Il Papa in visita a Milano? Porterà 57 milioni alla città

Il fantasioso gregge anticlericale non è contento della figuraccia a reti unificate di quest’estate, quando ha voluto far credere che la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid avrebbe messo in ginocchio dal punto di vista economico un Paese già stretto dalla morsa della crisi. I membri delle varie associazioni di Atei e liberi pensatori (sic!), hanno accolto i pellegrini con insulti, sputi e bestemmie, come documentano questi video. Poi è arrivata la conferma che la GMG ha prodotto un’entrata di 476 milioni di dollari, di cui 37 milioni sono stati incassati dallo Stato in ragione dell’Imposta sul valore aggiunto (Iva).

Il Papa nei giorni dal 1 al 3 giugno 2012 sarà in visita a Milano in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie (www.family2012.it) e il polverone è puntualmente ripartito, fomentato anche da tristi volti del grande schermo, come Fabio Volo («Volo disperato», come ha commentato Giovanni Fighera  recensendo alcune tristi opere dell’attore milanese).

Ma uno studio della Camera di Commercio di Monza e Brianza ha già affermato che l’evento genererà un indotto economico di oltre 57 milioni di euro, tenendo conto della previsione di almeno un milione di presenze per la messa che il Papa celebrerà domenica mattina al Parco di Bresso. Oltre 52 milioni verranno spesi tra alloggio e ristorazione a Milano e hinterland, spiegano dall’ente camerale, il restante servirà a coprire le spese di trasporti e altri servizi. I costi dell’evento, invece, saranno attorno ai 10.200.000 euro come ha spiegato Daniele Conti, consigliere delegato della Fondazione Milano Famiglie 2012.

La notizia ha stranamente trovato risalto nelle agenzie di stampa, come “Asca”, e qualche quotidiano, come “Libero”. Per ora l’articolo migliore, comunque, è stato pubblicato da “Qelsi, blog d’informazione”.

Ricordiamo che la Caritas ha subito organizzato una raccolta fondi per i terremotati dell’Emilia, Benedetto XVI è stato tra i primi a contribuire donando una cifra simbolica di 100 mila euro, la Chiesa italiana ha invece inviato un milione di euro come primo aiuto. Sarebbe importante che il Comune di Milano potesse a sua volta contribuire destinando parte dei soldi che arriveranno alla città grazie all’Incontro Mondiale delle Famiglie.

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Gran Bretagna: più contraccezione significa più aborti

Nel 2009 il prestigioso “British Medical Journal” ha pubblicato uno studio in cui i ricercatori hanno verificato che le ragazze inglesi a cui era stato fornito un programma contenente informazioni sulla contraccezione mostravano un tasso di gravidanze tre volte e mezzo superiore rispetto alle coetanee che non avevano frequentato quelle lezioni.

In questi giorni sono stati pubblicati dati del Servizio sanitario nazionale relativi al 2010, dai quali si apprende che diminuiscono le interruzioni di gravidanza fra le minorenni ma aumentano in generale – il 5% in più rispetto all’anno precedente – le adolescenti che abortiscono più volteAssuntina Morresi, docente di Chimica fisica all’Università di Perugia e membro del Comitato nazionale di bioetica ha commentato così questi dati: «mostrano che la diffusione massiccia dei contraccettivi, anche con l’educazione sessuale nelle prime classi scolastiche, è una politica fallita: chi ripete l’aborto, specie se giovane, vi ricorre come a un contraccettivo, anche quando altri mezzi sono facilmente accessibili». In Italia, ad esempio, la diffusione della pillola anticoncezionale è fortunatamente fra le più basse in Europa (intorno al 16%), e gli aborti  -come ha confermato l’ultima Relazione del ministero della Salute- sono in costante diminuzione, e lo erano anche prima dell’avvento della “contraccezione di emergenza”.

Cosa produce questa differenza? «È la solidità della famiglia a fare la differenza, è questa nostra straordinaria risorsa, ancora vitale anche se indebolita, la più efficace prevenzione dell’aborto: se i legami familiari sono stabili, se c’è il calore degli affetti solidi dei genitori, di quelli su cui sai di poter sempre contare, un figlio inaspettato non diventa un ostacolo da eliminare», ha spiegato la Morresi. Effettivamente un recente studio pubblicato su The Journal of Law Economics and Organization ha dimostrato che il coinvolgimento dei genitori e l’obbligo del consenso di uno o di entrambi i genitori prima di avere un aborto, porta ad una riduzione dei comportamenti sessuali a rischio tra gli adolescenti.

Al contrario, mettere a disposizione dei giovani metodi per non avere figli, in una cultura pansessualista come la nostra, non fa altro che incoraggiarli ad avere un maggioro numero di rapporti, deresponsabilizzando l’atto sessuale. Il fenomeno vale non solo per l’aborto ma anche per la diffusione dell’AIDS, come ha spiegato in termini tecnici Edward C. Green, direttore dell’AIDS Prevention Research Project al centro Harvard per gli Studi su Popolazione Sviluppo: «C’è un’associazione costante, dimostrata dai nostrl migliori studi, inclusi i “Demographic Health Surveys”, finanziati dagli Stati Uniti, fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi. Questo può essere dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come “compensazione di rischio”, che significa che quando uno usa una ‘tecnologia’ a riduzione di rischio come i condoms, spesso perde il beneficio (riduzione di rischio) “compensando” o prendendo chances maggiori di quelle che uno prenderebbe senza la tecnologia di riduzione del rischio». Vale ovviamente per il condom quanto per la contraccezione.

