Un’altra figuraccia di Richard Dawkins: battuto in un confronto con mons. Pell

Abbiamo già sottolineato come gli anti-teisti si esaltino parecchio nella sfida dialettica con i credenti, come se una eventuale vittoria durante un confronto pubblico significasse stabilire chi ha ragione o meno riguardo a Dio. Ecco dunque che organizzano questi dibattiti sui massimi sistemi, a cui con grande pazienza personalità religiose si prestano. Richard Dawkins, il grande sacerdote del fondamentalismo ateo, è un amante di questi confronti, sopratutto perché fino ad ora si è scelto creazionisti americani o personalità sconosciute dell’Islam, contro le quali anche un qualsiasi Odifreddi riuscirebbe ad uscirne vittorioso.

Tuttavia nelle ultime tre occasioni ha avuto a che fare con personaggi che non sono alla sua portata, e ne è uscito malconcio. Anzi, il primo di questi, il filosofo William Lane Craig, lo ha invitato ad un confronto, avendo già avuto esperienze con Christopher Hitchens e Sam Harris, ma Dawkins ha rifiutato venendo bollato dalla stampa anglosassone come “codardo”. L’evento si è svolto ugualmente, con la sedia di Dawkins vuota. In un successivo dibattito televisivo, Dawkins ha presentato i risultati di uno studio svolto dalla sua fondazione che –guarda caso– avrebbero “dimostrato” che poche persone sono veramente cristiane e così le loro credenze non dovrebbero avere parte nelle scuole. A sostegno di questa tesi, Dawkins ha affermato che pochi cristiani saprebbero dire qual è il primo libro del Nuovo Testamento. A questo punto il suo interlocutore, Giles Fraser, ex canonico della St Paul’s Cathedral, ha posto al prof. Dawkins una semplicissima domanda: «Richard, se ti chiedessi qual è il titolo completo dell’Origine delle specie, sono sicuro che potresti dirmelo». Beh, Dawkins, neodarwinista fino al midollo, è andato nel pallone più totale senza riuscire a citare il titolo completo del più famoso libro di Charles Darwin. Oltre alla figuraccia di elevate proporzioni, ha anche confutato in pochi secondi i risultati della sua ricerca.

Pochi giorni fa il sedicente “mastino di Darwin” dei giorni nostri, ci ha riprovato e ha voluto “sfidare” l’arcivescovo di Sydney, mons. George Pell in televisione,  il programma si è rivelato il più visto della rete “ABC” negli ultimi due anni. Dawkins non potendo competere su tematiche teologico-filosofiche, ha dovuto spostare l’argomento sul piano scientifico-evolutivo e l’interlocutore si è prestato volentieri, dimostrando una ben più elevata dote culturale. Mons. Pell ha spiegato che gli atei possono tranquillamente essere «persone buone e responsabili», mentre l’ateologo ha affermato che la scienza risponderà ad ogni questione umana, tuttavia domandarsi il “perché” dell’Universo rappresenta, per lui, una «domanda senza significato». Una posizione simile a quella della volpe dopo aver rinunciato a prendere l’uva, alla quale mons. Pell ha ribadito che «fa parte dell’essere umano chiedersi perché esiste» e solo questo dato di fatto, inestirpabile, rende significativo il domandarsi. Ancora: «l’interrogarci ci distingue dagli animali e su questo la scienza non ha niente da dirci, sebbene vi sia un terreno comune tra scienza e ricerca scientifica».

La cosa più divertente è accaduta quando mons. Pell ha definito Darwin un “teista”, perché «egli non poteva credere che il cosmo immenso e tutte le cose meravigliose del mondo sono nate per caso o per necessità». Dawkins ha sbottato: «non è vero!», ma la replica di mons. Pell è stata immediata: «E’ a pagina 92 della sua autobiografia. Vai a leggertelo», prendendosi così una bella dose di applausi dal pubblico che assisteva nello studio televisivo. L’arcivescovo di Sydney ha messo “a sedere” una seconda volta Richard Dawkins quando quest’ultimo ha detto di non essersi mai definito “ateo”, ma “agnostico”. Mons. Pell però gli ha subito fatto notare che in un suo articolo nel 2002, egli spiegava di definirsi “ateo”, perché il termine appare più esplosivo e dinamico. Dawkins è rimasto sorpreso da questa citazione. Quest’ultimo è stato perfino ridicolizzato dal pubblico per i suoi ragionamenti, ma di questo ne parlerà l’editorialista di “The Australian” qui sotto.

Infatti, proprio il principale quotidiano australiano ha dedicato attenzione all’evento, scrivendo che «Dawkins è stato completamente surclassato in tutti gli aspetti dell’incontro». La rivelazione, la vera attrazione è stato mons. Pell. «Gran parte dei media, consciamente o inconsciamente, censurano le voci cristiane», si legge nell’articolo. Le uniche volte in cui viene dato spazio a esponenti cristiani «è quando essi criticano la denominazione religiosa a cui sono affiliati» (i vari preti mediatici, come don Andrea Gallo per capirci). Mons. Pell invece è stato «un portavoce chiaro, sicuro di sé, erudito ma facilmente comprensibile». Quanto al povero Dawkins, «le sue argomentazioni sembravano antiche e goffe. C’era qualcosa di vagamente materialista per la sua incapacità di cogliere, o addirittura ad ammettere la sostanza intellettuale, la tradizione della metafisica che risale agli antichi greci». Come dicevamo sopra, l’editorialista ha anche accennato alle risa del pubblico sui suoi ragionamenti: «Quando Dawkins ha spiegato che l’universo è venuto dal nulla, ma che il nulla era davvero molto complesso e, infatti, consisteva in qualcosa, la gente rideva. Dawkins si è infastidito e, come un bacchettone privo di senso dell’umorismo, stizzito ha rimproverato il pubblico: “Perché è divertente?”». L’articolo si è concluso così: «dobbiamo capire quanto sia notevole e di importanza internazionale, la figura di mons. Pell. La Chiesa cattolica è la più importante organizzazione non governativa nel mondo e almeno per questo decennio, mons. Pell è stato una figura centrale nel suo governo in linea con Roma».

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Cresce in Europa la violenza contro i cristiani

Al crescere della secolarizzazione, si registrano sempre più casi d’intolleranza e di discriminazione nei confronti dei cristiani in Europa. La cosa positiva è invece che si verifica un crescente interesse dei media per questo a livello internazionale. È quanto emerge dal Rapporto 2011 pubblicato dallOsservatorio sull’intolleranza e sulla discriminazione religiosa in Europa (Oidce), una Ong registrata in Austria, membro della piattaforma per i diritti fondamentali dell’Agenzia Ue in stretta collaborazione con l’Osce.

