Il North Carolina vota contro le nozze gay

Gli elettori del North Carolina hanno approvato (61%-39%) un emendamento costituzionale che vieta il matrimonio gay nello stato. Nonostante la grandissima pressione della ricca lobby omosessualista -la grande ricattatrice morale dei tempi moderni che elimina violentemente ogni critico etichettandolo come “omofobo nazista”-, sono soltanto sei gli stati americani che hanno modificato il concetto antropologico di “famiglia”, aprendo al matrimonio omosessuale.

Il presidente americano Barack Obama, ancora oggi in Italia (sempre meno in America) elogiato da diversi cattolici si è detto “deluso” dal voto e ha affermato di essere a favore del matrimonio omosessuale (per molti è un autogol in vista delle imminenti elezioni politiche). Ha apprezzato pubblicamente Planned Parenthood, l’ente abortista più grande del mondo fondato dalla nota sostenitrice dell’eugenetica Margaret Sanger, e ha imposto ad ospedali, parrocchie e associazioni caritatevoli cattoliche l’obbligo di fornire ai propri dipendenti una gamma di servizi sanitari che comprendono aborto, sterilizzazione e contraccezione.

Intanto si è scoperto che la lobby omosessuale ha pagato centinaia di migliaia di dollari a politici contrari alle nozze gay nello stato di New York, perché votassero a favore. Questi voti sono poi risultati essere decisivi per la legalizzazione avvenuta nel febbraio scorso.

Dal Regno Unito arriva la notizia che una petizione lanciata in difesa del matrimonio naturale, ha superato il mezzo milione di firme. Attraverso questa iniziativa si vuole invitare il partito al governo a mantenere la definizione di matrimonio secondo il suo significato antropologico ed etimologico. Come è già stato spiegato, infatti, il termine “matrimonio” è radicalmente legato alla procreazione, deriva dal latino matris munia, cioè doveri della madre e non può che contemplare la relazione tra l’ordine delle diverse generazioni, cioè il rapporto tra genitori e figli, ovvero tra coloro che generano e coloro che sono generati.

Un sondaggio effettuato da ComRes ha rilevato che 7 britannici su 10 ritengono che il matrimonio debba continuare ad essere definito come una unione permanente tra un uomo e una donna, e più di 8 su 10 ritengono che i bambini abbiano migliori possibilità nella vita se vengono allevati dai genitori biologici. Il partito del premier Cameron potrebbe perdere fino a 1,1 milioni di voti a livello nazionale se verrà modificato il concetto di matrimonio. Il 75% dei suoi elettori sono in disaccordo con la sua posizione sulle nozze gay. David Cameron sarebbe pronto a fare marcia indietro sull’apertura alle nozze gay.

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Perniciosi automatismi nella critica a Benedetto XVI


 

di Alessandro Giuliani*
*biostatistico e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità

 

 

L’articolo di Gilberto Corbellini apparso sul domenicale del Sole 24 Ore del 22 Aprile in cui si critica il papa Benedetto XVI per il suo supposto disamore per la scienza e il misconoscimento dei grandi benefici per l’umanità provenienti dalla scienza e dalla tecnica non meriterebbe di essere commentato se non per mettere in luce alcuni automatismi che purtroppo ottenebrano il giudizio di molta parte della nostra ‘intellighenzia’. Superiamo con un salto la curiosa posizione di chi considera un ‘nemico della scienza’ un papa che (tra le altre mille affermazioni nello stesso senso) celebra il cinquantesimo anniversario dell’istituzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ Università cattolica con frasi come «scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell’intelligenza del reale» ed entriamo più nel merito della critica del prof. Corbellini.

Il suo punto fondamentale è espresso così «..proviamo anche ad essere obiettivi. E non irrispettosi verso larga parte degli abitanti di questo pianeta che ancora vive condizioni sanitarie, sociali e politiche analoghe a quelle esistenti in occidente prima dell’Illuminismo, e che diciamo di voler aiutare a star meglio. Cioè ad avvicinarsi al nostro modo di vivere. Andando contro la scienza e l’addestramento dei giovani all’uso della ragione davvero si pensa di contribuire a migliorare le cose del mondo?». Salta subito agli occhi l’incredibile contrasto di questa affermazione con la realtà della Chiesa che da sola si fa carico di circa il 30% della’assistenza sanitaria in Africa, che nelle zone più disagiate del mondo, grazie all’abnegazione ed al sacrificio dei suoi missionari consente ai giovani di andare a scuola, di migliorare il loro stato e la loro consapevolezza. Il martirio, il terribile prezzo di sangue che i cristiani stanno pagando in gran parte del mondo si deve proprio a questo, alla lotta a fianco dei fuori casta in India, alle lotte per contrastare gli stupri e le violenze indiscriminate contro le donne in Pakistan, in Indonesia, fra le migranti filippine in vari paesi musulmani …

