Ior: il rapporto Moneyval zittisce Marco Politi e Marco Lillo

La famigerata coppia di vaticanisti de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Lillo & Marco Politi è nota per la ben oleata propaganda anticlericale imbastita quotidianamente.

Da mesi, ad esempio, si prendono gioco dei loro 70 mila lettori (“Tuttosport” ne ha 90 mila, per intenderci) comunicando che lo IOR, la Banca Vaticana, non vuole adeguarsi alle norme anti-riciclaggio, tanto che Marco Lillo ha ritenuto di essere in grado di anticipare l’esito del rapporto Moneyval, l’organo del Consiglio d’Europa che si occupa di anti-riciclaggio, parlando di “bocciatura” (mentre già allora si ipotizzava un esito positivo).

Marco Politi, il 27 giugno scorso, dopo un gratuita attacco a Benedetto XVI, ha citato l’anticipazione (fasulla) del suo collega, parlando di «incapacità dello Ior di rispondere ai requisiti di trasparenza richiesti dal sistema finanziario internazionale». Secondo il suo occhio esperto, «lo Ior, come tutto lascia prevedere, non sarà accolto nella “white list” delle banche mondiali», e tutto questo, scrive soddisfatto Politi, porterà un «danno per la credibilità della Santa Sede».

Peccato che due giorni fa sia arrivato il primo responso del rapporto di Moneyval, il quale -al contrario delle previsioni dei vaticanisti del “Fatto”ha “promosso” la Santa Sede, seppur di misura, chiedendo rafforzamenti della normativa in molti punti. “Il Sole 24 Ore”, nell’articolo intitolato «Un primo passo verso la “white list” Ocse», ha spiegato che «la valutazione complessiva, sui 16 punti chiave chiesti dal Gruppo d’azione finanziaria internazionale contro il riciclaggio di capitali (Gafi) è superata», restano zone d’ombra che monsignor Ettore Balestrero, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, ha assicurato verranno prese in considerazione. Resta il fatto che -ha continuato il quotidiano economico- «il dato comunque significativo è che in meno di 20 mesi il Vaticano ha messo in piedi una struttura normativa che prima d’ora era inesistente, e quindi quello di oggi può comunque essere considerato un passo molto importante, anche se non definitivo». Maggiori dettagli nell’articolo di “Raigiornaleradio” intitolato: «Antiriciclaggio, Vaticano ‘promosso’» e sull’ottimo sito Korazym.org

Concordiamo pienamente con mons. Balestrero, quando spiega che «molte diffidenze in questo senso devono essere superate, visto che di scandali ce ne sono stati tanti, e anche in tempi non troppo lontani, che hanno accreditato l’immagine di un “Paradiso fiscale” con sede oltre le mura leonine». A leggere la campagna denigratoria dei vaticanisti di regime, più che diffidenze a volte sembra proprio ingiustificato odio anticlericale.

La redazione

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Pillola anticoncezionale aumenta pressione sanguigna

Secondo i risultati di un ampio studio di follow-up sulla gravidanza ampio in Australia, l’uso di contraccettivi orali nelle ragazze è associato ad aumento della pressione sanguigna nella tarda adolescenza, e dunque un maggior rischio di cardiopatia ischemica e ictus in età adulta. In particolare la pressione arteriosa sistolica delle ragazze che prendono la pillola anticoncezionale è risultata essere del 3,3 mmHg più alta rispetto a coloro che non ne fanno uso.

Prosegue dunque l’evidenza scientifica sulla pericolosità di una sessualità irresponsabile, come mostrano anche altri studi: l’uso della pillola contraccettiva aumenta il rischio di morte per coaguli di sangue del 500%, il rischio arriva a  oltre il 1700% per le donne degli Stati Uniti con una malformazione della vena, un’eventualità non rara, visto che compare in circa un quarto della popolazione mondiale. A stabilirlo sono i ricercatori della Stanford University School of Medicine attraverso uno studio pubblicato sull’“American Journal of Obstetrics and Gynaecology”.

Come ha spiegato Giovanni Paolo II, anche sulla sessualità «il pensiero cattolico è sovente equivocato, come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità». Non è affatto così: «Quando si ha motivo per non procreare [motivi medici, eugenetici, economici e sociali, nda] questa scelta è lecita, e potrebbe persino essere doverosa. Resta però anche il dovere di realizzarla con criteri e metodi che rispettino la verità totale dell’incontro coniugale nella sua dimensione unitiva e procreativa, quale è sapientamente regolata dalla natura stessa nei suoi ritmi biologici. Essi possono essere assecondati e valorizzati, ma non violentati con artificiali interventi».

