Una piccola storia: dal comunismo alla conversione cattolica

Finita l’illusione e l’ideologia comunista, fortemente atea come tutti sanno, i risvegli sono stati parecchi con numerose conversioni o ritorni alla fede. Un esempio emerso di recente è quello di don Fulvio Bresciani, delegato nazionale per i giovani del movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito (www.rns-italia.it).

A nove anni perse il padre e il dolore nel tempo lo allontanò dalla Chiesa. Quasi contemporaneamente fece carriera nel partito comunista, diventando segretario bresciano della Federazione dei Giovani Comunisti Italiani. «Ci credevo davvero», spiega in un’intervista per Zenit.it, «ero convinto che il comunismo avrebbe cambiato il mondo». Arrivò anche la nomina nella segreteria nazionale del partito e la preoccupazione maggiore era reclutare i giovani, temevano i movimenti cattolici che toglievano tesserati ai comunisti.

Bisognava capire come ci riuscivano e si mise a studiare e spiare il Rinnovamento nello Spirito. Un professore di religione lo invitò ad andare ai loro incontri, per lui era il momento opportuno per carpirne i segreti. Ma rimase sconvolto: venne accolto con affetto, nessuno gli chiese la tesserina, o da che parte stava, gli parlarono di Gesù e dell’unica vera rivoluzione, quella cristiana. Gli testimoniarono che si poteva vivere con fraterna amicizia liberati da paure e ideologie. Le  certezze di Fulvio cominciarono a vacillare, comprese quelle politiche, si ritrovò a frequentare più questi incontri che la sede del partito tanto che alcuni dirigenti cominciarono a spiarlo per la preoccupazione.

Ma Fulvio era ormai “stato preso e affascinato da Cristo”, divenne aiutante, autista e amico di monsignor Dino Foglio, che stava fondando comunità in tutta Italia. Nel corso di un incontro chiese a Fulvio di raccontare la sua storia, dopodiché lanciò un appello perché i giovani potessero donare la vita al Signore, al quale aderirono più di trecento giovani. Di questi, 190 divennero sacerdoti. Fulvio partì per il militare ed al ritorno avrebbe dovuto sposarsi, erano già state fissate le date…ma intuì che Dio voleva qualcosa d’altro per lui: ritornato al militare parlò con la sua fidanzata ed entrò in seminario.

Una piccola storia, un piccolo esempio tra mille altri.

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Lo zoologo Galleni: «Dio ha creato una natura libera di evolversi»

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Ludovico Galleni, docente di Zoologia generale presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa e docente di Scienze e Teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “N. Stenone” di Pisa. E’ stato membro (1998-2006) del comitato direttivo della Società Europea per lo studio di Scienza e Teologia (ESSSAT) e del comitato consultivo europeo del Centro di Teologia e Scienze Naturali (CTNS) di Berkeley, in California. E’ stato coordinatore di biologia presso l’International Research Area on Foundations of Sciences (IRAFS) della Pontifica Università Lateranense (1999-2002) e tra i membri del comitato scientifico del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. Con questo articolo risponde alle domande avanzate dal prof. Umberto Fasol in merito ad un editoriale da lui scritto per la rivista “Nuova Secondaria”».

 

di Ludovico Galleni*
*docente di Zoologia generale ed Etica Ambientale presso l’Università di Pisa

 

Grazie ancora di andare avanti con la discussione sul mio articolo per “Nuova Secondaria” anche perché mi permette di chiarire meglio il mio  pensiero (almeno spero). Rispondo al commento del prof. Fasol: all’inizio c’era il Verbo e siamo perfettamente d’accordo. Ma è un inizio teologico e non scientifico tanto è vero che non è assolutamente necessario farlo corrispondere al Big Bang, anzi sarebbe un grave errore.

Detto questo abbiamo delle leggi generali dell’evoluzione dell’universo che la scienza studia col proprio metodo, che poi queste leggi (e se sbaglio correggetemi perché non è il mio mestiere) si siano formate subito dopo il Big Bang nell’era di Plank o in qualche altro momento della storia dell’universo o dei multiversi…indubbiamente ora ci sono e la scienza le studia coi proprio metodi. Il Concilio nella “Gaudium et Spes” ci dice che:

  • L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa (n. 44)
  • Perciò la ricerca metodica in ogni disciplina se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio (n. 36)
  • A questo punto ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza e che suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro (n. 36)

 

Quindi i progressi della scienza ci permettono di comprendere più appieno la natura stessa dell’Uomo e a promuovere nuove vie verso la verità…ma anche occorre rispettare la legittima autonomia delle scienze che quindi rispondono al  metodo scientifico. E il Concilio, che finalmente è un Concilio senza condanne e anatemi, comunque deplora chi non rispetta la legittima autonomia della scienza: chi  dunque segue ipotesi contrarie al metodo della scienza come appunto l’Intelligent design va incontro alla deplorazione del Concilio e quindi di fatto va contro una precisa disposizione del magistero…

In principio era il Verbo, ma poi la creazione viene studiata con i metodi della scienza. E sono loro che ci danno indicazioni sul rapporto tra il Verbo o la Sapienza di Dio e il piano di Dio.  Quindi non ci sono ulteriori interventi di Dio, perché chiaramente la scienza   nella sua legittima autonomia ha ormai dimostrato la fondamentale importanza di quelle che si chiamano le cause seconde. D’altra parte anche la teologia rifugge da questa prospettiva: ho più volte scritto come  mi risulti inaccettabile l’idea di un Dio che monta in maniera perfetta la zampa di un Coleottero  o (per dirla con gli autori dell’’Intelligent design) il ciglio di un batterio, poi si distrae e lascia che un bambino muoia di anemia falciforme… In fondo l’Intelligent design, come scrisse Newman, è una teoria platonica, quindi pagana che, anche se storicamente importante,  poco o nulla ci dice del Dio Cristiano e quindi a conti fatti oggi  non interessa neppure alla teologia, almeno quella cattolica. Newman è stato  uno dei santi di questi ultimi anni  che   mi hanno veramente entusiasmato insieme a Rosmini.

Dio crea la creazione ma non le creature e quindi lascia che le cose si facciano, per usare la bella espressione di Teilhard.. ma un modello preciso emerge: l’evoluzione (e qui seguo appieno il programma di ricerca scientifico teilhardiano ) muove verso la  complessità e la coscienza. Non perché Dio la guida, ma perché si muove per cause seconde. I meccanismi sono una perfetta  (a mio parere) sintesi tra caso e necessità, determinismo, probabilismi e fattori aleatori. Tutto questo ha una conseguenza fondamentale: è un universo che è creato per accogliere la creatura libera in una libertà talmente totale che, se usata in maniera perversa può addirittura portare la creatura ad uccidere il Creatore.