Tutte lotte che il prof. Corbellini dovrebbe contemplare con compiacimento e ammirazione, ma no, questo non è possibile, andrebbe contro il suo sistema di pensiero per cui la Chiesa DEVE ESSERE IRRAZIONALE ED OSCURANTISTA. E lo capiamo da un piccolo particolare, la parola ‘Illuminismo’ messa a discrimine tra un periodo di barbarie sociale e condizioni socio-sanitarie orribili e l’inizio della vera civiltà. Una persona sensibile ed esperta come il prof. Corbellini di cui ricordo con gran piacere un bellissimo saggio sulla storia della malaria in Italia in cui faceva notare come il netto declino della mortalità iniziasse ben prima dell’eradicazione del vettore e fosse dovuta al netto miglioramento delle condizioni di vita (con conseguente incremento delle difese immunitarie della popolazione), in cui spiegava bene l’importanza dell’uso del chinino (anche se tralascia di rimarcare che l’uso del chinino, scoperto dai Gesuiti, fu a lungo osteggiato nelle colonie inglesi in quanto ‘perfida invenzione della cattolicità’ e quindi per definizione inattivo o pericoloso), dovrebbe sapere che la ‘transizione epidemiologica’ dalle nostre parti è molto più tarda dell’Illuminismo e data (con minime differenze da paese a paese) al periodo tra gli anni trenata e cinquanta del secolo scorso. Il prof. Corbellini sa di sicuro che la rivoluzione industriale in Inghilterra portò ad un netto peggioramento delle condizioni di salute della popolazione con un drammatico aumento di morbidità e mortalità. Sa benissimo insomma che l’indubbio miglioramento delle condizioni materiali delle popolazioni dovuto allo sviluppo della scienza e della tecnica ha avuto storia, motivazioni e dinamica molto più complesse rispetto ad un supposto colpo di bacchetta magica dell’Illuminismo, ma la maledizione dell’equazione Illuminsimo = Antireligione = Benessere annebbia la sua lucidità e questo dispiace.

Come dispiace la sussiegosa concessione «insomma, mettiamo pure in conto qualche inconveniente causato dall’ebbrezza indotta in taluni frangenti e contesti geografici dalla falsa percezione di poter controllare tutto, ed essere nel giusto, per il fatto di affrontare un problema con metodo scientifico». Insomma considerare ‘qualche inconveniente’ il razzismo, il colonialismo, gli orribili genocidi del ventesimo secolo spiegati e giustificati dal darwinismo sociale, dall’eugenetica, dalla supposta ‘scientificità’ dei sistemi sociali (‘comunismo ed elettrificazione’), la diffusione sistematica dell’odio mascherata da ‘culto della ragione scientifica’ è veramente un po’ troppo. Come può una persona intelligente e sensibile come il prof. Corbellini (a cui sono debitore di due inviti a scrivere articoli sulla rivista Darwin da lui diretta che andavano contro il ‘comune sentire’ di gran parte del comitato di redazione e degli editori per suo puro e disinteressato amore di verità e che solo ora, con il rapido declino di una visione rigidamente genocentrica della biologia ammessa a denti stretti pure nei ‘giornaloni’ di casa nostra è stata ‘sdoganata’ dal mainstream dell’intellighenzia mediatica nostrana) avere tali distorsioni di prospettiva ?

Non è certo questione di malafede, purtroppo è un veleno sottile che assorbiamo a scuola attraverso tante piccole menzogne, apparentemente minori e trascurabili che vanno dalla falsa nozione che nel Medioevo si pensasse che la terra fosse piatta (ma allora come mai nella Divina Commedia emerge la chiara idea di Dante di una terra sferica? Ma quasi nessuno si fa questa domanda), così come si dà per pacifico che Galileo fosse stato accecato dai preti inquisitori (lo crede, secondo un recente sondaggio, il 90% degli studenti europei), che l’Inquisizione avesse fatto migliaia di morti innocenti e fosse un problema eminentemente cattolico (laddove era molto più feroce nel mondo protestante, i morti erano molti di meno e spesso legati a reati molto gravi che sarebbero perseguibili anche oggi), che esistessero cose come la cintura di castità e lo jus primae noctis ecc. ecc. Globalmente si sedimenta un pensiero che non viene più messo in discussione e cioè che ‘strutturalmente’ la Chiesa sia ‘per definizione’ dalla parte del male e della menzogna.

Uscire dal tunnel non è facile, spesso provoca penosi equilibrismi tra la percezione della bontà, apertura e disponibilità del parroco o della suora che conosciamo direttamente e quello che abbiamo imparato a scuola (è la posizione di gran parte degli sceneggiati televisivi dove al personaggio del religioso buono e positivo viene contrapposto un potere curiale maligno che passa il tempo a mettergli i bastoni fra le ruote) , a volte causa netto rifiuto di tutto ciò che sa di Chiesa, se invece si aprono gli occhi, il rischio è quello di essere accecati dalla troppa luce e di sviluppare un odio profondo per tutto ciò che è moderno, e questa anche è una distorsione grave come le altre (e che conosco bene perché è una tentazione in cui io stesso cado troppo spesso). Benedetto XVI non ha certo bisogno del mio supporto, per cui mi fa piacere chiudere questa piccola cosa sul pensiero automatico con un augurio al prof. Corbellini di poter fermarsi un attimo a considerare una realtà più sfaccettata e ad un pensiero del Papa sull’ unicità cristiana dell’integrazione di tutti gli aspetti dell’uomo: «Il Cristianesimo non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale, è proprio percorrendo il sentiero della fede che l’uomo è messo in grado di scorgere nelle stesse realtà di sofferenza e di morte, che attraversano la sua esistenza, una possibilità autentica di bene e di vita».