Per tutto questo vengono proposti i Metodi naturali di regolazione della fertilità, che permettono uno stile di vita sano, positivo e responsabilizzante nell’esercizio della sessualità. Metodi che oggi, grazie alla tecnologia, possono ritenersi fortemente sicuri ed efficaci.

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La grande risorsa degli oratori, per cristiani e non

Con la chiusura delle scuole e l’inizio delle vacanze estive, molti genitori affidano i loro figli alle cure dell’oratorio parrocchiale vicino casa che consente loro di salvare letteralmente “capra e cavoli” in modo da gestire senza intoppi le settimane che precedono l’inizio delle ferie per tutta la famiglia. A prescindere dalle reali intenzioni delle famiglie interessate, è la scoperta – spesso la rinnovata fiducia – che ogni estate viene accordata a queste plurisecolari istituzioni della Chiesa Cattolica.

Il primo oratorio, inteso nel senso moderno che noi siamo abituati a conoscere, fu creato da san Filippo Neri intorno al 1550. Le sue finalità erano quelle della preghiera, coinvolgendo uomini comuni e di cultura nella lettura della Bibbia, e dell’educazione dei ragazzi. Sulla sua scia, anche Giovanni Bosco, ispirato ad una sincera passione educativa per i giovani, decise di istituire una struttura simile, e Leonardo Murialdo. La legislazione nazionale, con una normativa specifica che è stata ripresa anche in ambito regionale, già da anni incoraggia l’attività degli oratori riconoscendone l’indubbia funzione sociale e destinando risorse economiche per la loro riqualificazione e potenziamento.

Con l’arrivo dell’estate, insomma, molte famiglie, non necessariamente religiose, come ci testimonia questo interessante articolo su “Panorama”, apprezzano la variegata offerta formativa e ludica degli oratori a cui si accompagna la certezza di mandare i propri figli in strutture controllate in cui la disciplina continua ad essere un valore perseguito nei fatti.  Certamente, la convenienza dei contributi economici chiesti alle famiglie, unitamente alla più che consolidata esperienza degli oratori, facilita la scelta dei genitori anche in presenza di analoghe strutture non confessionali gestite dagli enti pubblici o dai privati. “Volontari scelti e prezzi ridotti”, ha titolato “Il Corriere della Sera”, valorizzandone l’operato. E così in estate si assiste ad un vero e proprio proliferare di oratori estivi che svolgono una funzione educativa dalla quale è impossibile prescindere.

Parliamo di ben seimila oratori, concentrati soprattutto al Nord, la loro opera rappresenta a tutti gli effetti un importantissimo strumento di quotidiana pastorale giovanile a cui ricorrono congregazioni religiose come i Salesiani, i Canossiani o i Giuseppini del Murialdo, e l’educazione delle nuove generazioni attraverso la predisposizione di ambienti sani che indirizzano alla relazione e alla condivisione di valori etici che faranno parte del bagaglio umano degli adulti di domani.

Adulti che, in ultima analisi, possono persino arrivare alla ribalta della cronaca nei settori più diversi: molti giocatori famosi hanno cominciato a dare i primi calci al pallone in oratorio, come ad esempio Giacinto Facchetti o i bresciani Antonio e Emanuele Filippini, Marco Zambelli, Demetrio Albertini e Francesco Toldo. Ancora possiamo citare i quattro giocatori cresciuti nell’Unione Sportiva Oratorio “San Michele” di Travagliato: i fratelli Giuseppe  e Franco Baresi, Franco Pancheri e Giovanni Lorini.

Concludiamo infine menzionando uno scanzonato omaggio – non esente da una certa nostalgia – all’oratorio da parte del gruppo Elio e le Storie Tese che con la canzone Oratorium rievocano situazioni e atmosfere conosciute e certamente rassicuranti, una sorta di ideale passaggio di consegne tra generazioni per una istituzione educativa che non conosce crisi:

Qui sotto il video della canzone “Oratorium” di Elio e le Storie Tese

Salvatore Di Majo

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Il biologo Zimmerman: «Dawkins ha allontanato la gente dalla scienza»

Il biologo Michael Zimmerman, membro della “American Association for the Advancement of Science” e vincitore del “Friend of Darwin Award” ha scritto un articolo per “The Huffington Post”  in cui affronta la tematica tra religione ed evoluzione biologica.