Pochi mesi fa, anche la rivista medica Contraception si è espressa, pubblicando i risultati di uno dal quale si evince chiaramente che la diffusione della cosiddetta pillola del giorno (che secondo l’American Journal of Obstetrics and Gynaecology” aumenta il rischio di morte per coaguli di sangue del 500%) , dopo è stata acclamata dai pro-choice (o pro-death) come un metodo per ridurre gli aborti, ha semplicemente aumentato i casi di interruzione di gravidanza. Recentemente il dottor David Paton, chairman di Economia Industriale presso la Nottingham University Business School, ha proprio spiegato che«Si vuole sostenere che garantire agli adolescenti un accesso riservato ai servizi di pianificazione familiare e aborto avrebbe avuto un impatto positivo sulla gravidanza adolescenziale e i tassi di aborto. Tuttavia, invece, si può dimostrare che la conseguente riduzione della percezione del rischio porta a un incremento dei comportamenti a rischio, e combinati con il fallimento contraccettivo, non fanno altro che aumentare il tasso di gravidanze adolescenziali».

 

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Il filosofo Iain T. Benson: «l’ateismo è una forma di credenza dogmatica»

Secondo molti pensatori, l’ateismo di fatto non può esistere. Innanzitutto senza Dio l’uomo non può che piegare le ginocchia di fronte ad altri idoli, come efficacemente detto da Karl Barth: «quando il cielo si svuota di Dio, la terra si riempie di idoli», e da G.K. Chesterton: «Gli atei non sono quelli che non credono in niente, ma quelli che credono in tutto». Un approfondimento su questo motivo per cui il vero ateo è una persona estremamente rara si può trovare in questo articolo, in cui si riprende una riflessione del filosofo Samek Lodovici e in questo scritto di Francesco Agnoli.

Inoltre occorre sottolineare che anche l’ateismo è un atto di fede, come correttamente ha fatto notare il filosofo e logico rumeno Henri Wald: «Anche io sono credente. Credo che Dio non esiste» o anche il poeta Valeriu Butulescu: «Gli atei non credono a nulla. Ma io sono credente. Io credo al nulla». Di tutto questo ha recentemente parlato Iain T. Benson, filosofo del diritto a livello internazionale, membro della “Law Society of Upper Canada” e dell’“International Association of Constitutional Law”, ex consigliere del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan e del governatore generale del Canada, Adrienne Clarkson ed esperto nello studio critico dei termini come “pluralismo”, “fede”, “credente”, “non credente”, “liberalismo”, la cui comprensione del termine “laicità”, ad esempio, è stata citata dalla Corte Suprema del Canada e dalla Corte Costituzionale del Sud Africa.

Durante un recente simposio presso l’“Ambrose Centre for Religious Liberty” in Australia, ha spiegato che contrariamente all’opinione popolare, non esiste un qualcosa come un “non credente” e ha poi tentato di correggere l’uso improprio della parola “laico”: «Gli atei, gli agnostici e i religiosi di tutte le forme, sono credenti e tutti hanno la fede. La questione non è se sono credenti, ma piuttosto, ciò in cui credono», ha detto. «I “nuovi atei”», come Christopher Hitchens e Richard Dawkins, «si vantano di “non avere convinzioni”, ma sbagliano. Essi sono uomini e donne di fede, la loro fede è diversa, ma è fede e le loro credenze sono vere convinzioni. Non importa quanto Dawkins e quelli come lui vorrebbero che fossero diverse, gli esseri umani sono “bloccati” come esseri credenti». Il dibattito tra credenti e non credenti, infatti, non è tra coloro che hanno fede e che non ce l’hanno, «ma piuttosto un insieme di lotte pubbliche per il riconoscimento tra sistemi di credenze concorrenti».

C’è un vero e proprio gusto a tirare fuori continuamente i dogmi religiosi, ma -ha spiegato Benson-, «i dogmi degli atei forse sono molto diversi dai dogmi religiosi, ma non significa che siano meno dogmatici. Le loro convinzioni, infatti, emergono dai primi principi della loro fede». Oltretutto essi intendono affermare che le loro credenze debbano essere le uniche ad avere un riconoscimento pubblico, deridendo e costringendo gli altri credenti a forme private di fede. Inoltre, ha continuato, «abbiamo bisogno di recuperare il vero significato della parola “laicità”», sottolineando che oggi viene fatta passare come “non-religiosità” quando invece il suo vero significato deriva dal latino “saeculum”, cioè “mondo”: «Secolare è un termine usato storicamente per distinguere tra le cose che sono state ritenute ‘del mondo’ e quelle che erano espressamente e tecnicamente come ‘religiose’», ha spiegato, con la distinzione tra i credenti che avevano preso i voti religiosi e quelli che non lo avevano fatto. Come ha ribadito la Corte Suprema del Canada, la sfera secolare non deve essere interpretata come esclusione della religione, ma deve dare spazio alle coscienze animate da convinzioni religiose, nonché quelle che non lo sono.

Spesso si intende la “laicità” come la “separazione tra Stato e Chiesa”, cioè una presunta completa neutralità da parte del governo in campo religioso, ma «la separazione tra Chiesa e Stato si riferisce alla competenza giurisdizionale e non dice nulla circa la separazione della religione dalla cultura, è importante che la separazione tra Chiesa e Stato non vada confusa con la separazione della religione e della cultura».