Analizzando diversi sondaggi sociologici, si è verificato che il 74% degli interpellati nel Regno Unito afferma che c’è più discriminazione negativa contro i cristiani che contro le persone di altre fedi, l’84% del crescente vandalismo in Francia è diretto contro i luoghi di culto cristiani. In Scozia, il 95% della violenza a sfondo religioso ha come obiettivo i cristiani. L’intolleranza riguarda: libertà di religione, libertà di espressione, libertà di coscienza, politiche discriminatorie, esclusione dei cristiani dalla vita politica e sociale, repressione dei simboli religiosi, insulto, diffamazione e stereotipi negativi, incidenti per odio, vandalismi e dissacrazione e, da ultimo, crimini di odio contro singoli individui.

Anche noi di UCCR, nel nostro piccolo, abbiamo segnalato casi del genere: in Spagna  il 25 gennaio 2012 una marcia pro-life, con donne e bambini, è stata presa d’assalto da un gruppo di abortisti, gridando bestemmie, insulti e facendo gesti osceni. Lo stesso è accaduto in Svizzera nel novembre 2011, sempre qui, nell’aprile 2011, un ateo sbattezzato ha bruciato una chiesa. Tornando in Spagna, l’estate scorsa abbiamo documentato -con tanto di video- la “Manifestazione laica” in protesta della GMG 2011, durante la quale una folla di laicisti invasati ha picchiato, insultato, deriso e canzonato i pellegrini in arrivo a Madrid, mentre nel marzo 2011, il leader di un’associazione di “liberi pensatori” ha minacciato«bruceremo le chiese e castigheremo i cattolici!».  Nel settembre 2011 la SNAP, un’associazione anti-cattolica, ha denunciato Benedetto XVI alla Corte penale internazionale dell’Aia per crimini contro l’umanità, salvo poi ammettere di aver pubblicato informazioni false contro la Chiesa. Notizie false contro i cattolici sono state diffuse in Italia da parte del partito radicale e da parte dell’UAAR, come la finta lettera di mons. Levada o la vicenda dei Carmelitani di Treviso. L’associazione laicista e i suoi fans, oltre ad insultare quotidianamente i credenti sul loro sito, ha anche festeggiato per la morte di don Verzé, dei cristiani in Nigeria e del vaticanista Giancarlo Zizola.

Sempre in Italia, nel maggio 2011, un gruppo di femministe abortiste ha impedito la presentazione di un libro pro-life al Salone di Torino, una cosa simile è avvenuta nel giugno 2011 a Milano, quando un gruppo di omosessuali ha interrotto violentemente una messa. Gay, atei e femministe hanno fatto la stessa cosa nella cappella del campus di Somosaguas dell’Università Complutense di Madrid, spogliandosi e consumando rapporti sessuali/omosessuali sull’altare.  Ricordiamo brevemente i continui insulti che arrivano dai fondamentalisti atei, come Piergiorgio Odifreddi, il quale gode per le bestemmie (solo se feriscono) e afferma che i medici cattolici sono persone malate di mente.  Nell’ottobre scorso un gruppo di Black block a Roma ha distrutto una statua della Madonna, un crocifisso, ha devastato una sacrestia, scrivendo sui muri: “Jesus Christ supercazzola”. 

Ma le stesse cose accadono anche negli USA: nel marzo 2011 una bomba amatoriale è stata lanciata contro un’attivista pro-life durante i “40 giorni per la vita”, il leader degli atei americani ha detto di voler vietare il festeggiamento del Natalenel settembre 2011 un gruppo di atei californiani ha manifestato le proprio idee strappando pagine della Bibbia, mentre uno in Australia si è ripreso con la videocamera mentre ne bruciava le pagine. Nell’aprile 2011 è stato arrestato Teodore Shulman, un ateo attivista che da tempo minacciava di morte gli attivisti pro-life. Per non parlare del recentissimo raduno di atei, durante il quale Richard Dawkins ha letteralmente invitato  a “deridere” e “ridicolizzare” pubblicamente i credenti.

Non volendo fare di tutta l’erba un fascio, occorre dire che diversi non credenti hanno stigmatizzato queste intolleranze, come lo scrittore Alain de Botton, il quale intende proprio combattere l’ateismo aggressivo: «A causa di Richard Dawkins e Christopher Hitchens, l’ateismo è diventato noto solo come una forza distruttiva», ha affermato. Una cosa simile è stata detta dal sociologo Frank Furedi, secondo cui  «l’ateismo è diventato a tutti gli effetti una religione secolare fortemente intollerante e dogmatica», vera minaccia per la realizzazione del potenziale umanoIl fisico Alan Lightman, rivolgendosi ai leader dell’anti-teismo inglesi, ha detto che «gli atei dovrebbero rispettare i credenti». Anche in Italia, ad accorgersene, è stato un semplice blogger non credente, che ha titolato il suo articolo: “La Dittatura degli Atei (una repressione religiosa)“. Il filosofo Bernard-Henri Lévy ha scritto che: «oggi i cristiani formano, su scala planetaria, la comunità più costantemente, violentemente e impunemente perseguitata». Il sociologo Philip Jenkis ha scritto il libro: «Il nuovo anticattolicesimo: l’unico pregiudizio ammesso» (Oxford University Press 2003).

Era comunque già tutto previsto: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 17 18 20)


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Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino (II° parte): le due quaestiones

 

di Luca Ferrara*
*dottorando in scienze filosofiche

 

Nel precedente articolo abbiamo posto le premesse per un possibile confronto tra Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino.

La filosofia ha da sempre guardato con particolare interesse al tema della religione; infatti, si potrebbero fare continui riferimenti ai modi in cui tale tema si viene declinando già nella filosofia antica. Ma il cristianesimo introduce una novità enorme, sia nelle finalità a cui la speculazione ambisce, sia nel modo in cui la pratica filosofica si esplica. Se in un primo momento il confronto tra cristianesimo e mondo classico assume le forme dello scontro (basti pensare a San Paolo o a Tertulliano[1]), intorno alla fine del III secolo dopo Cristo, quando si manifestano in modo marcato i primi segni della crisi dell’Impero romano, l’approccio del mondo cristiano alla cultura pagana muta repentinamente. Si iniziò a pensare che, in alcune figure del mondo pagano (Platone, Aristotele, Seneca e così via), fossero presenti i semi della verità cristiana e pertanto non si dovesse rigettare tout court ciò che il mondo pagano aveva creato. L’Impero romano, attraversato da una crisi socio-istituzionale (iniziata nel II secolo d.C.), a partire da Costantino, accetta la religione cristiana, che aveva conquistato a sé buona parte dell’aristocrazia romana, nel tentativo di rivitalizzare le sue sorti. Sant’Agostino diverrà l’esponente più significativo di questa simbiosi culturale tra la civiltà cristiana e il mondo classico.

