tipo XT, che è inconciliabile con XN!

 

In conclusione, è estremamente improbabile che il darwinismo possa spiegare l’origine di H. Sapiens Sapiens; e, se si crede che possa farlo, o risulta irrazionale credere che l’uomo potrà un giorno trovare una giustificazione scientifica al naturalismo, o si cade in un’insanabile contraddizione logica.

N.B. È d’obbligo un ringraziamento al prof. Enzo Pennetta per i preziosi spunti di riflessione offertici

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L’UAAR pubblica ancora notizie false: la bufala della lettera di mons. Levada

 Dopo l’ultima notizia falsa pubblicata nel febbraio scorso, i mistificatori dell’UAAR, tra una notizia di gossip religioso e un’altra, hanno reso pubblico un altro falso articolo nel loro inattendibile sito.

Lo riporta sul web l’avvocato Gianfranco Amato, che ha già avuto il merito di aver messo a sedere l’associazione di atei reazio-razionalisti nel dicembre scorso. Introduce così il suo articolo: “immersi come sottaceti nel più irrazionale relativismo, sono capaci di restare totalmente indifferenti a concetti come vero e falso. Del resto, la menzogna non esiste per chi ritiene che la stessa idea di verità sia una mera astrazione. E sarà forse da questo che deriva la particolare attitudine dell’UAAR di rimestare nel fango.

Hanno infatti pubblicato una “omerica frottola” – importata dall’Irlanda – circa l’esistenza di «una lettera secreta del Vaticano in cui si annuncia un’apertura verso le relazioni omosessuali, almeno tra preti e solo in maniera riservata, come mezzo per arginare il dilagare della pedofilia tra i sacerdoti». La lettera è stata definita «strettamente confidenziale» ed inviata da mons. Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, all’Arcivescovo di Dublino, Mons. Diarmuid Martin. Dopo aver adottato tutte le dovute cautele legali per evitare una denuncia, la notizia è comunque data inoculando, in realtà, il sospetto di una sua autenticità. Si cita la fonte (“l’autorevole sito dell’Irish Tribune“), e si evidenzia come nella stessa lettera sia presente «tanto di numero di protocollo, firma, timbro e carta intestata». L’assoluta ignoranza in materia, ha commentato l’avvocato Amato, ha portato a pubblicare un’evidente contraffazione.

I mestatori dell’UAAR non sono certo una fonte attendibile, ma comunque almeno quei quattro militanti che gli girano attorno avrebbero potuto accorgersi dell’evidente contraffazione della firma di mons. Levada. La firma è ricavata dal sito “Havel’s House of History”, nella sezione “autographs of religious leaders”, ove è disponibile per chiunque ne voglia fare un uso disonesto. Non si tratta di un pesce d’aprile, sia perché è stata pubblicata il 30 marzo (la notizia risale al 6 marzo), sia perché viene scritto che sono disponibili a rettificare. Interessante notare che gli unici sciocchi che hanno riportato la notizia, ritenendo attendibile il sito dell’UAAR, sono quelli di www.gay.tv

 

AGGIORNAMENTO 03/04/12, ORE: 15:30
L’UAAR, sollecitata dal nostro articolo ha modificato silenziosamente il suo articolo, inserendo l’immagine del pesce d’Aprile (qui invece l’articolo come si presentava fino ad un’ora fa). Facciamo notare al distratto Raffaele Carcano, segretario dell’Associazione, che la data in cui è stato pubblicato il loro articolo è il 30 marzo, mentre il giorno in cui si fanno questi “scherzi” è il 1° aprile (ben due giorni dopo). Lo scherzo poi viene rivelato altri due giorni dopo, guarda caso un’ora dopo la pubblicazione di questo articolo…., insomma, questa ennesima corsa ai ripari da parte dell’indaffarato bancario Carcano, come già avvenuto in questa occasione, mette ancora più in luce che nelle intenzioni dell’UAAR al momento della pubblicazione dell’articolo non c’era affatto l’idea di fare uno scherzo, ma si è trattato della solita e quotidiana diffamazione e disinformazione a cui ci ha abituato il portale dell’ateismo fondamentalista italiano.

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200 ricercatori firmano un manifesto contro l’uso delle embrionali

È stato appena presentato un manifesto in cui circa 200 spagnoli, tra uomini di scienza e di legge, richiedono la cessazione dell’utilizzo e della distruzione di embrioni umani: al governo di Spagna viene chiesta la riforma della legislazione in materia di riproduzione umana assistita e di ricerca biomedica, poiché attualmente consente pratiche che si oppongono alla normativa europea e soprattutto alla dignità umana.

Tale manifesto si basa su una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che esclude la possibilità di registrare brevetti comportanti la manipolazione, la distruzione o l’uso commerciale e industriale di embrioni umani.

In particolare, si noti che la attuale legislazione spagnola consente la selezione genetica degli embrioni, la distruzione di embrioni avanzati da cicli di fertilizzazione in vitro o la possibilità di usarli per la ricerca e anche la clonazione. Infine, il manifesto chiede al governo di dedicare sufficienti risorse finanziarie per progetti di ricerca che utilizzano cellule staminali adulte.

Dopo l’ubriacatura di libertarismo, il buon senso torna dunque a farsi strada nella penisola iberica? Speriamo….

Linda Gridelli

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L’omosessuale Fanshawe: «il problema non è l’omofobia, ma lo stile di vita gay»

La lobby omosessualista ha ormai imposto che la parola “gay” sia abbinata all’arcobaleno, ai colori accesi, alle fiere carnevalesche di persone nude o travestite che mimano gesti sessuali lungo le vie principali delle città. Ma perché per essere gay bisogna essere infantili e comportarsi da adolescenti? La domanda non è nostra, ma di Simon Fanshawe, importante scrittore omosessuale e intellettuale inglese.

Nel 2006 ha realizzato un documentario intitolato “The Trouble With Men Gay”, preoccupato per la superficialità e la distruttività dello “stile di vita gay”. Presentandolo su “The Guardian” ha scritto: «In appena un’ora sono riuscito a bruciare tutti i ponti del mondo gay che avevo. Sono diventato il capro espiatorio delle fazioni politiche più estreme del mondo gay». Fanshawe ha osato sfidare la lobby, decidendo di mostrare come «noi uomini gay viviamo la vita da adolescenti, ancora ossessionati dal sesso, dai corpi, dalle droghe, dalla gioventù, e dall’essere “gay”». Oggi la società non discrimina gli omosessuali, dice, ma «noi insistiamo ancora comportarci come sciocchi adolescenti ribelli».  E ancora: «Abbiamo combattuto discriminazione e pregiudizio, ma solo per arrivare distruggere noi stessi con droghe e sesso selvaggio».

Fanshawe ha accennato all’invenzione della lobby gay di ogni tipo di diritto immaginabile pur di passare per vittima, fino a quello di “fare crociere per gay”. «Che cosa ridicola», ha commentato. «Ci può piacere, ma non è un diritto». Ha accusato l’intolleranza degli omosessualisti, che impediscono anche solo di chiedersi se «è davvero accettabile camminare lungo la strada principale di Brighton vestiti di un perizoma, solo perché è l’orgoglio gay». La risposta violenta è sempre la stessa: «Zitto! E’ gay, è dolce». Accusa il mondo gay di essersi ridotto a praticare «ogni tipo di l’attività sessuale, solo perché è gay». Così mentre le riviste gay mettono in copertina annunci di vacanze e interviste con le celebrità gay, all’interno «è pieno di annunci di prostituti: quello che ho letto oggi contiene non meno di sette pagine di annunci. Abbiamo normalizzato la prostituzione. E’ praticamente un percorso obbligato per qualsiasi ragazzo con un giro vita di 29 pollici e nessun acne visibile». Ogni tipo di attività sessuale (di gruppo, con animali ecc.) è lecita se sei gay, ogni giudizio morale è precluso, se si osa mettere in discussione «alcuni tipi di comportamento sessuale, si corre il rischio di sentirsi dire, come dal proprietario della sauna che ho intervistato, che non sei davvero gay»«Siamo assetati di vanità», gli ha risposto un ragazzo, «guardiamo con disprezzo gli uomini vecchi. Nonostante l’Aids continuiamo a rincorrere il massimo piacere sessuale. Siamo felici che il mondo ci guardi come delle checche effeminate». Ma per il giornalista inglese è preoccupante: «abbiamo organizzato la nostra identità intorno al sesso e questo è deleterio. Così la promiscuità è diventata la norma».

Questo deleterio stile di vita, e non tanto l’omofobia della società, spiega le cifre impressionanti: «il 20% di uomini gay a Londra fa uso di droghe». La comunità gay, ha detto, preferisce il crystal meth perché riduce le inibizioni e permette di portare il sesso ad un livello “animalesco”, “privo di emozione.” «Gli studi», ha continuato, «mostrano che gli uomini gay hanno il doppio delle probabilità di diventare sieropositivi. Tassi di sifilide tra gli uomini gay sono aumentate del 616% negli ultimi cinque anni», ha continuato lo scrittore omosessuale.  Nel documentario ha affermato: «Stiamo nuotando in una fogna e tutto quello che sappiamo dire è che è normale?».

 

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Il prof. Paton: «i contraccettivi aumentano i comportamenti a rischio»

Secondo il dottor David Paton, chairman di Economia Industriale presso la Nottingham University Business School, particolarmente esperto di tematiche bioetiche, la soluzione ai dilaganti numeri di gravidanze adolescenziali in Gran Bretagna, non è una sempre più esplicita “educazione sessuale”, la maggior disponibilità di preservativi, e l’accesso all’aborto come ultima spiaggia.

Questo approccio, ha spiegato durante una conferenza a Belfast, ha avuto un risultato esattamente opposto a quello dichiarato: «Si vuole sostenere che garantire agli adolescenti un accesso riservato ai servizi di pianificazione familiare e aborto avrebbe avuto un impatto positivo sulla gravidanza adolescenziale e i tassi di aborto. Tuttavia, invece, si può dimostrare che la conseguente riduzione della percezione del rischio porta a un incremento dei comportamenti a rischio, e combinati con il fallimento contraccettivo, non fanno altro che aumentare il tasso di gravidanze adolescenziali». Il suo pensiero coincide perfettamente con quello della dott.ssa Miriam Grossman, psichiatra dell’adolescenza e dell’infanzia presso l’Università della California, che ha avuto modo di pronunciarsi recentemente. E’ stato comunque dimostrato puntualmente anche negli USA, a San Francisco, dove un recente rapporto ha dimostrato come nonostante la distribuzione gratuita di preservativi nelle scuole dal 1997 e ore obbligatorie di educazione sessuale “esplicita”, le malattie veneree continuano ad aumentare.

La vera soluzione è quella dimostrata dalla realtà, cioè che una legge sull’aborto più restrittiva e la ridotta disponibilità di contraccettivi creano costantemente tassi più bassi di gravidanze in età adolescenziale, nonché malattie a trasmissione sessuale. In Irlanda del Nord, ad esempio, questo approccio non ideologico ha portato ad una diminuzione significativa delle gravidanze a 16 anni e del tasso di infezioni nella stessa fascia d’età, rispetto all’Inghilterra. Ma non può limitarsi solo questo, come ha spiegato il virologo Carlo Federico Perno. Bisogna cambiare la concezione di sessualità che la società ha, vivendola con serietà, modificando i comportamenti.

Per questo occorre valorizzare la proposta dei metodi naturali, che non sono metodi di contraccezione ma strumenti ormai tecnologicamente avanzati e affidabili, che aiutano a vivere la sessualità con responsabilità, imparando il dominio di sé, delle proprie pulsioni e rispettando integralmente l’altro, come frequentemente viene spiegato su questo utilissimo sito web.

Luca Pavani

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