Attento Cruciani, le nozze gay non sono diritti umani

La lobby omosessuale è riuscita ad inglobare anche una trasmissione radiofonica, ovvero il programma “La Zanzara” in onda su Radio 24 e condotto dalla nuova icona gay,  Giuseppe Cruciani  (assieme a un non pervenuto David Parenzo: chi capisce chi sia e che funzione abbia nella vita mediatica e in questa trasmissione radiofonica lo comunichi, anche se da questo scontro si capisce il livello del personaggio). Un programma detto anche, da Luca Telese, “cazzeggio meta-giornalistico”.

Giuseppe Cruciani ha iniziato la sua carriera su Radio Radicale, guarda caso, ma è diventato famoso nell’estate del 2002 per una relazione “clandestina” con la moglie del cantautore italiano Jovanotti. Cruciani, habitué delle Baleari, nel 2012 si è separato dalla moglie ed ha avuto un flirt con Barbara D’Urso, regina del Grande Fratello. Questo per inquadrare il personaggio. D’altra parte, in merito alle vicende che hanno coinvolto l’ex premier Silvio Berlusconi, Cruciani lo ha costantemente difeso dalle accuse dichiarandoad esempio: «Ma in un mondo in cui c’è un uomo ricco e potente a cui si rivolgono donne che vogliono entrare nel mondo dello spettacolo è il segno che la società occidentale funziona. Negli Stati Uniti, in Francia e in Italia esiste la donna, o uomo, che si rivolgono all’uomo potente per ottenere qualche cosa. Vendere il proprio corpo è un segnale che c’è la libertà. E’ un segnale di libertà. Meno male che esiste questa cosa. Se non esistesse, non esisterebbe la società occidentale. Saremmo in un altro mondo dove vengono tagliate le mani».

Nella puntata di due sere fa, il conduttore radiofonico ha portato avanti la sua quotidiana propaganda, invitando i radioascoltatori che sono intervenuti telefonicamente a scandire le parole “m-a-t-r-i-m-o-n-i-o” , “a-d-o-z-i-o-n-e” rivolte ai gay. Un ascoltatore, ha raccontato di aver trovato nei bagni dell’autogrill la frase: “Difendi i diritti umani, ascolta Giuseppe Cruciani”, firmato “gaypride”, slogan che Cruciani ha voluto sentirsi ripetere più volte, registrandolo e trasmettendolo più volte durante la trasmissione. Nessuno è però riuscito a far notare che secondo la Corte europea non esiste nessun diritto al “matrimonio omosessuale”, e la sua negazione non è certo una violazione di qualcosa, per non parlare dell’adozione. Ogni stato è libero di decidere perché non esiste un diritto umano a sposarsi. L’unico diritto in gioco, semmai, è quello alla vita del bambino (l’aborto, sì, è una violazione di diritti umani), e alla sua crescita tra un padre e una madre. Oltretutto, il termine “matrimonio omosessuale”, è un ossimoro perché “matrimonio” deriva dal latino matris munia, ovvero “doveri della madre”, implicando dunque la relazione tra coloro che generano e coloro che sono generati, cosa esclusa per natura agli omosessuali. Secondo l’Enciclopedia Treccani, che prima o poi la D’Urso regalerà anche a Cruciani, “matrimonio” significa infatti «l’unione fisica, morale e legale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) in completa comunità di vita, al fine di fondare la famiglia e perpetuare la specie».  Si tratta dunque di un concetto antropologico antecedente alla legge, e non certo modificabile a piacimento dai conduttori radiofonici, sedicenti paladini di inesistenti diritti umani.

La cosa meno bella è che diversi ascoltatori sono intervenuti durante la trasmissione di Cruciani cercando di spiegare i loro motivi per cui erano contrari a matrimonio e adozione gay, ma puntualmente sono stati derisi dal conduttore de “La Zanzara” o ostacolati nel ragionamento da continue interruzioni (anche pubblicitarie, che arrivano sempre al momento giusto). Può sembrare strano, ma è proprio il modo di portare avanti la trasmissione da parte di Cruciani, definito non da pochi “dittatoriale” o comunque semplicemente “maleducato”«riformulare le critiche di un radioascoltatore in modo distorto, al fine di ridicolizzarlo o rendere i suoi commenti assurdi e devianti», scrivono sul web. Gruppi Facebook si scatenano sulle sue dimissioni, addirittura è nato (ma interrotto) anche un blog chiamato “L’anti-zanzara”. Non si contano, infatti, le telefonate fortemente critiche che il conduttore riceve quotidianamente per il suo modo di ostacolare  chi interviene con opinioni contrarie alle sue, o chi si lamenta perché la sua voce continua a sovrapporsi senza che possa essere terminato un ragionamento.

Insomma, la lobby gay non poteva scegliersi un conduttore migliore per imporre senza contraddittorio il mainstream omosessualista.

 
Aggiornamento delle 20:40
Durante la puntata di questa sera, Giuseppe Cruciani ha commentato in diretta questo articolo, ricordando di non aver mai sostenuto che i Paesi che vietano i matrimoni gay stanno violando i diritti umani. Anzi, ha detto, «ritengo che i Paesi in cui non sono legalizzate le nozze gay siano assolutamente normali».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Lo storico Cardini: «altro che “secoli bui”, l’Inquisizione fu rinascimentale»

Nel gennaio di quest’anno abbiamo parlato della recensione di Marina Montesano, docente di Storia medievale nell’Università di Messina di due libri pubblicati sul tema dell’inquisizione. In quel contesto la storica fece notare che il fenomeno non era per nulla sviluppato nel Medioevo, ma «proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose». 