L’opera speculativa di Tommaso d’Aquino, pur collocandosi sette secoli e mezzo dopo quella del suo illustre predecessore, va situata in quel contesto teoretico[2]. Sebbene gran parte degli strumenti speculativi del mondo antico siano assunti in modo non sempre consapevole dalla cultura cristiana, i filosofi medievali ne modificano profondamente la funzione. Va poi aggiunto che nella formazione del filosofo domenicano incide notevolmente, sia l’apporto della filosofia aristotelica, conosciuta tramite le nuove traduzioni dal greco operate dai filosofi arabi, sia la filosofia islamica ed ebraica, che, in modo simile all’universo cristiano, avevano operato una sintesi culturale tra fede e ragione nei loro sistemi speculativi. Per molti aspetti la speculazione medievale si viene a configurare come uno dei modi possibili in cui si declini il rapporto tra fede e ragione. Le cinque vie — i cinque modi in cui secondo Tommaso è possibile dimostrare l’esistenza di Dio — si installano all’interno di quell’abito mentale, in cui tra ragione e fede, non solo non sussistano divergenze, ma si diano effettive possibilità di giovarsi una dell’aiuto dell’altra.

Le cinque vie[3] sono presenti nell’opera principale del filosofo cristiano: nella Somma teologica. Quest’opera enorme, rivolta alla formazione di coloro che intendono seguire la strada sacerdotale (è rivolta ai seminaristi sostanzialmente), ha uno scopo principalmente didattico. La teologia o dottrina sacra (o scienza sacra) è intesa come melo studio e l’approfondimento delle Rivelazione. Essa, pur non riducendosi alla filosofia, ne fa uso. La filosofia assolve una triplice funzione rispetto agli articoli di fede, che sono il presupposto da cui muove la scienza sacra: chiarire; confermare; difendere. Facendo leva su questi diversi usi si comprende perché non è contraddittorio per Tommaso l’utilizzo della filosofia anche quando si parla di cose non conoscibili tramite il lume naturale (la ragione) come gli angeli. Per tale ragione la filosofia, assunta come teologia, coglie il rivelabile: ciò che è presente nella rivelazione delle Sacre scritture, ma in modo implicito[4]. Ma per quale motivo la scienza sacra utilizza la filosofia? Chi crede non dovrebbe forse accettare senza motivazioni gli articoli di fede? Precisa Tommaso che l’uso delle diverse discipline filosofiche è reso necessario non in virtù della natura che costituisce l’oggetto della scienza sacra, ma “unicamente a cagione della debolezza del nostro intelletto; il quale, dalle cose conosciute  per il naturale lume della ragione, viene condotto più facilmente, come per mano alla cognizione delle cose soprannaturali insegnate da questa scienza”[5]. Tommaso legittima l’uso della filosofia, fondandolo per un verso sulla natura propria dell’uomo, essere finito e limitato, per un altro sulla bontà epistemica, propria del creato, analizzando il quale è possibile trovare alcune tracce del divino mediante l’uso della ragione.

Afferma sempre il filosofo che sebbene di Dio non ne possiamo conoscere l’essenza possiamo “far ricerca delle cose riguardanti Dio”[6] muovendo da alcuni effetti riconducibili a Dio, tramite cui possiamo ottenere in modo indiretto una sua definizione “prendendo l’effetto in luogo della causa”[7]. Ciò è perfettamente legittimo perché la teologia “usa il ragionamento”, non per dimostrare gli articoli di fede (sicché non ci sarebbe nessun merito nel credere, perché la necessità del ragionamento avrebbe obbligato la nostra mente ad accettare quelle verità), ma deve esplicitare alcuni snodi concettuali presenti in modo latente in quella verità stessa. Tommaso, avendo indicato nella prima quaestio in che modo intende giovarsi dell’apporto della speculazione nel campo della sacra dottrina, muove le sue considerazioni, nella seconda quaestio, ponendo come tema Dio e la sua esistenza.  Scopo della teologia è di far conoscere Dio in se stesso e come origine e fine di tutti gli enti creati. Dunque, la seconda quaestio [8] inserendosi perfettamente all’interno di quest’ordine, tratta di Dio e della sua esistenza. A sua volta la quaestio viene suddivisa in quattro parti: un piccolo prologo e tre articoli.

Nel primo articolo, che funge da premessa all’intera questione, Tommaso dichiara che l’esistenza di Dio non è evidente, proprio per tale ragione è legittima la dimostrazione che se ne propone in cinque modi diversi. L’Aquinate critica la dimostrazione dell’esistenza di Dio proposta da Sant’Anselmo (il celebre argomento ontologico), la quale fa leve sull’evidenza della nozione di Dio e da questa deduce l’esistenza dell’Ente sommo. Secondo Tommaso è necessario distinguere due tipi di evidenza: una per sé; una per noi. La prima evidenza si fonda su una necessità logico-ontologica, nel caso specifico, dunque, appartiene alla natura propria dell’essenza di Dio l’esistenza. La seconda evidenza riposa sulle capacità del soggetto conoscente, il quale, essendo limitato, non riesce a cogliere tale evidenza. Tommaso, distinguendo due piani, due punti di vista, muove da un presupposto metodologico, che sarà fatto proprio dal pensiero moderno e in particolare da Kant[9]. Tuttavia, il rifiuto di Tommaso della prova ontologica, non va considerato solo in una prospettiva logico-ontologico, ma va inserito in una nuova visione antropologica, la quale, non accettando l’intuzione intellettuale, salvaguarda l’autonomia della ragione. Proprio perché la creatura e il creatore possono muoversi su due piani separati, l’uomo può essere considerato un agente morale libero; mentre l’accettazione del punto di vista di Sant’Anselmo, ripreso parzialmente da San Bonaventura, inficia la libertà umana, necessitando la creatura a muoversi sullo stesso piano del Creatore.

Il secondo articolo — Se sia dimostrabile Dio — deve indicare al lettore il procedimento logico-ontologico che sottende le cinque vie, e parimenti deve precisare i passi biblici che legittimano tale procedimento. Nel pensiero di Tommaso è rintracciabile un circuito virtuoso tra auctoritas (Sacre Scritture, padri della Chiesa, insegnamenti ufficiali del magistero della Chiesa) e ragione: l’una conferma l’altra. L’auctoritas avvia un processo di pensiero, invitando la ragione a seguire la strada indicata dalle verità di fede, parimenti la ragione ordina, organizza e chiarisce la verità di fede, rendendola fruibile per un pubblico più vasto. Tommaso muove da una celebre affermazione di San Paolo, riportata nella Summa: “le perfezioni invisibili di Dio comprendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili”[10]. Muovendo dal creato si può risalire al creatore, dal fisico al metafisico. Tommaso procede, seguendo Aristotele, da ciò che è più vicino per noi, dunque da ciò che ci offrono i sensi: la natura. Inoltre, secondo l’Aquinate la realtà empirica riproduce in modo imperfetto le perfezioni divine: l’affermazione paolina si coniuga in un quadro neoplatonico. La ragione, dunque, si muove in un orizzonte ontologico ben determinato: da una parte vi è una realtà in sé, autofondata; dall’altra vi è l’ente finito (l’uomo e il creato).

Tommaso avanza la legittimità delle prove della dimostrazione dell’esistenza di Dio, facendo leva proprio sul creato, il quale per definizione si presenta come deficiente, manchevole: l’effetto non può sussistere senza causa, perché l’effetto è meno perfetto della causa. Per tale ragione l’Aquinate sostiene che si deve optare per un tipo di dimostrazione che prenda le mosse non dal propter quid (dal che cos’è, dalla definizione), ma dal quia (il come, l’esperienza), sicché la dipendenza ontologica dell’effetto dalla causa assume un valore gnoseologico, dunque l’effetto reca nel suo manifestarsi segni tangibili che permettono di riconoscere e definire la causa, ma soprattutto, precisa Tommaso, l’esistenza dell’effetto, implica l’esistenza della causa (cosa che non varrà per Hume). Le cinque vie hanno il compito di mostrare come la natura, intesa come effetto, ha Dio, inteso come causa. Ma perché tale dimostrazione non rientra negli articoli di fede, ma è un preambolo alla fede? Perché non ci permette di cogliere l’essenza di Dio. Se il lume naturale cogliesse le verità di fede, verrebbe meno la nostra possibilità di aderire alla fede con un atto della volontà, ma con un ragionamento, dunque in modo necessario, dato che il principio di non contraddizione presiede ad ogni forma dimostrativa.

Introduciamo brevemente il terzo articolo della seconda questione, dove sono esposte le celebri cinque vie. Tommaso muove il suo ragionamento da due obbiezioni all’esistenza di Dio: la prima è la presenza del male nel mondo, che negherebbe implicitamente l’esistenza di Dio (se Dio è bontà infinita non può esistere parimenti il male  ); la seconda è l’ammissione che la causa dei fenomeni naturali non sia Dio, ma la natura, un principio intrinseco ai fenomeni stessi.

A queste obbiezioni si può ribattere  provando che ci sono cinque vie, le quali verranno analizzate nel prossimo articolo.

 

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Note
[1]. Non è un caso che il genere letterario al quale sono ascrivibili gli scritti di Tertulliano e di autori cristiani a lui coevi è l’apologia: “credo quia absurdum” (credo perché assurdo). In questo motto si compendia l’atteggiamento mentale di gran parte del mondo cristiano dei primi secoli, che, cercando di mettere in luce l’incommensurabilità tra cristianesimo e paganesimo, ne esasperava le differenze.
[2]. Per fare un esempio di maggiore efficacia si può osservare come in Dante, nella Divina commedia  vi sia un atteggiamento simile e per certi versi speculare a quello di Tommaso; infatti, come il poeta tenda a valorizzare le figure della mitologia e della letteratura pagana, le quali, inserite nell’escatologia cristiana, perdono parte della loro carica negativa, parimenti Tommaso adopera lo strumentario logico-speculativo dell’analitica aristotelica, rivestendolo di un potenziale epistemico di matrice teologica.
[3]. Il termine via, come sinonimo di dimostrazione, non è casuale. Esso possiede un alto valore simbolico. Per un verso indica il cammino proprio di chi ragiona, di chi specula: svolgere un certo ragionamento equivale a seguire un certo percorso. È sufficiente pensare al poema sulla natura di Parmenide, dove il termine via indica la strada percorsa dalla mente, seguendo una certa linea di pensiero. Inoltre, bisogna tener presente che la parola speculare deriva dalla verbo latino speculari che indica proprio l’esplorazione, il cammino, il seguire una via.
[4]. Cfr., Tommaso d’Aquino, Somma Teologica vol. I, Salani, Milano 1949, p., 48,  n. 2 di P. M. Daffara O.P.
[5]. Ibid., p.52.
[6]. Ibid., p.58.
[7]. Ibidem.
[8]. La quaestio può essere considerata come il risultato della perenne dialettica tra la cultura germanica e il cosmo cristiano-romano che contraddistingue il mondo medievale, assimilabile ad una sorta di duello, di torneo. Infatti, come il torneo, la disputa è gioco, gara, inoltre, come il torneo, la quaestio è un fenomeno sociale ascrivibile agli appartenenti del medesimo gruppo: i cavalieri.
[9]. Tommaso chiude il primo articolo in un modo tanto semplice quanto efficace: “che esista la verità in generale è di per sé evidente; ma che vi sia una prima verità non è per sé altrettanto evidente” Tommaso d’Aquino, cit., p. 76.
[10]. Ibid., p. 78.

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Studio su “Science”: nessun altruismo rilevato tra scimpanzé

Tra noi e gli altri primati la differenza nel Dna è minima, si aggira dall’1% al 2%.  Questo piccolo argomento sostiene i neopositivisti come Telmo Pievani, dà loro forza e coraggio per andare avanti, per urlare al mondo che «l’uomo non è nientr’altro che…», cioè la classica formula del riduzionista perfetto.

La cosa divertente è che i nostri amici riduzionisti evitano sempre di dire che, come spiega il dott. Giuliani, oltre al 98% di geni in comune con lo scimpanzé, noi abbiamo il 95% di similitudine di geni con il ratto, un po’ meno geni con la fragola, per l’80% il nostro Dna è  in comune con un verme di 1 mm (Caenorhabditis elegans) mentre per il 50% è condiviso con quello della banana. Abbiamo lo stesso numero di geni della gallina e la nostra composizione atomica non è differente da un ficus. Pare abbastanza evidente, dunque, che l’uomo “non si spiega” nei suoi geni.

La seconda tesi riduzionista sostiene che l’uomo non sia differente dallo scimpanzé, in quanto anche quest’ultimo ha capacità sociali, di cooperazione, di altruismo ecc. Pochi mesi fa parlavamo di un libro recentemente pubblicato di due entomologi, Hölldobler e Wilson, i quali hanno sfatato i luoghi comuni sull’insetto eusociale più citato, la formica. E’ risultato infatti evidente, come è normale nella conservazione della specie, che il fine ultimo della cooperazione animale è la sopravvivenza individuale, dunque una forma mascherata di “egoismo”. Hanno concluso con una banalità pazzesca, ma che oggi scandalizza i riduzionisti: «Gli insetti sociali sono rigidamente governati dall’istinto, e lo saranno sempre. Gli esseri umani sono dotati di ragione e hanno culture in rapida evoluzione. Noi umani siamo capaci di introspezione e possiamo trovare  il modo per tenere a freno i nostri conflitti autodistruttivi»Francisco J. Ayala, fra i più celebri darwinisti viventi, scrive in un suo libro: «il comportamento morale non è del tipo di quelle reazioni automatiche di altruismo biologico come si hanno in certe api, formiche e presso altri imenotteri […], il comportamento morale in quanto tale non esiste nemmeno in forma iniziale in esseri non umani». 