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Richard Lewontin: riconoscere limiti della scienza e del neodarwinismo

Recentemente abbiamo segnalato un bel servizio della rivista di “New Statesman” nel quale sono stati intervistati diversi scienziati in merito ai limiti intrinseci dell’indagine scientifica, proprio l’opposto della teoria che ogni scientista fondamentalista ama esporre, magari mettendo la scienza in competizione con la religione o la filosofia.

Dovremmo aggiungere ai nomi citati in quell’articolo anche quello di Richard Lewontin, biologo e genetista statunitense, luminare dell’Università di Harvard e attualmente considerato da molti il più celebre evoluzionista vivente, e quindi nemico giurato del neodarwinismo, come ebbe a dire in merito all’uscita de “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli 2010), di Piattelli-Palmarini e Fodor: «abbiamo dedicato entrambi energie e inchiostro [lui e Gould] per controbattere alcune delle più famose fra queste derive neodarwiniste, ma pensiamo che sia necessario estirpare l’albero dalle radici; dimostrare che la teoria di Darwin della selezione naturale ha delle falle fatali».

In questi giorni a Venezia si è svolto un convegno internazionale dedicato al suo grande amico Stephen J. Gould, celebre paleontologo (anche lui ovviamente fortemente contrario al neodarwinismo) e Lewontin ha aperto il dibattito con un video-messaggio in cui ha detto: «Scienza e società esistono in simbiosi e ammettere le ombre e i limiti all’interno della scienza aiuta a scoprire la natura dell’uomo e il reale valore della scienza». La scienza, al di là degli strali dei vari Flores D’arcais e Piergiorgio Odifreddi, non è una panacea e occorre nutrire un forte scetticismo ragionevole. Bisogna ben guardarsi, riporta la giornalista scientifica Gianna Milano, dal rischio di vedere la scienza come una nuova religione e gli scienziati come dei nuovi sacerdoti.

I neodarwinisti Daniel Dennett e Richard Dawkins (criticati perfino da Telmo Pievani in “Introduzione alla filosofia della biologia”, Laterza 2005) difendono strenuamente il programma adattazionista, quindi la vecchia concezione evoluzionistica basata sui geni e sul loro presunto egoismo mentre, da sempre, Gould e Lewontin rilevano le barriere che rendono l’evoluzione limitata, non certo onnipotente, più vincolata e determinata dalle contingenze, non libera di viaggiare nella casualità delle variazioni verso l’ottimalità. La selezione naturale non è l’unica causa dell’evoluzione e il darwinismo non è sinonimo di evoluzione.

L’attuale dibattito pare dare ancora più ragione al genetista americano in quanto «sempre più spesso la scienza sta dimostrando che il processo evolutivo ha fatto i conti con molti vincoli che limitano la sua possibilità e forzano i suoi percorsi», come ha sostenuto lo psicologo evoluzionista Matt J. Rossano. L’evoluzione biologica potrebbe essere scientificamente prevedibile (qui e qui, ad esempio) e la nostra comparsa –per dirla con il celebre paleontologo Simon Conway Morris–  non sembra affatto il risultato inaspettato di una storia totalmente contingente, ma è invece in qualche modo qualcosa di implicito nelle leggi dell’Universo.


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Per Emma Bonino l’obiezione di coscienza «è una malattia»

Alla Camera sono state presentate quattro mozioni per dare attuazione a una risoluzione del Consiglio d’Europa del 2010 che tutela l’obiezione di coscienza di medici e paramedici. Il primo firmatario della mozione di estensione e tutela dell’obiezione di coscienza è stato Luca Volontè (Udc), e il testo reca anche la firma del Pd Beppe Fioroni (sempre solo lui del Pd??), di Eugenia Roccella (PDL), Alfredo Mantovano (PDL), Rocco Buttiglione (UDC) e Paola Binetti (UDC), la quale ha scritto anche una interessante riflessione. Le altre mozioni sono presentate dai Radicali, da alcuni democratici e dall’Italia dei Valori.

Come ha spiegato perfettamente il filosofo Tommaso Scandroglio, «l’obiezione di coscienza dal punto di vista giuridico consiste in un riconoscimento da parte dello Stato della maggior importanza dei principi valoriali del soggetto rispetto ad alcune specifiche condotte prescritte come obbligatorie dall’ordinamento giuridico […]. Del riconoscimento dell’oggettiva priorità delle convinzioni personali rispetto ad alcune e ben individuate norme giuridiche. Se vi è conflitto tra le idee del singolo e lo Stato, quest’ultimo decide di fare un passo indietro perché consapevole che le leggi sono fatte per l’uomo e non l’uomo per le leggi».

L’istituto dell’obiezione di coscienza si fonda sull’art. 3 della Costituzione, ma per gli animi nostalgici del comunismo che ancora albergano nella nostra società invece, lo Stato deve imporsi sempre e comunque sul soggetto, privandolo della sua libertà. Non a caso Stefano Rodotà (già militante del Partito radicale e poi indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano), ha affermato: «a più di trent’anni dall’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza, la possibilità dell’obiezione di coscienza dei medici andrebbe semplicemente abolita». 