Inoltre fu una questione decisamente protestante, tanto che «circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania […]. I riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione. È indubbio che, essendo le streghe emissarie del diavolo e complici nei suoi misfatti, nel mondo riformato si ponevano le premesse per una “caccia” intensa e determinata». «Il paragone tra la Germania e la Spagna è istruttivo» (area protestante e area cattolica), ha continuato la Montesano . «Nella penisola iberica, vittima di una secolare “leggenda nera”, si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale».  

In questi mesi la storica ha pubblicato un suo libro, intitolato proprio: “Caccia alle streghe (Salerno Editrice 2012), molto recensito sui media e anche dallo storico Franco Cardini, professore ordinario presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum). Nel suo articolo su “Europa”, lo storico ha parlato del significato di “strega” dicendo che «le prime traduzioni latine della Bibbia non ebbero dubbi nel tradurre quei termini con a parola latina “maleficus”: ma solo quelle in volgare della Riforma protestante femminilizzarono con sicurezza la parola, utilizzando – in area rispettivamente luterana, anglicana e calvinista – i termini “Zauberin”, “witch” e “sorcière”». Ecco come nacque la “caccia alle streghe”: «scomparvero così gli “stregoni”, restarono solo delle donne, in genere confezionatrici di filtri e operatrici di aborti, indovine e maliarde lontane dalla “grande” magia sapienziale e cerimoniale e tanto meno da quella “naturale”».  Il fenomeno si basava sulle Scritture, ma anche sui testi diVirgilio, Orazio, Lucano, Ovidio, Petronio e Apuleio.

Si parlava di “volo magico notturno” di queste donne, che però «gli ecclesiastici del pieno medioevo avevano a lungo considerato una fiaba da donnucole», ma si diffuse invece come sospetto «verso la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, -complice anche la grande depressione che l’Europa dovette affrontare tra XIV e XVII secolo – nell’immagine della strega, oggetto di fobìe e di condanne che tuttavia non rappresentano tanto una “eclisse” della ragione quanto il risultato del convergere della filosofia e della scienza scolastiche e della “razionalizzazione” dei supposti poteri del demonio con la tesi che si fosse andata stabilendo una perfida congiura tra il demonio e alcuni esseri umani malvagi che gli erano devoti, vòlta alla rovina dell’umanità».

Lo storico Cardini ha dunque confermato che questa credenza «ha quindi poco di medievale, ma ch’è anzi propria semmai del Rinascimento e destinata a divenire una “struttura” della Modernità». «Altro, dunque, che “tenebre del medioevo”; altro che “secoli oscuri”», scrive. La storica Marina Montesano, nel suo libro, dimostra invece come «“caccia alle streghe”, crisi socioeconomica protomoderna e costruzione dello stato assoluto sono rigorosamente collegate tra loro in una logica di «individuazione del nemico collettivo » che è caratteristica anche se non strettamente esclusiva della Modernità». E’ lo stesso fenomeno del complottismo, delle “sètte” nemiche del bene comune, un “nemico collettivo” da individuare che sempre serve nei momenti di crisi socioeconomici, come accadde con le «“purghe” staliniane, e i processi maccartisti per “antiamericanismo”».

 

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Ma quanta disinformazione fa il vaticanista Marco Ansaldo?

I creatori di bufale non sono stati assunti tutti da “Il Fatto Quotidiano”, non c’è solo la leggendaria coppia Marco Lillo & Marco Politi, c’e qualcuno di quasi peggio a “La Repubblica” e si chiama Marco Ansaldo, anche lui con lo stesso nome e anche lui (si fa chiamare) “vaticanista”. Mentre Lillo & Politi cercano di aggredire la Chiesa modificando faziosamente le notizie o raccontandole solo a metà, Ansaldo ha imparato una tattica tutta sua: le notizie le inventa di sana pianta, nemmeno partendo da una base di verità. Useremo due casi recenti come esempio.

Il 14 giugno 2012 si è inventato che dal Vaticano fosse scomparso (lasciando il sospetto che si stato fatto scomparire) il giovane ex hacker di 36 anni responsabile dei servizi informatici della Santa Sede, il quale ha creato «un sistema Firewall per proteggere l’avanzatissima e delicata centrale computerizzata pontificia posta nei sotterranei del Palazzo apostolico». Secondo Ansaldo, l’informatico sarebbe irreperibile, forse è stato fatto fuori perché «detentore di una serie di segreti, compresi quelli delle ultime scottanti vicende sulla diffusione di documenti interni». La Santa Sede, continua la bufala scandalistica su “Repubblica”, «sa che si tratta dell’unica persona che, volendo, potrebbe essere eventualmente in grado di violare il sistema e di impadronirsi dei preziosissimi dati. Che cosa gli è successo?». Il giovane ex-hacker è tra i migliori in Italia, e «al di là delle ipotesi peggiori, la pista che viene seguita da chi lo conosce sufficientemente è che l’ingegnere, che si considera un fedelissimo del Papa, da quando è scoppiato il caso Vatileaks, non si fidi di chi lo aveva incaricato di occuparsi dell’informatica vaticana e voglia tenersi ben a distanza da un problema che con il passare del tempo pare sempre più allargarsi». Ansaldo conclude così la sua bufala: «Un giallo, questo, che si assomma ai tanti misteri di una vicenda per niente conclusa».