Vi è un importante valore teologico che è quello del muovere verso la libertà e del libero arbitrio che permette la alleanza liberamente scelta, ma questo mi sembra   perfettamente dimostrato dalla scienza contemporanea, senza bisogno di disegni più o meno intelligenti. Per quel che riguarda la “materia bruta”, tutta l’evoluzione (compresi  quindi il superamento di vari stati di complessità e la nascita della vita) è tutta basata su eventi che sono stati spiegati o che stiamo spiegando, o che comunque si potranno spiegare con le cause seconde.

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Lo psicologo Barrett: «capire perché crediamo in Dio non significa che ci sbagliamo»

Secondo alcuni la possibilità che l’indagine scientifica arrivi a spiegare perché gli esseri umani credono in Dio può screditare l’esistenza stessa di Dio e decretare che la fede è un’illusione. L’argomento è abbastanza banale, tuttavia ne sono convinti in molti.

Diventa interessante allora leggere l’intervista che il biologo evoluzionista cattolico Ken Miller ha fatto durante un convegno pubblico allo psicologo Justin L. Barrett,  direttore del Thrive Center for Human Development, docente di Developmental Science e di psicologia presso il Fuller Graduate School of Psychology. Barrett è anche ricercatore presso il Centre for Anthropology and Mind dell’ Institute for Cognitive and Evolutionary Anthropology presso l’Università di Oxford.

Barrett si è occupato più volte di tematiche religiose, lo ha fatto in due libri: “Cognitive Science, Religion and Theology” (2011) e  “Born Believers: The Science of Children’s Religious Belief” (2012). Durante il forum ha spiegato che vi sono prove scientifiche che supportano un fondamento biologico della credenza religiosa. Ha affrontato il discorso dell’importanza che ha avuto l’adesione al teismo in campo evolutivo e ha spiegato che i bambini nascono già  predisposti al teismo.

Arrivando al punto centrale, ovvero questa obiezione classica: “il fatto che la fede in Dio può essere spiegata con l’evoluzione rende Dio irreale” (in altre parole, se sappiamo perché crediamo in Dio, allora sappiamo che Dio non è reale), lo psicologo Barrett ha risposto -in modo prevedibile- spiegando che solo perché qualcosa sta accadendo dentro la nostra testa non significa affatto che non sia reale. Ha citato anche un esempio convincente: «Gli psicologi evolutivi sono in ​​grado di dire perché tu pensi che tua mamma ti voglia bene», ha detto Barrett, confrontando la fede in Dio all’amore di una madre. «Ma il fatto che possono spiegarlo attraverso la scienza, non significa che il suo amore non esista».

Ha poi aggiunto che la fede dell’uomo in Dio può effettivamente servire come una debole evidenza per l’esistenza di Dio: se non ci fosse Dio, la probabilità che così tante persone si sono evolute a credere in un solo Dio sarebbe inferiore, ha detto. Su questo però le convinzioni dei due scienziati, Barrett e Miller, si sono separate: quest’ultimo infatti era ovviamente d’accordo sul fatto che scienza e religione sono compatibili, ma non si sentiva di concordare sul fatto che l’esistenza della fede in Dio sia una “debole prova” per la Sua esistenza.

Verso la fine del dibattito, Barrett ha chiarito che il suo lavoro nel campo della scienza cognitiva non è ciò che lo portato a credere in Dio. Come molti cristiani, ha avuto la forte impressione che ci sono «significati più profondi e una finalità negli eventi» che accadono. Ha anche aggiunto che ritiene quasi impossibile la possibilità che si costruisca una società senza una qualche forma di religione o di spiritualità.

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Graeme Clark, inventore dell’orecchio bionico: «devo a Dio i risultati della mia ricerca»

Uno dei maggiori scienziati australiani si chiama Graeme Clark, conosciuto in tutto il mondo per essere l’inventore dell’orecchio bionico (Bionic Ear) per i bambini e adulti sordi. Si è ritirato nel 2004, dopo una prestigiosa carriera ai massimi livelli scientifici, costellata da numerosi premi.

Intervistato recentemente dal quotidiano “The Australian” in merito al “Global Atheist Convention” che si stava per svolgere a Melbourne, dove il solito Richard Dawkins avrebbe ribadito le sue fantasie sull’ateismo scientifico, ha spiegato che «ci sono molti distinti scienziati ben distinti anche qui in Australia, come nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che sono molto impegnati come cristiani e non vedono un conflitto tra scienza e fede». Ha anche citato un paio di statistiche: «Uno studio del numero di scienziati che credono in Dio è stato fatto 40 anni fa, e il numero era compreso tra il 40 e il 50 per cento. Un altro studio è solo dello scorso anno ed è giunto alla stessa conclusione, per cui nonostante tutti i progressi della scienza non c’è stato un cambiamento».

Il professor Clark ha anche affermato che alcune scoperte scientifiche, come la teoria del Big Bang e la “Chaos Theory”, lo hanno convinto più che mai che la scienza non era nemica della fede: «La teoria del Big Bang ha mostrato che l’universo non è eterno, ma ha avuto un inizio. L’incredibile sintonia dell’universo per la vita ha anche dimostrato quanto improbabile sarebbe stata la sua comparsa senza un principio guida». E ancora: «l’effetto butterfly [l’idea che il battito delle ali di una farfalla in Cina possa influenzare il tempo dall’altra parte del mondo, Nda] rispecchia la realtà interconnessa dell’universo e suggerisce ancora una volta un principio ispiratore dell’attività apparente casuale».

Si è definito preoccupato dai proclami di Dawkins, il quale pensa di parlare a nome degli scienziati. Anche lui aderisce alla teoria dell’evolouzione, ma questo non gli affatto impedito di abbracciare una fede basata sulla ragione: «Dal momento dei miei primi studi di anatomia presso l’Università di Sydney, sono stato convinto che la teoria dell’evoluzione di Darwin è stata una magnifica spiegazione di come la vita si è sviluppata sulla terra», ha detto. La fede tuttavia è stata fondamentale per la sua ricerca scientifica: «Non avrei potuto continuare ad andare senza la percezione di questo amorevole Dio, il quale mi ha dato l’opportunità di aiutare le persone sorde».

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L’associazione Agapo: ignorare gli omosessuali egodistonici è discriminazione

L’associazione AGAPO, (“Associazione Genitori e Amici di Persone Omosessuali”) ha pubblicato un comunicato molto interessante sull’omosessualità  egodistonica, ovvero non desiderata. Innanzitutto occorre rilevare che nessuno ha mai sentito parlare di eterosessualità egodistonica e questo è un punto su cui le varie congregazioni di omosessuali militanti sorvolano molto facilmente.