 L’Associazione italiana per l’educazione demografica, cioè abortisti che martellano sulla bufala della bomba demografica, hanno persino chiesto di promuovere concorsi appositi per medici non obiettori di coscienza, in modo da garantire l’intervento di interruzione volontaria di gravidanza.  Un’idea discriminatoria, ha continuato Scandroglio, «che penalizza l’obiezione di coscienza. Invece obiettare non è una zeppa negli ingranaggi dello Stato, un bastone tra le ruote per le donne che vogliono abortire. L’obiezione di coscienza fa salva la libertà del medico e del farmacista e non ostacola in nessun modo la donna che vuole abortire, la quale semplicemente potrà rivolgersi ad altro professionista».

La leader radicale Emma Bonino, ritratta in questa foto mentre compie un aborto con una pompa di bicicletta in occasione del convegno ha affermato che «in Italia c’è una malattia contagiosa, una epidemia rapida che si chiama obiezione di coscienza».

Perfino la Consulta per la Bioetica Laica è tornata a farsi risentire, dopo aver avvalorato attraverso il suo presidente, Maurizio Mori, la tesi dell’infanticidio promossa da due responsabili dell’Associazione. Ricordano in un comunicato di aver «organizzato una manifestazione nazionale in vista della Campagna contro l’Obiezione di Coscienza in sanità “Il buon medico non obietta”». Il buon medico sopprime la vita umana? Il buon medico è quello che pratica l’infanticidio, così come teorizzato da loro? E’ curioso e paradossale venire a sapere proprio dalla Consulta di Bioetica Laica che l’80% dei medici italiani e l’86% di quelli americani non sarebbe un “buon medico”!

Per chi volesse approfondire l’argomento si invita a leggere questa riflessione di Francesco Viola, ordinario di Filosofia del diritto presso l’Università di Palermo, intitolata L’obiezione di coscienza come diritto”.

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Marco Politi, Vito Mancuso e l’incoerenza di certi “cattolici”

Sull’ottimo blog “Campari E De Maistre” (tra pochi giorni celebrerà un anno di vita) è apparso un interessante articolo di Giuliano Guzzo il quale, ironizzando sul teologo sedicente cattolico Vito Mancuso, ha fatto notare come oggi la Chiesa sia nella sua impostazione ultima (un po’ meno nella gestione della Curia romana) davvero nel solco di Gesù.

E’ proprio l’adesione costante alla Tradizione e la sua superiorità al consenso popolare e alle pressioni sociali sulle “tematiche sensibili” a renderla stabile come la roccia, e anche affascinante. Guzzo ricorda che lo stesso Gesù Cristo, come oggi accade alla Chiesa, subiva la fatica dell’incomprensione. Molti gli andavano dietro, ma poi quasi tutti lo hanno tradito (addirittura qualcuno tre volte), scappando impauriti dopo la sua cattura. Gli stessi che -come viene descritto nel Vangelo di Giovanni- «dopo aver udito» quello che Gesù aveva predicato, «dissero: “Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?”» (Gv, 6:60). Già allora, commenta Guzzo, c’era chi si lamentava, chi trovava difficilmente praticabile il messaggio cristiano. Il Figlio di Dio però non si impaurì e non cercò di farsi più attraente, ma continuò dritto per la sua strada. Al punto che «da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv, 6:66), al punto che perfino i suoi amici più stretti furono sul punto di lasciarlo: «Perciò Gesù disse ai dodici: “Non volete andarvene anche voi?”» (Gv, 6:67). Gesù non cambiò rotta, anche a costo di restar solo. «Forse per testardaggine, forse perché non aveva letto Mancuso o forse perché quanto aveva da dire – e da testimoniare – aveva, ed ha, un prezzo “non trattabile”», commenta opportunamente il giornalista. Cristo, come oggi la Chiesa, non era molto interessato alla popolarità. La Chiesa cattolica (al contrario di quelle protestanti, dove una parrocchia su tre scomparirà entro cinque anni proprio per questo) non ha nessun interesse ad abdicare dalla sua posizione, allontanandosi dalla Tradizione, per apparire al passo coi tempi. Nella società liquida di oggi, l’unico luogo rimasto solido è proprio questo.

La Chiesa agisce oggi come agì Gesù durante la sua vita pubblica, nonostante sedicenti cattolici come Vito Mancuso e Marco Politi pretendano il contrario, ricattati dal consenso popolare. Ma è la loro posizione ad essere incoerente con la loro fede, perché contrari alla posizione del Papa e della Chiesa a cui dicono di appartenere (altrimenti si definirebbero semplicemente “cristiani”). La nota dottrinale del 2002 rivolta ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica, è chiara: «sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa». E ancora: «il Magistero della Chiesa […] pone certamente un dovere morale di coerenza per i fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria». Benedetto XVI ha a sua volta strigliato nel 2009 proprio i sedicenti “cattolici adulti”: «La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. È la fede che egli vuole. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo». Questo tipo di fede “adulta”, significa, continua il Papa, impegno a favore della vita umana dal concepimento alla morte naturale, a favore del matrimonio tra uomo e donna, ecc.

La filosofa Roberta De Monticelli, ad esempio, ha evitato a se stessa di essere profondamente incoerente e ha fatto abiura del cattolicesimo perché ha capito che la Chiesa non ha la minima intenzione di aprire all’eutanasia come lei vorrebbe. Mentre Politi e Mancuso si illudono di piacere al mondo correndo dietro alle mode del momento, diffamando la Chiesa e proponendo la disobbedienza con lo scopo di farle cambiare idea su certe tematiche (è il Papa che dovrebbe adeguarsi alle omelie di Politi e Mancuso, in poche parole). Un “atteggiamento infantile”, secondo il Pontefice, come appunto lo sono i capricci dei bambini per condizionare la volontà dei genitori. “Non volete andarvene anche voi?” domanderebbe ancora una volta Gesù…non è un invito ad andarsene, ma un invito a riflettere perché chi ci perde più di tutti in questa situazione sono loro, e le persone confuse che li seguono.

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Pinguini gay: il “Corriere della Sera” e le marchette alla lobby Lgbt

Non passa giorno che il “Corriere della Sera” non offra ai lettori del suo sito web una storiella, spesso sciocca e frivola, a sfondo omosessuale: Gigi ha detto di amare Lucio, Gina ha dato un bacio saffico a Nunzia, il portaborse dell’ex consigliere dell’assessore alle pari opportunità del comune di Pizzo Calabro ha detto di essere favorevole alle nozze gay, e così via. Titoli sparati e contenuti miseri,  offensivi a nostro avviso, innanzitutto per gli stessi omosessuali che si vedono citati solo per banalità da giornaletto di gossip. Ma si sa, l’opera di “gayzzazione dell’Occidente”, come dice l’omosessuale Walter Siti, e dell’Italia, passa  principalmente dal martellamento ossessivo sul popolo bue.

Il 23 maggio si legge sul quotidiano di Ferruccio De Bortoli: “Un «figlio» per la coppia di pinguini gay”. Interessante osservare quelle virgolette attorno alla parola “figlio”…nessuna protesta e macchina del fango contro il “Corriere” (anche se si tratta di animali), da parte della lobby omosessuale, che però scatta quando Francesco D’Agostino fa notare, con grande realismo, che «il matrimonio gay è naturalmente sterile». L’articolo, a dir poco comico se si pensa che siamo sul “primo” quotidiano italiano, è firmato da un certo Elmar Burchia, abbastanza preso in giro dalla rete per scrivere «dei più svariati argomenti senza avere la benché minima competenza in niente» (altri esempi qui e qui) e per, fatto un po’ più grave, per avere il vizietto –così si legge– di copiare le notizie che poi spara sul “Corsera”.

Il testo incomincia subito equiparando palesemente l’adozione omosessuale umana e quella animale, per poi specificare che si vuole parlare di «due esemplari maschi di pinguini “innamorati”» nello zoo di Madrid, che «fanno discutere». Secondo l’autore dunque ci sarebbe una polemica in corso (inventarsi una finta polemica per istigarne una vera è la stessa tecnica usata, ad esempio, da Eleonora Bianchini quando ha commentato un nostro articolo sull’ex omosessuale Adamo Creato, a cui abbiamo ironicamente risposto fin dal titolo). Burchia ha quindi citato il custode dello zoo: «Si amano e si corteggiano l’un l’altro come fossero maschio e femmina perciò volevamo dare loro un qualcosa per il quale potessero stare insieme e per questo un mese fa gli abbiamo dato un uovo, per evitare che si deprimessero». Una frase strana quest’ultima, quasi offensiva, che però è completamente inventata dal giornalista del “Corriere”, dato che il custode non l’ha mai pronunciata.  Burchia cita anche la responsabile dei due pinguini, Yolanda Martin, la quale ha il merito di confutare completamente la notizia: «La donna, però, sottolinea che la coppia, in verità, non è gay: “Si tratta solo di due grandi amici“», scrive il giornalista. Si scopre, dunque, che non sono pinguini gay, che il titolo è sbagliato e lo è anche tutta l’introduzione dello stesso giornalista. Nonostante la rivelazione della donna, Burchia comunque continua come se nulla fosse e conclude: «Non è la prima volta che “pinguini gay” salgono agli onori delle cronache».

L’importante, appare evidente, è buttare in pasto ai distratti lettori la notizia che anche negli animali è presente l’omosessualità, sperando che non leggano tutto l’articolo. C’è negli animali? Dunque è qualcosa di naturale, da approvare e incentivare, da prendere a modello. Argomento pericoloso e controproducente perché è fin troppo facile far notare che nei pinguini esiste anche l’ex omosessualità, come per  famosi duedi San Francisco, e anch’essa sarebbe allora naturale, da accogliere e legittimamente da incentivare. Allo zoo di Toronto invece, i due pinguini gay, sono stati allontananti con la forza, guarda caso per salvare la specie (ma attenzione: è vietato dire che è un rapporto sterile!!).

Grazie a questa ennesima marchetta del “Corriere della Sera” alla lobby gay, il sito web di “Tempi” ha pubblicato un articolo interessante svelando le evidenti pressioni ideologiche che si celano dietro ad articoli del genere: «se lo fanno gli animali, perché dovrebbero farsi dei problemi i bipedi umani, che sono animali pure loro?». Peccato che, continua l’autore dell’articolo, a questo punto «gli umani pedofili potrebbero ben rivendicare la naturalità delle loro pratiche: hanno l’abitudine di accoppiarsi con esemplari non ancora sessualmente maturi sia le talpe che gli ermellini. E lo stesso potrebbero fare gli stupratori, dato che il sesso forzato è molto diffuso in natura. È praticato sia fra gli insetti (da alcune varietà di ragni) che fra i mammiferi (da erbivori che presentano una forte differenza di stazza fra il maschio e la femmina). Per non parlare degli uccelli: soprattutto oche e anatre arrivano al rapporto sessuale vero e proprio con una serie di violenti assalti alla femmina». Per gli scarabei d’acqua lo stupro è sistematico, anche i delfini dal naso a collo di bottiglia sottomettono la femmina in gruppo. «Il cannibalismo sessuale è un’altra pratica piuttosto diffusa nel mondo animale. In particolare fra i ragni e le mantidi l’uccisione e la divorazione del partner a rapporto avvenuto è molto comune», continua. In una coppia di germani reali è stata osservata perfino la necrofilia (in versione omosessuale) e lo stesso nel rospo delle canne (anche con oggetti inanimati).

La conclusione è ottima: «Volete davvero prendere a modello la sessualità del mondo animale per giustificare la pretesa di “normalizzare” le coppie omosessuali umane e altro ancora? Andate avanti prima voi, noi restiamo dove siamo».

 

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Sette scienziati contro Richard Dawkins e l’onnipotenza della scienza

Nel mondo esiste ancora qualcuno (si veda foto a sx) che ritiene che la scienza sia in competizione con la religione (e la filosofia), addirittura una alternativa ovviamente più efficiente a fornire risposte. “Più scienza e meno religione”, dicono i devoti dei secoli bui dell’Illuminismo (sempre foto a sx). La fallacia di tale argomentazione consiste nel concepire la fede in Dio come una sorta di “tappabuco” al non (ancora) comprensibile, alle lacune della conoscenza, come frutto dell’ignoranza umana. Ma nessuno crede a questo dio, non certamente i cristiani.

Anzi, come ha spiegato John Lennox, docente di fisica e matematico presso l’Università di Oxford: «per il cristianesimo, e solo per esso, Dio non è certo una spiegazione alternativa alla scienza e perciò non può puramente essere inteso come “Dio delle lacune”. Al contrario, Dio è la ragione di ogni spiegazione». Il suo collega di Oxford, il filosofo Richard Swinburne ha approfondito: «io non sto presupponendo un “Dio delle lacune”, un dio al puro scopo di spiegare le cose che la scienza ancora non ha spiegato. Io sto presupponendo un Dio allo scopo di spiegare perché la scienza spiega; io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per spiegare perché la scienza spiega» (da “Fede e scienza”, Armenia 2009, pag. 56-57).  Segnalare i limiti della scienza non significa dunque avvallare “l’ipotesi di Dio” (non c’è concorrenza), ma soltanto far crollare il “credo” scientista-riduzionista, acquisito dai cosiddetti “New Atheist” per giustificare la loro irreligiosità.

La limitatezza dell’indagine scientifica è proprio il filo rosso che ha collegato la maggior parte delle interviste recentemente realizzate dalla rivista “New Statesman” a scienziati ed epistemologi. Iniziamo citando Richard Dawkins, il gran sacerdote dell’ateismo scientifico internazionale, proprio per sottolineare le enormi differenze dagli altri:  «sappiamo che, se vi è una domanda circa l’universo a cui la scienza non potrà mai rispondere, allora non potrà farlo nessun altra disciplina», ha affermato rispondendo. Dawkins qui intende con “universo” ogni cosa esistente, quindi anche l’uomo e le sue domande, i suoi “perché ultimi” e le sue aspirazioni. Infatti lo ribadisce dopo: «La scienza è la nostra migliore speranza per rispondere alle domande profonde dell’esistenza […]. C’è qualcosa che la scienza non deve cercare di spiegare? No, non c’è».

 

Paul Davies, fisico, celebre divulgatore e direttore del programma “SETI”, è più serio e riflessivo e ha risposto: «La mia sensazione è che il metodo scientifico ha il potere di rappresentare e collegare fra loro i fenomeni dell’universo, compresa la sua origine, utilizzando le leggi della natura. Ma ciò lascia inspiegata l’esistenza delle leggi». «Gli scienziati», continua Davies, «normalmente accettano le leggi come “dato” […]. Così forse le leggi fondamentali della natura saranno sempre off-limits per la scienza».

Martin Ress, astronomo e  presidente della Royal Society, discostandosi ovviamente da Dawkins, sembra concordare con Davies: «la nostra intelligenza non può allungarsi fino agli aspetti più profondi della realtà […]. Ci sono dei limiti intrinseci al potere predittivo della scienza».

Peter J. Bussey, fisico delle particelle presso l’University of Glasgow, ha affrontato così la questione«ci sono aree in cui la fisica non può dare risposte, come le considerazioni metafisiche: domande sulla fisica. Ancora più importante, la fisica non può trattare la nostra coscienza e la nostra natura di persone umane. La natura della coscienza è al di là del metodo e dell’apparato concettuale della fisica. Le teorie fisiche più intelligenti non servono a nulla qui, la fisica ha un mandato limitato e non è impostata per affrontare ciò che realmente significa essere umani. Procuste filosofie che cercano di ridurre l’umanità verso il basso per inserirla in un letto di fisica, sono una pericolosa illusione e devono essere evitate».

Precious Lunga, epidemiologo, è sulla stessa linea«ci sono domande che si trovano al di là del mondo materiale e sono meglio affrontate dalla filosofia in quanto non riconducibili al metodo scientifico, e di conseguenza non vale nemmeno la pena cercare di spiegarle attraverso la scienza».

Denis Alexander, direttore del “Faraday Institute for Science and Religion” presso il St Edmund’s College (Cambridge), ha offerto la risposta più interessante: «La scienza per definizione è in grado di fornire, almeno in linea di principio, complete spiegazioni nomologiche per quegli articoli che si trovano all’interno del suo dominio. Ma la maggior parte delle cose che richiedono una spiegazione si trova al di fuori della competenza della scienza, comprese le spiegazioni assiologiche (perché lo stupro è sbagliato, perché penso che questa pittura sia bella…)». Ha quindi continuato, ribattendo a Dawkins: «non c’è nulla che la scienza non dovrebbe cercare di spiegare, a condizione però che quel che vuole spiegare sia all’interno del suo dominio. Purtroppo, non tutti gli scienziati fanno questa distinzione, portando ad una perdita di tempo e denaro pubblico, oltre all’imbarazzo verso la comunità scientifica». Ovviamente non sta parlando del -seppur imbarazzante- Piergiorgio Odifreddi, dato che non è né scienziato, né è considerato dalla comunità scientifica. Il biologo ha poi sottolineato anche la distinzione tra «scienza e scientismo, cioè l’idea che la spiegazione scientifica sia l’unica che conta».

Richard Swinburne, professore emerito di filosofia presso l’Università di Oxford  ha confermato quanto detto in altre occasioni: «la scienza non potrà mai spiegare perché ci sono leggi di natura che coprono il comportamento di tutti i fenomeni fisici. Questo perché la spiegazione scientifica del funzionamento delle leggi di un livello inferiore contiene la causa del funzionamento delle leggi ad un livello superiore in certe condizioni fisiche». Con acutezza ha affrontato anche la controversa questione del Multiverso: «ci sono innumerevoli multiversi logicamente possibili, disciplinati da leggi diverse e con differenti caratteristiche generali che non produrrebbero mai un universo in cui ci sia un pianeta dove gli esseri umani potrebbero evolversi. Quindi, se vi è un multiverso, ciò che la scienza non potrà mai spiegare è perché tale multiverso è di natura tale da produrre un universo “finemente regolato” per la produzione di esseri umani».

Derek Burke, biochimico e attuale vice-rettore dell’University of East Anglia, ha offerto il suo contributo : «come cristiano credo che ci sia uno scopo ultimo nel tentativo di spiegare l’intero mondo naturale. Sappiamo tutti che la scienza opera rispondendo al “come funziona?”. Ma se si chiede anche il “perché funziona?”, “che scopo ha la mia vita?”, questo è il genere di domande a cui la fede religiosa pretende di rispondere e a cui non può dare risposta la scienza e non lo farà mai, perché non è configurata per fare questo. Quindi abbiamo due tipi di domande, e due tipi di risposte, che si completano a vicenda. Abbiamo bisogno di etica e abbiamo bisogno di valori, e questi vengono dal di fuori della scienza. La scienza non è sufficiente».

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Archeologia: scoperta la prova dell’esistenza della città biblica di Betlemme

Nel 2009 archeologi israeliani dell’Autorità per le Antichità di Israele hanno rinvenuto a Nazareth i resti di una piccola casa ad uso privato, databili al periodo in cui visse Gesù. Questa abitazione sorge di fronte alla Basilica dell’Annunciazione (luogo in l’angelo Gabriele annunciò alla Madonna che avrebbe dato alla luce il figlio di Dio), costruita nel 1969 sopra i resti di tre chiese precedenti, la più antica delle quali risale al periodo bizantino (IV secolo).

Yardenna Alexandre, responsabile di questi scavi archeologici, disse: «Secondo le rare fonti scritte esistenti (tra cui anche i Vangeli), sappiamo che nel primo secolo della nostra era Nazareth era un piccolo villaggio ebraico, situato in una valle. Finora era stato trovato anche un certo numero di tombe dell’epoca di Gesù, ma non si era mai scoperto alcun resto che potesse essere attribuito a questo periodo». La scoperta portò con sé una domanda: perché i primi cristiani hanno conservato questa casa, mentre non si sono curati delle case attorno ad essa? Resta il fatto, comunque, che venne dimostrato che Nazareth non solo esisteva al tempo di Gesù, ma era anche abitata.

In queste ore un’altra notizia ha fatto il giro del mondo: è stato infatti rinvenuto a Gerusalemme un sigillo che riporta la più antica menzione di Betlemme mai trovata, risalente a 2700 annni fa, nel periodo del periodo del I° tempio (1006 – 586 aC.  a.C.). Betlemme è stato il luogo di nascita di Gesù. «La Bibbia parla di Betlemme, ora vi è la prova che questa città allora esisteva, e si dimostra che era una città del Regno di Giuda, e forse anche esistente in periodi precedenti», ha dichiarato Eli Shukron, archeologo dell’Autorità israeliaina per le antichità.

La scoperta è significativa perché è la prima volta che il nome “Betlemme” appare al di fuori di un testo biblico (dove è citato 41 volte). Il sigillo è stato probabilmente utilizzato per marcare documenti di amministrazione fiscale, inviati poi a Gerusalemme, sede del potere di allora. E’ stato scoperto diversi mesi fa, dicono gli archeologi, ma ci è voluto del tempo per confermarne l’identità. Questa è la prima prova extrabiblica dell’esistenza della città di Betlemme al tempo di Gesù.