Ma quale giallo?? In giornata è intervenuto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, definendo «completamente infondata» la notizia relativa alla presunta sparizione dell’ex hacker ora dipendente della Santa Sede. «Rimango stupito» – ha detto Lombardi in un briefing con i giornalisti in Vaticano. «Ho fatto verifiche presso il Governatorato, la gendarmeria e la segreteria di Stato e non ho trovato assolutamente nulla. Non riesco a trovare alcun aggancio alla realtà». Ha quindi concluso rivolgendosi al vaticanista di “Repubblica” (senza citarlo, con grande classe), «è un modo di fare giornalismo non adeguato alla realtà della situazione».

Il 2 luglio 2012 stesso copione: Marco Ansaldo decide di inventarsi un’altra notizia e finge di essere stato ammesso ad un incontro riservato tra il segretario di Stato Tarcisio Bertone e Benedetto XVI. Nell’articolo compaiono parecchi virgolettati, sia del card. Bertone che del Papa, dialoghi (completamente inventati) attraverso i quali Ansaldo vorrebbe rivelare che il Pontefice avrebbe rifiutato le dimissioni del segretario di Stato. Il giornalista, nella sua ennesima bufala, aggiunge anche piccoli dettagli (ad esempio: “Bertone era furente in volto”), come fosse stato un testimone oculare. Ancora una volta il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, è dovuto intervenire, e con la solita calma ha ricordato che non c’era nessun giornalista nascosto nella stanza del Papa durante l’incontro con il segretario di Stato. Né i due interlocutori hanno riferito alla stampa cosa si sono detti.  Poi, ancora una volta con grande rispetto, senza citare l’autore di questa ennesima menzogna sulla chiesa, ha concluso: «I virgolettati riportati da un quotidiano sono frutto di una costruzione, e il contenuto non corrisponde alla realtà oggettiva».

Occorre imparare ad evitare di informarsi su quanto accade in Vaticano dal “trio della disinformatio”, Politi, Lillo & Ansaldo, persone che non aspettano altro di infangare quel che odiano.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La devozione degli “Azzurri”

Da pochi giorni si sono conclusi gli Europei di calcio 2012 con la partita finale Italia Vs Spagna, quest’ultima vincente dopo un massacrante 0-4. Chi scrive ritiene che buona parte della colpa di questa brutta figura vada all’allenatore Cesare Prandelli e al suo staff tecnico (terzo cambio troppo in anticipo, impostazione tattica sbagliata e pessima condizione atletica). Ma questo non toglie il merito al mister azzurro di aver portato un team di non altissimo valore tecnico in una finale di tale prestigio.

Molti si sono sorpresi in questo torneo calcistico della devozione di Cesare Prandelli, come se chi lavora nello sport debba avere valori e ideali differenti dal resto della popolazione. Diversi sono stati i pellegrinaggi notturni (come dopo il match con l’Irlanda, l’Inghilterra e la Germania) ad alcuni santuari polacchi, assieme al suo staff tecnico, non tanto per richieste particolari ma per affidare l’esperienza lavorativa e la sua vita. In realtà già nel febbraio 2011 aveva raccontato di sé: «Sono cresciuto in una famiglia di credenti, poi quando si arriva all’adolescenza molti fanno scelte diverse. Io invece ho continuato a credere e anche a praticare. Vivo la mia spiritualità andando a Messa, ma non solo». Nel 2008, dopo la scomparsa della moglie Emanuela per un cancro al seno, aveva affermato: «Ho chiesto aiuto a Dio. Siamo andati a Spello, da frate Elia. Lunghe, dolcissime chiacchierate. Sedute di preghiera. Emozionanti, commoventi. Manuela, io, i due ragazzi. Io ho la fede, l’abitudine alla preghiera. Lei era invece un po’ come San Tommaso, ma l’incontro con frate Elia è stato straordinario. L’ha cambiata. Credo che senza di lui la mia Manu sarebbe morta prima».

Il ritiro prima della competizione era iniziato con la benedizione di don Massimiliano, cappellano delle Fiorentina ed amico di Prandelli, il quale ha spiegato: «Era programmata la mia presenza qui a Coverciano ma poi ho pensato che con tanti guai era meglio lasciar perdere. I giocatori peò mi hanno detto “ti aspettiamo”. Credo che in questo momento si debba star vicini, in comunione».  Il “ti aspettiamo” forse potrebbero averlo detto Riccardo Montolivo e Alessandro Diamanti, molto legati a don Massimiliano. Ma anche Gianluigi Buffon, cattolico e fedele alla messa domenicale, che dopo gli Europei si è recato in pellegrinaggio al santuario mariano di Medjugorje (un paio di anni fa era stato invece in visita della Sacra Sindone, assieme ad alcuni compagni della Juventus). Oppure Emanuele Giaccherini, che prima di ogni partita riceve dalla moglie Diana un sms con scritto: «In braccio a Gesù». Forse anche Leonardo Bonucci, molto devoto di Santa Rosa, patrona di Viterbo

Da non dimenticare il vicepresidente della Figc, Demetrio Albertini (ex stella rossonera), cattolico praticante, modello come giocatore e come uomo, un fratello sacerdote e nel gruppo dei pellegrini assieme al mister Prandelli. Cresciuto calcisticamente negli oratori milanesi, ha avvertito i genitori che «mettono troppa pressione ai propri ragazzi e che si creano aspettative elevate non appena si intravede un briciolo di talento. La tendenza è bypassare gli oratori e approdare al più presto alle scuole calcio. Cosa sbagliatissima, perché la vita d’oratorio ti consente di crescere dal punto di vista umano, con il senso del gruppo e con tanti piccoli particolari che rendono felice la vita di un adolescente.Pre me è stato così e pur essendo un calciatore ormai affermato non rimpiango nulla della mia infanzia».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Sette scienziati contro il riduzionismo: «l’uomo è ben oltre i suoi geni»