Ma tuttavia, come fa notare Agapo (www.agapo.net), mentre gli atti di violenza contro gli omosessuali gay sono oggi denunciati con regolarità nella comunicazione pubblica e mentre tutta la società si appresta a offrire protezione se non a sostenere la causa  delle associazioni gay, l’opinione pubblica in genere non sa neanche dell’esistenza degli omosessuali ego-distonici. Non compaiono in nessun talk show, sono persone fastidiose. Perché? Per il semplice motivo che vivono il proprio impulso e orientamento sessuale con disagio. Questa è una forma di discriminazione verso di loro. La cultura dominante, ignorando gli omosessuali ego-distonici, non riconosce la loro sofferenza e liquida la questione con risposte come: «l’omosessualità è una variante naturale del comportamento umano», come se l’assenza di malattia significasse salute o benessere, disinteressandosi in questo modo degli effetti che tali comportamenti generano nella psiche di queste particolari persone. La società li tratta come se il loro disagio fosse esclusivamente dovuto a fattori esterni o alla cosiddetta “omofobia interiorizzata”. La risposta che viene data loro è di vivere in modo sereno la sua tendenza sessuale, ossia di fare proprio quello che crea loro disagio.

L‘Associazione Genitori e Amici di Persone Omosessuali tocca anche la questione “terapia”, già sollevata dallo psicoterapeuta Ricci qualche giorno fa. Quando sui media si parla della cosiddetta “Terapia Riparativa”, subito si accusa: «Vogliono curare i gay», inducendo così a credere che vi sia qualcuno che sia interessato a costringere i gay a cambiare orientamento sessuale con la forza o la manipolazione. Ma nessuno, spiegano, ha in mente di fare questo, men che meno andare contro la volontà della persona. Con la pretesa di proteggere gli omosessuali si nega loro il diritto alla libera scelta terapeutica e questa è pura intolleranza omosessualista, che violenta la libertà degli omosessuali egodistonici, che non condividono l’ideologia libertina della nuova borghesia culturale. Viene contestata anche la posizione, ovviamente politica, del dott. Grimoldi, attuale presidente dell’Ordine degli psicologi in Lombardia, secondo cui: «E’ il concetto stesso di riparazione ad essere sbagliato. Si ripara un’auto quando  questa è guasta. Negli omosessuali non c’è niente di guasto», facendo riferimento alla denominazione scientifica “Terapia Riparativa”. Anche lui si è prestato a questo apposito equivoco, ma in realtà a partire dal 1920 il concetto di “riparativo” è assai diffuso nel linguaggio psicologico e si riferisce al danno causato da traumi affettivi subiti nella prima infanzia. Non è affatto legato all’idea di “riparare” gli omosessuali.

La posizione di Agapo è condivisibile: l’omosessualità è una condizione estremamente complessa e variegata, scrivono, e non può esistere una “soluzione unica” valida per tutti. Molte delle persone che la praticano stanno bene, altre, che fanno altrettanto, stanno meno bene; vi sono  alcuni, inoltre, che escono dall’omosessualità: la maggior parte lo fa in modo “spontaneo”, altri nell’ambito di un processo spirituale, altri ancora con un aiuto psicologico. Non prenderne atto o volerlo impedire significa ribaltare il principio della tolleranza nel suo esatto opposto.

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Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino (III° parte): le cinque vie


 

di Luca Ferrara*
*dottorando in scienze filosofiche

 

Nel primo articolo abbiamo posto le premesse per un possibile confronto tra Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino, mentre nel secondo articolo abbiamo introdotto le due quaestiones dell’Aquinate, all’interno della seconda sono contenute le celebri “cinque vie” per la dimostrazione di Dio.

 

La prima via.
La prima via muove dalla semplice attestazione dei sensi che vi sono delle cose nel mondo che si muovono, perché mutano, divengono. Ora,, ogni cosa che si muove deve essere mossa da altro, ma bisogna arrivare ad un primo motore immobile altrimenti si procederebbe all’infinito. Tommaso intende il movimento come mutamento, come passaggio da una condizione meno perfetta ad una più perfetta. L’ente diveniente è composto di atto e potenza, ragion per cui il mutamento deve essere inteso come passaggio dalla potenza all’atto. Tale passaggio non può essere attribuito all’ente diveniente, perché non è possibile che una medesima cosa sia nel medesimo tempo in potenza e in atto, considerata sotto lo stesso aspetto. Tommaso porta l’esempio del legno che in potenza è caldo e lo diventa in atto tramite il fuoco che è caldo in atto. Atto e potenza, all’interno del ragionamento di Tommaso, indicano due possibilità, due modi di essere diverse di un ente, rispetto ad una medesima proprietà o capacità: l’atto si ha quando tale capacità viene esplicitata; mentre la potenza si ha quando tale capacità permane allo stato latente. Ora è necessario che vi sia un ente che sia totalmente in atto che non possieda nessuna potenzialità e tale essere non può che essere Dio. Ma perché procedere all’infinito non è accettabile dal punto di vista logico di Tommaso?[1] Perché, andando all’infinito, non si giungerebbe mai ad un principio e senza principio non si può concepire nessuna origine, nessun inizio: è il finito che in virtù della sua intima natura reclama l’infinito come ciò che lo completa. L’impossibilità di procedere all’infinito nella ricerca delle cause, in quanto ciò è contraddittorio, è un’altra delle condizioni logiche su cui si regge l’intero plesso speculativo delle cinque vie.

 

La seconda via.
Tommaso nel dimostrare l’esistenza di Dio, nelle seconda via, prende le mosse dal concetto di causa efficiente. Per causa efficiente (Tommaso qui segue Aristotele che suddivideva le cause in quattro categorie: efficiente; formale; materiale; finale) intende la causa che determina un effetto fisico. Facciamo un esempio per comprendere meglio il pensiero dell’Aquinate: se crolla un edificio (l’effetto), tale evento è stato determinato dalla dinamite (causa efficiente). Ora, afferma Tommaso che i sensi ci attestano che vi è un ordine tra le cause efficienti. Infatti, a sua volta la dinamite (riprendendo l’esempio) è l’effetto di un particolare preparato chimico (causa efficiente), a sua volta questo preparato deriva dalla sintesi di nitroglicerina e farina fossile, ma la nitroglicerina è stata causata dalla composizione di nitrocellulosa e glicerina e così via. Ciò che nota Tommaso è il mutarsi, nella serie delle cause efficienti, della causa efficiente in quanto tale in effetto determinato da un’altra causa efficiente, ma non si può procedere all’infinito nella serie delle cause per due ragioni. In primo luogo è “impossibile, che una cosa sia causa efficiente di se medesima; perché altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile”[2]. Il ragionamento di Tommaso è fondato in parte su ragioni logiche e in parte su osservazioni constatabili empiricamente. Infatti, è contraddittorio pensare il “prima” logico (la causa) come successivo al “dopo” logico (l’effetto): l’ordine della serie non può essere invertito senza mutare la causa nell’effetto. Un cosa che causa è sempre prima di una cosa causata. Dunque, una cosa, per autocausarsi, dovrebbe essere prima di sé, ma ciò è impossibile da un punto di vista ontologico, oltre che temporale, perché l’ente-causa deve essere nel medesimo tempo l’ente-effetto: l’ente che è prima dovrebbe essere l’ente che è dopo. Inoltre, ciò condurrebbe ad una povertà ontologica, perché verrebbe meno il diverso, nella misura in cui il medesimo possedesse la capacità di auto prodursi. Dal punto di vista empirico ciò risulta maggiormente evidente: nessuno ha mai visto il crollo di un edificio prima o contemporaneamente all’esplosione[3]. In secondo luogo, non si può proseguire avanzando all’infinto nella ricerca dell’origine della serie delle cause efficienti, altrimenti non ci sarebbe un inizio e se non ci fosse un inizio non ci sarebbe una causa prima e senza tale causa verrebbe la catena delle cause intermedie che giunge fino all’effetto. Dunque c’è una prima causa efficiente non causata (ma ciò non implica né che sia auto causata in virtù di quanto detto sopra, né che agisca nel tempo, altrimenti sarebbe invischiata in una serie temporale e sarebbe poi giocoforza proiettarla all’interno di una rete di nessi causali), ed è quella che tutti riconoscono essere Dio.

 

La terza via.
Nella terza via, Tommaso muove le sue considerazioni ponendo in relazione la natura contingente degli enti, delle cose: “le cose che possono essere e non essere” e la natura del necessario. Ciò che può non essere ed è, un tempo non esisteva, ma questa è la peculiarità di tutti gli enti naturali, i quali iniziano e finiscono, venendo generati e corrompendosi poi. Ora se tutti gli enti fossero di tale natura contingente (dovuta al loro poter non essere ed è per tale ragione che essi assumono una natura temporale), si potrebbe e si dovrebbe ipotizzare un stato di cose in cui non ci sarebbe stato nulla. Dunque anche ora “non esisterebbe niente perché ciò che non esiste non comincia ad esistere per qualcosa che è”. Ragion per cui non si può non porre all’origine del contingente un ente la cui natura è meta-temporale perché necessario, possedendo in sé la ragione della sua necessità, in quanto la sua natura è di essere un ente che non può non essere, e quest’ente non può che essere Dio. Dio è la causa della necessità che si riscontra nell’ordine degli enti. Il necessario entra in relazione con il contingente, proprio in virtù della natura della nozione di contingente. Ciò che può non essere ha bisogno per iniziare ad esistere di qualcosa che a sua volti non dipenda da nient’altro che da sé: è il contingente che chiama in causa il necessario. Alla base del ragionamento di Tommaso c’è un principio ripreso poi pure da autori moderni come Cartesio: dal nulla, nulla viene. Ma questo nulla afferisce alla contingenza stessa, non è solo un’ipotesi ontologica fatta con una sorta di esperimento mentale tentando di regredire con la mente ad uno stato di cose X identificabile con il nulla. Il contingente nella misura in cui inizia e finisce, possiede una certa prossimità al nulla: il suo essere dipende sempre da altro.

 

La quarta via.
La quarta via parte dalla constatazione dell’esistenza di gradi di perfezione, presenti negli enti. Ora per perfezione Tommaso intende una certa essenza come il bene, per esempio. Ogni perfezione si presenta sempre ad un certo grado, ad un livello singolare rispetto alle altre: vi è Tizio che è buono, ma Gianni è più buono di Tizio e Marco è meno buono di Tizio. L’Aquinate fa leva su alcuni concetti presenti nel platonismo cristiano: il filosofo muove dal presupposto che gli enti creati partecipano in modo diverso a molteplici essenze. Tale partecipazione può essere maggiore o minore, ciò determina un grado minore o maggiore di perfezione. Dunque un grado maggiore o un grado minore rappresentano il modo in cui si è venuta attualizzando, nei diversi enti, una certa perfezione. Questa partecipazione da parte degli enti finiti a molteplici essenze, non è completa e mai piena. Ma che cosa è causa di tali perfezioni e della possibilità della partecipazione degli enti creati a tali essenze? Un ente perfettissimo che possiede al massimo grado tutte le essenze. Secondo Tommaso “ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere” perciò deve esistere “qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell’essere della bontà e di qualsiasi perfezione”, possedendo le  essenze nel modo massimo, ma ciò è quello che tutti riconoscono come Dio. Tommaso, per un verso, sta facendo valere il principio che aveva utilizzato nelle tre procedenti prove: la necessità di risalire, all’interno di un ordine, ad un termine non indipendente da altro. Inoltre, permane sullo sfondo quello che è poi il nerbo di tutta l’argomentazione tomistica: la differenza ontologica tra Creatore e creatura. La seconda ha l’essere in potenza, mentre il primo ha l’essere in atto, ma possedendo l’essenza in atto, l’Ente sommo possiede anche la capacità di far partecipare gli enti fniti di quell’essenza e di attualizzarle[4].

 

La quinta via.
La quinta via è forse la dimostrazione di Dio più vicina al senso comune, ed è ancora presente in modo meno articolato, rispetto alla struttura argomentativa tommasiana, in età moderna e contemporanea: l’ordine che è presente in natura rimanda alla possibilità di attribuire tale ordine ad un principio intelligente. Ma andiamo a studiare nello specifico la quinta via. L’Aquinate afferma che questa dimostrazione muove dal “governo delle cose”[5].  Ma che cosa si intende per governo delle cose? Il filosofo medievale intende con tale locuzione la realizzazione del piano provvidenziale di Dio, ma Dio — per riuscire a porre in essere questo piano — deve conoscere le sue creature e il modo in cui le organizza. Tommaso continua, dicendo: “noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenze, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione[…], ma per una predisposizione raggiungono il loro fine. Ora ciò che è privo di intelligenza non tende al fine se non perché è diretto come la freccia dall’arciere”, dunque bisogna ammettere un ente intelligente che ordina tutti gli enti naturali di agire secondo un fine, che ordina tutte le cose fin dalla loro origine, ma questo essere non può non essere che Dio. L’Aquinate non considera la finalità globale che si potrebbe riscontrare nel corso degli eventi naturali; infatti, muove dalla considerazione di “alcune cose” non di tutte . Questa limitazione di Tommaso, secondo alcuni critici recenti, è ascrivibile alla necessità di Tommaso di muovere da quella porzione di realtà che appare più suscettibile ad essere relata con Dio. Gli enti naturali (come gli uomini) sono dotati di un’intelligenza che permette loro di giungere a realizzare uno scopo, perciò il filosofo muove dalla considerazione di quegli gli enti naturali (gli animali e le piante) che pervengono ad un fine a cui non possono giungere mediante la loro costituzione ontologica: conseguire uno scopo che si rivela essere un bene per l’agente che lo realizza è opera di un’intelligenza. Ma allora come è possibile che godano di tale condizione gli enti che sono privi di intelligenza? L’ente che non si spiega da sé è relato ad altro, e questo altro non può che essere Dio.

 

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Note
[1]. Cfr., A. Ghisalberti, Tommaso d’Aquino, in  Enciclopedia Filosofica Bompiani, vol. 17,  Rcs Quotidiani, Milano 2010, pp. 11658-11659.
[2]. Tommaso d’Aquino, Somma teologica, cit., p. 82. Questo passaggio è di enorme rilevanza, proprio alla luce del nostro confronto tra Kant e Tommaso d’Aquino. Infatti, Kant, pur non conoscendo l’opera del filosofo domenicano, in un’opera giovanile, dove è presente, in modo parzialmente diverso, quest’idea di Tommaso — dell’impossibilità di un ente di essere causa di se stesso —. Il filosofo tedesco critica la nozione di causa sui, adoperata dal razionalismo per dimostrare l’esistenza di Dio, in quanto la causa è sempre prima dell’effetto: la relazione tra causa ed effetto si definisce in un orizzonte temporale, dove il prima non può essere anche dopo. La contemporaneità è contemplata tra cose diverse, non nel medesimo ente. Dichiara Kant: “supponendo l’esistenza di un ente che avesse in sé la ragione della sua esistenza, questo ente dovrebbe essere la causa di sé medesimo. Poiché però la nozione di causa antecede per sua natura la nozione di causato, mentre quest’ultima è posteriore, la stessa cosa sarebbe simultaneamente anteriore e posteriore a sé medesima: il che è assurdo” E. Kant, Nuova illustrazione dei princìpi della conoscenza metafisica,in Scritti precritici, tr.it. a cura di R.Assunto e R. Hohenemser, Laterza, Roma-Bari 2000, p.18.
[3]. Nell’esempio che noi abbiamo portato, si nota che il crollo di un edificio e di poco successivo allo scoppio delle dinamite, ma tuttavia tale scarto temporale è coglibile tramite i sensi, infatti sentiamo prima il boato dell’esplosivo e poi vediamo il crollo dell’edificio.
[4]. Cfr. A. Ghisalberti, Enciclopedia filosofica Bompiani, vol. 17, cit., p., il quale afferma che è proprio la contraddizione  in cui si verrebbe a situare il finito a rendere necessaria l’esistenza di Dio.
[5]. Tommaso d’Aquino, Somma teologica, vol.I. cit., p. 86.

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Altre menzogne dell’UAAR: la fede religiosa e il pensiero analitico

Continuano le menzogne e le mezze verità diffuse dall’UAAR, gli atei reazio-razionalisti che l’Italia si trova a dover sopportare. Portavoce del fondamentalismo ateo, sostengono che i credenti siano persone stupide e gli atei siano persone intelligenti, che i credenti siano persone disoneste e che gli atei siano persone oneste.

A sostegno delle loro odifreddiane tesi, hanno citato pochi giorni fa uno studio pubblicato su “Science” secondo il quale il ragionamento analitico riduce temporaneamente la credenza religiosa. Per loro è stato giorno di festa, poi però se si legge lo studio originale gli autori spiegano: «si conferma ciò che molte persone, sia religiose che non religiose, hanno affermato sulla credenza religiosa per lungo tempo, cioè che la fede rispecchia più un’intuizione che un ragionamento analitico», e ancora: «i risultati non cambieranno nulla sul fatto che Dio esiste o se il credo religioso è o meno razionale». Infatti, se si prende sul serio l’ipotesi (questa è) dei ricercatori, «se si ritiene che il ragionamento analitico è la modalità per capire il mondo con precisione, si potrebbe vedere questa ricerca come la prova che essere religiosi non ha molto senso, se si è invece una persona religiosa, si può vedere questa ricerca come la prova per dimostrare che Dio ha fornito un sistema di credenza che si rivela attraverso il senso comune».

Interessante leggere l’articolo dedicato dalla rivista in competizione con “Science”, ovvero “Nature”: «è chiaro che gli autori non si pronunciano sul valore della fede religiosa, né suggeriscono che tali credenze sono intrinsecamente irrazionali (per non parlare che siano false)», scrive Philip Ball, articolista della rivista e fisico alla Bristol University. Egli sospetta del tentativo delle sette razionaliste di strumentalizzare questo studio, infatti afferma: «queste oneste cautele non impediranno ad alcuni atei di affermare che lo studio dimostra che la religione è il risultato di un cattivo ragionamento, se non addirittura della stupidità, per la quale l’unica cura è una buona dose di sobrietà analitica (la mia esperienza è che sono le visioni estreme di qualsiasi tipo, sia esse religiose o non religiose, ad essere il vero nemico del pensiero analitico)». Sottolinea la difficoltà a  sottoporre il credo religioso ad un esame scientifico, spiega che il campione utilizzato non è rappresentativo (cosa di cui gli autori sono coscienti, ma che l’UAAR censura), e invita a guardare la pluralità della tradizione del pensiero religioso. Su “Livescience” invece si riportano le parole di uno dei due autori dello studio: «Sia il ragionamento analitico che intuitivo sono strumenti utili. Ognuno può pensare in modo intuitivo e analitico, e nessuno dice che il sistema intuitivo è sbagliato e quello analitico è giusto».  Insomma, tutto è già noto: la fede religiosa non può basarsi sull’analisi “scientifica” e “analitica” del mondo. Non a caso Gesù invitava i sapienti a “tornare bambini”, cioè alla loro semplicità e intuizione, perché non si può pensare di conoscere Dio applicando lo stesso ragionamento che si utilizza per risolvere i problemi di matematica. Sono due applicazioni differenti della ragione ed «entrambi i tipi di pensiero hanno i loro punti di forza e di debolezza», specificano gli autori. Peccato che i razionalisti, coperti dall’ideologia e dall’odio verso i credenti, non riescano a capire tutto questo.

Se poi dobbiamo dirla tutta, comunque, è utile segnalare lo studio realizzato da “The Gallup Organization” assieme al “Baylor’s Institute for Studies of Religion”, dove è emerso che la religione cristiana diminuisce notevolmente la credulità, misurata in termini di convinzioni in cose come sogni, Bigfoot, UFO, case infestate, comunicazione con i morti e l’astrologia. Chi si definisce “irreligioso” ha invece molta più probabilità di essere “credulone”. Quest’estate su “American Sociological Association”, è stato segnalato che le persone tendono a diventare più religiose (praticanti) più migliorano la loro istruzione scolastica.

Nello stesso articolo menzognero dell’UAAR, che contribuisce a cancellare ogni attendibilità alla loro associazione (o “setta”, come dicono gli ex adepti), viene citato anche un articolo dell’impiegato di banca Raffaele Carcano, che è anche il segretario dell’associazione. Egli si diletta nel voler confutare l’onestà delle persone credenti in Dio. Nel delirante post, in cui si passa da Mussolini a Elisa Claps, da Berlusconi a Daniel Dennett, da Pio V al premier Monti, il responsabile dell’assocazione -per sostenere la sua tesi- cita alcuni suoi libri sull’argomento (avranno superato le 10 copie vendute?) ma anche uno studio scientifico, il quale -secondo lui-, avrebbe dimostrato che «i non credenti sono più onesti dei credenti che credono in un Dio che perdona». Evidentemente Carcano non sa l’inglese o non ha mai letto nessuno studio, perché se ci si reca al testo della ricerca, si capisce che gli studiosi hanno analizzato un misero campione di 46 volontari (nel mondo ci sono oltre 2 miliardi di cristiani, senza contare le altre religioni e adesioni deiste), valutando le personali concezioni di Dio. Risultato: chi ha un’immagine di Dio più amorevole è più incline a barare in quanto confida nel perdono. Stop, nessuno dei ricercatori ha mai parlato di non credenti e della loro superiorità morale.

Se poi dobbiamo dirla tutta, comunque, una vera indagine che si occupa di abbinare i livelli di delinquenza alla sfera religiosa o non religiosa della persona, è invece quella pubblicata pochi mesi fa dal criminologo Byron R. Johnson, intitolata: “More God, less crime”. Dei 273 studi sul tema pubblicati dal 1944 al 2010, il 90% di essi dimostra che avere “più religiosità” porta a meno criminalità e solo il 2% ha trovato che la religione produce più criminalità (il restante 8% non ha trovato alcuna relazione). Ancora: l’estate scorsa due ricercatori svedesi hanno dimostrato che le persone tendono a comportarsi in modo migliore se sperimentano, o sono stati educate a pensieri religiosi.

Tra gli obiettivi dell’UAAR c’è la cura che «la dialettica sia autentica, aperta e libera, impostando il dialogo sul ragionamento senza pregiudizi». Domanda: perché allora vengono promosse continue falsità e strumentalizzazioni? Perché gli studi “scomodi” non hanno trovato spazio sul loro sito?

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La scienza non spiegherà mai perché c’è qualcosa anziché niente

Il noto divulgatore scientifico americano, John Horgan, firma del “New York Times” e di “Scientific American”, ha scritto sulle colonne di quest’ultimo un interessante articolo intitolato: “La scienza non spiegherà perché c’è qualcosa piuttosto che niente”, riprendendo la famosa domanda di Martin Heidegger, presa a prestito da Leibnitz, che tanto infastidisce gli scientisti.

Probabilmente è un articolo in risposta alle recenti posizioni scientiste dell’astrofisico Stephen Hawking, già ampiamente criticate anche su questo sito web (e da parecchi suoi colleghi). Dopo Hawking, anche Lawrence Krauss ha affermato la stessa tesi (anche questa è stata analizzata sul nostro portale) nel suo libro “A Universe from Nothing”. Horgan risponde proprio a quest’ultimo, spiegando che nel suo pensiero di un universo nato dal “nulla” «non c’è nulla di nuovo», era già stato teorizzato da John Wheeler e Andrei Linde. Ma essi sapevano bene di proporre qualcosa di stravagante, al contrario «Krauss ci chiede di prendere» la sua teoria «sul serio, e lo stesso fa il biologo evoluzionista Richard Dawkins». Evidentemente è una tesi che suscita calore nella tribù ateista, tanto che il leader del fondamentalismo antireligioso ha firmato la postfazione del libro di Krauss, spiegando che «anche l’ultima carta del teologo raggrinzirà davanti ai vostri occhi mentre state leggendo queste pagine […]. Se “L’origine delle specie” è stato il colpo micidiale della biologia al soprannaturale, possiamo guardare “un universo dal nulla” come l’equivalente da parte della cosmologia». Notiamo che lo zoologo in pensione cita il titolo breve dell’opera di Darwin, dato che si è saputo non conoscere il titolo completo.

Horgan si prende comunque gioco di lui: «Whaaaa …?! Dawkins sta confrontando il più profondo trattato scientifico della storia ad un libro di “pop-science” che ricicla un sacco di idee stantie della fisica e della cosmologia? Questa assurda iperbole dice meno dei meriti del libro di Krauss di quanto non faccia l’inteso odio che Dawkins prova verso la religione». Il divulgatore cita anche la dura recensione al libro di Krauss arrivata dal filosofo David Albert, specialista della teoria quantistica, arrivata dalle colonne di “The New York Times”, il quale ha liquidato così le tesi di Krauss: «Dove sono, tanto per cominciare, le leggi della meccanica quantistica che si suppone provengono da?». Le moderne teorie quantistiche dei campi, sottolinea Albert, «non hanno nulla da dire a proposito di quei campi da dove provengono, o di perché il mondo dovrebbe essere costituito da particolari tipi di campi, o del perché avrebbe dovuto essere costituito da campi, o del perché avrebbe dovuto esserci un mondo, in primo luogo. Caso chiuso. Fine della storia».

Horgan ha proseguito il suo articolo paragonando le tesi di Hawking e Krauss a quelle di Jim Holt e del romanziere John Updike, i quali sostenevano -seppur con sfumature diverse- che Dio aveva creato il mondo per noia o che lo aveva fatto perché colpito da una crisi di identità cosmica. «Questa idea», si conclude su “Scientific American”, «è del tutto stravagante, certo, ma non più, a mio avviso, dell’assurda pretesa di Krauss e altri scienziati che pensano di aver risolto l’enigma dell’esistenza». E infine: «Quando gli scienziati insistono dicendo di aver risolto, o presto risolveranno, tutti i misteri, tra cui quello più grande di tutti, fanno un cattivo servizio alla scienza, e diventano speculari ai fondamentalisti religiosi che tanto disprezzano. Comte sbagliò su “come” la scienza è limitata, ma non sul fatto che è limitata».