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Proseguono le vittorie pro-life nel mondo

In Irlanda il mondo pro-life festeggia dopo la sconfitta del disegno di legge socialista della scorsa settimana che proponeva di legalizzare l’aborto e sanzionare penalmente la difesa della vita. Tale disegno di legge avrebbe legalizzato l’aborto nei casi in cui la vita della donna fosse in pericolo – anche per minacciato suicidio – e imposto un anno di prigione e 2000 euro di multa per chi offrisse alternative alle donne orientate ad abortire. Esso avrebbe inoltre permesso alle minorenni di abortire senza il permesso dei genitori.

La signora Niamh Ui Bhriain, capo di Life Institute, ha detto che nonostante sia solo il Partito Laburista a sostenere apertamente la legalizzazione dell’aborto, all’interno del governo vi è una silenziosa ma forte fazione che lavora per abolire le protezioni legali per il nascituro. Ha detto inoltre che la sconfitta del disegno di legge è stata dovuta più che altro ad ideologia, i politici infatti si sono accorti che l’opinione pubblica è fortemente contraria alla legalizzazione. Ha avvertito, tuttavia, che il partito laburista continuerà ad esercitare pressioni sul governo per la legalizzazione dell’aborto e che quindi le organizzazioni pro-life non possono abbassare la guardia.

In Galizia (Spagna), il segretario generale della Giunta, Susana López Abella, ha annunciato che il ‘nascituro’ dev’essere considerato alla pari dei figli già nati, dunque già membro della famiglia (utile ad esempio nella domanda di aiuti per l’abitazione). Il feto assume dei diritti ancora prima di nascere e la maternità diventa un valore (e non un peso).

Nel Regno Unito un’infermiera cattolica ha vinto una battaglia legale con il suo datore di lavoro, il quale le imponeva di prestare servizio in una clinica per aborti.

Negli USA, in Oklahoma,  il governatore Mary Fallin ha firmato il cosiddetto ddl “Fetal Heartbeat”. La normativa impone ora ai fornitori dell’aborto di informare le donne (ma occorre un legge ad imporlo??) su cosa sia l’embrione, e sul loro diritto ad ascoltare il battito del cuore del proprio figlio prima di, eventualmente, sopprimerlo. Una seconda firma ha trasformato il legge un disegno di legge (passato al Senato per 89-0) con il quale si permette alle donne di citare in giudizio un fornitore di aborto se il medico non abbia seguito le disposizioni di consenso informato.

Nel Mississippi  il governatore Phil Bryant ha firmato una legge che ha messo nuove norme sulle cliniche abortiste, imponendo a chi esegue l’aborto di essere un riconosciuto ostetrico-ginecologo, ammesso all’ospedale locale. Questo non è affatto facile da ottenere, in quanto i medici abortisti vivono in un altro stato o perché alcuni ospedali sono ufficialmente contrari all’aborto e potrebbero rifiutarsi di associarsi con gli abortisti. «Se le cliniche abortiste chiudono, allora così sia», ha commentato il governatore.

Nel Kansas il senato ha approvato un disegno di legge, se venisse firmato, porterebbe maggiore protezione legale agli operatori sanitari che rifiutano di partecipare ad un aborto (l’86% dei medici in totoale).

In Arizona il governatore Jan Brewer ha firmato un disegno di legge che vieta il finanziamento pubblico dell’ente abortista Planned Parenthood. I fondi saranno destinati alla pianificazione familiare e a soggetti che forniscono assistenza alle donne in gravidanza.

Nello Utah occorrerà ora rispettare un periodo di 72 ore di attesa per le donne in cerca di un aborto, perché esse possano avere tempo sufficiente per prendere una decisione davvero informata.

In Georgia il governatore Nathan Deal ha firmato una legge con la quale si vieta l’aborto dopo la 20 settimana di gravidanza, basandosi sul dolore fetale. Una seconda legge ha reso un crimine aiutare qualcuno a suicidarsi, dunque il divieto al suicidio assistito.  La Corte Suprema della Georgia, nel mese di febbraio, aveva già reso incostituzionale pubblicizzare il suicidio assistito.

In Ohio  i legislatori hanno introdotto un emendamento per limitare i finanziamenti statali a Planned Parenthood, il più grande ente abortista del mondo. Oggi riceve 1,7 milioni di dollari all’anno in fondi statali, da parte di cittadini favorevoli e contrari all’aborto. 

Il Guttmacher Institute, l’istituto di ricerca di Planned Parenthood -ente abortista fondato dall’eugenista Margaret Sanger- si è lamentato affermando che i legislatori statali negli USA hanno proposto ben oltre 400 leggi pro-life nel primo trimestre del 2012.