Sono passasti diversi anni da quando il premio Nobel James Watson diceva: «Noi eravamo abituati a pensare che il destino dell’uomo fosse scritto nelle stelle. Ora sappiamo che, in larga misura, è scritto nei nostri geni». Oggi più nessuna persona seria sosterrebbe una sciocchezza del genere, tranne ovviamente il manipolo di seguaci di Richard Dawkins, il quale nel 2007 ha dimostrato di credere ancora del determinismo genetico, scrivendo ad esempio metafore come questa: «Se in battaglia l’egoista se ne sta nelle ultime file per salvare la pelle, ha probabilità solo di poco inferiori a quelle dei compagni di finire tra i vincitori. Il martirio dei commilitoni gli gioverà più di quanto non giovi in media a ciascuno di loro, in quanto essi saranno mòrti. L’egoista ha più probabilità di riprodursi di loro, e i suoi geni, avendo rifiutato il martirio, hanno più probabilità di replicarsi nella generazione successiva. Quindi la tendenza al martirio diminuirà nelle future generazioni». (“L’illusione di Dio“, Mondadori 2007, pag. 119,120). Sarebbero dunque i geni a rifiutare il martirio, perché i geni determinano chi siamo e il nostro destino.

Interessante leggere quanto ha scritto in questi giorni, allora, il prof. Carlo Soave, ordinario di fisiologia vegetale all’Università degli Studi di Milano. Si parla dell’anniversario del sequenziamento del genoma umano e della deriva riduzionista che ne è sorta attraverso concetti come “il Dna è il codice della vita”. «Nel dire ciò», ha ricordato il prof. Soave, «c’era dentro implicitamente il concetto che la nostra vita è definita e come tale quella di tutti gli organismi viventi da quello che c’è nel dna. L’idea che sostanzialmente siamo determinati dai nostri geni […]. Non è vero. Il codice della vita non è un codice, ma sono degli strumenti in mano al nostro organismo vivente il quale usa di questi strumenti più altri centomila per condurre la propria vita. Chi ha l’informazione è l’organismo intero e non il dna […]. La gente si immagina che nel dna c’è scritto il nostro destino, la salute e la malattia». Scientisti e astrologi sono molto simili nella loro superstizione, perché ritengono che tutto sia già stato scritto, che non vi sia libertà nell’uomo: «nella concezione di essere profondamente condizionati dal nostro dna», ha concluso il fisiologo, «su questa base il nostro destino è uscito per caso alla roulette. Se invece non è vera questa ipotesi cambia lo scenario. Attorno a questi problemi si gioca cosa è l’uomo che  è poi quello che ci interessa. Attorno a queste cose ruota la concezione ontologica chi siamo e cosa siamo».

Qualche mese fa un concetto simile è stato espresso da Aleksandr Kogan, ricercatore presso l’Università di Toronto: «Ogni volta che un nuovo studio esce, i media segnalano che un nuovo gene è stato trovato: c’è il gene della depressione, il gene criminale , o il gene della tenerezza […] . Ma non è corretto. In una certa misura, è vero che i geni gettano le basi di quello che siamo. Dopo tutto, gli esseri umani sono creature biologiche (non sono rocce) e i geni sono gli elementi costitutivi del nostro hardware biologico. Le nostre menti sono fondamentalmente basate sull’esistenza di questo hardware biologico, così i nostri geni sono le fondamenta per quello che siamo. Ma questo è ben lungi dal dichiarare che un particolare gene è responsabile di un particolare tratto di personalità […].Ci sono molti, molti fattori non genetici che influenziano chi siamo […].  Quando si considera una persona in particolare, è estremamente difficile fare una domanda su quello che potrebbe essere basandosi sulla conoscenza dei suoi geni».

Il professore di biologia e neurobiologia alla Open University e alla University of London, Steven Rose, (nonché noto critico di Richard Dawkins), ha dichiarato: «L’uomo ha capacità precluse a qualsiasi altra specie animale sulla Terra. E’ unico. Anche con le scimmie c’è una differenza talmente grande, sopratutto qualitativa. Gli organismi sono multidimensionali (tre dimensioni spaziali più una temporale) mentre il DNA è una fila monodimensionale: non si può passare da 1 a 4. Non si può conoscere l’uomo (se sarà violento, religioso, radicale, conservatore, omosessuale o eterosessuale) decifrando il DNA» (in “La scienza e i miracoli”, TEA 2006, pag. 96-97).

Anche il neodarwinista Francesco Cavalli Sforza ha riconosciuto che «L’esistenza di una mutazione del Dna ci fa pensare a qualcosa di scritto dentro di noi, di ineluttabile. Ma non è affatto così […]. Nessun uomo è figlio solo dei suoi geni». Lo stesso è stato riconosciuto -seppur con qualche limite- da Edoardo Boncinelli, responsabile del Laboratorio di Biologia dell’Istituto San Raffaele di Milano durante un convegno al Meeting di Comunione e Liberazione: «il determinismo genetico si deve intendere nel senso che qualche volta c’è un diritto di veto da parte di alcuni geni in alcune persone, ma per quanto riguarda tutto il resto ci sono ampie opportunità a ciascuno di noi di seguire la propria strada […].  I geni non potrebbero, nemmeno volendo, controllare tutti i nostri  pensieri e i nostri atteggiamenti».