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Lo storico Peter Harrison: «la teologia fece nascere la scienza»

Nel mondo anglosassone il dialogo tra scienza e fede trova molto più spazio sui quotidiani internazionali rispetto all’Italia. Questo è spiegabile con il fatto che in queste aree le voci critiche al rapporto tra scienza e religione sono molto presenti e altrettanto stanno diventando gli intellettuali che prendono posizione in favore. In Italia purtroppo non c’è nessun critico di livello. Ultimamente è intervenuto lo storico Peter Harrison, docente e primo ricercatore presso il Centre of the History of European Discourses dell’University of Queensland. Ha insegnato presso l’Università di Edimburgo e a Oxford, dove è stato anche direttore del “Ian Ramsey Centre”, è membro dell’Australian Academy of the Humanities, ha ricevuto dal governo australiano la Centenary Medal nel 2003 per meriti accademici.

Ha scritto su “ABC” che la predicazione dei vari anti-teisti circa il fatto che la scienza ha reso incomprensibile la fede religiosa è innanzitutto in contrasto con l’evidenza storica: «si può notare», infatti, «che una alleanza tra scienza e ateismo è qualcosa che i fondatori della scienza moderna avrebbero trovato sconcertante.  E’ noto da tempo che le figure chiave nella rivoluzione scientifica del XVII secolo hanno accarezzato sincere convinzioni religiose». Inutile fare lo sterminato elenco (che si può trovare qui), egli ne cita solo alcuni: Copernico, canonico della cattedrale di Frombork in Polonia; Keplero, il quale riteneva che le sue leggi del moto planetario avevano catturato il piano divino dell’universo; Roberto Boyle, il padre della chimica moderna, il quale «era un modello di pietà cristiana e credeva che i progressi scientifici avrebbero dato sostegno alla verità del cristianesimo»; Isaac Newton, il quale «scrisse molte parole in più su argomenti teologici che su materie scientifiche», e così via. Certamente ci sono stati numerosi scienziati non credenti, ma «ciò che è particolarmente significativo» degli scienziati credenti già citati, «è che la loro scienza si basava fondamentalmente su ipotesi religiose circa la liceità e l’intelligibilità matematica del mondo naturale». Cioè, era proprio la teologia cristiana a spronarli nello studio della Natura: dalla creatura al Creatore. «La credenza teistica», ha continuato il celebre storico australiano, «era parte integrante delle loro indagini scientifiche e ha fornito un fondamento metafisico fondamentale per la scienza moderna. Le vestigia delle convinzioni teologiche di questi pionieri della scienza moderna può ancora essere trovato nel comune presupposto che ci sono leggi di natura che possono essere scoperte dalla scienza».

Harrison ha riconosciuto che dopo Darwin qualcosa è tuttavia cambiato, sopratutto per la strumentalizzazione che venne fatta del suo lavoro da parte di intellettuali laicisti e positivisti. L’evoluzione mette effettivamente in difficoltà alcune aree del protestantesimo cristiano, eppure, scrive, «Darwin stesso era abbastanza astuto da rendersene conto. Il grande scienziato era molto probabilmente ancora un teista quando scrisse “L’Origine delle Specie”, e in una lettera scritta vent’anni dopo la sua pubblicazione, ha dichiarato che era “assurdo dubitare che un uomo potesse essere un teista ardente e un evoluzionista”». La sua perdita di fede, ha ricordato ancora, è dovuta all’esistenza del male nel mondo e non dalle sue teorie scientifiche. Questo, ha spiegato lo storico, «ha poco o niente a che fare con il progresso della scienza».

Chi sostiene che la scienza abbia preso il posto della religione, compie una «generalizzazione grossolana». Attraverso un semplice esempio, Harrison ha rivelato quale sia il compito della scienza (spiegare il “come”) e quale quello della religione (spiegare il “perché”): la scienza spiega come e grazie a cosa voi state leggendo queste parole, ma non può dire nulla sul perché le stiate leggendo. «La distinzione tra questi due tipi di spiegazioni», ha sottolineato, «risale al filosofo greco Socrate». Egli «non ci lascia alcun dubbio su quale sia la più soddisfacente […], abbandonò infatti l’indagine del mondo naturale agli inizi della sua carriera filosofica, al fine di dedicarsi alle domande che riteneva essere di maggiore importanza». Infatti la sua tesi era che «le questioni di importanza definitiva per gli esseri umani hanno a che fare con la verità, la bellezza e bontà. Sono questi i valori per cui era disposto a sacrificare la sua vita». Aveva pienamente ragione: un uomo può vivere benissimo anche non sapendo se è la Terra a girare attorno al Sole o viceversa, ma non può fare altrettanto senza arrivare ad una considerazione sul senso del suo esistere.

Proprio per questo, ha concluso lo storico, «la maggior parte dei filosofi della tradizione occidentale, e in effetti la maggior parte delle tradizioni religiose del mondo, hanno dichiarato che una spiegazione soddisfacente delle cose di maggiore interesse per gli esseri umani richiede un riferimento ad una realtà trascendente». Lo ha fatto ad esempio uno dei più grandi filosofi del Novecento, Ludwig Wittgenstein: «Ritengo che, anche se tutte le possibili domande scientifiche avranno risposta, i problemi della vita non saranno affatto stati toccati».

 

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Marco Politi verso il crepuscolo: 9 vaticanisti lo smentiscono

Il “Fatto Quotidiano” non riesce ad andare oltre alle 70 mila copie (“Tuttosport” ne ha 90 mila, per intenderci). Per avere visibilità, dunque, Padellaro è costretto a dare spazio a coloro che hanno posizioni radicali e  estremiste, come il vati-laicista Marco Politi. Egli, si sa, ha per papa Ratzinger una precisa ossessione: in un recente articolo, “Ratzinger verso il crepuscolo” lo ha ad esempio definito: «esitante», «astratto», «privo di risposte concrete», un «regno in stagnazione», afferma che «il peso della Santa Sede sulla scena mondiale è calato drasticamente e nel mondo dei media internazionali l’attenzione riservata al papato si è rarefatta», e tante altre valutazioni personali.