 

Ricordiamo che domenica 13 MAGGIO 2012 si svolgerà la seconda Marcia Per la Vita in Italia. Invitiamo tutti a partecipare, ulteriori informazioni qui: www.marciaperlavita.it.

Linda Gridelli e Luca Pavani

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Scoperti nuovi reperti del tempo di re Davide, rafforzata storicità biblica

Mentre si succedono gli studiosi che avanzano dubbi sull’esistenza storica di Maometto, fondatore e profeta dell’Islam («il Maometto della tradizione islamica non è esistito, o se è esistito, era sostanzialmente diverso da come la tradizione lo dipinge»), contemporaneamente l’archeologia continua a confermare la storicità e l’attendibilità dei Vangeli e dell’Antico Testamento.

Il caso recente è quello del team di archeologi guidati dal prof. Yosef Garfinkel, docente presso l’Istituto di Archeologia dell’Università ebraica di Gerusalemme, i quali durante scavi archeologici a Khirbet Qeiyafa, una città a ovest di Gerusalemme adiacente alla valle di Elah, hanno scoperto assemblaggi ricchi di ceramica, pietra, utensili in metallo e oggetti di culto. Sono venute alla luce, inoltre, tre grandi stanze che servivano da santuari di culto. La scoperta, si legge sul sito del governo israeliano, è «straordinaria».

La descrizione di questi luoghi corrisponde a quelle presenti nella Bibbia, durante il tempo di re Davide. I reperti, si legge, rafforzano la storicità della tradizione biblica. La città, secondo le misure radiometriche effettuate dall’Università di Oxford, è esistita per un breve periodo tra il 1020-980 aC, per poi essere violentemente distrutta. «Questa è la prima volta che gli archeologi scoprono una città fortificata in Giudea al tempo di re Davide», ha commentato il prof. Garfinkel. «Le ipotesi di chi nega la tradizione biblica per quanto riguarda Davide e sostiene che egli era una figura mitologica, o un semplice capo di una piccola tribù, vengono ora dimostrate essere errate». E’ anche la prima volta che vengono scoperti santuari dei primi re biblici, il che permette di anticipare la costruzione del tempio di Salomone a Gerusalemme di 30 o 40 anni, fornendo la prima evidenza fisica di un culto al tempo di re Davide. Un culto monoteistico, profondamente differente da tutte le altre nazioni del Vicino Oriente Antico.

Spiega l’archeologo: «Nel corso degli anni, migliaia di ossa di animali sono stati trovati, tra ovini, caprini e bovini, ma non di maiale. Ora abbiamo scoperto tre sale di culto, ma senza nessuna figura umana o animale. Questo suggerisce che la popolazione di Khirbet Qeiyafa osservava i due divieti biblici – di carne di maiale e delle immagini scolpite -. Quindi praticava un culto diverso da quello dei Cananei e dei Filistei». I reperti di Khirbet Qeiyafa indicano inoltre che uno stile architettonico elaborato si era sviluppato fin dal tempo del re David, indicando la formazione di uno stato, la creazione di una élite, con un certo livello sociale e urbanistico.

 

 

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Cavalli Sforza: «la fine del determinismo genetico»

 

di Enzo Pennetta*
*biologo

 

In un articolo su la Repubblica Francesco e Luca Cavalli Sforza affrontano la fine del determinismo genetico alla luce dello studio dei meccanismi epigenetici. L’articolo è apparso Col titolo Quando l’apprendimento può essere trasmessoe l’argomento affrontato sono le nuove conoscenze sull’epigenetica, la trasmissione di caratteri sviluppati nel corso della vita.

L’articolo inizia con una sintetica ed efficace esposizione dell’epigenetica: «Le nostre attività, quindi, oppure agenti patogeni cui siamo esposti, o ciò che mangiamo, possono modificare il modo in cui lavorano le nostre cellule. I cambiamenti non incidono sulla sequenza di DNA, che rimane immutata, ma sono trasmessi alle cellule figlie insieme al DNA della cellula madre, quando questa si divide»L’importanza dell’epigenetica in ambito antropologico è nell’aver definitivamente smentito l’idea che analizzando il DNA di una persona fosse possibile determinarne tutte le caratteristiche, un’idea che unitamente all’affermarsi dell’evoluzionismo darwiniano per selezione naturale, era stata sin dall’inizio del ‘900 all’origine della triste vicenda delle politiche eugenetiche.

Ma se il determinismo genetico viene oggi definitivamente confutato, in passato ha giustificato le politiche eugeniste che enormi drammi hanno provocato su entrambe le coste dell’Atlantico, andando dalla discriminazione verso gli immigranti avvenuta negli USA nella prima metà del XX secolo, alle più tristemente conosciute politiche eugenetiche della Germania nazista. Ma l’eugenetica ha continuato ad essere operante anche in Svezia, dove fino agli anni ’70 il Nobel per la pace (sic!) del 1982, Alva Mydral, proponeva politiche eugeniste di sterilizzazione forzata e di promozione del razzismo, idee che come abbiamo visto non solo non le impedirono di ricevere il Nobel per la pace, ma non le impedirono neanche di divenire presidente della sezione scientifica dell’UNESCO dal 1950 al 1955.