Il prof. Luca Sangiorgi, genetista e dirigente Responsabile della struttura di Genetica Medica dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, si è a sua volta soffermato sul determinismo genetico, ovvero nell’«associare alcuni geni con una maggiore tendenza a fumare, a tendenze suicide, a bere più alcool, alla timidezza; per non parlare dei presunti geni dell’omosessualità e della schizofrenia. La mia personale simpatia in questo campo va al così detto gene dell’appetito che sembra essere particolarmente espresso nei suini. L’eccessiva enfasi attribuita alla costituzione genica dell’uomo fa dimenticare che la vita umana è qualcosa di più della mera espressione di un programma genetico scritto nella chimica del DNA».

Infine, il prof. Marco Pierotti, direttore del Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori (INT), si è proprio domandato: “Il nostro destino è nei geni?”. Per rispondere, ha spiegato, «non si può prescindere dal passare a considerare che cosa sia in fondo l’uomo. Credo che sia il punto centrale della questione a cui non si possa sfuggire dietro ragionamenti o teorie, ma in cui bisogna giocare la propria esperienza, la propria vita, i propri incontri. La complessità biologica che risiede nella possibilità di milioni di miliardi di combinazioni nel modo in cui possono essere espressi i geni di una mia cellula chiude in sé elementi di una libertà biologica che contrasta il rigido determinismo della composizione genica stessa: alla realtà biologica o misurabile si accoppia una realtà non misurabile costituita dalle mie idee, dai miei giudizi, dai miei desideri , dalla mia libertà di aderire a una proposta con un sì o con un no».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

I valori morali oggettivi e l’esistenza di Dio

Nei Paesi anglosassoni si usa pubblicare sui quotidiani, in modo abbastanza costante, riflessioni filosofiche sull’esistenza di Dio. A volte sono argomenti abbastanza banali, altre volte invece sembrano essere più interessanti. Tra questi ultimi quello apparso su Enterprisenews.com, dove è stato affrontato il cosiddetto “argomento morale”, da cui prenderemo spunto per questo articolo. Avevamo parlato dello stesso argomento, molto più approfonditamente, in un post precedente a cui invitiamo a fare riferimento.

 

“L’argomento morale” recita questo:
1) Se Dio non esiste, i valori morali oggettivi non esistono.
2) I valori morali oggettivi esistono.
3) Pertanto, Dio esiste.

Non ci interesserà più di tanto arrivare a “dimostrare” l’esistenza di Dio in questo modo (né in nessun altro), che rimane sempre una questione legata alla libertà dell’uomo, ma piuttosto vorremmo soffermarci maggiormente sulle implicazioni che emergeranno dalle due premesse. Poi, chi vorrà, passerà al terzo passaggio. Resta il fatto che, se questo terzo punto non piace, bisognerà adoperarsi per confutare una delle due premesse, che però sembrano resistere a sufficienza.

Partiamo dalla seconda premessa: “i valori morali oggettivi esistono”.
Affermare che “l’omicidio è sempre sbagliato” (l’omicidio non è l’auto-difesa, un incidente, una guerra necessaria ecc.), “lo stupro è sempre sbagliato”, “torturare i figli è sempre sbagliato” ecc., significa esporre valori morali oggettivi, cioè verità che si ritengono indiscutibili, non negoziabili. Anche il nazismo e l’Olocausto sono ritenuti degli “sbagli” oggettivi, nessuno risponderebbe “è una tua opinione personale”, perché non si tratta evidentemente di una differenza di vedute sulle storia.

I valori morali oggettivi dunque esistono, la domanda che si pone ora è: perché i nazisti si sbagliavano? In base a cosa possiamo dire che certamente l’Olocausto è stato un male? Perché sappiamo senza dubbio che si sono sbagliati, senza correre il rischio di imporre una nostra opinione? Perché l’omicidio, lo stupro, la tortura, ecc, sono sbagliati a prescindere dal parere di chi commette questi atti? Ricordiamo che affermare il contrario significa assumere una posizione relativista, ovvero sostituire il “sempre” (le certezze tanto odiate dagli scettici di professione) con il “dipende”: “la pedofilia non è sempre sbagliata, dipende da…”, afferma il relativista o lo scettico (ovvero il cultore del dubbio).

Per rispondere a questa fastidiosa domanda, occorre necessariamente introdurre la prima premessa: “i valori morali oggettivi non possono esistere senza Dio”. Attenzione: questo non significa che chi non crede in Dio non può vivere una vita etica o morale, ma che senza Dio non ci può essere un valido fondamento logico su cui basare i valori morali oggettivi. La questione è che se non ci appelliamo a qualcosa – o Qualcuno – al di fuori di noi stessi, allora le nostre non possono essere altro che semplici opinioni personali. Chi determina, infatti, ciò che è giusto o sbagliato? Senza Dio, ciò che è morale lo decide la maggioranza di persone che la pensa in modo simile, cioè il potere in quel momento. Dunque parlare di “sempre sbagliato”, senza credere a Dio, è un errore perché tutto “dipende” inevitabilmente dal bias degli appartenenti ad una data società. Anche chi considera la morale come un adattamento evolutivo, sta affermando che dunque si tratta una mera illusione, lasciando irrisolto il problema del “sempre sbagliato o sempre giusto”. Facendo un esempio: se la maggioranza di opinioni personali ritiene che cannibalismo/pedofilia/eutanasia/tortura/stupro/aborto siano un bene per la società, allora queste pratiche diverranno tali (in quella società). Per dirla con lo scrittore non credente Samuel Butler: «La moralità è il costume del proprio paese e l’attuale sensazione dei propri coetanei. Il cannibalismo è morale in un “paese cannibilista”». Se non c’è nessun Altro a cui fare appello, allora non esiste nulla di giusto o sbagliato in modo oggettivo e l’abuso di bambini, dunque, non può essere sbagliato in modo definitivo, ma dipenderà sempre dall’opinione della società.

