I cattolici perseguitati sotto il regime ateo cinese

In Italia, i sedicenti alfieri dei cosiddetti “diritti civili” o “diritti delle minoranze”,  come Giuseppe Cruciani e Pierluigi Battista, stranamente parlano soltanto di gay e della loro presunta discriminazione (come si può sentirsi discriminati avendo la totalità del potere mediatico dalla propria parte pronto a tacciare di omofobia chiunque osi esprimere un punto di vista differente? Come si può ritenere attendibili indagini sulla discriminazione basate su auto-dichiarazioni degli stessi omosessuali? Come si può sentirsi discriminati contando su schiere di riviste, giornali, social network e siti web con cui far sentire la propria voce? Come si può sentirsi discriminati sapendo che in Parlamento siedono politici con l’unico compito di occuparsi dei “diritti dei gay”?).

Se questi paladini dei diritti umani fossero davvero tali, si occuperebbero anche di altre discriminazioni (quelle vere, e non politicamente corrette), come ad esempio dei cristiani e degli atei perseguitati, incarcerati e messi a morte dai regimi islamici e induisti. O dei cattolici perseguitati sotto l’ateo-comunismo di stato cinese.

Nessuno lo fa, per questo è importante segnalare l’uscita del libro di Francesca Romana Poleggi, “La persecuzione dei cattolici in Cina” (ed. Sugarco 2012), scritto per la fondazione Laogai Italia (www.lagoai.it). L’autrice ha presentato a “Tempi.it” il suo libro, spiegando la pericolosità di essere cattolici sotto il regime comunista cinese: «Sì e non c’è da stupirsi perché il Partito cinese (Pcc) è comunista e in quanto tale si rifà al pensiero ateo e materialista di Mao, che l’ha ripreso da Marx. Quando uno Stato è totalitario, pretende di essere lui il Dio da adorare e così per le religioni non rimane più spazio. Chi non mette al primo posto della scala di valori la fede nel Partito comunista è considerato un criminale e finisce in prigione o nei laogai o agli arresti domiciliari. Era così negli anni 50, ai tempi di Mao, ed è così oggi nella Cina dell’apertura e del rilancio economico».

Questa lettura è confermata proprio dalle parole di Zhu Weiqun, Vice ministro esecutivo del Dipartimento del Fronte Unito di lavoro: «ai membri del Partito è vietato credere nella religione, questa è sempre stata una regola costante nel Partito Comunista», chiedendo il  rafforzamento dell‘identità marxista e atea all’interno del Partito. Il dittatore ateo Mao odiava la religione ma sapeva che non è possibile estirpare gli uomini da Dio, così «nel 1957 ha fondato l’Associazione patriottica (Ap), ente legato al Pcc esistente tutt’oggi che offre un surrogato della religione cattolica. La cosiddetta “Chiesa ufficiale”, che si potrebbe chiamare “Chiesa di Stato” o “Chiesa aperta” organizza messe, catechismo, ordinazioni vescovili come se fosse la Santa Sede», ha continuato la Poleggi.  Una Chiesa comandata dal Partito, come spiega bene Marco Respinti su “Libero”.

Ma la Chiesa cattolica esiste, è sotterranea e molto viva e per questo subisce fortissime repressioni. Nonostante tutto, «è in atto una rinascita religiosa senza precedenti che il governo comunista non si spiega e non riesce a fermare. Sono impossibili stime ufficiali, ma si calcola che il numero dei cattolici vada dai 20 agli 80 milioni. E il rapporto tra fedeli della Chiesa di Stato o aperta e quelli della Chiesa sotterranea è di uno a quattro». Viene incarcerato chi prega e chi possiede una Bibbia, 15 vescovi sono in prigione. La violenza colpisce anche le donne, pochi giorni fa ad esempio è stata multata una coppia per 1,3 milioni di yuan dopo il parto della secondo figlia, in linea con la politica abortista del figlio unico.

Inutile ricordare che, dell’uscita di questo libro, nessun sedicente attivista dei diritti umani ha parlato.

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Convivenza e coppie di fatto? La ricerca dice no: meglio puntare sul matrimonio

Il più grande nemico del cristianesimo, il filosofo Friederich Nietzsche parlava del matrimonio come «la forma più menzognera dei rapporti sessuali, ed è per questo che gode dell’approvazione delle coscienze pure». Nemmeno su questo ci ha preso, e non è certo un caso che poi è finito in solitudine a parlare ed abbracciare un cavallo.

Esiste oggi, infatti, un’enorme mole di studi scientifici a sostegno delle convinzioni delle “coscienze pure”, i quali dimostrano senz’ombra di dubbio come le coppie di fatto, le convivenze, i rapporti pre-matrimoniali, la contraccezione, e il divorzio siano deleteri per la salute dei soggetti coinvolti, per la qualità della loro relazione sentimentale e sopratutto per i bambini che con loro crescono. Una società che metta sullo stesso piano scelte precarie, non definitive, temporanee come le coppie di fatto all’impegno pubblico della promessa dell’amore, della fedeltà, dell’onore e della durata della loro unione fino alla morte, orientandosi alla generazione ed educazione della persona umana, come fanno i due sposi nel matrimonio, commette un grave errore.