L’argomento, sopratutto nei paesi anglosassoni fortemente influenzati dal protestantesimo, è decisamente scottante. Non solo perché il creazionismo moderno è nato, e tuttora sostenuto, principalmente dalla cultura riformata, ma anche perché l’aggressione laicista dei cosiddetti “new atheist” -che brandiscono la teoria di Darwin come clava contro i credenti- è molto violenta e ha probabilmente generato l’unico effetto di aumentare, come reazione, il numero di anti-evoluzionisti.

Ed è proprio quello che il biologo Zimmerman ha denunciato: «ho buone ragioni per ritenere che la retorica di persone come Coyne, Dawkins e Myers [leader internazionali dello scientismo ateista, Nda] hanno, infatti, portato la gente lontana dalla scienza, dall’evoluzione e verso il fondamentalismo religioso». Lo dice in quanto responsabile del progetto The Clergy Letter Projectdi cui avevamo già parlato su UCCR-  ovvero una collaborazione internazionale tra leader religiosi e scienziati per la promozione dell’insegnamento dell’evoluzione biologica. Come recita il loro sito web, «crediamo che la teoria dell’evoluzione è una verità scientifica fondamentale […] chiediamo che la scienza rimanga scienza e che la religione resti religione, due forme di verità molto diverse, ma complementari»

Questi “nuovi atei”, ha continuato Zimmerman, pretendono di essere «i portavoce dell’evoluzione», così le persone «non vogliono avere nulla a che vedere con essa». Si pensi, ad esempio, in Italia a quanto deleteria in questo senso sia la figura di Telmo Pievani (l’enfant prodige dell’intellighenzia progressista, come lo chiama il biochimico Bizzarri), che persiste nel diffondere la “sua” idea di evoluzione in accordo con gli atei fondamentalisti (UAAR), salvo poi tentare di nascondere  tutto sotto il tappeto.

Il biologo americano ha quindi concluso: «più pericolosamente, i “nuovi atei” si sono allineati con i fondamentalisti biblici che da sempre sostenendo che la gente debba scegliere tra religione e scienza. In realtà, però, tale scelta non è necessaria. La religione ha uno scopo molto diverso da quello della scienza, non vi è alcun conflitto». Zimmerman persegue dunque il punto di vista degli scienziati che abbiamo intervistato in occasione del Darwin Day 2012, interventi raccolti in questa pagina.

 

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Alberto Perez è uscito dall’omosessualità: «ora sono felice»

In questo periodo vengono alla luce molte storie di persone uscite dall’omosessualità. Mi è capitata tra le mani questa storia di un ragazzo ventenne, spagnolo, di nome Alberto Perez. Questo giovane ha rilasciato una intervista nella quale ha raccontato come ha fatto “a diventare cosciente di sé”, per usare le sue parole, ed uscire così da questo stile di vita. Al contrario di due persone contattate da questo sito web, Adamo Creato (nome fittizio a protezione della privacy) e Andrea Ferrameo, Alberto è stato aiutato dalla cosiddetta terapia riparativa.

Ha spiegato il giovane ex omosessuale: «La terapia è stata la strada che mi ha portato all’autocoscienza di ciò che ero. La cosa strana, era che questa situazione non riguardava nello specifico la sessualità, mi resi conto che le mie attrazioni omosessuali avevano la loro origine in problemi emotivi. La lettura del libro “Riscoprirsi normali” di Richard Cohen mi scosse. Mi sentii descritto in tutto». Alla domanda dell’intervistatore sulla terapia da lui seguita, Alberto ha risposto: «(la terapia) ha toccato tutte le aree “scoperte” della mia vita; ha individuato tutti i fattori che hanno attivato il complesso omosessuale. L’omosessualità non è altro che il grido dell’anima che desidera riempire tutti i vuoti affettivi passati».

Il tempo passato sotto terapia, ha continuato Alberto Perez, non è la cosa che conta di più, l’importante è quanto si lavora bene per una vera comprensione di sé: «Sono riuscito a scappare da questa situazione perché avevo davvero toccato il fondo, non mi sentivo soddisfatto, ero vuoto. Mi sentivo lacerato dalla forte e incontrollabile dipendenza della pornografia […] Attraverso la terapia ho capito che aveva sviluppato queste tendenze da situazioni che ho vissuto tutta la mia vita e l’ambiente in cui sono cresciuto». Secondo Perez, «E’ raro il caso in cui uno davvero desideri essere gay. Tutto l’ambiente si basa sul corpo, il denaro e la giovinezza, cose che non durano per sempre».