In nome del determinismo genetico si riteneva inutile spendere soldi e tempo per l’educazione dei figli di persone che “non avrebbero mai dovuto diventare genitori”, affermava nel 1922 Margaret Sanger la paladina della società basata sull’eugenetica e fondatrice di Planned Parenthood, la più grande industria dell’aborto oggi prendete al mondo. La scoperta dell’ereditarietà epigenetica rende adesso ancor più assurdo tutto questo.  Le caratteristiche che facevano etichettare come “deboli di mente” e spesso dichiarare “indesiderati” il 79% degli emigranti italiani, l’87% di quelli russi o l’83% degli ebrei, oltre ad essere frutto di discutibili test d’intelligenza, potevano essere causate da fattori epigenetici, dalle condizioni di miseria in cui quelle persone erano vissute, persone che dopo essere state relegate agli ultimi posti di una società piena di disuguaglianze, venivano anche “punite” come portatrici di caratteri negativi da eliminare con l’isolamento e la sterilizzazione.

Adesso, all’inizio del XXI secolo, la scoperta dei meccanismi epigenetici ci mette in condizione di liberarci dai dogmi che vedono tutto scritto nel DNA, il “gene egoista” di Richard Dawkins e le conseguenze di un approccio deterministico possono dunque essere messe da parte: l’ambiente e le condizioni sociali sono determinanti. La sopravvalutazione del determinismo genetico e della selezione naturale ha però portato a delle degenerazioni di cui la biologia del XX secolo è stata responsabile o quantomeno corresponsabile, e per le quali dovrebbe “chiedere scusa”, dovrebbe porgere quelle scuse che a volte vengono chieste alle religioni e che stavolta sarebbe giusto che la “scienza” offrisse a coloro che, in nome dell’eugenetica, sono stati perseguitati.

 

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Corea del Nord: ecco una delle centinaia di conversioni all’anno

E’ la storia di Jin Hye Jo, nordcoreana di 24 anni, cresciuta da atea in un paese dove, ancora oggi, vigge l'”ateismo di stato” tra i più repressivi al mondo e ultimo nella classifica del rispetto dei diritti umani. Ha visto morire davanti a sé quasi tutta la sua famiglia. Sopravvissuta, ha incontrato Gesù e si è messa in salvo scappando negli Stati Uniti. Viene raccontata su Asianews.

Il periodo in questione è l’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, quando la caduta dell’Unione Sovietica e la relativa apertura al mondo compiuta dalla Cina bloccano di fatto gli aiuti dell’asse comunista a Pyongyang. La popolazione viene decimata e le famiglie, come quella di Jin, costrette a mangiare di tutto: dalla corteccia degli alberi al grasso crudo. Dopo anni di sofferenze, nel 1997 i genitori di Jin – Jo e Han – decidono di rischiare e attraversano il confine con la Cina, venendo arrestati al terzo tentativo.

Il padre sparisce nel nulla: “Più tardi verremo a sapere che è morto su un treno per detenuti, con le mani legate dietro alla testa, senza cibo o acqua per 10 giorni.” La madre di Jin viene invece picchiata selvaggiamente, ma graziata. Poco tempo più tardi è il turno della figlia maggiore “probabilmente finita nelle mani dei trafficanti di esseri umani”, del figlio minore e della nonna, morti a causa della carestia. “Ricordo ancora che, prima di morire, chiedeva di poter mangiare una patata” racconta Jin. Un anno dopo la polizia torna alla casa di Jin e caccia tutti gli abitanti: secondo la legge nordcoreana, infatti, i criminali vanno puniti “fino alla terza generazione”. Rimangono solo Han, la figlia Jin Hye (di 11 anni), Eun di 7 e BoKum di 5. Tutti insieme, partono per il viaggio di 100 miglia fino al confine.

Dopo aver varcato il confine, riescono a nascondersi in Cina. Camminando per la campagna, la piccola Jin sente un inno che non aveva mai sentito, un inno cristiano. Come ipnotizzata dalla musica si avvicina al gruppo di cristiani clandestini, entra in contatto con dei missionari e partecipa a scuole bibliche sotterranee. Scopre la grandezza del Vangelo e l’amore degli altri cristiani, decide di convertirsi. La madre Han, tuttavia, non vuole: “Mi disse che, se mi fossi convertita, non sarei stata più sua figlia. Ma Cristo mi chiedeva di avere fede in lui, e non si sbagliava”. Qualche tempo dopo, conosciuti i missionari cristiani, anche Han e la piccola Eun si convertono. Dopo 10 anni di vita clandestina in Cina, la famiglia riesce a ottenere lo status di rifugiati politici negli Stati Uniti e ora vivono in America. Jin vuole divenire una missionaria: “Prima o poi la Corea si riunirà, e io voglio portare la buona novella di Cristo a tutti i miei fratelli”.