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Identità di genere: pericolosa costruzione intellettuale

Il colpo vincente per l’incredibile successo dell’omosessualità nel mondo occidentale è stato offerto dalla cosiddetta “teoria dell’identità di genere” (o “del gender”), ovvero l’ideologia per cui non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali. Il sesso sarebbe l’aspetto biologico dell’essere umano, e il genere sarebbe la costruzione sociale o culturale del sesso, ovvero chiunque potrebbe determinare il proprio genere e modificarlo a suo piacimento (secondo la “Australian human rights commission” l’essere umano si distingue in ben ventitré generi: uomini, donne, omosessuali, bisessuali, transgender, trans, transessuali, intersex, androgini, agender, crossdresser, drag king, drag queen, genderfluid, genderqueer, intergender, neutrois, pansessuali, pan gender, third gender, third sex, sistergirl e brotherboy).

Dagli anni’50, ha spiegato lo psicologo Roberto Marchesini, si è sostenuto che nascendo “maschi” o “femmine” si poteva diventare qualsiasi cosa, e non necessariamente “uomini” e “donne”. Un recente articolo di Marguerite Peeters, esperta nel campo delle organizzazioni internazionali e dei diritti umani, fondatrice nel 2003 a Bruxelles dell’Institute for Intercultural Dialogue, ha affrontato la questione.  Contestualizza il problema riconoscendo «un pericolo in un processo definibile come globalizzazione che s’impone dall’alto e che, sotto forma di pari diritti e di non discriminazione, utilizza i canali del governo mondiale per cercare di adattare un consenso a interessi particolari, attraverso un uso manipolatore del linguaggio nel corso del processo di costruzione di tale consenso. Non possiamo negare l’esistenza di una lotta culturale, politica e giuridica che ha luogo in questo forum riguardo all’identità sessuale, all’orientamento sessuale, al contenuto dei diritti e al senso dell’universalità. In questa lotta il linguaggio è un fattore critico». C’è una vera e propria strategia sul linguaggio, come già è stato rivelato da un nostro collaboratore ex omosessuale.

Il termine “genere” è entrato nel dibattito pubblico, secondo la Peeters, nelle conferenze dell’Onu degli anni Novanta, ed è stato al centro della parità dei sessi, divenendo quest’ultima una condizione dell’aiuto allo sviluppo. Tuttavia, ha continuato, «i sociologi e gli psicologi appartenenti all’intellighenzia postmoderna occidentale, dalla metà degli anni Cinquanta, hanno elaborato un significato molto diverso. Nutrendosi allo stesso tempo del femminismo radicale e del movimento omosessuale (che hanno entrambi lottato per ottenere l’uguaglianza solo in termini di potere sociale), hanno distinto il genere dal sesso, limitando il sesso alle caratteristiche biologiche che definiscono uomini e donne, e utilizzando il genere in riferimento a quelli che consideravano essere i ruoli socialmente costruiti dalla società per uomini e donne». Le conseguenze sono state immediate, poiché hanno trattato «la maternità, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la complementarietà tra i due, l’identità sponsale della persona umana, la femminilità e la mascolinità, l’eterosessualità, come altrettante costruzioni sociali o stereotipi che sarebbero contrari all’uguaglianza, discriminatori e, pertanto, da decostruire culturalmente». Ha quindi concluso: «L’agenda del genere fa divorziare la persona umana da se stessa, per così dire dal suo corpo e dalla sua struttura antropologica. Così radicalmente ridefinito, il genere è una pura costruzione intellettuale, difficile da cogliere per le culture non-occidentali».

L’assurdità della teoria del genere, ovvero della separazione del sesso dal genere sessuale è provata dall’esperimento sulla sessualità del dottor John Money –pioniere del cambio di sesso e teorizzatore dell‘Identità di genere-, e dalla drammatica e nota vicenda di Bruce (David) Raimer, fratello gemello omozigote di Brian, a cui durante un intervento chirurgico da neonato, venne accidentalmente bruciato il pene. Portato dal dr. Money venne usato come cavia e trasformato in Brenda, ordinando ai genitori di educarlo come una bambina. Tuttavia Bruce/Brenda, che nulla sapeva di tutto questo, crebbe ovviamente con atteggiamenti prettamente maschili, venne rifiutato dai coetanei maschi e femmine con conseguenti problemi psicologici. Il dr. Money consigliò di girare nudi per casa, frequentare spiagge per nudisti, andare a vivere in un camper isolati fra le montagne, ma nulla servì. Bruce/Brenda venne così bombardato di terapie ormonali e filmini pornografici e venne deciso che i due gemelli dovessero essere adottati da un transessuale (per convincerli che era tutto normale), ma Bruce/Brenda minacciò il suicidio e rifiutò completamente la sua identità. La famiglia rivelò la verità, Bruce/Brenda si amputò il seno e si volle chiamare David Reimer, tentando inutilmente di ricostruirsi una vita sposando una donna. Dopo aver tentato di assassinare il dottor Money, il 5 maggio 2004 si suicidò. Money, paladino degli omosessuali e dei transessuali, ha invece concluso la sua vita diventando il portabandiera anche dei pedofili, avendo tentato di giustificare scientificamente la normalità dell’attrazione sessuale verso i bambini (un altro genere sessuale?).

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