Riteniamo profondamente sbagliato trattare i “quasi matrimoni” come fossero un vero matrimonio, anche perché quest’ultimo è fondato su di una serie precisa di diritti e di doveri, che i liberi conviventi hanno volontariamente abiurato proprio nel momento stesso in cui hanno voluto esprimere il diritto di libertà – costituzionalmente garantito – di affrancare la loro vita affettiva da qualsiasi schema giuridico. Soltanto un’unione stabile e impegnata, tra l’uomo e la donna, permette un futuro equilibrato e sicuro alla società. Ogni uomo, infatti, necessità di certezza e di stabilità per costruire i suoi rapporti affettivi e sociali. Si costruisce per rafforzare e mantenere, non per fare tentativi e poi abbandonare e distruggere ciò che si è costruito.

UCCR ha voluto dimostrare oggettivamente questa convinzione, comunicata da secoli e secoli dalla saggezza della Chiesa cattolica, attraverso un dossier apposito contenente un corposo elenco di studi scientifici realizzati dal 1984 al 2012 (in costante aggiornamento):

 

La famiglia tradizionale è migliore della convivenza e la coppia di fatto

 

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Rimane il divieto della eterologa, ma avanza il relativismo giuridico

 

di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

Lo scorso 22 maggiola Corte Costituzionale, adita per giudicare della legittimità costituzionale del comma terzo dell’art. 4 (“E’ vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”) della legge 40/2004, ha restituito la questione e gli atti ai giudici ( di Firenze e di Catania ) che avevano sollevato i dubbi di costituzionalità della norma in questione.

Bisogna cominciare dall’inizio, cioè dallo statuto etico-giuridico dell’embrione, i diritti del quale sono positivisticamente tutelati proprio dall’art. 1 della legge 40/2004 disciplinante le tecniche di PMA, e che oltre ad essere oramai riconosciuto come ente autonomo dalla genetica e dall’embriologia, è anche tutelato nell’ambito etico-giuridico come qualcosa di più di semplice materiale organico. Del resto, lo stesso Comitato Nazionale perla Bioetica si è espresso in questo senso, cioè nell’obbligo di osservare la posizione giuridica ed etica dell’embrione, già con il suo parere del 1996.

Osserva sul punto il costituzionalista americano dell’Università di Princeton Robert George che «l’adulto che oggi siamo è lo stesso essere umano che, in una fase precedente della propria vita, era un adolescente e prima ancora un bambino, un neonato, un feto ed un embrione.[…] Un embrione umano non è qualcosa di diverso, nella specie, da un essere umano, come lo è una roccia, una patata o un rinoceronte. Un embrione è un individuo umano nel primissimo stadio del suo sviluppo naturale.[…] Le fasi embrionale, fetale, neonatale, infantile ed adolescenziale sono esattamente questo, fasi nello sviluppo di una determinata e perdurante entità ( l’essere umano ) che nasce come organismo monocellulare ( zigote ) e si sviluppa, se tutto va bene, fino alla fase adulta molti anni dopo».

Tutto ciò premesso, da costituire parte integrante e punto fermo e fondamentale per ogni ulteriore considerazione, per mezzo della recente decisionela Corte Costituzionale non ha eliminato il divieto di procreazione eterologa, richiamandosi alla sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del novembre del 2011 con cui fu dichiarato legittimo l’analogo divieto di procreazione eterologa posto dalla legge austriaca in quanto, secondo la toga europea, esso era in linea con le tradizioni culturali ed etiche dell’Austria e poiché in simili questioni deve sempre essere riconosciuta la autonomia dei singoli Stati per legiferare.  Tuttavia la decisione recente della Corte Costituzionale è in sostanza una decisione che scontenta tutti in quanto si fonda su una pronuncia, quella europea, che è fondata più su motivi ideologici e politici che su salde fondamenta giuridiche.

Essendo resa la decisione della CEDU volatile dalla insostenibile leggerezza del relativismo giuridico che la struttura visceralmente dall’interno ( in sostanza: ogni Stato faccia come crede perchè ci sono tanti buoni motivi per ammettere l’eterologa, quanti buoni motivi per vietarla, o meglio non ci sono motivi sufficienti né per ammetterla, né per negarla ), la pronuncia della Corte Costituzionale che ad essa si riferisce non può che essere contagiata dallo stesso esiziale morbo, cioè l’incapacità di trovare una ratio juris, di carattere eminentemente gius-filosofico, della norma che consente o vieta la procreazione eterologa. Per questo sarà molto probabile che nei prossimi mesi o anni la norma tornerà all’attenzione delle toghe nazionali.

Ma proprio a questo punto si giunge al punctum dolens. Chi sostiene la legittimità della eterologa, ritiene, in sostanza, che essa rappresenti un bene in quanto si concede l’occasione ad una coppia, altrimenti impossibilitata, di avere un figlio (pur non rendendosi conto della contraddizione interna di un simile ragionamento, poiché ricorrendo ad un donatore di ovulo o di sperma, il figlio non sarà mai effettivamente ed interamente della coppia sterile o infertile, ma di uno dei due componenti della coppia e del terzo donatore). Chi sostiene la illegittimità giuridica ed etica, invece, sottolinea che il problema della soddisfazione di un desiderio di genitorialità non può tradursi in una pretesa giuridica alla genitorialità, cioè in un diritto alla genitorialità, o meglio, in un diritto al figlio, poiché se un tale diritto fosse davvero configurabile, soggetto del diritto sarebbero i genitori (e si dovrebbe avere la capacità di considerare sempre e di superare l’antinomia già delineata sul ruolo genitoriale), ma oggetto del diritto sarebbe il figlio.

