Continua il massacro di cattolici sotto il regime ateo del Vietnam

Non c’è spazio per chi ha fede sotto i governi ufficialmente atei, lo dimostrano Cina, Corea del Nord ed anche Vietnam. Attenzione: si parla di oggi, luglio 2012, e non di secoli bui illuministi o Medioevo, per intenderci.

Dal 1954 in Vietnam del Nord e dal 1976 per tutto il Vietnam, l’ateismo di Stato è la religione ufficiale e le persecuzioni verso i credenti, come abbiamo segnalato altre volte, sono innumerevoli, nel compiacente silenzio dei sedicenti paladini dei diritti umani di casa nostra -da Corrado Augias a Giuseppe Cruciani, fino a Marco Politi-, che si guadagnano la pagnotta di aspiranti Nobel per la pace solo quando c’è da parlare delle nozze gay, che nemmeno sono considerate un diritto.

Stefano Magni su “L’Opinione” fa il resoconto della situazione: «Chiese devastate, terreni espropriati, sacerdoti picchiati, fedeli intimiditi, teppisti pagati dalle autorità locali per malmenare e devastare, polizia che non interviene. O agisce con violenza dalla parte degli aggressori. Sono queste le caratteristiche della persecuzione dei cattolici in Vietnam». Un Paese in cui «formalmente, nella sua costituzione, garantisce libertà di culto a tutti i suoi cittadini. Ma che, nei fatti, impedisce a chiunque di avere fede per qualsiasi religione che contrasti dell’ateismo marxista. I cattolici sono le vittime predestinate della lunga campagna del terrore di Stato, perché le conversioni, specie nelle zone rurali, sono in aumento». Non solo aumentano le conversioni, ma anche le ordinazioni sacerdotali: nei 7 seminari maggiori ci sono attualmente oltre 1.500 giovani seminaristi.

Domenica scorsa, riporta il quotidiano online, nella provincia di Nghe An (Vietnam settentrionale), un gruppo di picchiatori (che hanno confessato ad alcuni testimoni di esser stati pagati dalle autorità, con 25 dollari a testa) ha intimato il parroco locale, Nguyen Dinh Thuc, di non celebrare la messa per poi picchiarlo selvaggiamente, vittime anche i fedeli accorsi in suo aiuto. Una donna è in fin di vita, mentre la polizia è intervenuta solo per arrestare diversi fedeli cattolici e assecondare la devastazione della chiesa locale da parte della banda di picchiatori. In questi mesi, continua il giornalista, stando a fonti dell’agenzia missionaria Asia News, i funzionari del distretto girano in jeep fra le case lanciando slogan contro la religione, oppure intimando ai fedeli di non andare a messa, il regime vietnamita promuove anche continue campagne di diffamazione mediatica contro la religione e arresta gli attivisti che si battono per la libertà di religione.

Anche nella capitale Hanoi, una banda di picchiatori (appoggiata dalla polizia) ha assaltato un orfanotrofio gestito da religiosi, colpendo anche i bambini ospiti e lasciando in coma il sacerdote che si prendeva cura di loro, padre Van Binh.  In mezzo tutto questo odio verso chi ha fede in Dio, vive anche Padre Vincent Peter Khoi Pham Van, il quale è riuscito a vincere l’ostilità verso i credenti, anche grazie al suo aiuto quotidiano alla popolazione, lavorando gratuitamente nei campi, fianco a fianco con  i suoi concittadini.

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Il biologo Miller: «la scienza mi fa apprezzare l’opera di Dio»

In questi giorni compie 64 anni Kenneth R. Miller, famoso biologo americano, docente dal 1974 al 1980 presso l’Università di Harvard e oggi alla Brown University. La sua ricerca si basa sulla funzionalità delle membrane biologiche ed è particolarmente attivo culturalmente nella critica al creazionismo e all’Intelligent Design. Sul sito della Templeton Foundation ha descritto la sua esperienza come cattolico e scienziato, in merito all’argomento “scienza e fede”.

«La scienza stessa non è in contraddizione con l’ipotesi di Dio», dice. «Piuttosto, ci offre una finestra su un universo dinamico e creativo che espande il nostro apprezzamento per l’opera divina che non avrebbe potuto essere così immaginata nei secoli passati». Ovviamente, si passa presto a parlare di evoluzione, essendo il suo campo di lavoro: «In qualità di difensore schietto dell’evoluzione, sono spesso sfidato da coloro che ritengono che se la scienza può dimostrare l’origine naturale della nostra specie, e sicuramente lo fa, allora Dio dovrebbe essere abbandonato. Ma la Divinità che essi rifiutano così facilmente, non è quella che conosco. Per essere minacciato dalla scienza, Dio dovrebbe essere niente più che un segnaposto per l’ignoranza umana». Il cosiddetto “dio-tappabuchi”, contro il quale si batte inutilmente Richard Dawkins. Continua: «questo è il Dio dei creazionisti, del “disegno intelligente”, di coloro che cercano il loro Dio nelle tenebre. Quello che non si capisce diventa la loro migliore – anzi l’unica – prova per la fede. Come cristiano, trovo il flusso di questa logica particolarmente deprimente. Non solo ci insegna a temere l’acquisizione di conoscenze (che potrebbero in qualsiasi momento smentire questo credo), ma suggerisce anche che Dio abiti solo nelle ombre della nostra comprensione. Suggerisco che se Dio è reale, dovremmo essere in grado di trovarlo da qualche altra parte, alla luce brillante della conoscenza umana, spirituale e scientifica. E che luce che è! ».