In Corea del Sud ogni parrocchia ha dai 200 ai 400 battesimi di convertiti dal buddhismo all’anno, ogni anno ci sono 130-150 nuovi sacerdoti. La Pasqua di quest’anno è stata celebrata con 114 battesimi adulti.

Antonio Tedesco

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Grazie al progresso scientifico si riduce la liceità all’aborto

 

di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

Per affrontare il problema con onestà intellettuale e senza apriorismi ideologici sarebbe necessario riconoscere che oramai il confine tra abortion late term ( aborto tardivo ) e preterm birth ( nascita prematura ) è sempre più sottile, fino a divenire quasi indistinguibile, grazie proprio ai progressi degli ultimi decenni compiuti dalla neonatologia e dalla terapia intesiva neonatale ( si pensi, per esempio, alla migliorata capacità di determinare l’età gestazionale grazie alle tecniche ad ultrasuoni, come si precisa in un editoriale di “Lancet” del 2006 ) che hanno garantito una sempre crescente possibilità (e non probabilità) di assicurare un esito fausto, vitale e decisamente più salubre alle giovani e fragili vite che si affacciano al mondo tra la ventesima e la ventiquattresima settimana di gravidanza.

Il tema è decisamente complicato poiché ci si aggira tra la vita e la morte; tra l’autodeterminazione della donna e la volontà dei genitori da un lato e il diritto alla vita del feto espulso dopo IVG o a seguito di parto pretermine da un altro lato; tra l’eutanasia o la distanasia infantile (cioè tra la necessità di garantire il sostentamento vitale di persone molto fragili e la necessità di evitare l’accanimento terapeutico nei confronti dei neonati ); tra la duttilità del progresso tecnico-scientifico da un lato e l’inossidabilità dei principi morali dall’altro; tuttavia si possono riportare alcune osservazioni sullo stato dell’arte.

Come è risaputo, infatti, si pensi al noto e copioso rapporto dello USIOM ( Institute of Medicine ) del 2007 dal titolo «Preterm births: causes, consequences and prevention»  in cui si precisa che dal 1981 al 2004 le nascite pretermine sono aumentate del 30% ( sebbene siano differenti le con-cause ), si è oramai giunti al punto per cui anche in età molto precoce è possibile la sopravvivenza. Ciò che dunque viene in rilievo è, in sostanza, il problema che nell’ambito bioetico viene definito dei «grandi prematuri», cioè di quei soggetti che o a seguito di una pratica di interruzione volontaria di gravidanza tardiva o a seguito di un vero e proprio parto pretermine, riescono a nascere vivi ed a sopravvivere nonostante la precocità.

Il problema è senza dubbio complesso ed esteso implicando riflessi di carattere medico, scientifico, etico e soprattutto giuridico (per esempio, diventa fondamentale, sebbene sempre più difficilmente definibile, la distinzione tra interruzione volontaria della gravidanza e nascita prematura in genere, e in particolare la differenza della rilevanza penale tra aborto procurato ed omicidio, posto che secondo la dottrina giuridica si verificherebbe la seconda fattispecie ogni qual volta soggetto passivo dell’aggressione sia un individuo fisiologicamente capace di una vita autonoma), ma si possono tracciare delle linee per comprendere almeno in generale la questione. Sul piano medico-scientifico occorre ricordare ciò che lo specialista di medicina interna Renzo Puccetti ha dichiarato in una intervista rilasciata nel 2008 aZenith.org, e cioè che «secondo i dati provenienti da 600 cliniche nel mondo raccolti nel Vermont Oxford Network, la sopravvivenza a 22 settimane è del 5%, sale al 30% nei nati a 23 settimane e arriva al 60% nei bambini nati a 24 settimane di gestazione. In una casistica condotta analizzando 19.507 neonati ammessi in 17 reparti di cure intensive neonatali in Canada sono sopravvissuti e sono stati dimessi dal reparto il 14% dei neonati a 22 settimane, il 40% a 23 settimane e quasi il 60% a 24 settimane». Celebre, tra i tanti, e relativamente recente il caso di Amillia Taylor nata nel 2007 a 21 settimane e di appena 280 grammidi peso.

A ciò si aggiunga che le cause di nascite pretermine sono diverse e di natura a volte genetica, a volte biologica o perfino comportamentale. Secondo uno studio pubblicato dalla autorevole rivista Human Reproduction nel 2004 vi è addirittura una relazione direttamente proporzionale tra precedenti episodi di IVG e la nascita pretermine, o meglio: le donne che si sono sottoposte ad una pratica, spesso reiterata, di interruzione della gravidanza hanno mostrato poi di essere maggiormente predisposte ad esiti gestazionali pretermine. In sostanza, la donna che più volte si è sottoposta a pratiche interruttive della gravidanza ha più possibilità di sviluppare delle complicazioni in una successiva gestazione che può concludersi molto in anticipo rispetto al decorso temporale ordinario. Secondo un precedente studio pubblicato dalla medesima rivista nel 2002, un’altra causa di aumento del rischio di nascite pretermine è da ricollegarsi anche al ricorso alle tecniche di procreazione assistita per il trattamento dell’infertilità femminile.