Nelle ultime battute di questa intervista Alberto ha parlato della sua vita ora:  «Ho in mente molti progetti tra cui anche la creazione di una trasmissione radiofonica sull’argomento. Ma soprattutto porto avanti la mia denuncia contro le menzogne delle Lobby Gay e porto sostegno a tutti coloro che ne sono state vittime». E infine: «La realtà è che io non credo che ci siano uomini gay. L’orientamento omosessuale non esiste, ci sono uomini eterosessuali con attrazioni omosessuali. No, non è un gioco di parole. Non sono mai stato gay, io non sono un ex gay, ero solo un giovane uomo con un problema di identità sessuale. Oggi il conflitto è stato risolto, sono molto felice».

Luca Bernardi

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Ecco tutta la pericolosità dell’aborto volontario per la donna

Una donna statunitense, nel tentativo di sbugiardare quella che per lei è “propaganda” pro-life, è arrivata a fotografare il suo aborto creando un apposito blog per documentare il tutto. E ribadire che quella dell’aborto legale è una procedura semplice e sicura. Già, bella sicurezza.

Peccato che nel 79% dei casi le donne che abortiscono non vengono correttamente informate di alternative possibili e almeno il 55% delle volte giungono a questa scelta in seguito a forti pressioni esterne. Peccato che la mortalità materna dopo un aborto volontario – eseguito in completa sicurezza, of course – sia tripla rispetto a quella seguente ad un parto. Peccato che un aborto volontario aumenti del 60% il rischio di futuri aborti spontanei.

Peccato che l’aborto indotto aumenti significativamente il rischio di cancro al seno, peccato che le donne che hanno subito un aborto indotto abbiamo forti probabilità  di ripercussioni psicologiche, peccato che l’aborto indotto alzi nettamente il rischio di successive nascite premature e lo stesso dicasi per danni e infezioni all’utero. Peccato non voler parlare degli altissimi tassi derivati da un aborto volontario di soffrire di placenta previa.

Peccato, soprattutto, che dopo un aborto volontario – per quanto legale e sicuro – un figlio unico ed irripetibile non potrà più venire al mondo, vedere la luce del sole, sentire il profumo del mare, ascoltare il vento. E sorridere, donando a chi lo guarda l’impressione che, per quanto tutto appaia incerto e contraddittorio, al mondo una sicurezza ci sia ancora: l’amore.

Giuliano Guzzo

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L’irriducibilità dell’uomo alla macchina


 
 

di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario

 
 

Ogni 4 anni, al Congresso Internazionale dei Matematici, è assegnata la medaglia Fields ai giovani ricercatori qualificatisi per le scoperte più rilevanti. Il premio è soprattutto onorifico, a meno che la scoperta non rientri tra i “7 problemi del Millennio” del Clay Institute: allora ai 15.000 dollari canadesi della medaglia Fields si aggiunge il premio Clay di 1.000.000 di dollari USA. L’ultimo congresso si è svolto nel 2010 a Hyderabad ed ha assegnato solo medaglie Fields; nel precedente di Madrid invece, al russo Grigori Perelman era toccato anche il premio Clay per la dimostrazione della congettura di Poincaré, una questione che resisteva da un secolo agli assalti della ragione. La descrizione del problema e degli altri 6 ancora irrisolti si può trovare nel sito del Clay. A sorpresa Perelman non si mosse dalla sua San Pietroburgo per ritirare i premi, limitandosi a dire agli esterrefatti cronisti: “Ho risolto il problema, tanto mi basta”. Mostrava così la gioia perfetta di chi, col solo uso della mente, in anni di riflessioni dedicate a coniugare l’intuizione all’inferenza in vista d’un obiettivo, era riuscito a scalare difficoltà logiche inimmaginabili.

I moderni computer, implementati dei software adeguati, possono per la loro velocità di calcolo risolvere problemi complessi, che richiederebbero tempi astronomici al calcolo umano, ma hanno gravi limiti. Quali sono? Da che cosa traiamo indicazioni sui loro ambiti? L’unico giudice dei limiti dell’algoritmo e del processore è la ragione umana! Forse un giorno saranno dimostrati tutti i problemi del Clay; o forse no: per alcuni la dimostrazione potrebbe essere preclusa ad ogni tecnica. I due teoremi d’incompletezza di Gödel (1931) impattano proprio la capacità dell’algoritmo di dimostrare proposizioni matematiche e di costruire teorie scientifiche coerenti. Stando al primo teorema esistono in aritmetica, e quindi in tutta la matematica (di cui l’aritmetica costituisce il nucleo) e in tutte le scienze naturali (di cui la matematica è il linguaggio), enunciati veri che non si possono dimostrare per via algoritmica. Non è una questione di completezza degli assiomi, né di capacità di memoria, né di velocità elaborativa: semplicemente non esiste la procedura! Un esempio di questione matematica indecidibile fu trovato una cinquantina d’anni fa, con uno spettacolare teorema che procurò all’americano Paul Cohen la medaglia Fields nel 1966: è l’ipotesi del continuo di Cantor. Una delle prime domande su cui conto di avere risposta nell’altro mondo la riguarda: esistono infiniti intermedi tra i numeri naturali ed i reali?