Il biologo continua la sua riflessione: «Viviamo in un mondo letteralmente pieno di creative potenzialità evolutive ed è abbastanza ragionevole chiedersi perché sia così. Per una persona di fede, la risposta a questa domanda è Dio. La scienza si avvale di un tipo di fede, una fede condivisa da tutti gli scienziati, siano essi religiosi nel senso convenzionale o meno. La scienza si basa su una fede che il mondo è comprensibile, e che ci sia una logica nella realtà che la mente umana può esplorare e comprendere. Contiene anche, come un articolo di fede scientifica, che tale esplorazione valga la pena, perché la conoscenza è sempre da preferire all’ignoranza. L’errore categorico dell’ateo è di assumere che Dio è naturale, e dunque è all’interno del regno della scienza, da indagare e da provare. Facendo Dio una parte normale del mondo naturale, e non riuscendo a trovarlo lì, essi concludono che Egli non esiste. Ma Dio non è e non può essere parte della natura. Dio è la ragione della natura, la spiegazione del perché delle cose. Egli è la risposta alla esistenza, non parte della stessa esistenza». Con buona dimestichezza anche in campo fisico e filosofico, afferma: «C’è grande ingenuità nel presupporre che la nostra presenza nell’universo si spieghi da sé, e non richieda una risposta. Molti di coloro che rifiutano Dio, implicano che le ragioni per l’esistenza di un mondo ordinato naturali non siano da ricercare. Le leggi della natura esistono semplicemente perché sono, o perché ci troviamo in uno degli innumerevoli “multiversi” in cui il nostro sembra essere ospitale per la vita. Non c’è bisogno di chiedersi perché sia così, o indagare il meccanismo che genera tanti mondi. La curiosità del teista che abbraccia la scienza è più grande, non minore, perché egli cerca una spiegazione che è più profonda di quanto la scienza può offrire, una spiegazione che comprende la scienza, ma cerca la ragione ultima per cui la logica della scienza dovrebbe funzionare così bene. L’ipotesi di Dio non viene da un rifiuto della scienza, ma da una curiosità penetrante che si chiede perché la scienza sia ancora possibile, e perché le leggi della natura esistono per noi da scoprire».

Dando uno sguardo anche alle religioni, evidenzia che «rifiutare Dio a causa delle auto-contraddizioni e mancanze logiche della religione organizzata, sarebbe come rifiutare la fisica a causa delle contraddizioni intrinseche della teoria quantistica e della relatività generale. La scienza, tutta la scienza, è necessariamente incompleta, questa è, in effetti, la ragione per cui tanti di noi trovano la scienza tonificante e appagante. Perché, allora, dovremmo essere sorpresi che anche la religione è incompleta e contraddittoria? Non abbandoniamo la scienza perché i nostri sforzi umani per avvicinarsi alle grandi verità della natura sono a volte ostacolati da errori, avidità, disonestà, e anche di frode. Perché allora dovremmo dichiarare la fede una “delusione”, perché è soggetta esattamente alle stesse carenze?». E conclude: «Oggi, la scienza va avanti e il mistero rimane. C’è un posto per la fede autentica nel mondo della scienza? In effetti c’è. Lungi dall’essere in contrasto con essa, l’ipotesi di Dio convalida, non solo la nostra fede nella scienza, ma il nostro vero piacere, soprattutto per i doni di conoscenza, amore e vita».

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Margherita Hack corretta perfino da una giornalista: «il bosone non è Dio!»

Sembra dunque confermata la scoperta del bosone di Higgs, ovvero la particella grazie alla quale ogni cosa ha una massa e per cui la materia esiste così come la conosciamo. Per una scelta di markenting è stata anche definita “particella di Dio”, ma i fisici giustamente preferiscono il nome tecnico, dal britannico Peter Higgs, che nel 1964 ne aveva previsto l’esistenza.

Ci sarà modo in futuro di delineare nel dettaglio le conseguenze di questa scoperta per il dialogo tra fede/teologia e scienza, accenniamo soltanto alle parole di mons. Sanchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Cultura, il quale ha commentato entusiasta la notizia, spiegando che «dimostra che l’universo non è caotico ma razionale, cioè c’è la preminenza del Logos che è il Creatore del mondo». Un universo ordinato, comprensibile (solo) alla mente umana, con un’origine e una causa proporzionata, come ha spiegato il teologo Elio Sgreccia, citando anche il fisico Enrico Medi, il quale scriveva: «Oh, voi misteriose galassie, io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete adorare».

Dispiace notare che il sito web di “Repubblica” non abbia pensato di intervistare veri scienziati italiani, molti dei quali protagonisti assoluti di questa importante scoperta, come la fisica Fabiola Gianotti (colei che ha annunciato al mondo la scoperta e secondo la quale «scienza e fede appartengono a due sfere differenti, la scienza si basa su dei fatti, su osservazioni. La fede si basa sulla convinzione personale di credenza e sono due piani diversi ma non incompatibili. Bisogna lasciarli separati, ma certamente le due questioni non sono incompatibili fra loro»). “Repubblica”, dicevamo, ha preferito tornare dall’ex direttrice di un Osservatorio astronomico, la signora Margherita Hack, 90 anni (con bastone), interrogandola su questo evento. L’anziana donna, militante politica nei Comunisti italiani (sembra ci voglia riprovare anche nelle prossime elezioni, giusto per introdurre in Parlamento le necessarie “forze giovani”), ha dato qualche spiegazione generale, nemmeno molto comprensibile, incappando però in una “gaffe” delle sue (detta anche “odifreddura”, termine coniato per il suo amico Odifreddi, ben più affermato in fatto di panzane), affermando: «Io la particella di Dio la chiamerei addirittura Dio. Se la materia è tutto ciò che esiste e il bosone di Higgs è quello che spiega come le particelle acquistano massa…eh, allora allora vuol dire che il bosone di Higgs è Dio».