Non a caso Joel Marks, professore emerito di filosofia presso l’University of New Haven, in un articolo del 2010 dal titolo “An Amoral Manifesto” ha scritto: «ho rinunciato del tutto alla moralità […] da tempo lavoro su un presupposto non verificato, e cioè che esiste una cosa come giusto e sbagliato. Io ora credo che non ci sia […].  Mi sono convinto che l’ateismo implica l’amoralità, e poiché io sono un ateo, devo quindi abbracciare l’amoralità […]. Ho fatto la sconvolgente scoperta che i fondamentalisti religiosi hanno ragione: senza Dio, non c’è moralità. Ma essi non sono corretti, credo ancora infatti che non vi sia un Dio. Quindi, credo, non c’è moralità». Eppure quanti sottoscriverebbero davvero l’amoralità? Il relativismo morale? Quanti sarebbero disposti ad affermare: “legalizzare la tortura verso i figli non è sempre sbagliato, dipende da cosa ne pensa la società”? Nessuno si spera, perché la moralità oggettiva esiste nell’essere umano, ma per avere un solido fondamento logico deve andare “oltre sé” (oltre al prodotto casuale dell’evoluzione biologica), deve appellarsi a Chi ha introdotto tali leggi morali nell’uomo (bianco, nero o giallo che sia, siamo tutti uguali). Chi non lo fa, ma ribadisce comunque l’esistenza di qualcosa di “sempre giusto o sempre sbagliato”, allora è semplicemente irrazionale. Il grande laico Norberto Bobbio non a caso affermava«La morale razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole».

Entrambe le premesse sono state dimostrate, dunque: i valori morali oggettivi esistono e per avere un fondamento logico bisogna appellarsi a Dio. Le conclusioni possono essere diverse: i valori morali oggettivi esistono e dunque deve esistere Dio, chi non crede in Dio non ha un fondamento logico per i suoi valori morali (e questo, ripetiamo, non significa che non ne possiede!), il relativismo non può veramente esistere in una società civile, ecc..

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Mario Mieli, icona gay tra pedofilia e coprofagia

Chi fu davvero l’icona gay che fondò il movimento Lgbt in Italia? Le perversioni di Mario Mieli vengono ricordate e celebrate sul quotidiano comunista Liberazione.

 
 
 

Chi è stato il fondatore del movimento omosessuale italiano?

Il suo nome è Mario Mieli, scrittore e autore nel 1977 del celebre Elementi di critica omosessuale che divenne un fondamento delle teorie di genere in Italia.

Nel suo libro si esibì in un approccio psicologico e antropologico dell’omosessualità (con quali competenze?), ritenuto oggi una «pietra miliare per un’intera generazione di militanti gay».

Mieli in gioventù usava vestire quasi sempre con abiti femminili, andava truccato a scuola, saliva sugli autobus nudo sotto una pelliccia, indossava i gioielli di famiglia.

Il professor Zapparoli, lo psichiatra che lo aveva in cura, aveva diagnosticato una sindrome maniaco-depressiva con connotazioni schizoidi. Frequentò esponenti del movimento gay inglese e fondò nel 1971 la prima associazione del movimento di liberazione omosessuale italiano, chiamata FUORI! (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano).

Si staccò da essa nel 1974 perché l’associazione si fece inglobare dal Partito Radicale, lui invece non era convinto che si dovesse passare dalla politica per cambiare il mondo (e su questo aveva ragione).

 

Mario Mieli e la coprofagia, voleva scandalizzare i bigotti.

Ma la caratteristica per cui è spesso ricordato è la coprofagia, ovvero la devianza sessuale di mangiare i propri escrementi.

E’ famosa, ad esempio, la sua esibizione pubblica all’Ompo’s, durante la quale si esercitò in questi atti (anche con gli escrementi del suo cane). Il poeta gay Dario Bellezza (morto di AIDS nel 1996) ironizzò così: «A Mario è rimasto altro che mangiar la m…, per far parlare di sé».

Mieli morì suicida nella sua abitazione di Milano nel 1983 a soli 30 anni, dopo l’ennesimo periodo di depressione.

A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, sorto a Roma nello stesso anno della sua morte.

Il circolo Mario Mieli lo ricorda con queste parole: «Si esibì più volte gustando m… e bevendo il proprio p… pubblicamente come a fornire un supporto umano e pesante ai prodotti più nascosti e più inumani dell’uomo; come a farsi forte di quella m… con cui una società bigotta, borghese e clericale aveva tentato di coprirlo».

Mieli era notoriamente anche necrofilo.

 

Dalla Norma eterosessuale al suicidio.

Il quotidiano ufficiale del Partito Comunista Italiano, Liberazione, lo ha celebrato più volte.

L’11 marzo 2008ha riassunto così la sua biografia: «Vestiti da donna, teatro d’avanguardia, teoria, militanza, droga, coprofagia. Venticinque anni fa, il 12 marzo 1983, usciva volontariamente di scena, suicida a 31 anni, il più grande intellettuale queer italiano».