La presenza di limiti all’algoritmo, tuttavia, ci è anche utile in questo mondo. Tornando alla lista Clay, leggiamo tra i 6 problemi irrisolti la sigla P vs NP. Essa sta ad indicare una questione cruciale in molti problemi d’ottimizzazione industriale, per es. nel process scheduling. Un problema è classificato tra quelli P (polinomiali) se è risolvibile in tempi ragionevoli da un calcolatore, magari dotato di velocità del processore e di capacità della RAM superiori a quelle odierne; rientra invece tra quelli NP (non polinomiali) se può essere risolto soltanto in modo bruto attraverso l’immissione ed il controllo di tutte le combinazioni e se richiede allo scopo un dispendio di risorse superiori all’età e all’energia dell’Universo. Non pensare, caro lettore, che i problemi NP riguardino chissà quali situazioni astratte: prova, se ci riesci, a calcolare il tragitto più corto per visitare in un unico giro 10 amici, abitanti in 10 località sparse della tua regione; o quello per la distribuzione giornaliera di un centinaio di pacchi di uno spedizioniere locale. Insomma un problema NP, anche se risolubile in teoria (da una “macchina di Turing”), non lo è in pratica: è oltre il limite fisico della tecnica…, a meno che con qualche scorciatoia matematica non sia traducibile in un problema di tipo P. La sfida posta dal Clay consiste proprio in ciò: i problemi NP sono sempre riducibili a problemi P?

Ricordate i numeri primi? Sono quelli divisibili solo per 1 e per se stessi: 2, 3, 5, 7, 11,… Anche se sembra ripetersi indefinitamente la stranezza di trovare ogni tanto due primi attaccati, detti “gemelli” (…, 107, 109, …, 599, 601, …, 821, 823, …), avanzando si diradano in media sempre più, ma sono infiniti (teorema di Euclide, III sec. a.C.): ciò significa che ne esistono di grandi quanto si vuole, anche da mille o un milione di cifre. La scomposizione poi è l’operazione che fattorizza un numero non primo (“composto”) nei suoi fattori primi, per es. 60 = 2 × 2 × 3 × 5. Se il numero composto non è troppo grande, la scomposizione è facile: se è pari si divide per 2, poi si prova per 3, poi per 5, ecc. Quando il numero è molto grande si ricorre ai calcolatori. Oggi, con sofisticati algoritmi che utilizzano recenti scoperte matematiche sulla distribuzione dei numeri primi (alcune, bellissime, hanno procurato nel 2006 una medaglia Fields all’australiano Terence Tao), un normale pc ci può dire in tempi ragionevoli se un dato numero di qualche centinaio di cifre è primo o no, e ci può anche trovare un nuovo primo di tali dimensioni. Non esiste tuttavia nessun software per nessun computer (sia pure il super-computer di Standard & Poor, o il K computer di Kobe da 8 milioni di miliardi di istruzioni al secondo, né quello 1.000 volte più veloce di cui si disporrà tra 10 anni) che sappia scomporre in tempi fisici il prodotto di due numeri primi di alcune centinaia di cifre.

Questa almeno è la situazione allo stato delle nostre conoscenze matematiche, dove la scomposizione resiste come problema NP. Sui tempi ultramondani della fattorizzazione di grossi numeri si fonda gran parte della crittografia per la sicurezza di internet (scambio dati riservati, transazioni bancarie, privacy, reti di trasporto, infrastrutture energetiche, comandi militari, ecc.). Così, quasi per una legge del contrappasso, quella finitudine dell’algoritmo che in apparenza ne denota negativamente i tratti applicativi, si trasforma nella capacità di dare sicurezza alle transazioni mondiali. Una tecnica onnipotente implicherebbe software capaci di fattorizzare tutti i numeri e di scardinare ogni crittografia; quindi sicurezza nulla ed impossibilità di transazioni riservate via internet; quindi, in definitiva, l’annullamento di ogni utilità del web, ridotto a veicolo di spam. Invece una tecnologia performante limitata consente una sicurezza che seppur finita resta performante: una sicurezza accettabile, pur se labile come ogni cosa di questo mondo, minacciata sempre da un hacker che trovi, forse domani, forse tra qualche anno, la via per districare il problema NP della scomposizione e tradurlo in uno di tipo P.