Sul piano etico-giuridico si è posto il problema dei diritti dei giovani pazienti, cioè dei cosiddetti «grandi prematuri», e del piano deontologico dei medici che devono soccorrere queste giovanissime vite. Sul punto occorre procedere con ordine, cominciando dall’ordinamento italiano. In primo luogo emerge il dato normativo deducibile dal secondo comma dell’art. 7 della legge 194/1978 per cui «quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto […] il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto».  Secondo la stessa legge disciplinante l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia, dunque, sul medico che procede ad IVG incombe l’obbligo di fare il possibile per salvare la vita del feto qualora dopo l’intervento di IVG quest’ultimo presenti segni vitali. Il medico, insomma, deve in caso di IVG tardiva prestare i soccorsi necessari nel caso di vitalità del feto. Da ciò si deduce per analogia che in caso di nascita pretermine, che negli anni ottanta si verificava tra la ventottesima e la trentesima settimana ponendosi oggi, invece, tra la diciottesima ( cfr. Tedeschi-Eckart, Trattato di medicina forense, I, Padova, Piccin-Nuova Libraia, 1984, pag. 532 ) e la ventiquattresima settimana di gravidanza, è ancor più ovvio che il medico debba attivarsi per salvaguardare il feto in caso di sua vitalità.

Del resto, il Comitato Nazionale di Bioetica è stato anche fin troppo chiaro, stabilendo nel suo parere del 2008 sui grandi prematuri, che « il principio bioetico fondamentale che deve guidare la riflessione sul tema dei neonati estremamente prematuri è il seguente: i criteri che in generale si devono adottare per la rianimazione dei neonati non possono differire da quelli che vengono adottati per rianimare un bambino uscito dalla fase neonatale o un adulto. Questo principio corrisponde, peraltro, alle linee guida espresse da tempo con assoluta chiarezza ( e fino ad oggi non modificate ) dall’American Academy of Pediatrics ». In questo senso la giurisprudenza statunitense si è espressa più recentemente in almeno due note occasioni: la prima è quella del caso Miller vs HCA deciso dalla Corte Suprema del Texas per cui il medico può e deve soccorrere il nato prematuro anche contro il consenso dei suoi genitori; la seconda è costituita dal caso Montalvo vs Borkovec giudicato dalla Corte d’Appello del Wisconsin con cui il giudice adito ha sancito in sostanza la illegittimità della sospensione del trattamento di sostegno vitale dei neonati prematuri poiché essi non sono soggetti in stato vegetativo persistente, venendo dunque sottratti alla volontà dei genitori e venendo dunque riconosciuti come soggetti di diritto a tutti gli effetti. Del resto nel 2002 il 107° Congresso degli Stati Uniti ha approvato il “Born-Alive Infants Protection Act” con cui si riconosce la personalità, cioè la soggettività giuridica, dei nati vivi, di tutti i neonati vivi a prescindere dal loro stadio di sviluppo: «The words “person”, “human being” “child”, and “individual”, shall include every infant member of the species homo sapiens who is born alive at any stage of development».

In conclusione può affermarsi che esiste e sempre più si afferma un rapporto inversamente proporzionale tra il progresso della medicina in genere e di quella neonatale in particolare e i limiti alla legittimazione dell’interruzione volontaria della gravidanza, o meglio, a fronte di un costante progresso medico nella cura dei nati prematuri o dei feti sopravvissuti ad IVG, il diritto non può che adeguarsi restringendo il periodo di legittimità del ricorso ad IVG. In questo senso può dirsi che, pur ancora basso, essendo il limite di sopravvivenza, rebus sic stantibus, pari al periodo di 18-20 settimane di età gestazionale, il ricordo ad IVG non può oramai che essere sempre più compresso all’interno di questo limite. Così soltanto, cioè in aderenza alle più recenti risultanze scientifiche, si può spiegare il provvedimento del Governatore dell’Arizona che lo scorso 13 aprile ha proibito l’aborto dopo le 20 settimane di gravidanza.

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La New Zealand Medical Association contro il suicidio assistito

Forti pressioni dalle varie lobby pro-death stanno avvenendo anche in Nuova Zelanda per depenalizzare eutanasia e suicidio assistito.

Risulta interessante la posizione espressa ufficialmente dalla New Zealand Medical Association, cioè la principale associazione in rappresentanza dei medici, in la quale ha ribadito la sua opposizione contro i medici che aiutano i pazienti a porre fine alla loro vita. L’eutanasia, viene espresso dalla associazione  medica, non è una pratica etica e non può essere tollerata in alcun modo. Così ha ribadito il presidente Paul Ockelford, docente presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’University of Auckland School of Medicine.

Citando il codice etico dell’Associazione, viene detto: «I medici dovrebbero tenere sempre a mente l’obbligo di preservare la vita ove possibile e giustificabile, permettendo che si verifichi la morte con dignità e conforto quando sembra essere inevitabile. In tali situazioni terminali, il trattamento applicato con l’obiettivo primario di alleviare la sofferenza del paziente è eticamente accettabile, anche quando può avere l’effetto secondario di abbreviare la vita».