L’articolo è scritto da un suo ammiratore, che ha onorato le gesta di una «dimensione esemplare e quasi mitica, sfaccettature di una coraggiosa e coerente complessità». Il suicidio di Mieli viene definito un «capolavoro di estremo narcisismo o esempio di masochismo che può sublimare, se usato politicamente, l’istinto di morte della Norma eterosessuale».

La Norma eterosessuale significava per Mieli -probabilmente segnato dall’esperienza dell’ospedale psichiatrico e dall’effetto di droghe di cui abusava-, la rimozione dell’omosessualità e della femminilità da ogni uomo, perché «la dimensione di una transessualità originaria e profonda, costituisce la cifra essenziale dell’Eros di ciascun individuo». Lui ha introdotto il concetto per cui la «la Norma eterosessuale castra il desiderio attraverso l’educazione, producendo una società di adulti “monosessuali”, repressi, intrinsecamente omofobi e per questo votati alla guerra».

In poche parole, per l’icona gay italiana, «ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui, che Mieli invita ad accettare, accogliere e liberare».

“Fissarsi” su «un singolo oggetto sessuale» (cioè, per oggetto si intende solo l’uomo o solo la donna) è -secondo Mieli- «un limite, un sintomo di repressione, di rimozione della naturale disposizione transessuale». Bisognerebbe aprirsi sessualmente ad ogni “oggetto”, dagli uomini agli animali e, perché no, fino ai propri escrementi. Solo così non si sarebbe repressi e omofobi.

«Una posizione, questa, che scandalizza ancora oggi», si lamenta il suo ammiratore su Liberazione. Le perversioni più assurde, servono proprio per «restituire agli individui la condizione originaria di transessualità, ovvero la libera e gioiosa espressione della pluralità delle tendenze dell’Eros». Esse, secondo lo slogan da lui coniato, “Mens sana in corpore perverso” (sbagliando pure il latino), «sono tappe inevitabili, lungo il cammino dell’Eros e dell’emancipazione per la rottura di ogni tabù».

Ed ecco la crisi mistica dell’ammiratore di Mieli: «Elogio della m… come grimaldello che apre le porte dell’armonia, come supremo vessillo della liberazione, come fonte di ricchezza accessibile a chiunque, come comunione sublime per un’iniziazione scandalosa, per una conoscenza schizofrenica e divergente. Il Mieli “alchemico” dell’ultima parte della sua vita narra un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista insieme al suo fidanzato: la celebrazione di un rito di “nozze alchemiche”, con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto in casa”, un dolce nel cui impasto confluivano non solo m…, sangue e sperma, ma anche ogni altra secrezione corporale, dalle lacrime al cerume. Perché? “L’abbiamo mangiato – dice Mieli – e da allora siamo uniti per la pelle. Pochi giorni dopo le “nozze”, in una magica visione abbiamo scoperto l’Unità della vita. Era come se non fossimo due esseri disgiunti, ma Uno; avevamo raggiunto uno stato che definirei di comunione”».

 

Mario Mieli e la pedofilia: “Liberiamo i bambini”.

Anche in Mieli ritorna il pensiero della pedofilia, come nel movimento omosessuale americano Nambla in voga in quegli anni.

Si legge nell’articolo di Liberazione: «Il bambino è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascun individuo è votato. È l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros».

Secondo l’articolista del quotidiano comunista, questo è un «discorso eversivo e scomodo oggi più che mai, in una società attanagliata dal tabù che investe senza appello il binomio sessualità-infanzia, ossessione quasi patologica che trasforma il timore della pedofilia in una vera e propria caccia alle streghe».

Anche i bambini dovrebbero fare sesso, secondo Mieli, perché l’Eros, «se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera». L’adozione gay, invece, potrebbe «inculcare nel bambino i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario?», ci si domanda su Liberazione.

I valori cristiani e quelli familiari naturali, secondo Mieli sono «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l’educazione, hanno la colpa di «trasformare il bambino in adulto eterosessuale».

I pedofili invece possono “liberare” i bambini: «noi checche rivoluzionarie», ha scritto l’icona gay italiana, «sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega» (da “Elementi di critica omosessuale”, 1977).

 


La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

I cattolici e la generosità: Gesù è il riferimento

Un team interdisciplinare di docenti dell’Arizona State University’s Center for the Study of Religion and Conflict ha esplorato ciò che motiva le persone ad essere generose e come la religione influenza le loro azioni. I ricercatori hanno voluto identificare i motivatori della generosità in uno studio comparativo tra musulmani e cattolici, con lo scopo di scoprire gli aspetti che motivano le persone a donare le loro risorse di tempo, di fatica e di denaro, e come queste motivazioni possono essere simili o diverse nelle due delle principali religioni del mondo.

I risultati dello studio hanno rilevato che i musulmani sentono fortemente un obbligo da parte di Dio a condividere con chi è meno fortunato di loro, ritengono inoltre che nel fare la carità agli altri stanno seguendo le orme del profeta Maometto. Tutto bene, ma non si capisce però in cosa lo stiano emulando dato che né la storia né il Corano descrivono gesta di carità e solidarietà del profeta. Anzi, nella sua biografia compaiono alcune guerre, come la ben poco caritatevole azione verso la tribù dei B. Qurayza, dove 700 maschi ebrei morirono e donne e bambini vennero venduti o fatti schiavi.