Morale. Giorni fa, prima di ritirare l’auto dal parcheggio a pagamento, sono passato alla cassa automatica e, trovatomi senza spiccioli, ho usato la mia carta di credito con chip e pin “ultrasicura, di ultima generazione” (secondo lo slogan della banca emittente): inseritala nello slot dedicato, ho digitato il pin sulla tastiera ed atteso la restituzione della carta. Tardando questa ad uscire, ho premuto il tasto “Annulla operazione” e l’ho estratta manualmente. Apparso comunque il messaggio di “Transazione eseguita”, me ne sono uscito tranquillamente dal parcheggio. A tarda serata però, un sms mi avvertiva che un acquisto di 1.659 € era appena stato eseguito in un negozio di confine con la mia card. Me l’avevano clonata! Realizzai allora che a rallentarne l’uscita dallo slot era stato uno skimmer fraudolentemente applicatovi per clonare il badge… e che la zingarella aggirantesi intorno alla cassa, apparentemente impegnata a richiedere un obolo ai passanti, era lì allo scopo di controllare il campo e di carpire dal moto delle dita il pin ai malcapitati. Le carte di credito usano sì teoremi che le rendono, allo stato delle nostre conoscenze matematiche, inattaccabili dai calcolatori, ma c’è una peculiarità della ragione umana che coniuga le più moderne tecnologie con le più ataviche doti d’intuizione e destrezza: quest’arte può battere sempre ogni impossibilità di cui è prigioniera la macchina. “Datemi una definizione d’intelligenza ed io vi dimostrerò che i calcolatori possono essere intelligenti”, preconizzava troppo ottimisticamente il britannico Alan Turing, del quale abbiamo festeggiato il 23 giugno scorso il centenario della nascita. Ebbene, non è l’intuizione una componente tra le più importanti, se non la prima, dell’intelligenza umana? e l’algoritmo non è alternativo all’intuizione, nella definizione fondante della computer science che tu, Alan, ne hai dato nel tuo memorabile scritto del 1936? Ricordi, lettore, il Dustin Hoffman di Rain man? Il personaggio mostra meglio di ogni disquisizione che l’autismo, anche quando fa prodigi nel calcolo, non coincide con l’intelligenza. A questa distinzione si deve se nessun adepto dell’Intelligenza Artificiale sa (anche vagamente solo immaginare come) scrivere un programma che dimostri per es. la proprietà commutativa della moltiplicazione, senza ricorrere al quinto assioma di Peano.

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Movimento per la Vita: 17mila i bambini salvati dall’aborto nel 2011

La vita fa record, di nascite! E’ quanto emerso dai dati registrati nei 329 Centri di aiuto alla vita, distribuiti sull’intero territorio nazionale, che hanno assistito circa 60mila donne nel 2011. Il Movimento per la Vita italiano ha presentato dunque numeri vincenti nel suo report di fine anno: 17mila sono i bambini nati grazie alla cura di ben 4mila volontari dei Centri, oltre ai 73mila sostenitori.

«Le prestazioni assistenziali fornite ed estese non solo alle gestanti sono state decine di migliaia. Tra le più numerose si confermano gli aiuti in natura, l’assistenza sociale, psicologica e morale, gli aiuti in denaro, l’assistenza medica», si legge nella relazione ufficiale diffusa in cui viene precisato che ogni donna assistita si ripresenta al Centro almeno 10-12 volte nel corso dell’anno e che oltre il 3% delle gestanti assistite ha potuto usufruire di ospitalità in case di accoglienza, presso famiglie o in case in affitto gestite dai Cav.  Ě emerso che, complessivamente, nel 2011 l’85% delle gestanti che si sono rivolte ai Centri di aiuto alla vita, grazie all’aiuto ricevuto, hanno deciso di portare a termine la gravidanza, e l’81% delle mamme intenzionate ad abortire o incerte hanno scelto la vita.