La giornalista Giulia Santerini ha trattenuto bene il sorriso, rispondendo con un «addirittura?», dando poi una piccola lezione di astrofisica (o meglio, di banale buon senso) alla eccessivamente celebrata ex direttrice dell’Osservatorio di Trieste: «Però in pratica», ha obiettato la giornalista, «il bosone di Higgs ci spiega che cosa è successo un istante “dopo” l’inizio dell’universo, quindi comunque la causa non ce la dà». La Hack, evidentemente in impaccio, ha frettolosamente evitato la correzione della giornalista e, come se niente le fosse stato insegnato, si è incaponita sul suo pensiero: «beh, se il bosone è la particella che dà la materia alle altre, appunto io la chiamo Dio».  Già la coordinatrice dell’esperimento che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs, la già citata Gianotti, aveva avvertito: «è una particella che stimola un gran numero di questioni e questo nella mente di chi l’ha battezzata come “particella di Dio” forse l’ha fatta sembrare una specie di deus ex machina. Personalmente non la eleverei a un tale livello». Un pizzico di satira su questa ennesima imbarazzante uscita della Hack è arrivata anche da Linkiesta. Sinceramente la preferivamo quando, sempre con la serietà che la contraddistingue, definiva il Big Bang «una grande scorreggia dell’universo da cui è nato tutto quel che vediamo», divenendo così fondatrice ufficiale della “cosmopetologia”, come ha notato il matematico de “La Sapienza”, Giorgio Israel.

Fortunatamente il sito web di “Repubblica” ha intervistato anche un vero scienziato, alzando così decisamente il livello. Il fisico Antonino Zichichi, professore Emerito all’università di Bologna in Fisica Superiore e responsabile di diversi progetti al Cern (molto amico, oltretutto, di Peter Higgs, e presente al momento dell’annuncio della scoperta), ha infatti spiegato l’importanza di questo evento. In un’altra intervista, ha aggiunto: «Il grande messaggio della scienza è: esiste una Logica. Se c’è una Logica, ci deve essere un Autore. Gli atei sostengono che esiste una Logica, ma non il suo Autore. E questo in termini di logica rigorosa, non sta in piedi. Chi nega l’esistenza della Logica che regge il mondo e afferma che tutto è prodotto dal caos, nega la Scienza. Se non esistesse Logica nell’Universo Subnucleare, io stesso non avrei potuto fare tutte le cose che ho fatto».

Tornando alla Hack, l’invito a riposarsi è fin troppo ovvio, dopo una vita di duro lavoro è giusto per tutti godersi la meritata vecchiaia, lasciando finalmente spazio a chi davvero è coinvolto attivamente nel campo scientifico.

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Nuovo studio: fecondazione assistita aumenta rischi di malformazioni

Una recente ricerca condotta da un team di scienziati australiani, pubblicata su The New England Journal of Medicine, ripropone all’attenzione del mondo scientifico i rischi legati alla fecondazione assistita. Il merito della ricerca è quello di aver stabilito per la prima volta le percentuali di rischio in ordine alla comparsa di malformazioni alla nascita da parte di nati ricorrendo alla fecondazione assistita.

Il team, guidato da Michael Davies del Robinson Institute di Adelaide, ha esaminato i dati relativi a 6.100 nascite avvenute in Australia meridionale grazie alle tecniche di procreazione assistita e 300 mila nascite avvenute per concepimento naturale, prendendo in esame un totale di 18 mila malformazioni. Alla fine gli scienziati hanno rilevato come la percentuale di rischio di difetti alla nascita sia più elevata con le tecniche di procreazione assistita (8,3 per cento) rispetto alle gravidanze ottenute naturalmente (5,8 per cento).

Di fronte a tali numeri, riteniamo opportuno leggere un commento autorevole come quello del professor Salvatore Mancuso, presidente del Comitato Etico del Policlinico Gemelli di Roma: «La fecondazione assistita – esordisce il prof. Mancuso –  avvalendosi di tecniche che inducono forzatamente alla ovulazione, è già in origine un elemento di disturbo dei fenomeni naturali legati alla procreazione. Quando uno dei partner presenta un problema di tipo ereditario che preclude alla procreazione spontanea, molto spesso di natura genetica in quanto altro non sono che mutazioni geniche che non compaiono nella morfologia delle analisi, bisognerebbe non forzare la mano ed evitare del tutto la fecondazione». Ricorrere alla fecondazione significa «esporre il nascituro al rischio di contrarre patologie o malformazioni di una certa gravità […]. Se esiste un problema di tipo ereditario e la natura non consente una procreazione spontanea, la produzione di un embrione ottenuto in vitro e poi impiantato nell’utero espone il nascituro a rischi elevati e questo studio conferma quanto già si conosceva».

A riprova di quanto affermato dal Prof. Mancuso, sarebbe opportuno rileggere un precedente articolo pubblicato su questo sito nel quale emergeva in tutta chiarezza come il concepimento in laboratorio aumenta del 37%  la probabilità di difetti alla nascita. Fra tutte le ricerche che venivano allora citate, spiccava quella  del 2010 pubblicata su “Pediatrics” (rivista ufficiale dell’accademia americana di pediatria) che dimostrava l’esistenza di una incontrovertibile tendenza alla tumoralità per i bambini nati da fecondazione.