Una elementare cognizione dei più rudimentali principi di filosofia morale dovrebbe già lasciar trasparire la difficoltà insita nel considerare un soggetto (il figlio) come un oggetto dei diritti di altri soggetti (i genitori). Non occorre scomodare la solida tradizione illuministica dell’etica kantiana (quella per cui l’umanità degli altri deve essere considerata sempre come fine e mai come mezzo), per comprendere che un ente o è oggetto o è soggetto di diritti. A ciò aggiungasi che la natura del diritto non consiste nella mera legalizzazione dei desideri dei singoli o nella mera copertura formale delle istanze sociali storicamente determinate; il diritto esprime ciò che è giusto, cioè ciò che è razionale: e, come si evince, non è razionale, poiché non è logicamente componibile nella sua insanabile contraddizione, trattare un soggetto (il figlio) come un oggetto (dei desideri dei propri genitori).

Se così non fosse perché non riammettere la schiavitù? Perché celebrare la shoah? Perché punire la tratta di essere umani? Perché vietare in tutta Europa la maternità surrogata a pagamento? Perché considerare tante condotte umane (la prostituzione, la compravendita dei voti, la compravendita degli organi umani, l’omicidio rituale, lo sterminio economicamente giustificato e pianificato, il sacrificio umano, solo per fare qualche esempio) eticamente e giuridicamente illegittime? Il divieto di procreazione eterologa, allora, trova una sua più profonda e più umana, cioè più etica e razionale, giustificazione nell’impossibilità di trattare una persona, a prescindere dal suo stadio di sviluppo, dalla sua posizione sociale o economica, dalla sua stessa concezione della vita e del diritto, come un mero oggetto per la soddisfazione dei desideri o delle necessità altrui.

Ecco allora che quanti sostengono il diritto al figlio non colgono il rischio di stravolgere il senso stesso del diritto, di usarlo contro il figlio, cioè di negare, in definitiva i diritti del figlio stesso. Tramite una traballante e scricchiolante giurisprudenza europea e nazionale, di merito e costituzionale, esplode il paradosso notato dal filosofo Marcel Gauchet: il desiderio del figlio, si trasforma nel figlio del desiderio; dalla intuizione di Gauchet deriva per incoercibile necessità logica che in brevissimo tempo il diritto al figlio dia vita al figlio di diritto, tramutandosi infine nella negazione dei diritti del figlio. Una metamorfosi che destruttura e disintegra il ruolo, l’identità e la natura di tutti i soggetti coinvolti (non esclusi i medici) e, soprattutto, del diritto che alla fine non esprime più il giusto, ma soltanto il desiderato (a prescindere dalla sua ragionevolezza o razionalità).

In conclusione, per scoprire e comprendere la ratio juris del divieto di procreazione eterologa e per diagnosticare l’anemia giuridica e la distonia etica di molte decisioni giurisprudenziali pur di alto grado giurisdizionale, occorre tener presente ciò che aveva già intuito Emmanuel Mounier, per il quale «la persona è la gratuità stessa».

 

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10 anni di Neuroetica: un corso estivo per approfondire

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Alberto Carrara LC, scienziato, filosofo e neurobioeticista, professore assistente presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, tecnico di laboratorio chimico-biologico (1999) e dottore in Biotecnologie mediche presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Padova (2004). Dal 2009 è membro del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica dell’Ateneo Regina Apostolorum, dal 2010 è membro della International Neuroethics Society e collabora con altre istituzioni accademiche, tra cui la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani con sede a Roma»

 

di Alberto Carrara*
*biotecnologo e neuroeticista

 

Molti sono gli anniversari che si festeggeranno nel 2012. Uno di questi riguarda il 10° anniversario della “nascita” della neuroetica. Di cosa si tratta? Cosa si intende con questo neologismo? L’applicazione sempre più rapida ed immediata all’uomo delle scoperte neuroscientifiche, frutto dell’abbondante ricerca che mira a decifrare i misteri del cervello e della mente umana, ha fatto sorgere nell’opinione pubblica sentimenti spesso antitetici.

In quasi tutti i contesti socio-culturali, il suffisso “neuro” sta trovando largo impiego e successo per le finalità più svariate: dal vendere (neuro-marketing) al convincere (neuro-freedom). Si parla già di neuro-mania, neuro-fobia e di neuro-filia. Le immagini di risonanza magnetica fanno già parte della nostra cultura quotidiana: termini come PET (tomografia ad emissione di positroni) o risonanza magnetica funzionale (fRMN) sono parte integrante della nostra memoria, li abbiamo uditi ed ascoltati ripetutamente per radio, in televisione, li abbiamo letti su Internet nelle circostanze più disparate.

Il termine neuroetica appare nella letteratura scientifica sin dal 1989 in un contesto prettamente bioetico riguardante le decisioni sul fine vita. È il neurologo R. E. Cranford che in un articolo scientifico del 1989 utilizza l’accezione “neuroeticista” sancendo l’ingresso dei neurologi all’interno dei comitati etici ospedalieri [1]. In ambito filosofico, questo neologismo entra in scena per la prima volta nella discussione circa le prospettive filosofiche riguardanti il sé (Self) e il suo legame-rapporto col cervello. È la filosofa P. S. Churchland ad affrontare le “neuroethical questions” in una sua conferenza a fine novembre del 1990 [2].