Per ogni Centro sono nati 52 bambini destinati all’aborto. La Lombardia è la Regione italiana nella quale nel 2011 vi è stato, con riferimento alla popolazione residente, sia il maggior numero di Bambini nati grazie ai Centri di Aiuto alla Vita che di Gestanti assistite. Seguono il Veneto con 32 bambini nati e 44 gestanti assistite ogni 100.000 abitanti, ed il Piemonte con 26 bambini nati e 37 gestanti assistite ogni 100.000 abitanti. A partire dal 1975, anno di fondazione, a Firenze, del primo Centro di aiuto alla vita, i bambini nati grazie al sostegno dei Cav sono oltre 140mila, mentre le donne assistite hanno superato le 450mila. Ma c’è chi dice no a tutto questo . Accade in Liguria, dove il consiglio regionale ha respinto la proposta di aiutare le madri in difficoltà economica al fine di scongiurare possibili interruzioni di gravidanza, sul modello già adoperato in Lombardia. E che ad un minimo sostentamento economico da offrire a queste neo madri disagiate, oppone una campagna di informazione sulla contraccezione nelle scuole.

Il motivo principale addotto dalle donne intenzionate ad abortire risiede nella scarsità di risorse economiche disponibili; a tal proposito è stato ideato il Progetto Gemma ovvero la possibilità di adottare temporaneamente le gestanti in difficoltà tentate di rifiutare il proprio bambino per motivi di disagio sociale e familiare. Attraverso un contributo minimo mensile di 160 euro è possibile adottare per 18 mesi una mamma e il suo bambino. In questo modo, dal 1994 sono state aiutate più di 20mila mammee salvati altrettanti bambini dal destino di una mancata “possibilità” di nascita.

Intanto,qualche giorno addietro, è stato presentato il primo bilancio pubblico di sette anni di attività del servizio di Caring Perinatale presso il Gemelli, che dal 2006 a oggi ha aiutato oltre 200 mamme con gravidanze ad alto rischio e malformazioni fetali. «Alle gestanti in circostanze simili viene generalmente proposta l’interruzione della gravidanza», ha spiegato il ginecologo del Gemelli, Giuseppe Noia, presidente dell’Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici. «Quelle che non desiderano abortire vengono spesso lasciate sole nel gestire la propria attesa, senza essere seguite né supportate per la probabile perdita dei loro bambini e la gestione del loro dolore».

Livia Carandente

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Lo dimostrano gli studi: essere religiosi migliora la qualità della vita

Come tutti i new atheists, Richard Dawkins nel suo “L’illusione di Dio” afferma che la religione comporta una vita peggiore sotto diversi aspetti, arrivando a dire che “penso ci siano pochi atei nelle carceri”, e che “un’infermiera mi ha detto che le persone che in fin di vita sono terrorizzate dal dolore e dalla morte sono quelle religiose”. D’altro canto, quello del benessere derivato dalla fede, e in particolare dalla fede cristiana, è un cavallo di battaglia di molti apologeti cattolici. E nel contempo è uno spinoso tabù accuratamente aggirato da pensatori laici e da un certo giornalismo ideologico.

Come stanno in verità le cose? Qual è nella realtà il rapporto tra religione e benessere? A questa domanda risponde in maniera più che esaustiva la recente seconda edizione dell’Handbook of Religion and Health (Oxford University, 2012) curato dal massimo esperto mondiale del campo, lo psichiatra statunitense Harold Koenig. In questa monografia, come già accaduto per la prima edizione (2001), gli autori svolgono una meta-analisi (cioè una raccolta e un confronto degli studi disponibili) giungendo a una conclusione netta: «Su circa 2.800 studi quantitativi che esaminano la relazione tra religione/spiritualità e benessere, […] mentre alcuni studi (4%) riportano una peggiore salute mentale o una minore salute fisica (8,5%), la maggior parte degli studi (più di 1.800, circa 2/3) hanno trovato una relazione positiva tra religione/spiritualità e salute mentale e fisica» (p. 600). La netta maggioranza degli studi esaminati riguarda la fede cristiana.

 

Il manuale elenca dettagliatamente e puntigliosamente gli effetti della religione e della spiritualità nei vari ambiti della salute, che come da definizione dell’OMS (1948) va intesa come un benessere fisico, psichico, sociale. Anche se il manuale può apparire in alcune parti prolisso, ripetitivo e non lineare, questi in breve sono i risultati emersi:

* Dal punto di vista psichico-mentale, la religione è correlata a maggiore estroversione, apertura a esperienze e novità, coscienziosità, amicalità, cooperazione, altruismo, compassione, propensione al perdono, locus of control interno (assumersi meriti e colpe per le proprie azioni), autostima, ottimismo, speranza, avvertire uno scopo nella vita, crescita post-traumatica (superare i traumi subiti), minore psicoticismo e nevroticismo, rabbia, ostilità, sensi di colpa, sensazione di solitudine, depressione, ansia, propensione al suicidio, dipendenza da sostanze (tabacco, alcool, droghe).

* Dal punto di vista medico-fisico, anche se può essere un risultato poco intuitivo, religione e spiritualità producono effetti positivi sulla base di fattori intermedi come la migliore salute mentale (dunque meno stress e difese immunitarie più efficaci) e lo stile di vita più sano e regolato. Gli effetti positivi si fanno sentire per disturbi di cuore, colesterolo, pressione sanguigna, diabete, ictus, malattie veneree, cancro, percezione del dolore, gestione della disabilità, migliore riposo e appetito. Nel caso del naturale declino causato da vecchiaia o malattie degenerative, la religione comporta una minore o più tarda insorgenza e un declino più benigno. Complessivamente la religione è correlata a una migliore longevità: preso un dato gruppo in un dato momento, le persone religiose hanno il 37% di possibilità in più di essere ancora vive al momento di un riesame successivo (follow-up).

* Dal punto di vista sociale, le persone credenti hanno migliori risultati scolastici e migliore stabilità lavorativa, migliore supporto e capitale sociale e maggiore stabilità coniugale (elemento fondamentale per i benessere di sposi e figli), minore crimine. Per quanto riguarda gli aspetti sociali propriamente medici, la religione è correlata a una maggiore attenzione allo screening preventivo e una maggiore complicità (compliance) con il medico curante.

 

Va precisato che in tutti questi ambiti, di fronte alla maggioranza (talvolta schiacciante) di studi con risultati positivi, oltre ad alcuni studi che non hanno trovato correlazioni, una minoranza di studi ha trovato effetti negativi. Qui si può notare però come i risultati sono cumulativi, aggreganti cioè gli studi relativi a diverse religioni e confessioni. Bisogna considerare che la ricerca sul rapporto tra religione e salute è ancora (come per molti altri ambiti tecnici e umanistici) troppo americo-centrica, e bisogna inoltre considerare la forte presenza negli USA di una componente cristiano-fondamentalista di matrice luterana e calvinista. In tali ambiti c’è il rischio di una visione pessimista dell’uomo con conseguenze negative sulla salute mentale (p.es. la “depravazione totale” calvinista). Oppure c’è il rischio di una esagerata ed alienante fiducia nell’operato di Dio, che può portare a trascurare la complicità e l’impegno dell’uomo nella gestione della propria salute e nel miglioramento della società (p.es. gli avventisti e i Testimoni di Geova, che trascurano l’impegno sociale data la presunta imminenza della parusia).

Complessivamente però i risultati non sono equivoci. La religione fa bene alla salute e migliora la qualità della vita. La scienza psicologica, medica, e sociologica ha trovato conferma dell’evangelico “centuplo quaggiù” promesso. Chi si occupa della religione con presupposti razionali, anche razionalisti, non può che prenderne atto.

Roberto Reggi

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Dall’anticlericalismo femminista alla fede: il percorso dell’attrice Villoresi

In seguito a Divinamente, festival internazionale della spiritualità”, svoltosi a Roma e giunto alla quinta edizione, l’attrice Pamela Villoresi racconta con un’intervista su Acqua&Sapone il suo percorso di fede, dall’anticlericalismo femminista fino al ritorno al Cattolicesimo, tutto attraverso l’arte.

Il festival, di cui la Villoresi cura la direzione artistica, nacque, seppur ancora in forma germinale, 15 anni fa come il risultato dei «percorsi personali» dell’attrice che la influenzarono fino «radicalmente» cambiarne l’esistenza. L’incontro con il Signore, frutto della «meditazione del Vangelo e la figura di Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce)» e «dell’arte e la poesia» cristiana ha cambiato profondamente la vita dell’artista ora più «forte ed equilibrata». «Ora – ha dichiarato la Villoresi – vivo meglio e mi sento più libera».

Il viaggio spiriturale dell’attrice inizia da giovanissima. Dopo aver frequentato la scuola dalle suore, «soprattutto in coincidenza con il periodo del femminismo», seguì «un forte rifiuto dell’apparato ecclesiale». Rigetto nato dall’ignoranza e superato «leggendo molto, alla scoperta di testimoni della Chiesa» e che ha portato ad un percorso che «continua sempre, sostenuto dal desiderio del divino e dalla preghiera». Infine, la Villoresi conclude commentando: «Nella nostra società la sacralità è assente. […] Purtroppo, per inganni secolari, spesso si crede che avvicinandosi alla spiritualità si entri in un percorso di costrizione invece che di libertà. Eppure, io ho l’esperienza che intorno a noi ci sono continuamente delle persone che, anche inconsapevolmente, fungono da angeli e messaggeri, strumenti di Dio per la nostra anima».

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