La fecondazione in vitro dunque, oltre a creare un numero elevato di embrioni umani scartati, congelati o distrutti, alla luce dei recenti studi si conferma come una tecnica estremamente pericolosa per la sua “non naturalità”  che comporta anche il rischio di far nascere bambini con problemi genetici importanti.

Salvatore Di Majo

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«La mia vita distrutta da un padre gay», esce in Italia il libro

Pochi giorni fa sono stati pubblicati su “Social Science Research” due studi molto interessanti sulle problematiche dei bambini cresciuti all’interno di una relazione omosessuale. Il primo in particolare si è basato sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale e ha fatto parlare direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, dimostrando un significativo aumento di disturbi psicofisici rispetto ai figli delle coppie eterosessuali.

Per coincidenza, proprio in questi giorni è uscito in Italia il libro Fuori dal Buio, la mia vita con un padre gay” (edizioni Ares 2012), di cui abbiamo già avuto modo di parlare.  A parlare è Dawn Stefanowicz, che ha scelto coraggiosamente di scrivere un libro sulla sua vita di ragazzina cresciuta con un padre omosessuale. Anche lei, come i “figli” intervistati nello studio scientifico citato sopra, ha parlato di sofferenze indicibili subite e si è fatta portavoce di altri “figli” dei gay con cui è entrata in contatto: «Informandomi sull’argomento ho conosciuto diverse persone, in Nordamerica, che essendo cresciute con un genitore dalle tendenze omosessuali hanno reso pubblici alcuni aspetti delle loro storie e hanno raccontato le difficoltà che quell’ambiente famigliare aveva creato per la loro crescita», ha scritto nella prefazione. Ha agito «per difendere i bambini innocenti che non possono difendersi da soli», come scrive nella dedica del volume, «contro una nuova, inaudita forma di abusi sui minori, legalizzata e promossa dagli Stati che hanno abbracciato un’ideologia del tutto falsa, per la quale ogni tipo di vissuto e ogni forma di convivenza vengono considerati leciti ed equivalenti».

L’amore per il padre emerge nel libro, lui non ha voluto farle male in modo consapevole, ma purtroppo «ciò che desiderava più di ogni altra cosa era di essere accettato e appartenere a qualcuno. Cercava di ottenere quel tipo di compagnia e di amore maschile che da bambino non aveva mai conosciuto. Ma, cercando di soddisfare le sue esigenze affettive attraverso l’omosessualità, spesso ignorò le esigenze legittime dei suoi figli». L’omosessualità, dunque, come ricerca dell’affetto di un uomo, mancata nell’infanzia. Dawn racconta: «sono stata esposta a chat sessualmente esplicite, stili di vita edonistici, sottoculture GLBT e luoghi di vacanza gay. Sono stata esposta a manifestazioni della sessualità di tutti i tipi tra cui il sesso negli stabilimenti balneari, travestitismo, sodomia, pornografia, nudità gay, lesbismo, bisessualità, voyeurismo e sadomasochismo. Droga e alcol hanno spesso contribuito ad abbassare le inibizioni nelle relazioni di mio padre». Egli la vestita sempre in modo unisex, «non ho mai visto il valore delle differenze biologiche complementari tra uomini e donne, né mai ho pensato al matrimonio». Con papà, racconta, «non c’era scampo: se uscivo con le femmine diceva che ero lesbica (…), la promiscuità mi sembrava la cosa più normale». La cosa peggiore, racconta Dawn, era «l’audacia di papà nella sua condotta omosessuale sempre più evidente», dovuta al fatto che «non c’era più nessuno a cui sentiva di dover rendere conto (…) una nuova aria di permissivismo permeava la società». E ancora: «Ero indignata per la vita delle persone dello stesso sesso, i continui abusi domestici, le avances sessuali verso minori e la perdita di partner sessuali come se le persone fossero prodotti da utilizzare»

Dawn è cresciuta tra gli omosessuali di Toronto, come scrive nel suo sito web, e suo padre è uno specchio di quel mondo: «Era una persona insicura», perché l’omosessuale, spiega l’autrice raccontando dei tantissimi incontrati nel mondo gay, è «narcisista, concentrato su se stesso e tanto bisognoso di conferme e di affetto da parte di altri uomini […], lui portava dentro una grandissima rabbia irrisolta, che ribolliva e traboccava in scene spaventose […]  lottava anche contro la depressione e qualche volta pensava al suicidio (…). Viveva una vita tormentata, il suo modo di affrontare il proprio disagio era seppellirsi negli straordinari di lavoro e poi la sera e nei fine settimana, fuggire verso attività sessuali compulsive». Per questi disturbi del padre e dei suoi amanti, la donna non ha scaricato la colpa sulla società, la quale anzi è sempre stata fin troppo aperta.

Due incontri hanno dato a Dawn la forza di venirne fuori, come recensisce Tempi.it: la sua vicina di casa, innanzitutto, da cui spesso si rifugiava da piccola e che a differenza di tutti gli adulti che «in nome dell’ideologia politically correct fingevano di non vedere (…), parlava delle cose così com’erano, non come apparivano», spiegando alla piccola che «il papà fa delle cose che non dovrebbe fare perché sono sbagliate». Grazie ad un altro vicino, «conoscendo i suoi genitori ebbi finalmente un’idea di quello che dovesse essere una famiglia». Dopo aver cercato di realizzare la sua legittima esigenza di affetto paterno attraverso rapporti omosessuali transitori e promiscui, oggi Dawn Stefanowicz -anche grazie alla analisi- è sposata con due figli, ed è anche riuscita a perdonare il padre.

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Nuovo studio: la Sindone è vera, miracolo in linea con la fisica

Nel novembre 2011 proprio su questo sito web il fisico e dirigente di ricerca presso l’ENEA di Frascati, Paolo Di Lazzaro, ha presentato in anteprima uno studio scientifico svolto sulla Sacra Sindone, concentratosi sulla formazione dell’immagine. La conclusione è stata la presa di coscienza che oggi la scienza non è in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone, facendo diventare dunque non ragionevole l’ipotesi di un falsario medioevale. Soltanto utilizzando la luce UV e VUV di un laser eccimero impulsato della durata di alcuni miliardesimi di secondo, si è potuto colorare il lino in modo similsindonico.

In questi giorni è stato pubblicato un altro studio, realizzato dal dott. Giuseppe Baldacchini, fisico e già dirigente presso il Centro di Ricerca ENEA di Frascati. Egli ha riconosciuto che «accurati studi condotti con il metodo scientifico hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che non si tratta di un falso, ed inoltre l’ipotesi più accreditata chiama in causa un processo energetico radiante compatibile con la Resurrezione».  Nell’introduzione si è soffermato sulla storia delle religioni, evidenziando come «il Cristianesimo è alla base della nascita della civiltà occidentale e del metodo scientifico». Se non vi sono prove per capire quale delle tante religioni sia quella vera, «la Sindone di Torino può dare una risposta a questo quesito, ed è singolare il fatto che le prove che lo dimostrano vengano dalla Scienza che spesso è contrapposta alla Religione, mentre non c’è confitto tra queste due categorie mentali dell’uomo». Il dott. Baldacchini ha quindi riflettuto sul fatto che «numerosi studiosi hanno messo in dubbio la validità delle misure con il 14C perché i campioni utilizzati per la misura non erano rappresentativi della Sindone e/o sono stati contaminati», una datazione molto probabilmente pilotata come ha mostrato un recente documentario.

Nella prima parte dello studio è stata confutata la tesi secondo cui la Sindone sarebbe un’opera artistica, in quanto «negli ultimi decenni è stato scoperto che l’immagine corporea non è un disegno o una pittura eseguita con tecniche conosciute, e alcune macchie rossastre sono state causate da sangue umano». La Sindone, altrimenti, sarebbe stata «realizzata dal più geniale falsario mai apparso sulla Terra e ancora oggi sconosciuto», il quale avrebbe dovuto conoscere «alcune tecnologie o informazioni prima della loro invenzione e divulgazione […] non poteva essere a conoscenza di scoperte moderne sia perché le tecniche a disposizione a quel tempo non permettevano di eseguire una simile opera dal punto di vista macroscopico e microscopico». Ma chi sostiene questa tesi, assume una posizione irragionevole, in quanto:

1) L’immagine corporea della Sindone è un falso negativo: tecnologia scoperta ed utilizzata nella fotografia solo nel 1850.
2) I chiodi sono infissi nei polsi dell’uomo della Sindone: ma in tutte le rappresentazioni antiche della crocifissione i chiodi sono piantati nelle mani, anche se in questo modo il corpo non poteva rimanere appeso in croce. L’ipotetico falsario medioevale non poteva saperlo o comunque non avrebbe avuto motivi per contraddire le rappresentazioni della tradizione, rischiando così di dare adito a sospetti.
3) L’immagine della gamba sinistra è più corta della destra: una conseguenza del metodo di inchiodatura dei piedi e della rigidità cadaverica repentina, due aspetti sconosciuti nel Medioevo, essendo stati scoperti solo in tempi recenti.
4) Sul lato destro della cassa toracica c’è una grande macchia di sangue e siero: nessun ipotetico falsario medievale poteva sapere che ciò è una conseguenza della morte istantanea per rottura della parete del cuore, una scoperta recente della medicina.
5) Le macchie di sangue sono nette e sotto di esse non c’è immagine corporea: queste caratteristiche sono incompatibili con un’opera artistica.
6) Ci sono numerose macchie di sangue sulla fronte e sulla calotta cranica: la rappresentazione tradizionale di Gesù è sempre stata con una corona di spine mentre le ferite sulla Sindone presuppongono un casco di spine, un fatto sconosciuto fino a tempi recenti. Nessun falsario, ancora una volta, avrebbe avuto motivi per contraddire di punto in bianco la rappresentazione tradizionale.
7) L’immagine corporea è assente in alcuni punti quali la parte destra della faccia e della fronte e altre parti del corpo: solo recentemente se ne è spiegata la ragione che è collegata alle formalità rituali della sepoltura.
8) L’immagine corporea contiene informazioni tridimensionali: i dipinti e le foto sono generalmente piatti e, a parte le difficoltà tecniche di riproduzione, non si spiegano i motivi che possono aver indotto l’ipotetico falsario a creare un simile effetto, inutile e sconosciuto nella storia dell’arte.
9) L’immagine corporea è estremamente superficiale e consiste di fibrille colorate giallo-seppia che risultano ossidate e disidratate: per le tecniche chimiche e fisiche antiche conosciute non sarebbe stato possibile, mentre esiste una tecnica optoelettronica moderna compatibile.

Si deduce, dunque, che «la Sindone non è un falso e tanto meno medievale, ed ha contenuto realmente il corpo morto di un uomo crocifisso in tempi antichi».

 

L’altra ipotesi è che la Sindone abbia contenuto un corpo di uno sconosciuto, non quello di Gesù, anch’esso crocifisso nello stesso modo più o meno alla stessa epoca. Una tesi ancora una volta irragionevole, perché:

1) Il lenzuolo funebre utilizzato per avvolgere il cadavere era pregiato e costoso: simili lini venivano utilizzati in Israele solo per persone di rango reale e/o posizione sociale elevata, ed in questo caso la storia ne avrebbe parlato.
2) L’uomo della Sindone è stato fustigato metodicamente su tutta la superficie del corpo: ci sono segni evidenti di flagello romano in numero così elevato che, a parte i Vangeli, nessun documento storico li ha mai riportati per qualsiasi altro condannato.
3) L’uomo della Sindone è stato incoronato con una corona/casco di spine: ci sono segni evidenti delle ferite delle spine e non si conoscono storicamente altre crocifissioni avvenute con questa aggiunta singolare.
4) Il costato è stato trafitto da una lancia: c’è una vistosa macchia di sangue e siero nel fianco destro dell’uomo causata da una ferita da lancia, un fatto piuttosto irrituale.
5) Le gambe dell’uomo della Sindone sono integre, mentre quelle dei condannati alla crocifissione venivano generalmente rotte per affrettarne la morte, che sarebbe avvenuta solo molto più tardi per soffocamento.
6) La Sindone non contiene tracce di liquidi e gas putrescenti: questi segni sono prodotti dopo circa 40 ore dalla morte, e quindi il corpo non c’era già più prima di allora ma non troppo prima, per via delle macchie di sangue che hanno richiesto del tempo per formarsi per la liquefazione del sangue già coagulato, processo di emolisi.
7) Il corpo non è stato rimosso manualmente: non ci sono tracce di trascinamento in corrispondenza delle macchie di sangue.

Secondo l’ipotesi del falso, si dovrebbe supporre che «un’altra persona sia stata sottoposta alla stesse torture del Gesù descritto dai Vangeli, tenendo conto però che nessuno all’epoca conosceva le conseguenze di tali azioni, e che sarebbe stato praticamente impossibile riprodurre le stesse condizioni temporali e spaziali». La spiegazione più logica è che «la Sindone è stata realmente il lenzuolo utilizzato per coprire il cadavere di Gesù circa 2.000 anni fa, dopo essere stato flagellato e crocifisso in una città della Galilea chiamata Gerusalemme, come è stato descritto nei Vangeli canonici».

 

Rispetto alle ipotesi scientifiche sulla formazione dell’immagine, «quella della esplosione di energia radiante (REB) è la più credibile attualmente, e la sua variante AMA (annichilazione materia-antimateria) risolve alcune difficoltà non altrimenti superabili». Attualmente, «l’unico modo di spiegare la Sindone nella sua interezza è che l’uomo descritto dai Vangeli come Gesù Cristo abbia subito un processo di annichilazione quando era cadavere e avvolto nella Sindone». Baldacchini riflette che «se la Resurrezione è realmente avvenuta allora, secondo la mia opinione, deve anche essere stato come per la creazione dell’universo. Infatti l’inizio del Big Bang può essere considerato un evento casuale (dagli agnostici) o sovrannaturale (dai credenti), ma il suo sviluppo è sicuramente avvenuto seguendo le leggi della Fisica, che molto probabilmente sono nate come le conosciamo oggi nel momento stesso del Big Bang. Quindi anche alla Resurrezione si può applicare lo stesso modello di una causa iniziale casuale o sovrannaturale, seguita poi da eventi spiegabili con le leggi della Fisica».

In conclusione, il fisico dell’ENEA ha affermato: «la Sindone di Torino è un testimonio muto della Resurrezione di Gesù Cristo, che quindi è realmente il figlio di Dio come più volte egli stesso ha asserito personalmente. Ma allora anche quello che ha detto, e che in parte ci è stato tramandato nei Vangeli e dalla tradizione della Chiesa, sulla vita e sulla morte è importante per noi».

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Troppe donne molestate ai raduni atei, serve un codice etico

Gli atei sono persone cattive, intolleranti e aggressive? No, è una bufala da non tenere in considerazione.

E’ vero che la storia dimostra che ogni volta che una società atea ha avuto potere di governo, dalla società illuminista all’ateismo di stato delle dittature novecentesche, i crimini verso le persone di fede sono stati incalcolabili. E’ vero che, ancora oggi, ai loro raduni nazionali si viene invitati a ridicolizzare pubblicamente chi osa avere fede in Dio, o si festeggia per la morte di sacerdoti o vaticanisti. E’ vero che ci sono vere e proprie campagne intimidatorie sui social network contro i credenti, come le innumerevoli pagine di bestemmie create su Facebook.  E’ vero che il non credente Frank Furedi, responsabile della British Humanist Association ha parlato dell’ateismo di oggi come di una «religione secolare fortemente intollerante e dogmatica»,  ma noi crediamo nella buona fede dei tanti non credenti che prendono le distanze da tutto questo, affermando che si tratti sempre di casi isolati.

Sorprende tuttavia che l’associazione “American Atheists” abbia dovuto creare una politica di autoregolamentazione per i loro convegni e conferenze.  David Silverman, il responsabile di questa associazione, ha spiegato che «Il Codice di condotta permetterà a tutti i partecipanti alla conferenze di sapere che gli eventi dell'”American Atheists” sono sicuri e divertenti». La decisione è dovuta al fatto che ultimamente sono aumentate esponenzialmente le denunce da parte di donne di molestie sessuali durante le conferenze dell’associazione, suscitando feroci conflitti all’interno della comunità atea americana.

Lo ha spiegato anche Todd Stiefel, presidente e fondatore dell’associazione umanista Stiefel Freethought Foundation: «Ho sentito parlare di molti casi di comportamento improprio, aggressivo e minaccioso dal punto di vista sessuale all’interno del nostro movimento di atei. Ci sono storie di persone molestate senza sosta, toccate sotto i tavoli, minacciate di stupro, furtivamente fotografate per voyeurismo pornografico, e molte altre trasgressioni. Il fatto che molte di esse stanno venendo alla luce dovrebbe riguardare tutti noi»La maggior parte di queste vicende scabrose, «riguardano le molestie degli uomini verso le donne»

Un episodio di questo tipo ha coinvolto anche il grande guru del laicismo internazionale, Richard Dawkins, inserito nella classifica dei peggiori misogini del 2011 per aver insultato una donna che aveva reso pubblico di essere stata molestata durante un convegno di atei. Nel giugno scorso, uno dei leader del movimento ateista, Jerry Coyne, ha criticato i convegni dell’associazione per la troppa aria «di autocompiacimento, scarso livello e debolezza di un bel pò dei colloqui e fanatismo verso alcuni atei famosi». 

 

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Aristotele e la finalità nelle opere della natura

 
 
di Umberto Fasol*
*preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico

 

La seconda prova della maturità classica di quest’anno è stata di greco.  Il brano scelto dal Ministero è preso da Aristotele e presenta un buon livello di difficoltà per la traduzione: gli studenti non ne sono rimasti entusiasti. Vorrei in questa sede offrire a tutti i nostri lettori la possibilità di gustare la bellezza e la profondità di quanto afferma questo grandissimo personaggio del quarto secolo a.C., parlando di un tema che ci sta particolarmente a cuore: il rapporto tra le parti e il tutto, all’interno del mondo animale.

«Non infatti il caso, ma la finalità è presente nelle opere della natura, e massimamente: e il fine in vista del quale esse sono state costituite o si sono formate, occupa la regione del bello. Se poi qualcuno ritenesse indegna l’osservazione degli altri animali, nello stesso modo dovrebbe giudicare anche quella di se stesso; non è infatti senza grande disgusto che si vede di che cosa sia costituito il genere umano: sangue, carni, ossa, vene, e simili parti. Similmente occorre ritenere che quando si discute intorno a una parte o a un oggetto qualsiasi non si richiama l’attenzione sulla materia né si discute in funzione di essa, bensì della forma totale: si parla, per esempio, di una casa, ma non dei mattoni, della calce, del legno; e allo stesso modo – quando si tratta della natura – si parla della totalità sintetica della cosa stessa, non di quelle parti che non si danno mai separate dalla cosa stessa cui appartengono» (Aristotele, De partibus animalium).

Io credo che valga la pena sottolineare l’accento che Aristotele pone sulla “totalità sintetica della cosa stessa” piuttosto che sulle parti che “non si danno mai separate dalla cosa stessa”: penso allo studio della singola cellula, ma anche alla sua biochimica o ancora meglio a qualunque organismo. Non c’è dettaglio di un essere vivente che non acquisti senso se non all’interno del sistema: perfino il cuore, quello stupendo organo a quattro cavità che pulsa nel nostro mediastino circa centomila volte al giorno, spontaneamente e a ritmo, isolato dal contesto, strappato di tutti i suoi cavi naturali e posto sul nostro tavolo, diventa assolutamente inutilizzabile.

Se il cuore, invece, viene invece studiato nella sua location, con tutti i suoi collegamenti di vasi e di nervi (del simpatico e del parasimpatico) diventa “di più” di quello che vediamo. Difficile escludere quindi, per conto mio, l’evidenza di un “progetto”, nella vita, che assegna ad ogni parte un ruolo che non le compete per la natura della sua materia, ma che emerge dal suo collegamento con le altre.

Rimangono aperte, oggi come allora, ai tempi di Aristotele, la sfida della ricerca della base materiale di questo progetto-finalità e la sfida della sua possibile evoluzione.

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Colosio, direttore scolastico Lombardia: «le paritarie fanno risparmiare lo stato»

Qualche organo di stampa ha diffuso come vera una bozza dell’Ufficio di presidenza del Consiglio dei Ministri, poi subito dopo smentita. Si tratta della spending review che andrebbe a toccare anche il sistema scolastico, con presunti tagli all’Università, per poi portare in premio duecento milioni di euro alle scuole non statali.

La stampa statalista (comunista), per reazione, ha così scatenato la solita macchina del fango contro le paritarie. A rispondere è stato innanzitutto Roberto Gontero, presidente nazionale di Agesc (Associazione Genitori Scuole Cattoliche), dicendo: «Non è vero. La gente deve sapere che esiste un fondo per le paritarie che da dieci anni si aggira sui cinquecento milioni di euro. Questi duecento milioni, per i quali i giornali si stracciano tanto le vesti, potrebbero essere i soldi destinati alle scuole paritarie, e allora il fondo si troverebbe decurtato del sessanta per cento, con il rischio reale di chiusura della grande maggioranza degli istituti paritari. Oppure, nella migliore delle ipotesi, sarebbero i soldi dei fondi pluriennali già decisi, a cui però mancherebbero cinquanta milioni. Ma di quale regalo alle paritarie stanno cianciando!».

Ha voluto ricordare che «la legge Berlinguer del 2000 afferma che la scuola pubblica è statale e non statale, cioè paritaria. Le notizie di questi giorni sono state diffuse ad arte per creare malcontento tra gli studenti universitari che, se tutto venisse confermato, potrebbero insorgere contro le scuole paritarie che invece all’università non tolgono proprio nulla». Per poi ricordare quel che tutti fingono di non sapere: «chi manda i figli alla scuola paritaria fa risparmiare allo Stato ben sei miliardi di euro all’anno», come dimostrato i dati del Miur.

Un altro intervento è stato quello di Giuseppe Colosio, Direttore Scolastico Regionale per la Lombardia, il quale ha spiegato che invece il rischio è un ulteriore taglio verso le scuole paritarie: «Mi auguro che non si taglino ulteriormente i fondi già decisi per le scuole paritarie, che fanno parte a tutti gli effetti del sistema pubblico dell’istruzione. La vita di queste scuole consente una pluralità di interventi e un risparmio considerevole all’amministrazione statale […]. Noi, come Stato, siamo interessati a sostenere tutti gli attori del sistema dell’istruzione e della formazione, perché ci permettono di abbassare la spesa e mantenere la qualità dell’offerta». Si è soffermato anche sulla «modalità di reclutamento degli insegnanti», delle paritarie, che è «molto più ampia e valida rispetto a quella dissennata dello Stato, che recluta gli insegnanti come stringhe informatiche, senza guardarli in faccia».

Colosio ha colto l’occasione per sfatare la leggenda secondo cui le scuole paritarie affamino quelle pubbliche, causandone il dissesto: «Ma figuriamoci», ha risposto. «Con 120 milioni di euro, che Roma fino al 2011 faceva pervenire alle scuole paritarie in Lombardia, lo Stato risparmiava un miliardo e trecento milioni. Se i trecentomila studenti che frequentano la scuola paritaria avessero, invece, frequentato la statale, ciò avrebbe comportato un aggravio di spesa pubblica di un miliardo e quattrocento milioni. Questi sono i costi dell’amministrazione statale, molto più rigida e farraginosa. Quando parlo di paritarie, non parlo solo di quelle gestite da enti religiosi, le scuole professionali regionali contano 45 mila studenti. Per non parlare di quelle gestite dai grandi comuni, specie al Nord». L’aggressione mediatica, con in testa il quotidiano “Repubblica”, è per Colosio un «pregiudizio novecentesco di statalismo che non ci allinea all’Europa quando si parla di scuola». In Europa, infatti, le paritarie sono completamente finanziate dallo Stato, risultando essere poi le migliori come offerta formativa di qualità.

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Il filosofo Némo: «chi ha fede capisce la vera dignità dell’uomo»

Il filosofo Philippe Némo, è uno dei tanti ex illuministi ed ex marxisti oggi convertiti alla fede, considerato uno degli epigoni dei “nouveaux philosophes” per le loro prese di posizioni anticonvenzionali. Ex allievo di Emmanuel Lévinas, è direttore del Centro di ricerche in Filosofia economica presso la prestigiosa ESCP Europe.

E’ stato intervistato dal sempre ottimo Lorenzo Fazzini su “Avvenire” in occasione dell’uscita del suo ultimo libro intitolato “La belle mort de l’athéisme moderne” (Puf 2012), nel quale indaga le ragioni per cui la negazione di Dio non è oggi più così trendy come si pensava un tempo, affermando che «la voce del cristianesimo può di nuovo farsi ascoltare. Il cristianesimo torna ad essere la grande posta in gioco intellettuale della nostra epoca».

Da convertito alla fede (e dunque da “esperto dei fatti”), ha affermato: «Non penso che non credere sia una colpa. È solo una sfortuna, perché impedisce di capire la vera dignità dell’uomo. Colui che non ha un senso della trascendenza conduce una vita priva di senso e che non viene orientata da nessuna speranza». La libertà umana è sempre misteriosa, ma c’è da dire che «forse il diavolo gioca un ruolo nell’orchestrare i grandi movimenti ideologici che impediscono agli uomini la fede: essi così non hanno i modi per riflettere su se stessi e non possono difendersi contro la propaganda».

Una riflessione davvero acuta la riserva anche per i divertenti “new atheist”: «Gli argomenti evoluzionisti di Dawkins possono turbare solo quanti son stati formati a credere alla verità letterale della Bibbia. Questo è un problema all’interno della cultura anglo-sassone. Dennett critica la fede con argomenti ispirati dalla scienza positivista. Ma la vera fede cristiana non ha in verità alcun contrasto con la scienza, come ha mostrato Pascal, perché queste due dimensioni non appartengono al medesimo ordine di cose. Dennett dunque si pone al margine delle questioni vere. Quanto a Onfray: io non concedo il minimo valore intellettuale ai suoi scritti. Del resto questi tre autori non sono dei filosofi, non li possiamo mettere sullo stesso piano di pensatori come Nietzsche, Marx o Heidegger».

Nel suo volume si parla anche di questioni storiche, come le radici cristiane dell’Europa, creando un paragone con l’Olocausto: «Nella negazione dell’Olocausto si trova un antisemitismo implicito perché negare la specificità di questo evento porta a negare l’identità del popolo ebraico. Allo stesso modo coloro che hanno voluto ritirare dal preambolo del Trattato dell’Unione europea ogni citazione delle radici cristiane dell’Europa non commettono solo un grossolano errore storico. Essi vogliono anche imporre una certa visione dell’Europa, cambiare l’identità profonda degli europei e, in fin dei conti, tagliar fuori e marginalizzare i cristiani. Questa manifestazione di odio indistinto verso l’insieme di una collettività assomiglia, dunque, in qualche maniera, all’antisemitismo», ha concluso il filosofo francese.

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