Ha scritto anche un libro su questo, “Crisi di un papato”, la cui tesi centrale è stata però smontata pochi mesi fa proprio durante la presentazione pubblica. Certo, si è preoccupato di invitare il suo amico Vito Mancuso, che ovviamente gli ha dato corda, negando anche esplicitamente il peccato originale durante il suo intervento. Poi però la parola è passata a persone serie, come la professoressa Anna Foa, ebrea e docente di Storia moderna presso “La Sapienza” di Roma, che ha pubblicamente corretto le fantasie di Politi circa una presunta crisi tra il mondo ebraico e l’attuale pontificato. Ha spiegato che i rapporti sono ottimi, che il primo pensiero di Ratzinger come Papa è andato proprio agli ebrei, che la visita del Pontefice ad Auschwitz è stata -al contrario di quanto racconta Politi- un «momento alto del rapporto con l’ebraismo, ed estremamente emozionante». La storica ha anche ricordato che accogliendo i lefebvriani, il Pontefice ha comunque chiaramente condannato il negazionismo della Shoah, inoltre, molto importante è stato il superamento del ruolo degli ebrei nel deicidio contenuto nel suo libro “Gesù di Nazareth”, accolto con grande approvazione dal mondo ebraico. Ha chiuso il suo intervento criticando ancora Politi per non aver fatto emergere «l’apprezzabile ed estremamente interessante processo del teologo Ratzinger di approfondimento del rapporto tra ebraismo e cristianesimo […], un passo senz’altro positivo».

In sala c’era anche il prof. Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, esperto filologo, il quale ha parlato delle inattendibili fonti usate da Politi, per il 90% voci anonime e per il 10% suoi stessi articoli. Ha citato anche vari esempi in cui l’autore ha raccontato degli eventi facendone presente soltanto una parte, pur di dimostrare la veridicità della sua tesi. Infatti, oltre alla crisi con il mondo ebraico (confutata dalla prof.ssa Foa) ha anche inventato una crisi con il mondo islamico, rifacendosi all’equivoco nato nel discorso di Ratisbona. Ha però evitato di ricordare la lettera inviata a Benedetto XVI da diversi intellettuali islamici, i quali hanno pienamente compreso e apprezzato il discorso, come ha anche censurato il fatto che il Pontefice nel 2010 sia stato invitato nella Moschea blu a Istanbul, luogo simbolo per il mondo musulmano. Tutto il libro è costruito in questo modo.

Inoltre, in occasione della recente celebrazione per i sette anni di pontificato di papa Ratzinger, sono stati intervistati da Zenit.it diversi giornalisti di quotidiani internazionali. La vaticanista dell’Ansa, Giovanna Chirri, spiega: «Questo Papa è un teologo che è diventato un riformatore ma non ha mai perso di vista il suo scopo: quello di annunciare Cristo al mondo. Si è trovato con un sacco di grane, basti pensare sulla pedofilia e la riforma finanziaria ma è sempre intervenuto con decisione. Non sono mancate fughe di notizie e su questo è intervenuto in quello che poteva intervenire». Juan Lara, dell’agenzia spagnola EFE: «Un fatto significativo è venuto a galla durante il suo pontificato: i casi degli abusi sessuali, la pedofilia. Il Papa ha affrontato il caso, mettendosi anche molta gente contro ma non se ne è curato pur di fare pulizia, e questo è significativo. E’ stato uno scandalo che lui ha affrontato in prima linea»Elisabetta Piqué, del quotidiano argentino La Nación: «Quando è salito al soglio pontificio c’era questa immagine mediatica del “rottweiller”, dell’inquisitore. Invece ha dimostrato di essere un Papa con una personalità molto amabile e allo stesso tempo un intellettuale ma molto umile. Ogni volta che si è verificato un errore nella comunicazione lui lo ha sempre riconosciuto»Alessando Speciale, corrispondente vaticano di UCA News, Religion news service: «Benedetto XVI si è trovato davanti a una sfida, a una crisi, non su ciò che lui avrebbe immaginato di costruire il suo pontificato. Parlo della pedofilia e gli abusi sessuali e lui, davanti a questa crisi, ha saputo dare un tono di risposta all’altezza delle circostanze, cosa che forse molti uomini all’interno della Chiesa non avrebbero saputo dare».

Salvatore Izzo, vaticanista dell’agenzia AGI: «Benedetto XVI sta acquisendo una figura paterna che prima non aveva.  Sta facendo un grande sforzo per avvicinare tutti alla Chiesa, non solo i tradizionalisti ma anche altri movimenti più innovatori. Potrebbe sembrare il contrario ma è proprio così»Andres Beltramo, vaticanista dell’agenzia messicana Notimex: «Credo che lui sia cambiato ma anche la percezione che la gente ha su di lui è cambiata. Iniziando dal fatto che lui è andato in diversi Paesi e ciò ha accelerato questo cambio di percezione. Nell’ultimo viaggio apostolico, ad esempio, all’inizio non lo conoscevano […] quando lo hanno conosciuto personalmente c’è stato un cambio di atteggiamento. Qui i mezzi di comunicazione hanno parlato di lui, forse lo hanno anche criticato o riflettuto sull’entusiasmo popolare, ma è un fatto temporaneo. Invece attecchisce quando le persone lo hanno potuto vedere e quindi rimangono con una percezione diversa da quanto raccontano i mezzi di comunicazione». Per la grande attenzione del mondo economico e imprenditoriale italiano per il pensiero di Benedetto XVI, Armando Massarenti, responsabile del supplemento culturale Il Sole 24ore-Domenica, ha curato un libro sponsorizzato dal suo quotidiano e da quello della Santa Sede per divulgare maggiormente il pensiero del Pontefice.  Bernhard Müller-Hülsebusch, vaticanista di “Der Spiegel”, ha pubblicato un libro su Benedetto XVI scrivendo: «Il Papa è un’autorità, ma non è autoritario, è conservatore, ma aperto al dialogo, un brillante […] un pontefice, la cui performance come pastore della Chiesa universale sta diventando sempre più evidente negli ultimi tempi».

Filippo di Giacomo, vaticanista de “L’Unità” ha scritto: «come dimostrato in questi sette anni, Benedetto XVI è straordinariamente capace di trasformare ogni “contraddizione” in domanda. E proprio ciò che progressivamente sta caratterizzando il papato Ratzingeriano come manifestazione straordinaria del cattolicesimo, quello uscito dal Concilio Vaticano II […]. Con Benedetto XVI, sette anni sono stati sufficienti per cancellare quella cupa profezia sulla dissoluzione della Chiesa, di cui la Spagna zapateriana, sarebbe stata l’antesignana. Se Dio gli darà vita e salute, riuscirà anche a liberare la Chiesa dal pessimismo dei chierici: sarà difficile, ma Ratzinger promette bene». Con tanti saluti al tramonto di Marco Politi.

 

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