Nonostante il concetto neuroetica fosse già ventilato in diversi ambiti del sapere, la “paternità” del neologismo viene attribuita storicamente alla prima definizione “canonica” risalente al maggio 2002. In questa data, a San Francisco (USA), si tenne il primo congresso mondiale di esperti intitolato: “Neuroethics: mapping the field”. In tale contesto, William Safire, politologo del New York Times recentemente scomparso, suggerì la seguente definizione contemporanea di neuroetica definendola: quella parte della bioetica che si interessa di stabilire ciò che è lecito, cioè, ciò che si può fare, rispetto alla terapia e al miglioramento delle funzioni cerebrali, così come si interessa di valutare le diverse forme di interventi e manipolazioni, spesso preoccupanti, compiuti sul cervello umano [3].

È il 2002 che si considera l’anno fondativo della neuroetica e gli atti delle conferenze di San Francisco segnano la nascita di questa nuova disciplina e ne sono l’emblema e il punto di riferimento privilegiato. Numerosi in tutto il mondo sono i raduni, le conferenze, le tavole-rotonde che proliferano attorno alle tematiche neuroetiche. Una in particolare attrae l’attenzione di molti esperti: quella relativa alla libertà umana. Sin dai tempi più remoti, il tema del libero arbitrio ha coinvolto l’interesse dei migliori pensatori. Oggigiorno, mentre da una parte vengono confermati i risultati neuroscientifici condotti, sin dagli anni settanta, da Benjamin Libet [4], dall’altra si diffonde un clima scettico relativo alla nostra libertà d’azione.

Alcuni neuroscienziati arrivano a concludere che questa peculiarità dell’essere umano, altro non sarebbe che una mera illusione funzionale, frutto dell’ingegno evolutivo del nostro cervello. La problematica è notevole: siamo davvero esseri dotati di coscienza e libertà, o automi in balia di uno stretto determinismo neurobiologico? Proprio su questa tematica porrò la mia attenzione con alcune conferenze durante il corso estivo internazionale di alto perfezionamento, dedicato alla neurobioetica che dal 2 al 13 luglio 2012 si terrà presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, in collaborazione con il Gruppo di Neurobioetica e la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (www.uprait.org).

La finalità sarà quella di offrire a professionisti e studiosi provenienti dai vari ambiti, una metodologia di  approccio pluri e interdisciplinare alle questioni etiche delle Neuroscienze e alle Neuroscienze dell’etica. Favorire il confronto e il dibattito interno sugli argomenti di maggior rilievo, avvalendosi di un’analisi approfondita e critica dei dati neuroscientifici. Integrare tale metodologia con l’apporto dei fondamenti filosofici e antropologici, secondo una visione personalista. In ultimo, ricercare forme di “integrazione” dei saperi e delle loro applicazioni, essendo ciascuna Persona “una unità e una totalità di dimensioni biologiche, psicologiche, sociali spirituali”, anche quando fragile, malata o prossima alla morte naturale.

Inoltre, in occasione del 10° anniversario della nascita della neuroetica, offrirò presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Regina Apostolorum durante il primo semestre dell’anno accademico 2012-2013, un corso su: Coscienza e libertà tra filosofia e neuroscienze. A mio avviso, per una corretta valutazione delle interpretazioni neuroscientifiche, la tradizione filosofica che in Tommaso d’Aquino trova uno dei massimi sintetizzatori, potrebbe contribuire a fornire alcuni concetti e chiavi di lettura che contribuirebbero a rasserenare e a rendere più realistiche certe conclusioni ed inferenze. L’antropologia tommasiana unitiva ed integrativa, potrebbe costituire un valido fondamento neuroetico per evitare tanto il dualismo cartesiano, quanto un monismo cerebrale unitotalizzante.

 

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Note
[1]. Cf. R.E. Cranford, «The Neurologist as Ethics Consultant and as a Member of the Institutional Ethics Committee. The Neuroethicist», Neurologic Clinics 7 (1989), 697-713
[2]. Cf. P.S. Churchland, «Our brain, our selves – Reflections on neuroethical questions», in: D.J. Roy – B.E. Winne – R.W. Old (a cura di),  Bioscience-Society: Report of the Schering Workshop, Berlin 1990, November 25-30, Wiley and Sons, New York 1991, 77-96
[3]. Cf. W. Safire, «Visions for a new field of “neuroethics”», in: S. Marcus (ed.), Neuroethics: Mapping the Field. Conference Proceedings, Dana Press, New York 2002, 3-9.
[4]. Benjamin Libet, Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action, in «Behavioral and Brain Sciences», volume 8, pp. 529-566

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Obiezione di coscienza in Svezia e negli USA: un confronto sulla libertà

Se siete medici in Svezia, scordatevi Ippocrate e tutti i sogni che facevate da studenti: qui, infatti, se vi rifiutate di compiere un aborto, potreste essere addirittura imprigionati, in base a una legge del 1973. La legislazione svedese è sempre stata assai favorevole all’aborto:  dal 1938 per motivi eugenetici (e vabbé, in tempi di nazismo…), dal 1946 per motivi socio-sanitari (i nazisti non c’entrano più), nel 1974 è stata abrogata la necessità dell’approvazione di una commissione medica e l’aborto è consentito su richiesta per qualsiasi ragione, fino alla 18a settimana di gravidanza. Dalla 18a alla 22a settimana è necessaria l’autorizzazione del Consiglio Nazionale della Sanità e del Benessere. Nel 2009 poi, il Parlamento ha votato contro (271 a 20) la mozione dell’Unione Europea che garantisce il diritto all’obiezione di coscienza.