Per quanto riguarda i cattolici, lo studio ha rilevato che essi non si sentono obbligati in nulla, è invece il loro amore per Gesù a spingerli ad aiutare gli altri. I ricercatori hanno anche scoperto che il cattolicesimo è meno gerarchico di quanto comunemente si pensi: molte funzioni religiose, infatti, vengono svolte da laici, e lo stesso dicasi per i musulmani. Rispetto all’atteggiamento degli intervistati cattolici e islamici, hanno detto i ricercatori, «i cattolici erano più reticenti a parlare di soldi o della misura in cui essi stanno aiutando gli altri. Le associazioni islamiche, invece, erano più aperte al nostro studio perché hanno accolto con favore l’opportunità di contribuire ad aumentare la comprensione dell’Islam».

Ricordiamo che nel maggio 2011 uno studio ha rilevato che le persone tendono a comportarsi in modo migliore se sperimentano, o sono state educate religiosamente, essendo più generosi e cooperativi. Nell’agosto 2007, uno studio pubblicato su “Psychological Science journal” ha dimostrato che credere in Dio influenzia positivamente il comportamento sociale, in particolare per quanto riguarda la cooperazione con gli altri e la generosità verso gli estranei.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Quanto è difficile essere padri atei

Quanto è difficile rendere ragione ai propri figli della propria esperienza religiosa, se di ragioni non ce ne sono. E’ quanto emerge da una revisione dei dati di Pew Research Center (PEW) sulla religione in America,  dai quali si evince che  soltanto il 30% di coloro che vengono allevati come atei durante l’infanzia e l’adolescenza trovano ragioni tali tanto da chiudere la porta a Dio anche da adulti. Il 70% dei genitori, invece, non riesce a dare sufficienti ragioni per non far cambiare strada ai propri figli.

L’educazione cattolica, invece, si rivela ragionevole per il 68% dei figli, tanto che mantengono tale posizione anche da adulti. Secondo diversi antropologi, dati i bassi tassi di natalità e il tasso molto basso di “fedeltà”, la religione atea entrerà in crisi molto presto. Lo ha evidenziato uno studio dell’Università di Jena, in base al quale le società dominate da non credenti sono destinate all’estinzione mentre i popoli religiosi si evolveranno e si riprodurrano molto più velocemente.   

Si potrebbe obiettare che le “famiglie atee” non siano interessate ad educare i figli verso la loro posizione esistenziale, ma sappiamo bene che la neutralità educativa è un’utopia. Qualunque cosa dei genitori viene assorbita dai figli, nel bene e nel male, ed è giusto che sia così. Oltretutto sappiamo che esistono veri e propri Catechismi per l’educazione atea distribuiti dalle associazioni di militanti integralisti.

Dalla tabella qui sotto si nota che al primo posto di coloro che rimangono affiliati alla stessa religione nella quale sono cresciuti, ci sono gli indù. E’ abbastanza comprensibile essendo una religione fortemente localizzata in un aria geografica ben precisa, lo stesso dicasi per l’ebraismo (secondo posto) e i greco-ortodossi (quarto posto).

 

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Lo storico ebreo Krupp: «la leggenda nera contro Pio XII è alla fine»

Verrà il momento in cui le leggende nere su Pio XII finiranno? Secondo Gary Krupp, ebreo, storico e fondatore dell’organizzazione Pave The Way Foundation, i tempi sono ormai vicini. Il sito dell’associazione (www.ptwf.org) ha raccolto ormai circa 76000 pagine di materiali originali, oltre alle testimonianze oculari e ai contribuiti di studiosi internazionali di rilievo, che smontano una ad una tutte le leggende nere sul conto di Pacelli.

«Non c’è alcun fondamento documentato nelle loro accuse», ha affermato il ricercatore ebreo. Al contrario, sono parecchie le prove che giocano a favore di Pio XII: dal suo aiuto all’espatrio agli ebrei in fuga dalla Germania, al loro nascondiglio durante la razzia del 16 ottobre del ’43 a Roma, dalle sue trame contro Hitler fino al rischio di essere lui stesso deportato.

False anche altre accuse come quella che la Chiesa non avrebbe condannato il nazismo o che il papa avrebbe favorito la fuga di criminali nel dopoguerra o che avrebbe effettuato battesimi forzati su bambini ebrei. Sempre secondo Krupp, la campagna di disinformazione riguardante Pio XII nacque dal KGB che voleva utilizzare la leggenda del “papa di Hitler” per combattere l’anticomunismo della Chiesa (come ammesso anche dall’ex agente dei servizi segreti rumeni Ion Mihai Pacepa, cfr. M. Hesemann, Contro la Chiesa, Milano 2009 pp. 311-314).

Krupp ha puntato il dito anche contro alcuni suoi correligionari che persistono a propagare le falsità su questo papa, ricordando anche che a Roma fu eretto un monumento (non più esistente) a Pio XII per ringraziarlo d’aver salvato le loro vite, ha quindi attaccato anche certe università che in nome della “libertà d’insegnamento” propongono tesi storicamente false. Il fondatore di Pave the Way ha concluso affermando che le ricerche non sono finite e che sempre più elementi a favore di Pacelli stanno riaffiorando. Ha dichiarato anche: «Sento che ho fratelli e sorelle nella Chiesa, ma non prenderei mai in considerazione l’idea di convertirmi. Sono molto fiero di essere ebreo, e credo che questa sia la via che Dio ha voluto che prendessi».

Sono gli stessi ebrei in difesa di Pio XII, basteranno a far declassare il mito della complicità della Chiesa verso il regime nazista ad una colossale mistificazione?

Mattia Ferrari

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace