Imbarazzante gaffe di Umberto Galimberti su Platone

Più volte ci siamo occupati del filosofo Umberto Galimberti, nota firma laicista di Repubblica, assieme ad Augias, Odifreddi, Veronesi, Pievani e Flores D’Arcais. Più volte abbiamo sottolineato come Galimberti abbia creato la sua carriera copiando letteralmente frasi e ragionamenti di altri autori, senza ovviamente citarne la fonte, come si evince dal libro “Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale” (Coniglio Editore 2011) e come ha dimostrato lo scrittore Vincenzo Altieri. Galimberti è stato l’unico “accademico” italiano ad aver mai ricevuto dalla sua Università, la Ca’ Foscari di Venezia, un richiamo formale per la persistente mancanza di citazione delle fonti nella redazione dei suoi testi scientifici.

Il filosofo, ancora ospitato senza vergogna su “Repubblica”, in questi giorni ha pensato di offrire una riflessione tutta sua, priva di plagio. Ed infatti ne è uscita una gaffe imbarazzante. La tematica è quella dell’omosessualità e la circostanza è la risposta ad un lettore del quotidiano, secondo il quale -oltretutto- secondo la Chiesa «l’omosessualità è una malattia». Ovviamente non è vero, mai si è parlato di “malattia”, semmai di «atti intrinsecamente disordinati», i quali sono «una prova» e per questo gli omosessuali «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza». Galimberti, prendendo leggermente le distanze dal lettore, ha sottolineato che «la condanna definitiva venne proprio dalla scienza che, partendo dal concetto che gli organi sessuali servono alla riproduzione, definì “patologica” ogni forma sessuale che deviasse da questo scopo».

Il filosofo di “Repubblica” si è poi avventurato in una dissertazione sui pregiudizi verso le persone con attrazione per lo stesso sesso, secondo lui attribuibili alla «psicoanalisi, alla religione e al diritto». E’ quindi voluto entrare nel suo campo culturale preferito per affrontare meglio la questione, ovvero la filosofia greca: occorre dire che il filosofo laicista odia così fortemente il cristianesimo anche perché esso ha di fatto preso il posto della cultura greca, lui stesso dice di sé«Io non sono cristiano, sono greco». Con sicurezza, dunque, ha pensato di valorizzare Platone citando questo passo de “Il Simposio”: «Dove fu stabilito che è riprovevole compiacere agli amanti, ciò fu a causa della bassezza dei legislatori, del dispotismo dei governanti, della viltà dei governati». Secondo Galimberti, con questo passo il progressista Platone avrebbe legato «opportunamente la condanna dell’omosessualità a un problema di democrazia» ancora da raggiungere. Peccato che, come ha fatto prontamente notare Antonio Socci su “Libero”,  Galimberti ha attribuito a Platone un pensiero che nel “Simposio” è espresso da Pausania, ovvero uno dei personaggi -omosessuale e teorizzatore della pederastia- che intervengono esprimendo il loro diverso punto di vista su “Eros”. Ovviamente Platone non la pensa affatto né come Galimberti, né come Pausania (lo vedremo dopo comunque).

Oltretutto il passo citato da Galimberti su “Repubblica”, che è di Pausania e non di Platone, in realtà esalta il genere maschile perché «per natura più forte e più dotato di cervello». Non solo, ma come ha fatto notare Francesco Colafemmina -autore di «Il matrimonio nella Grecia classica»- non parla nemmeno di “amanti” in senso orizzontale, ma di sottomissione dei giovani adolescenti ad un adulto omosessuale. La frase tradotta correttamente di Pausania è questa: «Così laddove è stato sancito che è turpe concedersi agli erastes [cioè i pederasti, Nda], ciò è da ascriversi alla malvagità delle disposizioni, alla prepotenza dei governanti, e alla viltà dei governati». Dunque oltre all’attribuzione errata, Galimberti ha perfino sbagliato a tradurre dal greco arrivando inconsapevolmente a valorizzare la pederastia e la misoginia. Colafemmina dimostra anche come l’omosessualità era condannata nell’antica Grecia e che gli omosessuali erano riconosciuti con l’appellativo volgare di cinedi (“colui che smuove la vergogna”).

Ma Galimberti sa cosa Platone pensava davvero dell’omosessualità? Assolutamente no. Nelle “Leggi”, Platone afferma che «bisogna considerare che, a quanto pare, il piacere sessuale fu assegnato secondo natura tanto alle femmine quanto ai maschi affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere». Il filosofo greco definisce un «pericolo» per l’ordine sociale, gli «amori di donne al posto di uomini e uomini al posto di donne» perché «innumerevoli conseguenze sono derivate agli uomini privatamente e a intere città». Socci ricorda che addirittura -con buona pace di coloro che fantasticano di un’antica Grecia libertaria e accusano la Chiesa Cattolica di aver portato illiberalità e sessuofobia – Platone chiede di condannare anche i rapporti prematrimoniali e l’adulterio attraverso la legge. Questo dimostra anche che la famiglia eterosessuale (come fondamento della civiltà) e la legge naturale non è un’invenzione del cristianesimo, ma fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà precedenti il cristianesimo e di tutti i popoli.

Per concludere occorre segnalare un altro errore di Galimberti, quando considera Sant’Anselmo un omosessuale, amante del suo allievo Gilberto. Per far questo, ha spiegato Colafemmina, si è rifatto al volume “Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo” dell‘attivista omosessuale John Boswell, il quale ha tentato di strumentalizzare alcune epistole di Anselmo in cui sono contenute parole di grande affetto per un suo discepolo. Propaganda da quattro soldi. Non sarebbe forse meglio che Galimberti continuasse a copiare da altri, evitando il più possibile la “farina del suo sacco”?

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Attivisti cristiani difendono la libertà di parola degli atei

Solo all’interno delle cultura cristiana -non quella islamica, indù o ateo-comunista- è possibile esercitare pienamente il diritto di libertà di opinione, di religione e anche libertà dalla religione.

Non a caso, solo in queste aree geografiche possono proliferare iniziative laiciste (spesso fortemente intolleranti), e ci può essere spazio anche per presenze moderate e civili di irreligiosità. Sempre rispettate dalla Chiesa.

Benedetto XVI nell’ottobre scorso ha ad esempio tessuto un elogio ai laici e agli agnostici, a coloro che «non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità». Con il loro esempio tolgono agli «atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca», e «chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri». Essi sono «un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede».

Un esempio di questo rispetto sono i fatti avvenuti nel giugno scorso nel Regno Unito, quando il Christian Institute”, un ente di beneficenza e di promozione dei principi evangelici nel Regno Unito, si è schierato in difesa di un ateo, John Richards, dopo che aveva deciso di appendere alla finestra della sua casa la scritta: «Le religioni sono favole per adulti» (si veda foto). La polizia di Lincolnshire County lo ha avvertito che avrebbe potuto essere arrestato in caso di eventuali reclami di persone offese, in quanto il “country’s Public Order Act” del 1986 proibisce rappresentazioni dai toni “minacciosi, vessatori o insultanti”. «E’ un atto intimidatorio quello della polizia», ha spiegato Simon Calvert del “Christian Institute” difendendo Richards, «esercita un effetto pericoloso agghiacciante sulla libertà di parola». Il portavoce dell’ente cristiano ha anche spiegato che molti cristiani in Gran Bretagna stanno “fortemente simpatizzando” verso la libertà di parola di Richards.

Verso la fine del 2011, questa volta negli USA, un altro fatto simile è arrivato alle cronache. Patrick Greene, noto ateo di Sue Henderson County (Texas) , si è unito alla lotta contro un presepe istituito al di fuori del tribunale della città di Atene (Texas), minacciando di presentare una querela contro esso. Poco tempo dopo, tuttavia, ha avuto alcuni problemi di salute, scoprendo di stare perdendo l’uso della vista. A questo punto, Jessica Crye, una donna cristiana di Atene che aveva difeso il presepe, ha chiesto al pastore della sua chiesa di poter fare qualcosa per aiutare quest’uomo. Ebbene, dopo una raccolta di fondi in chiesa, migliaia di dollari in donazione sono stati consegnati a Greene, che ha così potuto operarsi. Questo gesto di amore, oltretutto, è stato anche determinate per la conversione dell’attivista ateo, che oggi ha abbracciato il cristianesimo, subendo un radicale cambiamento.

Ancora si attribuisce all’intollerante anticristiano Voltaire la frase «non sono d’accordo con quello che dici, ma sono pronto a dare la mia vita perché tu possa dirlo». Non solo si è ormai scoperto da anni essere una bufala, ma da questi fatti si capisce chi davvero la pensa in questo modo e, sopratutto, agisce in coerenza a quanto dice.

La redazione

 

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Medici e farmacisti possono obiettare anche sulla “pillola del giorno dopo”

La sottocommissione della Camera dei Rappresentanti negli USA ha inserito due provvedimenti nella Legge Finanziaria 2013 attualmente in discussione, contro le discriminazioni nei confronti degli obiettori di coscienza in materia di aborto (proposte di legge 361) e sul rispetto dei diritti di coscienza (proposta di 1179), sponsorizzata quest’ultima da oltre duecento deputati e da circa la metà del Senato. Secondo il numero di agosto 2011 della rivista “Obstetrics and Gynecology“, l’86% dei medici negli USA è obiettore di coscienza.

Occorre ricordare che, anche in Italia, il diritto di agire secondo coscienza non vale soltanto nei confronti dell’aborto, ma anche rispetto alle pillole abortive e anche ai cosiddetti “contraccettivi di emergenza”, come la bomba ormonale del giorno dopo e la super-bomba ormonale dei “cinque giorni dopo“. Ma non solo per i medici, infatti -nonostante gli strali di Chiara Lalli e della Consulta di Bioetica Laica di Maurizio Mori, i cui responsabili sono noti per aver teorizzato l’infanticidio-, il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) si è espresso positivamente, nel 2011, anche per quanto riguarda l’obiezione su questi contraccettivi da parte dei farmacisti. Un plauso per questo è arrivato dalla “Federazione degli Ordini dei Farmacisti italiani” (Fofi) e da “Federfarma”, l’Associazione titolari di farmacia. Come dicono i rispettivi fogli illustrativi contenuti nelle confezioni di questi contraccettivi, infatti, «non si esclude la possibilità di un meccanismo d’azione che porti all’eliminazione di un embrione umano».

Recentemente ci ha pensato l’associazione “Scienza & Vita” (www.scienzaevita.org) a chiarire ulteriormente la questione, rispondendo ad un quesito pervenuto da un gruppo di medici minacciati di possibili denunce per rifiutarsi di prescrivere la “pillola del giorno dopo”. La prestigiosa associazione di medici ha risposto che «sussistono elementi non eludibili dal punto di vista scientifico, suffragati dalle stesse indicazioni delle case farmaceutiche, che attestano l’attitudine di queste pillole ad agire anche nella fase post-concezionale, impedendo l’ulteriore procedere della vita dell’embrione e, in particolare, il suo annidamento nella parete uterina», come già ampiamente spiegato qui e qui.

Tuttavia, «l’obiezione di coscienza nei casi in esame non è esplicitamente prevista da una norma di legge», ma questo «non preclude, per molteplici motivi, il riconoscimento del diritto all’obiezione». Innanzitutto perché la “pillola del giorno dopo” e dei “cinque giorni dopo” possono «agire in senso lesivo di una vita umana nella fase prenatale», inoltre il Comitato Nazionale per la Bioetica ha riconosciuto in modo unanime, nella “Nota sulla contraccezione di emergenza” approvata il 28 maggio 2004, la possibilità per il medico (per i farmacisti, come si è detto, solo nel 2011) di rifiutare la prescrizione o la somministrazione.

I medici e i farmacisti dunque si sentano pienamente legittimati a rifiutare in coscienza la prescrizione della “pillola del giorno dopo”, e la “pillola dei cinque giorni dopo”. Anzi, «neppure si trascuri che eventuali pressioni o minacce intese a far sì che l’obiezione non sia esercitata potrebbero a loro volta essere suscettibili, sussistendone le condizioni, di rilievo giuridico, anche sul piano penale». Difendere l’obiezione di coscienza è una risposta dovuta alla deriva culturale ed etica che vorrebbe rendere l’aborto moralmente indifferente, «come se la liberalizzazione giuridica si risolvesse di per sé nella liberalizzazione morale», ricordava a tutti il grande laico anti-abortista Norberto Bobbio.

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Particelle elementari e scintille divine

 
 

di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario

 
 

Era trascorso appena un decimo di miliardesimo di secondo, eppure ne erano accadute di cose. In questo tempo si era consumata la rottura della perfetta simmetria dell’Inizio: erano emersi i 4 diversi campi di forza (gravitazionale, elettromagnetico, nucleare debole e nucleare forte) ed alcune dozzine di famiglie di eteree particelle. Mancava ancora tuttavia una qualità, senza la quale il mondo sarebbe rimasto per sempre un ologramma dove tutto schizza alla velocità della luce: la massa. Uscì allora dal cilindro del creato un quinto campo, diffuso ovunque nell’ancor minuscolo spazio-tempo: dalla sua auto-interazione nacque una nuova particella, mentre dall’interazione con le altre particelle, molte acquisirono massa. Dopo la luce, fu la massa dunque. 13,7 miliardi di anni fa.

50 anni fa, Peter Higgs postulò su pura base matematica, per la consistenza della teoria standard della fisica, l’esistenza di quel primevo campo e della sua particella-messaggero, mai prima osservati. Nei mesi scorsi il Cern è riuscito a tracciarli e l’apparizione a Ginevra d’una particella dalle caratteristiche previste, alle energie previste, seppure per il brevissimo lasso di tempo (previsto) della durata della sua vita, ha rivelato la realtà del campo di Higgs, responsabile della massa delle particelle massive: neutroni, protoni ed elettroni compresi, e quindi dei 92 tipi di atomi di cui si compone tutta la materia inanimata ed animata del mondo. In un articolo del marzo scorso dedicato all’efficacia inspiegabile della matematica in fisica citavo le predizioni delle onde elettromagnetiche, dei pianeti Nettuno e Plutone, dell’antimateria: tutti oggetti prima usciti come soluzioni di equazioni e dopo osservati in esperimenti in cui la teoria ha guidato l’empiria. Commentando l’articolo un lettore scrisse: “Personalmente ci metterei anche il bosone di Higgs”. Oggi gli devo dare ragione!

Ma cos’è la massa? La definizione dei dizionari (“quantità di materia indistinta”) è circolare: e la materia cos’è? In fisica, la massa d’un oggetto si definisce operativamente in 2 modi distinti: o misurandone l’inerzia a mutare il suo stato di moto sotto l’azione di una forza, o misurando l’attrazione che quell’oggetto subisce da un altro. Da Newton ad Einstein, per due secoli, nessuno poté spiegarsi perché le due procedure dessero lo stesso risultato. Con la teoria della relatività, il mistero è stato elegantemente risolto e due succose, strabilianti ciliegine si sono aggiunte alla torta: l’equazione E = mc2, che dà l’equivalenza della massa all’energia e l’esistenza di una particella senza massa, il fotone.

Dopo la massa, però, si apre un altro interrogativo: come si spiegano gli infiniti aspetti in cui le cose ci appaiono? che cosa provoca la differenza – che ci sta sotto gli occhi, il tatto e il palato – di 1 litro d’acqua da 8 ettolitri d’aria o da 5 centilitri d’oro, che hanno tutti la stessa massa di 1 kg? Qual è la struttura più profonda della materia? Sono 2.600 anni, dalla scuola jonica di Mileto, che il pensiero occidentale si arrovella intorno a questa domanda sui fondamenti. È un unico principio che dà origine alla cornucopia del mondo? magari una sostanza come l’aria (Anassimene), l’acqua (Talete), o piuttosto una forza che pervade tutto lo spazio (“ápeiron”, Anassimandro)? O, invece, i primi costituenti delle cose sono infiniti e consistono in particelle indivisibili, gli “atomi”, come si proclamò sulla sponda opposta dell’Egeo, ad Abdera (Leucippo, Democrito)? Quando incontrai la prima volta questi pensatori, alle lezioni liceali di filosofia, il loro mi parve un fantasticare ozioso ed arbitrario: acqua? e perché no un’altra sostanza? Ápeiron? puah! Atomi? beh, meglio, ma siamo sempre nell’ambito del mito. Così pensavo allora. Da bambino.

L’irrisione verso i filosofi presocratici si sarebbe rovesciata in ammirazione con gli anni, in parallelo allo studio della fisica. Già l’anno successivo, insieme ai miei compagni vidi per la prima volta gli atomi ed il vuoto fisico con la mente: ci aprì gli “occhi” l’insegnante di chimica un giorno in cui ci guidò nell’aula di mineralogia ad osservare delle pietre. Mi colpì per la sua bellezza un cristallo di rocca, incolore e trasparente. Il prisma esagonale perfetto non era stato intagliato da un artigiano, ma era cresciuto naturalmente strato su strato in milioni di anni: osservai le 6 facce piane, quelle opposte parallele, quelle adiacenti ad angoli di 120° come le celle d’un alveare. Nel corso della sua crescita, come può la faccia del cristallo – ci chiese la prof fissandoci negli occhi – conoscere l’orientamento della faccia opposta e disporsi in un piano perfettamente parallelo? L’unica spiegazione – rispose a fronte del nostro tonto mutismo – è che la sostanza di cui è fatto non sia omogenea e infinitamente divisibile, ma un’intelaiatura di particelle disposte ad intervalli regolari in un reticolo geometrico. Idem per il solfuro di piombo che è cubico, o per lo spato d’Islanda, romboedrico. E la forma di ogni cristallo – proseguì con logica martellante – si deve alla forma degli atomi, che varia per ogni sostanza e fa sì che il loro insieme aggregandosi formi una geometria diversa. Non servono ultra-microscopi per vedere gli atomi, basta usare il “cervello in zucca”! La prof ci fece anche “vedere” che gli atomi sono vuoti, di fatto. Ci bastò osservare un quarzo contenente rutilo al suo interno. I cristalli di rutilo formavano prismi diritti, sottili come spilli, orientati casualmente in ogni direzione all’interno del quarzo: questo e quelli erano cresciuti negli evi senza disturbarsi. Come sono cresciuti gli aghi di rutilo senza mai scontrarsi con gli atomi del quarzo? senza piegarsi, né deformarsi? – c’incalzò la megera –. Il nostro silenzio, divenuto di ghiaccio, fu interrotto dalla sua trionfante sortita: “Il solido di quarzo è… vuoto!” Solo le “fette di lardo” che avevamo sugli occhi ci avevano impedito di vederlo prima. Ed il vero problema, allora, non è quello di Newton di capire perché la mela cada per terra – concluse imperterrita nella sua manovra per il KO finale –, ma all’opposto perché “le vostre zampe di somari non sprofondino in un pianeta vuoto!”. E – scimmiotto io per traumatizzare voi lettori – il vero problema è perché il pc su cui scrivo non attraversi la scrivania dirigendosi verso il centro della Terra e non la trapassi, come fanno tutti i giorni i neutrini di origine stellare anche senza l’uso di tunnel governativi…

Come ho fatto, meditai avvilito, a non “vedere” da solo il “vuoto” attraverso cui le frecce di rutilo passano indisturbate tra un nucleo e l’altro degli atomi del quarzo? che l’impenetrabilità della pietra è solo una manifestazione del campo elettromagnetico presente nel vuoto fisico (che non è quindi, attento lettore!, un vero nulla), respingente la corteccia elettronica del cristallo da quella che circonda il polpastrello? Possiamo scoprire molte verità nascoste col solo uso della ragione… La scienza sperimentale trova i dettagli quantitativi, calcola oggi che del volume di un atomo solo una parte su un milione di miliardi è occupata dalla materia, mentre il resto, in pratica tutto, è spazio vuoto. Però era stato un filosofo greco, riconobbi, ad intuire 2.600 anni fa la necessità dell’esistenza degli atomi. Per riparare alla mia presunzione, avrei scelto poi come tesina di diploma il “De rerum natura” di Lucrezio, dove m’innamorai del “clinamen” degli atomi nello spazio vuoto…

Già, lo spazio vuoto: qui si sbagliavano gli atomisti di Abdera a confondere il vuoto con il nulla, ma essi erano almeno in buona fede, a differenza di certi fisici dei nostri giorni che, pur conoscendo bene le proprietà fisiche del vuoto, lo chiamano nulla nei libri di divulgazione: “per una scelta di marketing”, si giustificano, senza accorgersi di abbassare così la scienza alla ciarlataneria! Chi di tutti i filosofi antichi è andato più vicino ad intuire il vuoto fisico, oggi non ho dubbi, fu il miletese Anassimandro con l’ápeiron. Nella fisica moderna il vuoto è una struttura spazio-temporale colma di proprietà geometriche e permeata di campi di forza dove l’energia ha il valore minimo consentito dalla teoria dei quanti. A causa dell’oscillazione in infiniti modi indipendenti dei campi, l’energia totale del vuoto fisico non è sempre zero e può essere anche infinita! Noi non possiamo però estrarre energia dal vuoto perché ciò provocherebbe la transizione ad uno stato di energia inferiore che, per definizione di vuoto fisico, non esiste. Il vuoto è lo stato cui tende ogni sistema fisico lasciato a se stesso; è il punto di partenza e di arrivo di ogni esperimento, e noi abbiamo una teoria capace di descrivere un fenomeno subatomico quando conosciamo i campi che lo interessano e sappiamo calcolare, con una matematica che non è standard ma un’arte, l’energia del vuoto, da cui ripartire per ricalcolare tutte le altre energie in gioco. Nella fisica, insomma, il vuoto è tutto e ciò solo mostra quanto sia scientificamente errata la concezione materialistica e meccanicistica del chimico Peter Atkins che nel bosone di Higgs, in quanto responsabile della massa, ha vistoun altro chiodo battuto sulla bara della religione”: ma donde deriva la massa del bosone stesso e delle altre particelle se non dall’equivalente (E = mc2!) energia del vuoto del campo di Higgs? e, prima ancora, come si spiega la matematica d’un campo a spin zero, doppietto in SU(2) e con ipercarica U(1), privo di colore? e la matematica affatto diversa di ognuno degli altri 4 campi?

Nello scientismo c’è anche un errore di sistema: la scienza sperimentale moderna vi è vista come una corsa a termine verso un traguardo finito, piuttosto che come un progresso indefinito sempre migliorabile, ma mai concluso. Con l’esperimento di Ginevra la ragione umana ha fatto un passo in avanti nella conoscenza della struttura della materia: ora conosciamo un’altra particella elementare, causa della massa delle altre ed abbiamo un’ulteriore conferma della solidità della teoria standard. Restano però molti problemi ancora aperti, a cominciare dalla ricerca di una Grande Teoria Unificata che spieghi la fisica dell’Universo dei primi istanti, prima che elettromagnetismo, forza nucleare debole e nucleare forte si scindessero; e di una Teoria del Tutto che incorpori anche il campo gravitazionale, ora oggetto di una teoria a parte, la Relatività Generale. Avanzare in scienza non significa avvicinarsi al traguardo di una conoscenza perfetta, ma semmai allontanarvisi sempre di più, perché ad ogni progresso si allarga l’orizzonte di ciò che apprendiamo esserci ignoto. Con umiltà Fabiola Gianotti, capo del progetto Cern responsabile della ricerca del bosone di Higgs, ha detto: “Abbiamo scoperto una goccia che ci ha aperto un nuovo oceano”. Ciò mi ha richiamato un passo dei “Pensieri” di Pascal, in cui il grande scienziato e filosofo francese mostra la specificità dell’uomo rispetto al resto della Natura nel sentimento della propria piccolezza di fronte all’Universo, ma allo stesso tempo nella propria autocoscienza e nella comprensione di un Universo inconscio: “Quando l’uomo, considerando la pluralità dei mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo, ch’è minima parte d’uno degli infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questo pensiero si stupisce della sua piccolezza, e profondamente sentendola e intensamente riguardandola si confonde quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pensiero dell’immensità delle cose, e si trova come smarrito nella vastità incomprensibile dell’esistenza; allora, con questo atto e con questo pensiero, egli dà la maggior prova possibile della sua nobiltà, della forza e dell’immensa capacità della sua mente, la quale, rinchiusa in sì piccolo essere, è potuta pervenire a conoscere e intendere cose tanto superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contener col pensiero questa immensità dell’esistenza e delle cose”.

Non comprendo chi non distingue l’abisso tra una particella elementare che non sa di esistere e la scintilla divina della mente umana che arriva a ri-crearla! “In principio era la ragione, e la ragione era presso Dio e la ragione era Dio. […] tutto è stato fatto per mezzo di essa e senza di essa nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Vangelo di S. Giovanni). Dall’altro lato, “poiché gli esseri umani sono stati creati ad immagine di Dio nel senso che hanno una natura che include la ragione, […] essi possono imitare Dio. […] Soltanto nelle creature razionali c’è questa somiglianza con Dio. Esse possono raggiungere l’imitazione di Dio non solo nel fatto di essere e vivere, ma specialmente nel fatto di capire” (Tommaso, “Summa Theologiae”). Sono allibito davanti a chi mischia il nome santo di Dio ad una fluttuazione d’onda nata dopo il Big Bang e perdurante un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo. Cosa c’entra una particella elementare con Dio? Tutto e nulla, come vale per la relazione d’ogni creatura al suo Creatore.

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Maggioranza di italiani (59%) contraria a riconoscimento coppie gay

Secondo un’analisi del noto sociologo Renato Mannheimer, docente di Analisi dell’opinione pubblica presso l’Università degli studi Milano-Bicocca e collaboratore de “Il Corriere della Sera”, su cui appunto è divulgata la notizia, la maggioranza (59%) degli italiani si oppone al riconoscimento legale/matrimonio delle coppie omosessuali.

Mannheimer, lo diciamo per i militanti della lobby gay che certamente andranno a rovistare nella sua vita privata cercando argomenti per screditare la sua indagine sociologica, è stato militante in gioventù della sinistra extraparlamentare e sposato con l’ex ministro delle Pari Opportunità del PD, “gay-friendly”, Barbara Pollastrini. Una persona, dunque, al di sopra dei sospetti.

Di fronte al quesito se riconoscere o meno anche legalmente le unioni – assimilabili ai matrimoni – tra omosessuali, i contrari prevalgono per il 59%, a fronte del 40% di favorevoli. Molto basso il numero dei “non so” che, contrariamente a quanto accade per molti altri argomenti, mostra che la quasi totalità dei cittadini si è, col tempo, formata una precisa opinione al riguardo. La posizione della gente, anche grazie alla furiosa e asfissiante quotidiana campagna omosessualista inscenata sui principali mass-media (radio compresa), è comunque mutata rispetto a sette anni fa, quando i contrari erano il 66% contro 32% di favorevoli.

Per quanto riguarda le fasce di età, le persone più sagge e mature come gli over 65, mostrano una maggiore avversità alle unioni gay (76% di contrari), nella fascia 45-64 anni sono invece contrari il 55% (contro il 44% dei favorevoli), anche tra coloro che vanno dai 24 ai 44 anni i contrari sono ancora una volta maggioritari, con il 51% (contro il 48%). Nei giovanissimi, 18-24 anni, i favorevoli sono in maggioranza per il 51%, contro il 49% di contrari. Rispetto al titolo di studio, il 53% dei laureati è contrario ad aprire al riconoscimento giuridico delle coppie gay.

Tra i cattolici, il 67% dei praticanti è contrario e dunque coerente con la posizione della Chiesa di cui intende fare parte. In ambito politico, tra i votanti per il Pdl, il 63% si dice contrario ai matrimoni tra omosessuali e il 37% favorevole, mentre tra gli elettori del Pd, la lieve maggioranza (53%) è sulla stessa posizione di avversità, a fronte del 46% di favorevoli.

Anche il magistrato iperlaicista Vladimiro Zagrebelsky ha affermato recentemente che «l’introduzione del matrimonio omosessuale, pienamente equiparato a quello tra persone di sesso diverso, trova divisa la società italiana». Ha poi giustamente sottolineato che «è sbagliato ritenere che l’opposizione sia solo di parte cattolica e che su questa come su altre questioni che hanno a che fare con l’etica sociale sia possibile tracciare un confine netto, tra una comunità cattolica e una che cattolica non è o non si sente». Infine, Zagrebelsky ha anche sorprendentemente riconosciuto che «non v’è omogeneità tra il matrimonio cui la Costituzione si richiama e l’unione omosessuale».

Lo scrittore Ruggero Guarini ha invece evidenziato 5 motivi per cui, secondo lui, non legalizzare le unioni gay. In sintesi: 1) solo il matrimonio tradizionale è naturalmente aperto alla procreazione, per questo lo Stato non può non riconoscerli una speciale natura giuridica; 2) Il termine “matrimonio” esclude anche etimologicamente gli omosessuali, in quanto esso deriva de “mater”, ovvero l’apertura alla procreazione; 3) Rischio di stravolgimento concettuale di termini come “moglie”, “marito”, “padre” e “madre”, già sentiti come discriminatori verso coloro che non lo possono essere; 4) I problemi pratici e legali possono essere risolti anche senza l’esigenza del matrimonio, ma attraverso precise misure giuridiche; 5) Politicamente si tratta di una mera strumentalizzazione del movimento gay, che in realtà non è interessato davvero come ha spiegato Imma Battaglia, presidente DigayProject e come evidenziato da un’inchiesta di “KlausCondicio”.

Giuliano Ferrara su “Il Foglio” ha spiegato perché l’estensione del matrimonio tradizionale ai gay non è un fatto di giustizia o di codice civile, mentre il giurista Francesco D’Agostino ha svelato il sofisma per cui si vuole far credere che la legalizzazione del matrimonio gay sia per la tutela di un «privato» interesse di coppia,  mentre il matrimonio ha invece una chiara valenza pubblica e mette in gioco interessi sociali di carattere generale e antropologico.

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Smascherate altre bugie di Marco Ansaldo e di “Repubblica”

E’ successo ancora una volta. Dopo che il vaticanista di “Repubblica”, Marco Ansaldosi è completamente inventato il rapimento/uccisione da parte del Vaticano del responsabile informatico della Santa Sede, dopo che si è illecitamente inventato, direttamente dalla sua postazione in redazione, un dialogo privato tra il segretario di Stato Bertone e Benedetto XVI, oggi Ansaldo ha pubblicato una ennesima falsa notizia: la governante del pontefice, Ingrid Stampa, l’ex segretario di Benedetto XVI, Josef Clemens, e il  cardinale Paolo Sardi sarebbero sospettati dagli inquirenti penali e dalla Commissione cardinalizia sul caso “Vatileaks”, ovvero la fuga di documenti riservati vaticani riguardanti i rapporti all’interno e all’esterno della Santa Sede.

Secondo la tattica continuamente usata da Marco Politi de “Il Fatto Quotidiano”, suo stretto compagno di bufale anticlericali, anche Ansaldo si è nascosto dietro alla solita fonte anonima e «interna alle Mura vaticane». Ognuno evidentemente ha il suo suggeritore misterioso a cui far dire di tutto e di più.

Immediata, anche questa volta, la dura smentita di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, nei confronti di “Repubblica”, definendo “invettive” le invenzioni di Ansalo e spiegando: «L’articolo di “Repubblica” di questa mattina sulla vicenda della fuga di documenti vaticani ricopia (in diverse espressioni anche letteralmente e non solo nella citazione finale) un articolo firmato da Paul Badde, apparso su “Die Welt” online una settimana fa (15 luglio), senza aggiungere praticamente nulla se non alcuni argomenti non pertinenti e interpretati in modo infondato. Faccio notare che l’articolo di Die Welt non era stato ripreso finora dalla generalità della stampa tedesca, che ne aveva giustamente riconosciuto l’evidente parzialità e la grave responsabilità di indicare alcune persone come corresponsabili senza argomenti oggettivi. Per questo non avevo ritenuto opportuno reagire ad esso con decisione».