Per tutto questo il vescovo cattolico Anders Arborelius ha avvertito che il governo svedese sta scivolando verso una mentalità: «Dall’estero ho ricevuto commenti di delusione e incomprensione per questa risoluzione parlamentare, che contribuisce al declino della reputazione della Svezia come una società democratica, impegnata nella tutela dei diritti delle minoranze. Purtroppo, questa decisione conferma la tradizione oscura che esiste anche nel nostro Paese, quella della sterilizzazione forzata, a cui è stato permesso di continuare quasi senza resistenza», ha dichiarato. Di fatto recentemente un medico di medicina generale è stato redarguito (non incarcerato, almeno!) dalle autorità sanitarie poiché nel 2010 non ha fornito ad una donna la documentazione necessaria per andare ad abortire, sia perché il marito non era convinto, sia perché la signora non sembrava nel pieno delle sue facoltà mentali. Gli è stato detto che il suo unico compito è quello di realizzare i desideri del paziente, indipendentemente dalla valutazione del suo stato mentale ed è inoltre stato criticato per aver violato la riservatezza della paziente discutendo il caso con il marito.

Rispetto all’obiezione di coscienza, le cose vanno assai meglio negli Stati Uniti,  e particolarmente in Arkansas, Georgia, Mississippi e South Dakota, in cui anche i farmacisti -oltre ai medici- sono autorizzati a rifiutarsi di compilare una prescrizione di contraccettivi di emergenza se questo è contrario alla loro etica personale. A questi Stati modello si è aggiunto in questi giorni il Kansas, dove il governatore Sam Brownback ha firmato una nuova legge  con la quale rafforza i diritti di coscienza dei farmacisti che si oppongono alla distribuzione di farmaci che potrebbero causare aborti.

La nuova legge vieta la costrizione a prescrivere o somministrare un farmaco che “ragionevolmente si creda” possa  uccidere un bambino nel ventre della madre. La misura è stata finalizzata alla farmaco abortivo RU-486, ma -secondo quanto dicono allarmati gli abortisti- potrebbe anche essere usata per impedire la somministrazione di “Ella”, un farmaco simile alla RU-486 che è comunque stato approvato dalla FDA come “contraccezione d’emergenza”, ed è pubblicizzato come funzionante fino ad una settimana dopo il rapporto sessuale.

Linda Gridelli

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Il meccanismo abortivo di EllaOne

Dal 2 aprile scorso l’ulipristal acetato (UPA), detto anche EllaOne o “pillola dei 5 giorni dopo”, è disponibile nelle farmacie italiane, dopo che nel giugno 2011 fu approvata dal Consiglio Superiore di Sanità, ottenendo il via libera dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) nel novembre scorso. Il farmaco ha destato moltissime polemiche poiché viene ufficialmente fatto passare come “contraccettivo d’emergenza” quando in realtà la sua modalità d’azione può essere non solo contraccettiva, ma anche abortiva. Come già brillantemente spiegato dal dott. Stefano Bruni in un nostro precedente articolo, Ellaone è un modulatore selettivo del recettore del progesterone in grado di legarsi con grande affinità al recettore umano del progesterone, avendo perciò due meccanismi d’azione:

a) se assunto prima dell’ovulazione, è in grado di bloccare/ritardare l’ovulazione, impedendo quindi la fecondazione nonché il concepimento (effetto antiovulatorio);
b) se assunto dopo l’ovulazione, è in grado di uccidere l’embrione concepito, in quanto induce alterazioni della parete uterina (endometrio) che non permettono all’embrione stesso l’impianto nell’endometrio (effetto antinidatorio).

È evidente che, mentre nel primo caso abbiamo un’azione analoga a quella dei contraccettivi classici (condom, IUD, pillola estro-progestinica, ecc.), nel secondo caso il farmaco agisce secondo un meccanismo abortivo. Tale effetto antinidatorio (abortivo) è facilmente intuibile se pensiamo che il farmaco ha efficacia fino a 5 giorni dopo qualsiasi rapporto sessuale, ed è anche ovvio che se  l’ovulazione è già avvenuta non si può parlare di azione antiovulatoria. Eppure c’è chi continua a negare tutto questo, sostenendo che l’unico meccanismo di azione sia quello antiovulatorio, come ad esempio Lisa Canitano, nonostante l’Agenzia europea predisposta all’approvazione dei medicinali (EMA), dica il contrario (a pag. 45/49 si sottolinea come un test di gravidanza debba essere effettuato prima di assumere il farmaco). Concetti che sono riportati anche in alcune pubblicazioni scientifiche che riporto per chi volesse approfondire:

 

Inoltre, come ottimamente mostrato da questo video del Comitato Verità e Vita,  e come spiegato in questo articolo dal dott. Bruno Mozzanega, medico ricercatore della Clinica Ginecologica e Ostetrica dell’Università di Padova, anche con assunzione di Ellaone prima dell’ovulazione, non sempre è possibile bloccare l’ovulazione: solo nel 78,6% dei casi se viene assunta entro le 24 ore che precedono l’ovulazione e solo nell’8,3% dei casi se invece viene assunta in prossimità dell’ovulazione. Per chi fosse interessato ad ulteriori dettagli, è utile consultare questo studio pubblicato su “Human Reproduction”.

Resta il fatto che Ellaone è anche un farmaco abortivo, perché come ha detto in modo molto illuminante Étienne-Émile Baulieu, inventore della RU486: «l’interruzione della gravidanza dopo la fecondazione […] può essere considerata alla stregua di un aborto» (“Il punto sull’RU-486”, The Journal of the American Medical Association, Edizione italiana, n. 1, vol. 2, gennaio 1990).

Raffaele Marmo

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Terapie riparative: la falsa “ritrattazione” di Robert Spitzer

Il dottor Robert Spitzer, prestigioso psichiatra presso la Columbia University, nel 1973 è stato il responsabile dell’eliminazione dell’omosessualità dal Manuale Diagnostico dei disturbi psichiatrici redatto dall’American Psychological Association (APA). Tuttavia nel 2003, a seguito dei numerosissimi ex omosessuali che si sentivano (già allora) discriminati dall’APA, decise di verificare se le terapie di cui essi avevano beneficiato potevano davvero essere utili ed efficaci.

Ed infatti pubblicò uno studio in peer-review sulla prestigiosa rivista Archives of Sexual Behavior, riconoscendo la validità e l’efficacia di tali terapie (come hanno rilevato anche studi successivi e alle quali vi si sono dedicati ex presidenti dell’American Psychological Association, come Robert Perloff Nicholas Cummings). Immediatamente è divenuto per la lobby gay un traditore e un infame, e sappiamo bene a che livelli di vessazione sono esposti coloro che osano avere una posizione “scomoda” sull’omosessualità. Oggi, il dott. Spitzer ha 80 anni ed è affetto da morbo di Parkinson, evidentemente non ha più voglia di sopportare pressioni ed insulti e ha così preferito scrivere una lettera di ritrattazione, alla rivista (ripresa anche dal “New York Times”), probabilmente sperando di poter così concludere in pace il suo cammino terreno.

Lo psicologo olandese Gerard van den Aardweg ha rivelato i retroscena: «Qualche tempo dopo il suo articolo del 2003 ho avuto una conversazione con lui al telefono. Gli ho chiesto se avrebbe continuato la sua ricerca, o anche se avrebbe cercato di aiutare alcune persone con problemi di omosessualità. La sua risposta fu irremovibile: “no”. Non avrebbe mai più toccato l’argomento, aveva deciso questo dopo i terribili attacchi personali ricevuti dai gay militanti e dai loro sostenitori. Ci fu un’ondata di odio». Un’esperienza traumatizzate, ha spiegato van den Aardweg, e perciò la decisione di Spitzer era comprensibile. «Nei circoli psichiatrici e psicologici», ha aggiunto, «è già molto difficile per un professionista sopportare l’ostilità, lo scherno e l’emarginazione» se ha giudizi negativi sull’omosessualità, «per un eminente psichiatra come il dottor Spitzer, con il suo passato gay-friendly, questo deve essere stato un tormento».

Spitzer ha dunque ceduto alle pressioni, in cambio della pace, tuttavia la sua ritrattazione (o meglio, la “rivalutazione”) non cambia certamente i risultati, i quali «sono l’unica cosa che conta. Questa vicenda è in realtà solo una questione di manipolazione mediatica, non una questione di scienza». Anche perché, i soggetti usciti dall’omosessualità -sposati e con figli-, sono moltissimi e la realtà vale più di qualsiasi opinione. Oltrettuto, le motivazioni usate nella sua ritrattazione «non inficiano le  sue conclusioni». Lo psicologo olandese rivela anche che «qualche anno fa, ho inviato a Spitzer una relazione su una ex-lesbica, che dopo tanti anni era ancora completamente libera da attrazioni sessuali verso lo stesso sesso». Naturalmente l’eminente psichiatria non rispose che aveva cambiato idea, ma «ha trovato la storia molto interessante».

La cosa significativa, comunque, è che la rivista scientifica, “Archives of Sexual Behavior”, si è rifiutata di ritirare il lavoro originale di Spitzer, in quanto lo studio è stato e rimane scientificamente valido. La pubblicazione in peer-review significa infatti che la ricerca prima della pubblicazione deve passare da una valutazione eseguita da specialisti del settore per verificarne l’idoneità. Ritrattare in seguito i risultati significa delegittimare il lavoro di questi specialisti che hanno approvato lo studio, e minare la credibilità della stessa rivista scientifica. Lo stesso direttore di “Archives of Sexual Behavior”Ken Zucker ha dichiarato: «Se Spitzer vuole presentare una lettera in cui dice che non crede più alla sua interpretazione dei propri dati, va bene. Noi lo pubblicheremo. Ma una ritrattazione? Beh, il problema è che il cambiamento di cuore di Spitzer circa l’interpretazione dei dati non è normalmente il genere di cosa che spinge un editor a cancellare il risultato scientifico. In caso di dati analizzati in modo non corretto, si pubblica solitamente un “erratum”, o è possibile ritirare un articolo, se i dati sono stati falsificati. A quanto mi risulta, Spitzer sta solo dicendo che dieci anni dopo vuole ritrattare la sua interpretazione dei dati. Beh, probabilmente dovremmo allora ritirare centinaia di pubblicazioni scientifiche per re-interpretarle, e noi non lo facciamo». 

Lo psicologo americano Christopher H. Rosik ha commentato così queste parole: «Quello che Zucker sta essenzialmente dicendo è che non c’è nessuna giustificazione per una ritrattazione». Ha quindi ricordato che lo stesso Spitzer «ha confermato che stava ricevendo un elevato volume di lettere di odio e rabbia rivolte contro di lui (Spitzer, 2003b; Vonholdt, 2000)». E infine: «Nessuna nuova scoperta scientifica è stata scoperta per screditare la terapia di cambiamento di orientamento sessuale (SOCE). Nessun difetto madornale metodologico è stato identificato. Gli stessi argomenti inoltrati a favore o contro lo studio di un decennio fa, sono ancora in piedi».

Ma purtroppo su questo tema è impossibile una discussione, «le persone hanno paura di esprimere le loro opinioni sul comportamento omosessuale, i professionisti hanno paura di dissentire dalla “saggezza” ideologica sull’omosessualità, i politici hanno paura di dire qualcosa in pubblico che irriti la comunità gay. L’ideologia dei gay militanti è stata imposta all’Occidente e ciò implica che la ricerca della verità circa l’omosessualità, le sue cause e la sua mutevolezza, è quasi diventata un’attività proibita», ha concluso a sua volta lo psichiatra Gerard van den Aardweg.

 

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Anche la German Medical Association contro eutanasia e suicidio assistito

La German Medical Association, l’organo ufficiale di coordinamento dei medici tedeschi,  ha ribadito il deciso rifiuto verso l’eutanasia attiva così come “l’uccisione del paziente”, affermando che «il coinvolgimento dei medici nel suicidio non è un compito medico».

 

La cultura cattolica è molto impegnata nel dibattito culturale circa la bioetica, ovvero le questioni morali legate alla medicina e alla biopolitica. E’ a tutti nota la posizione della Chiesa in difesa dell’essere umano dall’inizio del suo esistere (concepimento) alla morte naturale, respingendo da secoli attacchi eugenetici, socialdarwinisti, nazisti e oggi laicisti, all’esistenza umana. In nome della sanità della società, della purezza della razza e, oggi, della presunta compassione.

 

Medici e tecnologia i grandi alleati all’antropologia cattolica a favore della vita

I più grandi alleati dell’antropologia cattolica in questo dibattito, per quanto riguarda l’aborto, sono i medici e la tecnologia. E’ evidente dalle ripetute aggressioni alla libertà dei medici di obiettare di fronte all’interruzione di gravidanza. Moralmente ancora più convinti, come abbiamo segnalato, anche dall’ecografia 4D, che introduce la dimensione del tempo nell’osservazione del feto nel grembo materno, permettendo così anche alla donna di prendere maggior coscienza della sua drammatica decisione. Non è un caso che il movimento pro-life negli USA stia finanziando l’acquisto di questi macchinari per permettere che ogni ospedale possa averne uno in dotazione.

Rispetto all’eutanasia, altro grande tema dei nostri giorni, la questione non cambia: i grandi alleati alla voce cattolica e a tutti coloro che hanno a cuore il rispetto della vita umana (tra cui molti non credenti e agnostici), sono ancora una volta i medici, gli addetti ai lavori. Oggi, ad esempio, nel Regno Unito l’80% dei medici è contrario a eutanasia e suicidio assistito, secondo uno studio della rivista Palliative Medicine, e proprio in questi giorni il presidente del Royal College of General Practitioners, Iona Heath, ha assunto attraverso uno studio sul British Medical Journal una posizione molto forte contro la legalizzazione del suicidio assistito.

 

Anche l’Ordine dei medici francese condanna eutanasia e suicidio assistito: “contro l’etica”

L’Ordine dei medici francese, pochi mesi fa, ha condannato il dott. Bonnemaison, accusato di aver praticato eutanasia su quattro pazienti, mentre la New Zealand Medical Association un mese fa ha annunciato in un comunicato che l’eutanasia non è una pratica etica e non può essere tollerata in alcun modo. L’opposizione, ha continuato l’associazione professionale, rimarrà identica anche se la politica dovesse depenalizzarla o renderla legale.

 

La German Medical Association prende posizione: “uccidere i pazienti non è compito medico”

Ed ecco, infine, alla notizia. Pochi giorni fa anche la German Medical Association, l’organo ufficiale di coordinamento dei medici tedeschi,  ha ribadito il deciso rifiuto verso l’eutanasia attiva (come già aveva fatto nel 2004) così come “l’uccisione del paziente”, affermando che «il coinvolgimento dei medici nel suicidio non è un compito medico». Nello stesso comunicato si sono scusati dell’aborto e dell’eutanasia eugenetica praticata dai medici durante il periodo nazista, primo periodo storico in cui queste attività vennero realizzate in modo sistematico.

La redazione

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Carlo Freccero non eletto direttore, scongiurata la “porno Rai”

Il governo Monti ha indicato il nome di Anna Maria Tarantola come presidente della Rai, sarà poi il nuovo Cda della tv di Stato a nominarla ufficialmente. Per la carica di direttore generale, invece, è stato invece nominato Luigi Gubitosi ex amministratore delegato di Wind, attualmente a Bank of America in Italia.

Sulla correttezza o meno di queste nomine non tocca a noi pronunciarci, né siamo interessati a farlo. Possiamo solo tirare un sospiro di sollievo per il fatto che il premier Monti abbia totalmente ignorato l’auto-candidatura di Carlo Freccero come direttore generale. Il criterio di scelta, infatti, è stato l’avere «un senso di garanzia istituzionale e essere molto equilibrati», doti che Freccero non ha mai avuto. Lo dimostra chiaramente la terribile telefonata avuta poco tempo fa con il giornalista di Libero Francesco Borgonovo, 8 minuti di insulti e volgarità, minacce (anche personali) e bestemmie, il tutto perché il giornalista ha osato avanzare una critica personale alla serie tv “Fisica o chimica” in onda su Rai4 -allora guidata da Freccero- in orario mattutino e in replica nel primo pomeriggio (piena fascia protetta, dunque), in cui comparivano frequentemente scene hard da bollino rosso (il programma è stato soprannominato “pornorai”): orge, scambi di coppia, rapporti sessuali tra professori e alunni, rapporti omosessuali, ragazzine che raccontano di stupri subiti, madri che passano la notte con due ragazzi giovani, l’immancabile scambio di droga tra adolescenti ecc. Freccero si è difeso dicendo a Borgonovo: «è tutto pedagogico, cretino, non si può fare solo don Matteo!!».

Dopo l’articolo i dirigenti Rai hanno spostato la serie in seconda serata (ma fino ad allora non sapevano cosa mandavano in onda??), scatenando così le ire di Freccero, il quale al telefono con Borgonovo ha urlato: «Fascisti, siete un giornale di merda, mi censurate. Ma io chiedo a tutti quanti di assalirvi e vi mando i forconi sotto la redazione. Fate come Lorenza Lei, prendete ordini dai cardinali pedofili [….] Racconterò che i cardinali pedofili mi fanno chiudere attraverso un giornalista!!. Sarà sangue e sangue scorrerà». Tanti hanno fintamente preso le distanze da queste parole -come alcuni giornalisti del Fatto Quotidiano-, ma in fondo hanno sostenuto e appoggiato Freccero, tanto che il direttore di Libero ha dovuto pubblicare un editoriale in merito. Intanto la Rai ha giustamente sospeso Freccero per 10 giorni dal suo incarico. Un certo gusto dunque nel leggere la reazione di Freccero alla nomina di Tarantola e Gubitosi, anche per loro non sono mancanti insulti: «È pazzesco. Sono sorpreso e stralunato, è una cosa incredibile. Ha scelto due alieni».

Occorre sottolineare che Carlo Freccero fece notizia anche nel 1997, quando si mostrò eccessivamente titubante nel mandare in onda (allora era direttore di Rai2) un’inchiesta sulla massoneria. Timoroso per il rifiuto a concedere la “liberatoria” da parte del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Virginio Gaito, si premurò di invitarlo al dibattito dopo lo speciale per concedergli un immediato diritto di replica. Il suo nome è riemerso nel 2007, dopo la pubblicazione di “Fratelli d’Italia” (Rizzoli 2007) da parte di Ferruccio Pinotti, il quale ha rivelato che l’11 luglio 2002 «a Roma nascono gli Illuminati, un consesso che si richiama al gruppo degli Illuminati di Baviera fondato nel Settecento; ma che si rifà anche ad altre esperienze più recenti, soprattutto statunitensi». Tra i fondatori, ha continuato Pinotti, «troviamo un big della comunicazione, Carlo Freccero –classe 1947, già potente direttore di Rai 2 e brillante programmista Fininvest, nei primi anni ottanta direttore dei palinsesti di Canale 5 e Italia 1 – che però ha lasciato in seguito». Nel 2006 infatti, scrive Luciano Corrado citando Pinotti, Freccero «ha dato a Panorama questa versione sul frettoloso abbandono: “Ho firmato l’atto di fondazione perché me lo aveva chiesto un amico. Sono una persona curiosa e mi interessava conoscere questi ambienti, ma mi sono subito dimesso. Erano riunioni noiosissime, per nulla divertenti». Secondo Corrado però, «dopo il giuramento massonico, per gli espulsi o i dimissionari-dimissionati, esiste solo quello che i testi “sacri” della massoneria definiscono il “sonno”. Si perde, insomma, lo status, come avviene per i sacerdoti cattolici, ma la “consacrazione” resta».

Comunque, la bella notizia è che Freccero andrà da un’altra parte, la Rai non sarà “PornoRai” e le famiglie potranno tranquillizzarsi.

 

Qui sotto la violenta telefonata di Carlo Freccero a Libero (censurata nelle parti più scabrose)

La redazione

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Il breve incontro tra Javier Zanetti, Franco Baresi e Benedetto XVI

Durante il recente Incontro Mondiale delle Famiglie, svoltosi a Milano dal 1 al 3 giugno con la partecipazione di Benedetto XVI, tra il milione di persone che ha partecipato c’erano anche volti noti: attori, cantanti, politici e calciatori. Due tra questi ultimi, Franco Baresi -storica bandiera del Milan- e Javier Zanetti -attuale capitano dell’Inter- hanno avuto l’onore di abbracciare il Pontefice, anche grazie all’incontro svoltosi con gli 80mila cresimandi all’interno dello stadio di San Siro.

Avevamo già parlato del calciatore interista in occasione dell’annuncio della conversione al cattolicesimo del suo collega Wesley Sneijder. Proprio Zanetti ha infatti mediato con il cappellano dell’Inter accelerando i tempi del corso di catechismo necessario a Sneijder -come a tutti i catecumeni- per ricevere il battesimo.  Nel 2008, quando l’Inter ha celebrato i 100 anni di fondazione, alla fine dell’udienza con il Pontefice, capitan Zanetti ha affermato: «sono cattolico e praticante fin da bambino e credo fermamente che senza Cristo l’uomo non possa vivere pienamente. La benedizione del Papa è uno stimolo in più per farci comprendere il nostro ruolo di testimoni cristiani, in famiglia e nello sport, e il dovere di stare vicino alle persone meno fortunate, soprattutto i bambini». Il giocatore ha anche avviato la Fondazione Pupi a favore dei bambini più poveri e disagiati.

Zanetti, la moglie Paula e i tre figli hanno donato al Papa una maglia nerazzurra con il numero 16 e la scritta “Benedetto” sulle spalle. La stessa cosa ha fatto Franco Baresi, anche se ovviamente al posto del blu c’era il colore rosso.

 

Qui sotto il video del breve incontro

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