Nei giorni scorsi il docente di Biologia Evoluzionistica e Comportamentale presso l’Università di St. Andrews, in Scozia, Kevin Laland, ha commentato i risultati di uno studio pubblicato su “Science” di cui avevamo già parlato su UCCR. I ricercatori hanno addestrato scimpanzé, cebi cappuccini e scimmie del Sud America a risolvere un “puzzle-box” e poi a dimostrare le tecniche ad altri scimpanzé. Ma essi non hanno imparato, al contrario di un gruppo di bambini della scuola materna.  Il biologo ha affermato: «I bambini hanno risposto al test come a un esercizio sociale, cercando insieme la soluzione, guardando e copiando le azioni dei vicini, e impartendo istruzioni. In certi casi abbiamo assistito a azioni di generosità, in cui i bambini condividevano i premi ricevuti. Ci saremmo aspettati degli atti di altruismo anche da cebi e scimpanzé, perché erano presenti gruppi di madri e figli, ma non ne abbiamo avuto riscontro». Anzi, sottolinea Laland, «abbiamo visto madri rubare i premi ai figli. Al contrario dei bambini, scimpanzé e cebi si relazionavano al puzzle in modo solitario, cercando di risolvere la prova per ottenere cibo solo per se stessi»Nessun atto di generosità, dunque, come era prevedibile, ma nemmeno si è vista la cooperazione. Ma non era il pilastro della tesi riduzionista?

 

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Corsi “salva matrimonio” nei Comuni: il divorzio è un problema sociale

Secondo le stime dell’Istat, nel 2009 vi sono state 86mila separazioni a cui hanno seguito 54mila divorzi. I matrimoni sono circa 210 mila (dati 2010). I rapporti sociali sono deboli, i legami durano mediamente 15 anni e poi si deve cambiare partner. Alla faccia delle associazioni di razionalisti che esultano per ogni divorzio in più, alcuni Comuni italiani, per far fronte a questa debolezza sociale, hanno deciso di proporre alle coppie sposate un ciclo di incontri “salva-matrimonio” (come a Bologna, Padova, Roma e Venezia), dove esperti (psicologi, avvocati, sessuologi) dialogano con le coppie per arginare la crisi matrimoniale. Il settimanale “Tempi” ha intervistato in merito la psicologa di coppia e della famiglia Vittoria Sanese, per capire se secondo lei questi corsi d’emergenza potranno servire. «Ben vengano iniziative volte a cercare di rimettere in carreggiata una situazione familiare complicata», ha spiegato, ma «la vera domanda potrebbe essere, come mai i Comuni organizzano questi corsi?». La psicologa infatti ritiene che «le amministrazioni locali si siano rese conto che i matrimoni in crisi non sono un problema della singola coppia, ma riguardano l’intera collettività».

Il punto debole delle unioni di oggi risiede, secondo lei, nel fatto che «le persone che decidono di sposarsi non sono davvero convinte che possa durare per sempre, è come se sapessero già che il loro rapporto avrà inevitabilmente una data di scadenza. Quando un fidanzato si dichiara all’amata e le dice “Ti amerò per sempre”, lo dice perché convinto emozionalmente ma non ragionevolmente. Più passerà il tempo e più l’emozione scemerà e il rapporto sarà irrimediabilmente compromesso».  Un altro motivo è che la forma dei rapporti è oggi di carattere strumentale: «chi decide di sposarsi con un’altra persona e di legarsi a lei lo fa pensando che d’ora in avanti il compito del suo partner sarà quello di farla stare bene, di emozionarla, capirla, sostenerla. Il rapporto andrà in crisi quando uno dei due non si sentirà più capito e sostenuto dal marito o dalla moglie e sentirà di stare meglio da solo, di “funzionare” senza l’altro», invece un matrimonio solido è un rapporto in cui la relazione con l’altro aiuta ad essere meglio se stessi, dove «ciascuno scopre di più se stesso e si riconosce esaltato nel proprio io». E invece oggi, con la moda dell’autodeterminazione, si pensa che «il mio “Io” lo trovo da solo, la relazione non mi costituisce, è solo un modo per avere accanto qualcuno con cui fare le cose che mi piacciono. Ma questa è la strada che porta all’addio», commenta la dott.sa Sanese.

L’impegno di questi Comuni è dunque apprezzabile, anche perché una relazione stabile risulta essere positiva anche dal punto di vista medico. Ogni mese vengono infatti pubblicate ricerche scientifiche a sottolinearlo, come ad esempio  lo studio recente condotto da sociologi della Emory University di Atlanta (Stati Uniti), secondo cui il matrimonio è un “farmaco salvacuore” molto efficace, visto che riduce di tre volte il rischio di non sopravvivere dopo un’operazione cardiaca -e l’effetto si mantiene perfino a distanza di tempo maggiore-, al contrario di quanto accade a chi è single, vedovo o divorziato.

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Il grande ruolo della donna nel medioevo e all’interno delle religioni

Il 9 aprile 2012 Benedetto XVI ha parlato della grande testimonianza delle donne nel cammino della Chiesa. Anche la docente di storia Bettany Hughes, Research Fellow presso il King College di Londra e membro onorario della Cardiff University, ne ha parlato più ampiamente su “The Guardian”, ricordando che fu lo scrittore Rudyard Kipling (“Il libro della Giungla”) a notare come la gran parte (97%) delle antiche divinità della saggezza fossero femminili, ad esempio Atena Minerva. Di fatto, anticamente, le donne sono state spesso accettate come primi educatori nelle loro comunità. La religione è un facile bersaglio per le accuse di repressione e misoginia, ma in realtà per le donne è stato spesso possibile realizzarsi nella sfera sacrae quindi socio-politica.Vediamo qualche esempio:

– Nei Vangeli e nel cattolicesimo,  la donna riveste un ruolo fondamentale. Non solo per il ruolo di Maria di Nazareth, la madre di Dio, ma anche dalle altre donne incontrate da Gesù. Sarà proprio ad un gruppo di loro che apparirà il terzo giorno, affidando a loro il compito di annunciare al mondo la Sua resurrezione, nonostante la scarsissima considerazione che avevano nella società di allora. L’incredibile aumento del numero dei cristiani dall’anno 40, in cui erano 1000, al 350 quando arrivarono a 32 milioni, è dovuto anche per l’attenzione, la stima, il rispetto e la protezione che i cristiani praticavano nei confronti delle donne (e ai bambini).

Teodora, prima di sposare Giustiniano imperatore di Bisanzio, era ciò che oggi chiameremmo una “spogliarellista”, ma, con l’ età matura e le responsabilità del matrimonio, arrivò a co-governare l’impero con saggezza. Ricordandosi i problemi legati al suo primo stile di vita, istituì le case sicure per le prostitute e aumentò le pene per il reato di stupro. In campo religioso, ella sostenne la fazione dei monofisiti (che riconoscevano a Gesù la sola natura divina) che significava sostenere il ceto borghese e questo concorse all’unità dell’impero.

Anche l’Islam degli esordi ha riconosciuto alle donne il dovere di “cercare la conoscenza” per attuare le istruzioni di Allah e il profeta Maometto ha consigliato lo studio sia alle donne che agli uomini. Di fatto, una delle prime università registrate in tutto il mondo – l’Università Qarawiyyin in Fez – è stata costruita nel IX secolo da una donna tunisina musulmana, Fatima al-Fihri. Nei primissimi anni dell’Islam è possibile risalire a circa 8.500 studiose; e di nuovo nel 12° secolo le donne hanno predicato nelle grandi moschee di Damasco, Medina, al Cairo e a Gerusalemme.

– Passando all’estremo oriente, parliamo della matriarca cinese Wu Zetian, che nel VII secolo ha usato il potere delle parole per vincere. Dopo una lunga gavetta a corte, tra intrighi, concubinaggi e pare anche omicidi, ella divenne imperatrice nel 654, cominciando a governare con grande saggezza. In un documento ella preconizza un abbassamento delle tasse, incentivi a favore dell’agricoltura, l’incoraggiamento del pluralismo di opinioni. Determinata a diffondere il buddismo nel suo enorme impero, diede un grande impulso anche all’arte della stampa, promuovendo la produzione di 84000 testi.

– Parlando del monachesimo dell’Europa occidentale, nel VII secolo, il monaco Aldhelm ha elogiato le suore della badessa di Barking che “raccolgono le conoscenze di legge, storia e scrittura, come le api raccolgono il miele”.

Esempi simili, di onore alla saggezza e agli studi femminili, abbondano fino al 12° secolo; dopo di che la cultura, spostata la propria sede dai monasteri alle università, finì strettamente nelle mani dei soli maschi, fino ad oggi. Ad esempio a Cambridge le studiose hanno riguadagnato (formalmente ma non di fatto) la parità coi colleghi uomini solo nel 1948.

Linda Gridelli

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La scuola paritaria inferiore a quella statale? Una bufala

Nella tematica della scuola e dell’istruzione da anni c’è una guerra ideologica da parte di alcune fazioni della società, contro la libertà di scelta e di educazione.

Lo ha spiegato bene mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, parlando di comunismo e dello Stato assoluto: «la scuola deve venire assoggettata al pieno arbitrio dei governanti, a seconda dell’ideologia che domina. Questo è il fondamento dello statalismo scolastico, sia dei paesi liberal-borghesi che in quelli totalitari. La scuola serve a un’omologazione culturale, a far dimenticare una varietà di forme tradizionali e culturali, per assimilare tutto a un’unica forma, quella dello Stato» (“False accuse alla Chiesa”, Piemme 1997, pag. 69). Questi i motivi per cui sostenere la libertà di educazione delle famiglie, senza ovviamente delegittimare l’ottimo servizio offerto dalla scuola pubblica, seppur anch’essa poco sostenuta finanziariamente dallo Stato.

Affermare però che questo sia causato dall’esistenza delle scuole paritarie, è una bufala, come abbiamo già dimostrato: le risorse destinate (nel 2009) alla scuola statale ammontano a più di 54 miliardi di euro, per le scuole paritarie sono destinati invece 530 milioni (molti meno in realtà). Tuttavia, se si desse alle scuole paritarie la cifra che a esse spetterebbe in base alla percentuale dei suoi iscritti (il 10% degli studenti italiani), il contributo dovrebbe ammontare a oltre 5,4 miliardi di euro, dieci volte in più di quanto viene riconosciuto attualmente. Dunque sul bilancio totale dell’istruzione, la scuola paritaria costa allo Stato meno dell’1%,, ma serve ben più alunni di quanto i contributi a essa concessi coprano (il 10% del totale, per l’appunto).

Il leitmotiv del giornalista Salvio Ingraio, al soldo di “Repubblica”, recita da tempo così: le private (paritarie) in Italia sono le peggiori d’Europa e quindi va abolito ogni finanziamento. Questa è un‘affermazione infondata, come vedremo, ma è suggestivo il fatto che Ingraio dimentichi sempre di informare che le private in Italia sono anche le uniche in Europa a non ricevere un contributo adeguato da parte dello Stato. Negli altri Paesi europei infatti (a parte Grecia e Scozia) il finanziamento statale è  totale o comunque copre buona percentuale delle spese: in Belgio e nei Paesi bassi, ad esempio, la parificazione tra istituti pubblici e privati (di carattere confessionale o meno che siano) è totale, in Danimarca il contributo statale copre l’80-85% dei costi delle private, in Austria i due terzi delle spese delle scuole private sono a carico dello stato (che garantisce però per intero il pagamento degli insegnanti), il governo francese invece copre per intero gli stipendi del corpo docente, in Germania il finanziamento pubblico è spettanza esclusiva delle autorità regionali, che comunque coprono mediamente il 40 e il 50% delle spese, e così via. Questo spiega quel che il militante Salvo Intravaia non capisce nei suoi continui attacchi (pare comunque che lui riceva forti censure dal quotidiano di Ezio Mauro).  I dati dimostrano anche che, laddove è riconosciuto il ruolo delle paritarie, come nel resto d’Europa, esse svettino come eccellenze rispetto a quelle statali: accade nel Regno Unito, accade negli USA, accade in Spagna e in Germania, e così via.

Questi attacchi, esclusivamente italiani, alle scuole paritarie (in particolare da “Repubblica” e meno vistosamente da “Il Corriere della Sera”) dimostrano proprio l’opposto di quel che vorrebbero, cioè rilevano che è più che mai necessario uniformarsi all’Europa e avviare un finanziamento corretto. Roberto Pasolini, membro del gruppo di lavoro per la parità scolastica presso il MIUR, ha comunque fatto notare che le accuse di “inferiorità”, oltre ad essere controproducenti, sono anche per la maggior parte sostenute da tesi infondate. Nel 2010 ad esempio “Repubblica” ha titolato: “Nella scuola pubblica si impara di più. L’Italia in basso per colpa delle private” (autore sempre Salvo Intravaia), mentre “Il Corriere”: “Efficienza e qualità. La scuola statale batte quella privata”, basandosi sui dati dell’indagine Ocse-Pisa.

Diversi ricercatori, come Luisa Ribolzi (docente di sociologia dell’educazione, Università di Genova), Giorgio Vittadini (docente di statistica metodologica, Università Bicocca) e Norberto Bottani (già alto funzionario OCSE, ex Direttore dello SRED di Ginevra, tra i più noti ricercatori europei nel campo dell’istruzione) hanno tuttavia dimostrato l’infondatezza scientifica, l’inaffidabilità del campione e la sua non rappresentatività delle scuole paritarie. Si ricorda poi che i dati “oggettivi”, non di un campione, ma basati sul numero reale di studenti che hanno sostenuto l’esame di terza media, dimostrino proprio l’opposto, cioè che gli studenti delle scuole paritarie sono meglio preparati. Lo riporta, ad esempio, Tommaso Agasisti, ricercatore nel dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, basandosi sui dati rilevati dall'”Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione” (INVALSI), su incarico del ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca: per ogni materia e per ogni area del Paese italiano, i punteggi medi delle scuole paritarie sono superiori a quelli delle scuole statali. Lo stesso, occorre dirlo, è riconosciuto dall’articolista de “Il Corriere della Sera” nell’articolo già citato, seppure in tre righe nel finale dell’articolo. L’Osce dice una cosa, dunque, ma si basa su un campione controverso e non rappresentativo, l’INVALSI si basa sul totale degli studenti e rileva la superiorità delle paritarie in termini di istruzione.

Negli articoli di Salvo Intravaia & Co, c’è però una cosa vera, un dato di fatto: le scuole statali possono avvalersi, nel loro insieme, di strumentazione tecnologica in quantità notevolmente più consistente. Come si diceva sopra, questo dimostra appunto che -al contrario di quanto avviene in Europa- in Italia i finanziamenti alle paritarie scarseggiano ingiustamente (nonostante esse servano il 10% degli studenti). Nessuna agevolazione per loro nell’acquisto di strumentazioni legate all’innovazione tecnologica, né per l’aggiornamento dei propri docenti, anche se bisogna ricordare che non è la lavagna interattiva ad assicurare una miglior istruzione, per cui non può nemmeno dirsi dimostrata l’equazione tecnologia = maggior istruzione. Oltretutto è possibile avere strumenti avanzati e non usarli e infatti, dai dati emersi, c’è il forte sospetto che l’utilizzo di tale strumentazione tecnologica da parte degli studenti della scuola pubblica e paritaria, sia sostanzialmente simile (nonostante vi sia maggior disponibilità di strumentazione in quella pubblica). Rimane il fatto che il progetto educativo e formativo delle scuole paritarie è maggiormente attento all’alunno, alle sue esigenze formative ed educative e alle relazioni umane, questo i genitori lo sanno e infatti si registra un vero e proprio boom di iscrizioni per la scuola privata tra l’anno scolastico 2004/2005 e 2010/2011. Alla faccia delle lavagne interattive.

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Il calciatore Luca Rossettini ricorda Morosini: «ci ha messo di fronte a Dio»

Come purtroppo sappiamo, sabato scorso il calciatore  del Livorno Piermario Morosini, 25 anni, è stato colpito da infarto ed è morto sul campo. Una tragedia che ha toccato un po’ tutti, appassionati o meno del pallone, e che ha travalicato presto i confini nazionali. Luca Rossettini, giocatore 27 enne del Siena, approdato nel 2008 anche nella nazionale Under-21 italiana, ha voluto scrivere una bella riflessione personale, inviando una lettera al direttore del quotidiano online Ilsussidiario.net. 

Scrive Rossettini: «Caro direttore, quando ieri ho appreso della morte di Piermario, pur non conoscendolo bene (ci siamo infatti affrontati da avversari sul campo e giocato insieme un paio di partite nella rappresentative nazionali) mi sono trovato a piangere come un bambino come si piange per un parente o un amico che ci lascia. E mi sono sorpreso di questo perché come temperamento normalmente tendo a tenere tutto dentro. Ieri però è accaduto qualcosa». Il difensore del Siena accenna alla travagliata storia familiare di Morosini, ricordando il «dialogo col mio compagno di stanza quando davanti alla tv abbiamo appreso la tragica notizia. Mi ha detto: “una cosa così non può lasciare indifferenti, ma ti fa riflettere sulla vita e su Dio“». Continua: «Piermario con la sua morte ha avuto pietà di tutti noi che lo piangiamo perché ci ha messo violentemente di fronte all’eterno e a noi stessi, nudi da tutte le distrazioni che il mondo ci mette davanti e riducendo a zero tutte le nostre inutili preoccupazioni e contese». «Se vogliamo essere uomini fino in fondo e per rispetto al sacrificio di Piermario», riflette il calciatore, «non possiamo far tacere quelle domande che sorgono spontanee dentro di noi in questi momenti: vale davvero la pena vivere? E se si per che cosa? Finisce tutto con la morte? Siamo davvero padroni della nostra vita o siamo voluti e amati ogni istante che passiamo quaggiù?».

Queste inevitabili domande, che la morte di Piermario ha fatto riemergere in ciascuno, «possano essere per ognuno di noi compagni, colleghi, amici e tifosi un passo in avanti verso quel Disegno di salvezza che misteriosamente ci comprende tutti, ognuno con la sua strada e la sua storia», si augura Rossettini. Personalmente sono molto d’accordo: inutile dare sfogo alla furia giustizialista verso quella macchina dei vigili che non doveva ostruire il cancello per permettere l’ingresso all’ambulanza. Certamente, si trovi il responsabile e si individuino le eventuali colpe, se effettivamente quel ritardo è stato fatale per la vita di Piermario. Si impari da questo tragico errore, ma è sterile accanirsi morbosamente e mediaticamente su questo, nulla riporterà indietro Piermario.

E’ bene invece che trovino spazio le questioni poste così profondamente dal giocatore del Siena, Rossettini, il quale conclude: «Preghiamo soprattutto per la sorella e la fidanzata perché sopportino la lontananza e non siano lasciate sole in questo immenso dolore ma possano sentire la vicinanza degli amici e dei parenti e il calore di quell’unica grande Presenza che unica consola e riscalda il cuore. Piermario da oggi è più di un compagno, collega o avversario, Piermario è un vero amico perché in qualche modo, misteriosamente, ha dato la sua vita per ciascuno di noi». Anche io ritengo che, se questa tragedia può servire a riflettere maggiormente sul senso della nostra vita, ad avvicinarci di più a Colui che, unico, può darle un senso compiuto e adeguato, allora Piermario rimarrà davvero anche nei cuori di chi non l’ha mai conosciuto, indipendentemente da quando i media decideranno inevitabilmente di disinteressarsene. Senza nessun falso sentimentalismo.

Simone Aguado

 

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Gli scienziati cattolici che hanno fatto l’Italia

Nel 1870 con la breccia di Porta Pia e la conseguente proclamazione di Roma Capitale si conclude l’unificazione del Regno d’Italia. E’ interessante e poco conosciuto il contributo dei Cattolici alla formazione e alla crescita della nascente Italia. Lo stesso Pio IX, se pur in contrasto con la formazione del nuovo stato nazionale, assunse atteggiamenti nuovi nei confronti del potere temporale. Ad esempio nel 1848 rifiutandosi di guidare la guerra degli stati italiani contro l’Austria compromise la possibilità di salvare il dominio temporale del papato. La sua scelta non fu anti-italiana ma espressione di un sentimento più universalista. Il papa come “padre di tutte le genti” non poteva appoggiare la causa di una parte dei suoi fedeli contro altri cristiani.

Anche analizzando i grossi progressi scientifici che hanno portato al nascente regno prestigio a livello europeo possiamo riconoscere l’enorme contributo di pensatori cattolici, mossi nelle loro indagini dalla voglia di contribuire all’edificazione del Creato. Nel volume “Nei 150 anni dell’Unità d’Italia” (EDB), che riporta gli interventi del Decimo Forum del progetto Culturale della CEI, il prof. Giuseppe Tanzella-Nitti approfondisce proprio le scoperte scientifiche e il contributo sociale dei cattolici, laici e religiosi, nel Piemonte del XIX secolo. Uno di questi fu Alessandro Volta, famoso in tutto il mondo per le sue grandi scoperte sull’elettricità. La più importante nel 1800: la pila, il primo generatore di corrente continua. Poco conosciuto è l’altro aspetto caratterizzante della vita di Volta: la sua profonda fede: frequentava la Messa quotidiana, praticava i sacramenti (confessione e comunione), recitava il rosario ogni giorno.Nella parrocchia di San Donnino a Como si può ancora trovare una lapide in memoria di Volta che ricorda: “qui insegnando il catechismo si preparò al miracolo della pila”. Significativa l’esperienza di Silvio Pellico raccontata in una sua lirica dove spiega che furono le argomentazioni di Volta a riaccendere in lui un germe di fede che poi maturerà nel carcere dello Spielberg.