La cosa interessante, continua il comunicato, è che la posizione della NZMA contro l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistito, viene detto, rimarrà identica anche se la politica dovesse depenalizzarla o renderla legale. La  New Zealand Medical Association continuerebbe a considerarla come immorale.

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Studente offende i cristiani, gli atei lo premiano con una borsa di studio

Estremismo, ateismo, fanatismo. Non è più soltanto la rima a collegare queste parole, dato che ogni settimana arrivano prove di stretta relazione: nel Tennessee (USA) uno studente si è aggiudicato una borsa di studio da 1.000 dollari, donata da un’associazione di atei americani, per essersi travestito da Gesù Cristo -con tanto di martello e chiodi- durante il giorno dedicato ad un “personaggio di fantasia”.  La scuola ha invitato il ragazzo a togliersi l’offensivo costume, e Ken Paulson, presidente dell’ufficio di Nashville del First Amendment Center si è espresso in favore di questa decisione.

«Abbiamo voluto incoraggiarlo», ha spiegato Annie Laurie Gaylor co-presidente dell’organizzazione ateo-fondamentalista “Freedom From Religion Foundation”. Oltre ad andare contro ogni evidenza storica, è evidente l’insopprimibile intolleranza di queste associazioni -l’UAAR in Italia, ad esempio- contro persone con differente posizione esistenziale, che nulla hanno contro chi ha voltato le spalle a Dio. D’altra parte obbediscono soltanto a quanto ha invitato a fare il loro leader, Richard Dawkins, pochi mesi fa al ”Reason Rally”: «Bisogna prendersi gioco di loro, ridicolizzarli! In pubblico!».

Dan Barker, marito della Gaylor, e fondatore e co-presidente dell’associazione atea, ha dichiarato poco tempo fa che vorrebbe costringere il governo americano a vietare l’uso del termine “Natale” per indicare la festa del 25 dicembre. Sempre negli USA, in gennaio, un raduno di atei -promosso anche dalla “Freedom From Religion Foundation”è stato sponsorizzato attraverso un video musicale in cui si celebra l’incendio di chiese e sinagoghe, il cui testo dice: “F*** al tuo Dio, F*** alla tua fede. Non c’è religione”.

Derisione, mancanza di rispetto, violazione della libertà religiosa, neanche indifferenza come ci si aspetterebbe da chi è “à-theos” (cioè “senza Dio”), ma una continua morbosa ossessione verso la religione, verso la chiesa e verso i credenti. Non a caso il sociologo laico Frank Furedi un mese fa ha affermato: «il nuovo ateismo si è trasformato non solo in una religione laica, ma in una religione secolare fortemente intollerante e dogmatica […]. La minaccia più potente per la realizzazione del potenziale umano proviene oggi, non dalla religione, ma dal disorientamento morale della cultura secolare occidentale». Su “The Guardian”, tre mesi fa, si definivano acutamente così i laicisti militanti: «non soltanto non sono credenti loro stessi, ma hanno un investimento emotivo nell’estirpazione del credo religioso degli altri».

Tutto questo rende evidente che il famoso studio sociologico, che ha scandalizzato l’opinione pubblica nel novembre scorso, nel quale si rilevava che negli USA gli atei sono la categoria di persone meno simpatiche e meno affidabili (visione presente anche nelle popolazioni più liberali e laiche), non è affatto sostenuto dal pregiudizio.

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Paesi Bassi: la cultura della morte propone eutanasia per tutti gli over 70

Quando si parla di bioetica è essenziale avere chiaro il “piano inclinato”, ovvero il concetto per cui quando si apre una breccia sarà difficile impedire che si apra anche l’intera porta. Un passo tira l’altro, è automatico e obbligatorio. Per chi è scettico consigliamo di visionare quanto accade oggi nei Paesi Bassi.

Nel 2002 è stata legalizzata l’eutanasia per i malati terminali che ne facevano richiesta, poi il Canadian Medical Association Journal (CMAJ) ha scoperto che un terzo delle soppressioni avveniva senza autorizzazione da parte del paziente. In seguito, nel St Pieters en Bloklands, un centro anziani di Amerfott, si è deliberatamente deciso di non rianimare i pazienti al di sopra di 70 anni, nel 2011 la Royal Dutch Medical Association (KNMG) ha rilasciato nuove linee guida, per cui si dovrebbero includere tra i beneficiari dell’eutanasia anche chi ha “disturbi mentali e psico-sociali” come “perdita di funzionalità, la solitudine e la perdita di autonomia“.

Da pochi mesi  è attiva un’unità sanitarie mobili composte da medici e infermieri – tutti volontari – disposti a praticare l’eutanasia a domicilio, mentre il New York Times di qualche giorno fa ha informato che l’associazione Right to Die-NL, promotrice dell’eutanasia, non si accontenta e sta facendo pressione perché tutte le persone sopra i 70 anni, malati o no, possano richiederla. E’ un diritto non soffrire,  fisicamente e moralmente, dicono i portavoce della “cultura della morte”.

Ovviamente il prossimo passo di questa corsa verso l’abisso sarà abbassare costantemente il limite di età.

 

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