‘Il ritorno di Dio’ tra gli intellettuali: ondata di «atei rispettosi» rinuncia all’aggressività

Qualcuno lo chiama ‘Il ritorno di Dio’, ma non si tratta né di una profezia, né di una nuova setta religiosa ma bensì di un trend che sta prendendo sempre più piede tra gli intellettuali atei e agnostici. Ad evidenziarlo è un articolo di Nicholas Kristof, recentemente apparso sul ‘The New York Times’.

L’atteggiamento imperante, fino a poco tempo fa, poteva essere compendiato nel sottotitolo del famoso pamphlet dell’ateo militante Christopher Hitchens, «la religione avvelena ogni cosa». Tuttavia, qualcosa è evidentemente cambiato; una «riluttante ammirazione per la religione come forza etica e di coesione» si sta facendo posto nei salottini degli intellettuali atei e una frangia sempre più ampia di non credenti sotterra l’ascia di guerra e abbandona l’ateismo aggressivo del binomio Dawkins-Hitchens. Linea di pensiero che viene espressa in numerose pubblicazioni recenti; a partire da quella dell’ateo Alain de Botton, Religion for Atheists, dove con atteggiamento nei confronti della religione quasi «reverenziale» a detta di Kristof, sostiene che «gli atei hanno molto da imparare» da questa. De Botton, d’altra parte, si è già dimostrato lontano dall’ateismo ‘incattivito’ di Dawkins, facendosi portavoce di una quantomeno originale iniziativa che prevede l’erezione di un “tempio per gli atei” (cfr. Ultimissima 1/2/12).

Sulla stessa linea si muove “The Social Conquest of Earth, l’ultimissima fatica del celebre biologo di Harvard, Edward O. Wilson. Il quale, seppur criticando la religione come «invalidante e divisoria», ne riconosce il fondamentale ruolo sociale e come fonte «della gran parte delle migliori opere nelle arti creative». E della fede come collante sociale tratta anche The Righteous Mind di Jonathan Haidt, ateo sin dall’adolescenza e professore di Psicologia alla University of Virginia. Haidt, che nel suo blog dichiara che la religione è «una parte cruciale della nostra evoluzione biologica e culturale per la moralità», nel libro sostiene che «gli scienziati spesso fraintendono la religione» perché si focalizzano sugli individui, «piuttosto che su come la fede possa unire una società». Numerose sono inoltre, le ricerche e pubblicazioni che il professore cita nel suo libro a sostegno del fatto che una società con Dio può equivalere a una società più etica e armoniosa.

Con questa recente ondata di «atei rispettosi», auspica in conclusione Kristof, potrebbe prendere posto definitivo un atteggiamento che alla fine faccia «da fondamento per una tregua alle nostre ‘guerre’ religiose. […] Preghiamo…».

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Tre ricercatori spiegano perché l’embrione è persona umana

Il guasto dell’impianto di congelamento all’ospedale San Filippo Neri di Roma, che ha causato la morte di 94 embrioni, riporta all’ordine del giorno il dibattito sul principio della vita umana, che taluni vogliono spostare dal suo momento naturale, cioè il concepimento.

Quando lo spermatozoo, una semplice cellula dell’uomo, entra nell’ovulo, un’altra semplice cellula della donna e si fonde con esso, abbiamo una nuova vita, una nuova persona diversa da chiunque altro. Certo, al momento questa persona è costituita da una sola cellula, lo zigote, ma ha già i suoi 46 cromosomi con tutti i geni, cioè tutta l’informazione necessaria per diventare la persona che sarà, se gli permetteranno di crescere e non verrà incidentalmente scongelato, non avrà altri problemi o non sarà intenzionalmente strappato dal ventre di sua madre e gettato fra i rifiuti ospedalieri.

Nello stabilire l’inizio della vita umana, ogni momento diverso dal concepimento è artificiale, strumentale e, in una parola, falso. Dico “strumentale” perché declassare un embrione da persona umana a semplice materiale biologico, come se fosse una provetta di sangue, ha lo scopo di togliergli quella dignità che lo rende inviolabile. Evidentemente si vuole fornire all’aborto una copertura morale, asserendo che ciò che viene ucciso non è una persona, ma come un pezzo di carne crescente. Pare brutto dire: “vogliamo il diritto di sopprimere i bambini nel ventre materno, se non ci fa comodo che nascano”, meglio confondere le acque dicendo che bambini non sono. Alcuni vogliono far iniziare la vita con la comparsa del sistema nervoso, forse perché prima, non potendo soffrire, gli embrioni possono essere uccisi con meno rimorsi; ma siamo poi sicuri, tra l’altro, che sia necessario un sistema nervoso per soffrire? Non potremo mai sapere cosa provano ad esempio le piante. Anche chi fa partire la vita dal momento non del concepimento, ma dell’impianto nella parete uterina, mira a creare una specie di zona franca, molto utile per la vendita di pillole del giorno dopo e spirali intrauterine.  Per l’occasione, “Avvenire” ha intervistato alcuni esperti.