Tanti i volti, come Giovanni Battista Beccaria che contribuì a trasformare l’elettrologia da oggetto di curiosità in vera e propria disciplina scientifica o come Tommaso Valperga Caluso stimato filosofo, astronomo, fisico e matematico, membro dell’ordine di S. Filippo Neri, considerava la felicità il fine ultimo di ogni studio. Studiosi dell’elettricità ma anche astronomi e meteorologi di fama internazionale. Uno fra tanti il sacerdote Giovanni Boccardi che si dedicò alla teoria delle orbite planetarie e fondò nel 1906 la Società Astronomica Italiana. In particolare sviluppò importanti calcoli sul pianetino 416, che dietro sua proposta fu battezzato “Vaticana”. Il beato Francesco Faà di Bruno fu militare, cartografo, architetto, inventore, giornalista ed editore. Si occupò del piano di risanamento igienico idrico di Torino, costruì bagni e lavatoi pubblici, fornelli pubblici economici, la prima biblioteca circolante e la fondazione Opera S. Zita, casa di accoglienza per donne in difficoltà. Insieme a don Giovanni Bosco fondò giornali popolari per l’istruzione di cui curava la parte scientifica. Visse con disagio il suo desiderio patriottico di vedere l’Italia unita, di fronte alla forte spinta anticlericale che si faceva sempre più strada. Da scienziato testimoniò sempre di trovare un’assoluta armonia fra la scienza e la fede. E altri ancora: il fisico Antonio Maria Vassalli Eandi, l’astronomo don Francesco Denza (padre della meteorologia in Italia), l’astronomo Padre Angelo Secchi  (fondatore della spettroscopia astronomica), e così via.

E’ interessante vedere come la collaborazione della Chiesa fu richiesta dal ministero dell’agricoltura che, dovendo diffondere la conoscenza del metro come unico sistema di misura, si rivolse alle 7000 parrocchie, invitando i parroci a spiegare il nuovo sistema di misura. Le scelte politiche di papa Pio IX e la dedizione di molti uomini che si sono avvicendati nel corso dei secoli  hanno sicuramente dato slancio ed energia all’unificazione dell’Italia  e come ha ricordato più volte il cardinal Bagnasco è giusto che i cattolici si sentano a pieno titolo “soci fondatori” di questo Paese.

Marta Cutrera

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Franco Grillini e l’omosessualità egodistonica

L’omosessualità non è immutabile, questo ormai è un dato di fatto. La prova regina non è tanto l’inesistenza del fantomatico “gene gay”, ma il semplice fatto che tanti ad un certo punto ne escono e mettono su famiglia e per questa scelta vengono discriminati. Lo ha detto chiaramente, ad esempio, Greg Quinlan: «sono più discriminato ora di quando ero omosessuale». Cambiare si può, lo dice anche il l’Organizzazione mondiale della sanità nel codice F66.1 della  ICD-10 della decima revisione della classificazione ICD.

Molti di coloro che hanno preso questa decisione, hanno chiesto sostegno ad uno psicologo, domandando un aiuto per mettere ordine nella loro vita sessuale, ritrovando magari una identità personale che si credeva perduta. Oggi però questa libertà di scelta viene condannata dall‘Arcigay, da Paola Concia e dai vari Franco Grillini che saltellano tacciando di “nazismo” coloro che rivendicano il diritto a poter decidere della loro vita e coloro che li aiutano. Questo clima violento è stato stigmatizzato dal noto psicologo Robert Perloff, ex presidente dell’American Psychological Association (APA), che -proprio in reazione all’intolleranza omosessualista- nel 2004 ha aderito ufficialmente alla Narth, una delle associazione di psicologi che si prende cura di persone con omosessualità indesiderata, sostenendo«sono felice di aderirvi: Narth rispetta la dignità di ogni cliente, l’autonomia e il libero arbitrio. Ogni individuo ha il diritto di rivendicare un’identità gay o di sviluppare il suo potenziale eterosessuale. Il diritto di cercare una terapia per cambiare il proprio adattamento sessuale è considerato ovvio e inalienabile. Condivido pienamente la posizione della NARTH».

Nel 2011 un altro ex presidente dell’APA, Nicholas Cummings, tra i più noti psicologi americani, ha preso posizione proprio contro l’associazione di cui è stato presidente accusandola di posizioni politiche e non scientifiche: «oggi è messa in discussione la scelta di un individuo a non essere gay, questo perché la leadership dell’APA sembra aver concluso che l’omosessualità è immutabile».  Questo distorce la realtà, inoltre «far passare il tentativo di rendere “immorale” la terapia del riorientamento sessuale viola la scelta del paziente». Ricordiamo, a scanso di equivoci, che su questo sito non si sostiene nessuna associazione o particolare terapia, ma soltanto la libertà di scelta.

In questi giorni è intervenuto anche il dott. Giancarlo Ricci, psicoterapeuta, esperto della clinica dei di­sturbi dell’identità sessuale, membro dell’Associazione Psicanalitica Nodi Freudiani, coordinatore del laboratorio di ricerca “Corpo Biopolitico” e giudice Onorario presso il Tribunale per i Minori di Milano. Ha risposto in un’intervista agli strilli intolleranti di Grillini, riconoscendo che «c’è un problema per cui chi ha un pensiero differente dagli attivisti gay viene additato come omofobo». Questa è «un’intolleranza e una visione ideologica totalitaria». Sono violenti perché sentono parlare di “terapia” e pensano che l’omosessualità venga ritenuta una malattia, eppure «laddove si parla di terapia non necessariamente c’è malattia, se no tutti saremmo malati perché il disagio, l’ansia, l’angoscia e la preoccupazione sono di gran parte della popolazione». E invece, secondo molti psicologi, «per l’omosessualità egodistonica, quel tipo di omosessualità che il soggetto vorrebbe superare, ci può essere un intervento terapeutico. E troviamo continue difficoltà a difendere la libertà di scelta e di cura». Ha concluso: «Si tratta di difendere un principio. Io sono assolutamente a favore della libertà di scelta rispetto alla propria sessualità. Ma se arriva una persona che chiede di poter elaborare e capire di più rispetto alla propria tendenza, non penso che questo possa essere sanzionabile al punto da essere paragonati ai nazisti».

 
 

Qui sotto un video (2009) in cui il dott. Ricci zittisce le urla di Franco Grillini

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