Giandomenico Palka, ordinario di Genetica Medica all’Università di Chieti, ha risposto: «Nello zigote è già insito il programma della vita della persona. Scegliere una tappa successiva per decretarne l’inizio è puramente arbitrario… Zigote, blastocisti, embrione, stiamo sempre parlando dello stesso bambino in ogni sua fase, senza soluzione di continuità. Sono tutte tappe di un unico processo vitale che inizia con il concepimento».

Roberto Angioli, primario di Ostetricia al Policlinico Universitario Campus Biomedico di Roma, e membro del consiglio direttivo della Società Italiana di Ginecologica e Ostetricia (SIGO), ha affermato: «La vita inizia nel momento dell’unione dei due gameti…Lo zigote concepito è la prima cellula che racchiude il DNA dell’individuo… Chi fa iniziare la vita al momento della comparsa della stria neuronale riduce l’essenza dell’umano solo in collegamento al suo sistema nervoso centrale e periferico, ma sappiamo che l’uomo è molto più di questo».

Salvatore Mancuso, presidente del comitato etico del Policlinico Gemelli, ha spiegato: «Al di là di ciò che suggerisce la bioetica, l’embrione è essere umano fin dal concepimento, per ragioni biologiche…C’è una specie di intelligenza embrionaria, per cui anche prima dell’annidamento l’embrione comunica con la madre. In fase di reimpianto avviene già uno scambio di comunicazioni chimiche tali per cui l’embrione, attraverso la produzione di citochine (molecole messaggere), condiziona la sede del suo insediamento, chiede alla madre di modificare il sistema immunitario per essere accolto e non espulso come corpo estraneo. Tutto questo straordinario dialogo avviene fin dalle primissime fasi del concepimento: i due esseri si riconoscono».

Quindi, sia la biologia che la morale che la logica indicano nel concepimento l’inizio della vita della persona; ogni altra data serve a formare una fase-finestra, una terra di nessuno nella quale è lecito perpetrare abusi su questa persona indifesa. Sul nostro sito si può trovare un dossier di approfondimento su tutto questo.

Linda Gridelli

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La prof. Mary Poplin e il cambiamento dopo l’incontro con Madre Teresa di Calcutta

«Il cristianesimo offre la migliore espressione di come rendere giustizia ai poveri». Lo ha detto Mary Poplin, docente di pedagogia, storia e filosofia dell’educazione presso la Claremont Graduate University, direttrice del programma di formazione degli insegnanti e preside della Facoltà di Scienze della Formazione. E’ autrice del libro Finding Calcutta” (Books IVP 2008).

Poplin ha avuto la fortuna di lavorare con Madre Teresa di Calcutta, in India e nel suo libro ha proprio parlato del suo coinvolgimento in vari movimenti, dal femminismo al marxismo, fino al lavoro tra i poveri di Calcutta. Recentemente ha tenuto una conferenza, dal titolo: “Radical marxismo, Il femminismo radicale, amore radicale: Ciò che Madre Teresa mi ha insegnato sulla giustizia sociale”, presso il Davidson College in Davidson, NC. Prima di conoscere Madre Teresa, nel 1996, la prof. Poplin sentiva di essere una persona “spirituale”, come va di moda oggi, ma senza aver bisogno di Dio. Durante la conferenza ha spiegato di aver iniziato a studiare il cristianesimo dopo un sogno, in cui aveva dialogato con uno studente cristiano in una delle sue classi. Fu allora che ha iniziato a chiedersi il motivo per cui non si fosse mai soffermata su talune questioni, come docente. Ha quindi voluto interessarsi sull’operato di Madre Teresa in India: «avevo sempre dichiarato di amare queste cose che lei ha fatto: lavorare con le donne povere», ha raccontato. Questo è in definitiva ciò che l’ha portata a visitare Calcutta per alcuni mesi, voleva infatti capire perché la suora chiamava il suo operato «lavoro religioso e non lavoro sociale», e in cosa realmente consistesse.

Attraverso questa esperienza e le sue interazioni con Madre Teresa e con le suore, la docente si è subito resa conto che tutto quello che facevano era frutto della loro appartenenza cristiana e non di una vaga dedizione sociale agli ultimi: «Il loro primo lavoro è stato quello di appartenere a Gesù e di pregare incessantemente. Esse non parlavano [solo se necessario], ma pregavano per tutto il tempo», ha spiegato Popline. Il loro impegno tra i poveri era la loro preghiera. Madre Teresa mostrava un’«inspiegabile connessione tra la giustizia e rettitudine», insieme ad «una non-visione utilitaristica degli esseri umani, ma esseri fatti a immagine di Dio e quindi sacri. Il debole era importante quanto il più forte». Poco prima di tornare negli Stati Uniti, Madre Teresa le ha detto qualcosa che l’ha colpita profondamente: «Dio non chiama tutti a lavorare con i poveri. Dio non chiama tutti a vivere da poveri. Ma Dio fa chiamare tutti ad una Calcutta. Devi trovare la tua». Ognuno ha la sua vocazione, il suo compito nel mondo.

Poplin tornò all’insegnamento in università, cominciando a scrivere di Madre Teresa, in quello che lei chiama «un modo laico cristiano». Tuttavia, cadde presto in una crisi intellettuale: «mi sentivo come se stessi mentendo ai miei studenti», ha raccontato, perché non poteva parlare di Madre Teresa senza parlare di ciò che la sosteneva, cioè la fede cristiana. «Questa “secolarizzazione radicale” ci ha reso tristemente ignoranti di ciò che la maggior parte delle persone credono, e ha afflosciato la ricerca universale della verità». Oggi Popline ha introdotto nelle sue lezioni, a fianco dell’insegnamento sul marxismo, anche le fondamenta del pensiero cristiano. Questo è il “suo compito”, ha detto.

Antonio Tedesco

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Differenza tra verità scientifica e verità sapienziale

 

di Mariano Bizzarri*
*docente universitario di biochimica

 

Recentemente, l’Arcivescovo di Milano, il Cardinale Angelo Scola, ha avuto modo di esprimere un’acuta riflessione sul rapporto tra “Verità scientifica” e “verità metafisica”: «Chiediamoci: si può ancora sostenere che una simile forma di esperienza, l’esperienza cristiana, sia ragionevole? La sua rivendicazione della verità poggia su solide basi? Pensiamo, ad esempio, alla obiezione di quanti, a partire dalle strabilianti scoperte della scienza, sostengono che tutto è solo Natura (“naturalismo biologico”). Ebbene noi possiamo, come credenti, accettare tutti i risultati comprovati delle scienze naturali – sottolineo tutti i risultati, non tutte le loro interpretazioni e non ogni loro uso – integrandoli con l’esistenza di un Dio Creatore e Redentore dell’universo. Non sono pochi gli scienziati credenti a testimoniarlo».

Il passaggio chiave dell’omelia è il seguente: «noi possiamo, come credenti, accettare tutti i risultati comprovati delle scienze naturali – sottolineo tutti i risultati, non tutte le loro interpretazioni e non ogni loro uso». Questa osservazione ci permette di mettere a fuoco due aspetti, spesso trascurati da una certa pubblicistica volutamente interessata a mettere in ridicolo il messaggio della Bibbia. Innanzitutto ci viene implicitamente ricordato che il senso profondo delle Sacre Scritture vada inteso in senso metafisico e simbolico, non già interpretato alla lettera, dacché “la lettera uccide lo spirito”. Quanti, alla stregua di Odifreddi, si sforzano di rendere evidenti le incongruenze (palesi) del dettato biblico con i dati scientifici, rimarranno delusi: solo uno sciocco può, infatti, pensare di attenersi alla lettera di una sentenza sapienziale il cui significato, non a caso, come ammonisce il Cristo, sfugge ai “sapienti di questa terra”.

In secondo luogo le parole dell’Arcivescovo di Milano riaffermano la fondamentale distinzione che intercorre tra il dato scientifico e la sua interpretazione. Dati eguali possono dare luogo a teorie interpretative affatto simili. Basti pensare alla Rivoluzione Copernicana: le osservazioni astronomiche avevano per lungo tempo sostenuto una teoria capace di reggere alla prova dell’esperienza e in grado di produrre predizioni esatte e verificabili, ma rivelatasi successivamente “falsa”. E questo a dispetto del fatto che, sin dai tempi più remoti, fosse già stata formulata una più corretta interpretazione che poneva il Sole al centro del sistema planetario (Aristarco di Samo ed Eraclide Pontico) e che postulava la rotazione della Terra intorno al suo asse (Platone). La storia della Scienza è piena di casi del genere ed è anche assai istruttiva a tal proposito.  Ed è una storia che regolarmente porta alla “falsificazione” di vecchie teorie, sostituite da nuove, dimostrando come il rifiuto delle costruzioni interpretative da parte della realtà è la sola informazione che possiamo ottenere dal mondo delle cose. Come ricorda Popper, «anche le migliori teorie  sono sempre invenzioni. Esse sono piene di errori. L’ardita struttura delle teorie scientifiche si eleva , per così dire, sopra una palude. E’ come un edificio costruito su palafitte […] il fatto che desistiamo dal conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza solidi da sorreggere la struttura» (Logica della scoperta scientifica). Non diversamente Platone  sottolineava nel Timeo come la conoscenza che possiamo avere del mondo del divenire – ontologicamente imperfetto – fosse necessariamente anch’essa “imperfetta”. Lo scientismo contemporaneo pretende invece di poter decodificare “leggi” assolute ed assolutamente vere, quasi che le teorie scientifiche fossero naturale conseguenza dei dati sperimentali realmente osservati. Disgraziatamente dimenticano ciò che, con grande acume già Kant aveva affermato: «Il nostro intelletto non trae le sue leggi dalla Natura, ma impone le sue leggi alla Natura».

Detto con le parole di un fisico contemporaneo (F. Selleri, “Fisica senza dogma”): «ogni creazione scientifica è profondamente condizionata dai pregiudizi dei suoi creatori, consci o inconsci che siano». Una constatazione dal sapore agrodolce, se si ricorda la definizione che lo stesso Einstein dette della Scienza: «una creazione  dell’Uomo fatta nel tentativo di comprendere le proprietà del mondo reale». L’incompletezza delle teorie scientifiche assume poi un carattere tutto particolare quando si ponga mente alla loro traduzione tecnologica. Una teoria imperfetta, comporta spesso lacune gravissime sugli effetti inattesi che una determinata tecnologia può comportare a medio o a lungo periodo. Effetti “inattesi” che non di rado confliggono non solo con l’etica cristiana, ma con l’idea stessa di decenza, tout court. Pensiamo all’uso militare del nucleare, agli orrori delle sperimentazioni farmacologiche inadeguate, ai rischi delle modificazioni genetiche. E chi più ne ha, più ne metta.

Alla scienza non compete esprimersi quindi in termini di verità assoluta nell’ambito del cosmo manifestato, soggetto a continuo divenire e caratterizzato da leggi che, di tutta evidenza, esprimono la loro validità solo entro una determinata scala  (si pensi alla relazione tra fisica quantistica e fisica newtoniana). Le affermazioni che riguardano invece la metafisica – il mondo della perfezione in accordo con la lezione platonica – sono atemporali e riguardano quella verità certa che invano l’Uomo si affanna a cercare altrove. Senza trovarla.

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La rinascita dell’omosessuale Ruben Garcia

La storia di Ruben Garcia, omosessuale che è riuscito a liberarsi dalla dipendenza del sesso -come racconta-, che ha scelto una vita piena, nella castità, partendo dalle ferite infantili, arrivando alla transessualità e all’omosessualità, passando per la prostituzione e poi fino alla conversione, scatenerà certamente le ire di chi coglie sempre occasione per ricordarci che la vita da omosessuale è sempre la più dolce. Ha condiviso senza tabù il suo percorso complesso in un’intervista rilasciata a “Mission”,  la rivista familiare più diffusa in Spagna senza tabù.

Dice di aver sofferto molto a causa della sua omosessualità, ma ora è un altro uomo: «dietro una persona con inclinazioni omosessuali», afferma, «si nasconde spesso una storia di profondo dolore, una biografia di ferite emotive che a poco a poco portano a rifugiarsi nelle persone dello stesso sesso». Secondo Garcia, che guarda la sua esperienza e la sua storia, «l’omosessualità non è genetica, non viene scelta dalla volontà, ma è un disturbo che nasce da una deprivazione emotiva durante l’infanzia o giovinezza, e da altri fattori comportamentali». Egli spera che le persone imparano ad accettare incondizionatamente i gay e le lesbiche, offrendo loro l’amore e l’affetto di cui hanno bisogno per guarire le loro ferite e magari integrare la loro sessualità in una vita di castità.

Racconta la sua storia, parla di quando a causa della mancanza di affetto dal patrigno ha cominciato a cercare l’affetto che mancava negli altri uomini, arrivando fino al sesso, poi alla prostituzione e alla transessualità. E’ un processo graduale, dice, causato da un’insoddisfazione permanente che si cerca di placare. Ma eri felice? «Allora avrei risposto di sì, perché nell’ambiente gay è vietato dire il contrario», ma la verità è che si sentiva solo, con un vuoto enorme. «La Chiesa cattolica», dice, non lo ha mai discriminato ma anzi, «apre le sue porte a tutte le persone senza eccezione». Dopo la conversione è riuscito a liberarsi dalla dipendenza dell’istinto sessuale. «E’ un falso luogo comune», dice, «affermare che la promiscuità sessuale ti rende libero e la castità ti rende represso. E ‘esattamente l’opposto». Attualmente appartiene al gruppo “Courage Latino”, dove molti gay e lesbiche condividono le loro esperienze di una vita rinata.

Antonio Tedesco

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Enorme successo per il film pro-life “October Baby”

Si è classificato all’ottavo posto tra i più visti nelle sale americane e ha già suscitato grandi spaccature e dunque scrolli di coscienza nell’opinione pubblica; il commovente film “October Baby” , narra la storia di una ragazza adottata in cerca della madre naturale che – scoprirà- in un giorno di ottobre aveva tentato di abortirla. Ha già incassato tre milioni di dollari (il triplo di quanto è costato) e si è guadagnato la prima pagina del “New York Times”.

La pellicola filmica è ispirata alla storia di Gianna Jessen, nata disabile per i danni cerebrali subiti durante il tentativo di interruzione di gravidanza, avvenuto quando era nella pancia di sua madre da trenta settimane; nel 2008 raccontò la sua storia davanti al Parlamento australiano e adesso canta la colonna sonora di questo successo targato dalla regia dei fratelli Jon e Andrew Erwin, intenzionati a devolvere il dieci per cento dei profitti ottenuti dal film, alla loro charity Every Life Is Beautiful a favore dell’adozione e dei centri di aiuto alla vita. Dopo “Juno”, il film del 2007 ruotante intorno alla figura di una adolescente che sceglie di non abortire ma di tenere il bambino, che ottenne 231 milioni di dollari e un Oscar per la sceneggiatrice, l’America si ferma dinanzi ad un’altra trama emozionante.

La protagonista è battista , è molto bella, una sera perde i sensi mentre sta recitando e un dottore le spiega che tutti i suoi disturbi, dall’asma agli attacchi, sono colpa di una nascita difficile. Così lei tornerà al centro di aiuto alla vita in cui tutto è iniziato e si metterà in viaggio intorno alla sua vita, scoprendo di essere “un miracolo”; sopravvissuta ad un aborto tardivo. Il tema delicatissimo dell’aborto torna far discutere. In America infatti, si susseguono riflessioni ad ampio respiro; dalle proposte di legge dei singoli Stati che prevedono un periodo di riflessione obbligatorio e un’ecografia prima dell’intervento abortivo, alle polemiche concernenti la riforma sanitaria di Obama al governatore del Mississippi, Phil Bryant, che ha firmato qualche giorno fa una legge tesa a limitare la pratica dell’interruzione di gravidanza nello Stato. Intanto anche sul versante italiano si respira un odore pro-life: qualche giorno fa un gruppo composto da circa 70 giovani militanti ha conseguito un’azione simbolica di protesta contro dei consultori; è accaduto in provincia di Firenze. Una chiara risposta ai promotori della Legge 194, la legge che oltre a consentire l’ipotesi di abortire, affida un ruolo di primaria importanza ai consultori, in quanto promotori di informazione in tal senso. Ancora, pochi giorni addietro, è rimbalzata in diverse Regioni la notizia, relativa alla possibilità di offrire una degna sepoltura ai bimbi mai nati, ai feti che si sono spenti prima di venire alla luce. Molte le città che hanno aderito.

E mentre si deciderà se la pellicola che ha conquistato l’America potrà essere lanciate anche nelle sale cinematografiche italiane, in Italia cominciano ad arrivare le prime recensioni, tra le più interessanti quella pubblicata su “Repubblica”

Qui sotto il trailer del film (in lingua inglese)

Livia Carandente

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“L’amore e le differenze psicologiche e comportamentali tra uomo e donna”

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Anna Paola Borrelli, ha conseguito il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di Napoli e la Licenza in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma, è Perfezionata in Bioetica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, è Dottoranda in Teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana e Perfezionanda in Scuola e Disagio giovanile presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi “G.Marconi” di Roma. Docente incaricata di Teologia Morale presso diversi istituti cattolici, ha pubblicato di recente il libro “L’amore e le differenze psicologiche e comportamentali tra uomo e donna” (Bonomi 2012), che presenterà qui sotto»

 

di Anna Paola Borrelli*
*teologa moralista e perfezionata in bioetica

 

Il filo conduttore che lega l’intera trattazione vede l’immagine metaforica dell’amore come vite, sui cui tralci si innestano le differenze tra uomo e donna. E’ questa la sorgente che ha dato vita al libro e che ad ogni pagina ne fornisce la linfa e il respiro.

Solitamente prima si scrive un libro e poi lo si propone all’attenzione del pubblico, per me, invece, è stato un percorso al contrario. Tutto ha avuto origine da due relazioni che ho tenuto tre anni fa: l’una in un convegno culturale sulla famiglia, l’altra all’interno di un itinerario per coppie di fidanzati, sposi e operatori di pastorale familiare. Tra un incrocio di volti, uno scambio di emozioni e stralci di confidenze mi fu chiesto quasi all’unanimità, se potessi consegnare i fogli delle relazioni o meglio ancora se avessi raccolto tutto in un testo. L’anno successivo ripensai a quella proposta e oggi, grazie al Signore che mi ha posto nel cuore questo sogno e grazie ai partecipanti di quei due incontri, quella richiesta è diventata tangibile e il sogno reale.

E’ un libro in cui convergono psicologia, teologia, antropologia filosofica e poesia. Si parla di amore, fidanzamento e matrimonio.  Da varie angolature si desidera accompagnare il lettore sui sentieri della riflessione, su quegli stessi sentieri che mi hanno spronata e aiutata a considerare la diversità (maschile e femminile) come un “pozzo” di ricchezza, come una risorsa preziosa di cui forse troppo spesso ignoriamo l’importanza. L’uomo e la donna sono due individui in relazione, ma anche due mondi distinti per la diversa conformazione fisica, per la differente psicologia, per il modo difforme di pensare e di agire.  Eppure sono chiamati a divenire un “cuore solo”, un’”anima sola”, una “carne sola”. In questa apparente contraddizione c’è tutto un mistero che si descrive col termine “amore”. Nella coppia le differenze non sono pietre d’inciampo dalle quali fuggire, ma mattoni preziosi per costruire la comunione. Scoprirle insieme contribuisce a migliorare di gran lunga la qualità del proprio rapporto sentimentale e la comunicazione affettiva.

Il libro si snoda nei suoi vari passaggi, soffermandosi infatti sul dialogo di coppia che porta a scoprire le tecniche di comunicazione più avvincenti, i modi giusti per comunicarsi all’altro, i silenzi e le parole che tessono ogni storia d’amore. Vengono ancora passati in rassegna tutti quegli elementi che sono presenti all’interno di ogni vincolo affettivo come la stima, il rispetto, la comprensione, il perdono, il superamento delle difficoltà…. e semplici suggerimenti per la vita a due. E’ un libro che si rivolge a tutti e in modo speciale ai fidanzati e agli sposi, ma anche a chi è alla ricerca dell’amore vero. Il linguaggio è semplice e impastato di quotidianità, non lontano dal vivere comune, aleatorio, fatto di nozionismo o astrazione. E’ piuttosto un libro che ha il sapore della vita di tutti i giorni, corredato da simpatici aneddoti in cui ciascuno può ritrovarsi.

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Interessante studio sulla fede religiosa nel mondo

Pochi giorni fa il “National Opinion Research Center” dell’Università di Chicago ha pubblicato un importante studio sulle “credenze a proposito di Dio”. L’istituto è molto autorevole, anche se non specializzato in materia di religione. I dati emersi non sono certamente nuovi, ma elaborano dati già noti che vengono dall’“International Social Survey Programme” da tre precedenti versioni: 1991, 1998 e 2008. Riguardano inoltre un solo indicatore, cioè le credenze (“believing”), ma trascurando gli altri due: “belonging” (appartenenze, misurate principalmente dalla partecipazione ai riti religiosi) e “behaving” (comportamenti).

Le statistiche non hanno mai interessato i cattolici, essi sanno benissimo che la loro fede non dipende affatto dai numeri. Anzi, una chiesa con meno fedeli sarebbe magari facilitata a purificarsi, migliorando anche l’efficacia del suo messaggio. Ai laicisti furiosi, al contrario, queste pubblicazioni offrono uno stimolo di senso nella loro quotidianità, tanto che la più nota congregazione di atei in Italia, che si autodefinisce “confessione religiosa”, ha emesso addirittura un comunicato di festa (puntualmente ignorato). Vale la pena allora prendere in considerazione i risultati dello studio, verificando se questo momento di eccitazione appare essere giustificato: la prima cosa che si nota sono le conclusioni degli stessi ricercatori, i quali affermano che nei Paesi presi in considerazione c’è un lieve aumento di coloro che si dichiarano “non credenti”, e tuttavia questo aumento è talmente ridotto in numeri assoluti da rientrare nel margine dell’errore statistico. Inoltre, riporta Vito Mancuso su “Repubblica”, si rimane perplessi sulla selezione dei Paesi da analizzare: per il Sud america c’è solo il Cile, per l’Asia ci sono solo Giappone e Filippine, esclusa completaemente la Cina, l’India e tutti i paesi delle aree buddista e islamica, esclusa completamente l’Africa. Secondo Mancuso, «se lo studio avesse considerato l’andamento della fede su scala mondiale, le conclusioni sarebbero non dissimili da quelle di due giornalisti dell’Economist, Micklethwait e Wooldridge, uno cattolico e l’altro ateo, che nel 2009 pubblicarono a New York un volume la cui tesi è già nel titolo: “God is Back” (“Dio è tornato”)».

Alcuni dati appaiono interessanti. Occorre premettere che la ricerca, basata su indagini telefoniche (con tutti i problemi consueti che derivano da essa) suddivide gli atei in “forti” (veramente convinti) e “deboli” (lontani dalla religione ma con dubbi e domande). In Italia oltre il 50% dei giovani con meno di 28 anni ha un rapporto personale con Dio e la Chiesa è l’istituzione di cui ci si fida di più accanto alla scuola. Gli atei “forti” sono l’1,7%, e i “deboli” dal 5,9 al 7,4% a seconda di come i sociologi pongono loro le domande. In Russia, tra il 1998 e il 2008, in il numero di atei è sceso dell’11,8% con un aumento addirittura del 17,3% del numero dei credenti rispetto al 1991, mentre in Israele si assiste ad un forte aumento di credenti (più del 20%). Lo “scandalo pedofilia” ha invece, comprensibilmente, diminuito il numero di credenti in Irlanda, anche se gli atei sono aumentati solo del 3%. Nelle Filippine i credenti “forti” sono il 91,9% e gli atei “forti” lo 0,1%, in Cile abbiamo l’88% di credenti, negli Stati Uniti l‘81% e in Polonia l’80%. Fanalino di coda sono le regioni che ancora portano i segni del proselitismo ateo compiuto sotto la dittatura comunista (e indirettamente quella nazista), come nell’ex Germania Est: c’è un lieve aumento dei credenti, ma gli atei rimangono al 52,1%. Caso unico nel mondo.

Sempre secondo Mancuso, la perdita della fede in Dio durante il decennio 1998-2008 risulta più alta proprio nei paesi tradizionalmente cattolici, e per questo la Chiesa -secondo lui- dovrebbe abolire «la legge ecclesiastica e non biblica del celibato sacerdotale, aprendo al diaconato e al cardinalato femminile, rivedendo le leggi anacronistiche in tema di morale sessuale e di disciplina dei sacramenti». La risposta realista arriva da “Avvenire”, dove si spiega che la spiritualità cattolica, al contrario delle altre, è caratterizzata da un profondo e spesso sofferto “attaccamento alla realtà”, non trovano posto in essa «sentimenti religiosi fumosi, sospirosi, inoggettivabili». E’ quindi comprensibile che soffra maggiormente in un periodo storico poco incline all’oggettività e  maggiormente esposto alla debolezza del relativismo. Anche la soluzione auspicata da Mancuso è non realistalo vediamo nella crisi che ha sconvolto la comunità anglicana e protestante a causa di illecite aperture progressiste. Al contrario, si sono fortificate le comunità religiose che hanno evitato le modifiche auspicate da Mancuso.

L’ultima conclusione dei ricercatori è che in genere entrando nell’età della maturità, molte persone si riavvicinano a Dio. Per i vecchi laicisti impegnati a “corteggiare” costantemente i giovani è il dato più importante di questo studio. Ma in realtà occorre capire che la morte è paradossalmente lo stimolo più efficace a pensare alla vita, cioè al suo senso. E’ divertente poi far notare che la ricerca scientifica stabilisce che il cervello migliora dopo i 55 anni, che la maggioranza di scoperte scientifiche -per questo- vengono fatte in tarda età, e che a 80 anni si è generalmente molto più felici di quando si aveva 30 anni. Insomma, attenzione a tirare conclusioni frettolose.

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Il governo inglese con il Papa: «matrimonio è il luogo migliore per i figli»

I soliti perditempo anticlericali hanno sollevato il solito polverone quando nel febbraio scorso Benedetto XVI, durante il discorso rivolto ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, ha ricordato che «l’unione dell’uomo e della donna in quella comunità di amore e di vita che è il matrimonio, costituisce l’unico ‘luogo’ degno per la chiamata all’esistenza di un nuovo essere umano, che è sempre un dono».

Cercando di mistificare la realtà, la setta razionalista dell’UAAR ha riportato la notizia dicendo che «usando un linguaggio arcaico, oggi Benedetto XVI ha definito quei quindici bambini indegni». La solita dose di falsità, che rende completamente inattendibile il sito dei sedicenti razionalisti.

Passano pochi mesi, e anche il governo inglese, attraverso il Segretario di Stato per il lavoro e le pensioni Iain Duncan Smith, afferma più o meno la stessa cosa, ovvero che il matrimonio è il luogo migliore per fare figli, e che occorre un cambiamento nell’approccio ad esso. I governi successivi, ha detto infatti, hanno fatto troppo poco per promuovere famiglie stabili. Ovviamente non si riferisce solo al matrimonio religioso, ma la sua affermazione parte dai risultati della ricerca scientifica, la quale, ha detto Duncan Smith, dimostra che «i bambini tendono a godere di migliori risultati di vita, quando gli stessi due genitori danno loro sostegno e protezione». I bambini che hanno sperimentato la rottura del rapporto dei genitori, hanno «maggiori probabilità di avere scarso sviluppo cognitivo e d’istruzione rispetto ai buoni esiti occupazionali di coloro che hanno vissuto con entrambi i genitori nascita».

La ricerca, ha continuato, mostra che circa un terzo delle coppie conviventi si divide prima del quinto compleanno di un bambino, rispetto a una su 10 coppie sposate. Dunque, «questo governo crede che il matrimonio fornisce un ottimo ambiente in cui allevare i figli. Il governo ha chiaro che il matrimonio dovrebbe essere sostenuto». Nessun solone laicista ha osato aprire bocca.

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Il filosofo Antiseri: «il messaggio cristiano libera dell’ideologia razionalista»

Tra i filosofi più affermati del nostro tempo, c’è sicuramente Dario Antiseri, già docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma, l’Università di Siena, alla LUISS di Roma e all’Università di Padova. Lo abbiamo citato altre due volte, entrambe in merito al tema della laicità: essa la dobbiamo la cristianesimo ha affermato, spiegando in un secondo articolo che la vera laicità stima il cristianesimo, non è contro.

Molti dubbi sollevano le sue prese di posizione su tematiche etiche, sopratutto perché egli arriva spesso ad abbracciare il più aperto relativismo. E’ emerso questo in un suo recente articolo per il “Corriere della Sera”, in cui ha sottolineato in maniera molto interessante la forte limitatezza della scienza in ambito conoscitivo: «Tutta la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata – in fisica e in economia, in biologia e in storiografia, in chimica come nella critica testuale – si risolve in tentativi di soluzione di problemi, tramite la proposta di ipotesi o teorie da sottoporre ai più severi controlli al fine di vedere se esse sono false […]. Ciò nella consapevolezza che, per motivi logici, non ci è possibile dimostrare vera, assolutamente vera, nessuna teoria: anche la teoria meglio consolidata resta sempre sotto assedio». La parte più controversa della sua presa di posizione (occorrerebbe più spazio per trattarla), è la sua domanda: «tutte le etiche sono diverse, ma ce n’è una migliore delle altre? C’è, insomma, un qualche principio etico che, razionalmente fondato, possa valere erga omnes?», e la sua risposta, che apre al relativismo etico: «Si tratta di un’inevitabile domanda che, tuttavia, non pare possa avere una risposta positiva». Questa è una negazione della legge naturale iscritta in ogni uomo, quella legge che -iscritta dal Creatore- rende uguale il “cuore” di ognuno in qualsiasi angolo del mondo.

Alla stessa domanda che si è posto Antiseri, papa Benedetto XVI ha risposto –nel suo celebre discorso sul diritto naturale-, di “si”: l’etica migliore delle altre è «la conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo», la quale «aumenta con il progredire della coscienza morale […]. La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare […]  è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica […] La legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità.».  Sulla base del diritto naturale, «è possibile sviluppare un fecondo dialogo tra credenti e non credenti; tra teologi, filosofi, giuristi e uomini di scienza, che possono offrire anche al legislatore un materiale prezioso per il vivere personale e sociale». Tornando ad Antiseri, è vero che -come afferma lui- non è la scienza a poter aiutare in questo, perché da essa «non è estraibile un grammo di morale. I princìpi etici si fondano su scelte di coscienza e non sulla scienza», ma sbaglia, a nostro avviso, in modo clamoroso quando sostiene che «sorprende l’insistenza di tanti intellettuali cattolici i quali pensano che sia la ragione, al di fuori della Rivelazione, a stabilire, in maniera ultima e definitiva, ciò che è Bene e ciò che è Male». La verità è invece conoscibile da ogni persona, credente o meno, nella semplice “lettura” corretta della sua coscienza, questa possibilità è alla base del dialogo tra le religioni, è la base di una comune ricerca, e quindi della democrazia.

Superato questo punto controverso, Antiseri si domanda «che cosa sarebbe questa nostra «cum-scientia» umanitaria, che cosa sarebbe in altri termini l’Occidente senza il messaggio cristiano?». Rileva infine la caratteristica fondamentale del cristianesimo: «La fede cristiana – che, essendo appunto fede, viene abbracciata e va testimoniata, proposta e non imposta – libera l’uomo dall’idolatria, anche dall’idolatria di una ragione concepita come Dea-Ragione». La ragione, continua il filosofo, «non è quella prostituta di cui parla Lutero, ma non è nemmeno quella dea davanti alla quale seguitano a inginocchiarsi i seguaci – laici e cattolici – delle svariate forme di fondamentalismo razionalistico. La ragione, piuttosto, è una preziosa lanterna, da tenere sempre accesa, necessaria per la correzione dei nostri errori; indispensabile perché le nostre scelte vengano compiute a occhi aperti, vale a dire con l’intelligenza delle loro conseguenze; e capace di scrutare quei limiti di se stessa, senza la cui consapevolezza popoleremmo la Terra, come insegnano tragiche esperienze del passato e del presente, di idoli mostruosi assetati di sangue». A conti fatti, un altro bell’articolo di Antiseri, che espone la sua visione in modo chiaro, seppur in parte -come spiegato- non condivisibile.

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