Padre Lombardi anche questa volta non ha nominato, per correttezza e rispetto, il vaticanista laicista (o vati-laicista) Marco Ansaldo, aggiungendo però che «è giusto far notare come l’informazione data in articoli di “Repubblica” su tutta questa vicenda sia stata particolarmente – e direi inspiegabilmente – caratterizzata da interventi che ho dovuto ripetutamente e pubblicamente smentire […] In un tema complesso e delicato come questo, mi sembra che i lettori di uno dei più diffusi quotidiani italiani meritassero ben altro rispetto della correttezza e della deontologia dell’informazione». Dopo padre Lombardi è intervenuta anche la Segreteria di Stato, esprimendo «ferma e totale riprovazione per tali pubblicazioni, non fondate su argomenti oggettivi e gravemente lesive dell’onorabilità delle persone interessate, da molti anni al fedele servizio del Santo Padre».

Si ribadisce il consiglio già dato in precedenza: evitare di informarsi su quanto accade in Vaticano dal “trio della disinformatio”, Marco Politi, Marco Lillo & Marco Ansaldo, persone che sfruttano la popolarità loro concessa per portare avanti personali guerre ideologiche.

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La guerra civile spagnola, Francisco Franco e la Chiesa cattolica

Davanti alle persecuzioni si nota spesso che i laicisti più militanti usano due pesi e due misure: sono i primi a denunciare la crudeltà delle repressioni effettuate dai cristiani contro gli appartenenti alle altre religioni come ai tempi dell’inquisizione, delle crociate o della persecuzione dei pagani; ma sono pure i primi a minimizzare o, in certi casi negare, i crimini quando le vittime sono cristiane. Uno di questi casi riguarda ad esempio, la guerra civile spagnola. Per parecchio tempo infatti la guerra di Spagna è stata avvolta dal mito di un generale che tentava di sovvertire la repubblica legittimamente eletta e di una Chiesa che si mostrò fin da subito accondiscendente nei suoi confronti. La persecuzione che subì nei territori dominati dai repubblicani, fu quindi dovuta al suo essersi schierata a fianco dei ribelli. La verità storica, però, è alquanto diversa.

Già prima dello scoppio del conflitto, la Chiesa fu sottoposta a una vera e propria persecuzione. Infatti, dalla vittoria del Fronte Popolare del 16 febbraio del ’36 allo scoppio della rivolta avvenuta a luglio, centinaia di chiese ed edifici appartenenti alla Chiesa vennero distrutti o confiscati, in alcune provincie venne vietata o limitata la celebrazione del culto, ad esempio, proibendo il suono delle campane o le processioni, furono frequenti gli episodi di profanazione dell’Eucarestia, diciassette sacerdoti vennero assassinati e molti altri aggrediti. Quando avvenne la sollevazione, la Chiesa non prese parte “all’alziamento”. Contrariamente al mito, Francisco Franco non intervenne per difendere i cattolici. Nei programmi iniziali dei ribelli non vi era alcuna motivazione religiosa. Il comandante della Giunta di Difesa Nazionale, Miguel Cabanellas, era massone e lo stesso Francisco Franco non aveva dato segni di fervore religioso tanto che uno dei suoi slogan in Marocco era “niente donne, niente messe”. Il generale cercava, inoltre, il sostegno della Germania nazista, la cui ideologia verrà condannata dal papa Pio XI nell’enciclica Mit brennender sorge e la cui lettura in Spagna verrà proibita dal caudillo (Bartolomé Bennasar, La guerra di Spagna, Torino 2006 pp. 309-315).

Al contrario, la Chiesa manifestò diffidenza verso la rivolta: l’incaricato degli affari della Santa Sede a Madrid, monsignor Silvio Sericano, espresse il 21 luglio «il veemente desiderio che la normalità (fosse) ristabilita al più presto» e durante la guerra il Vaticano continuò a riconoscere la repubblica sebbene nessuna delle due parti in lotta avesse una rappresentanza e negò l’accredito all’inviato dei nazionalisti (cosa che fece infastidire molto Franco che tergiversò non poco prima di annullare la legislazione anticlericale repubblicana). Tuttavia, fin da subito, si susseguirono violenze anticlericali persino peggiori di quelle commesse dai giacobini durante la rivoluzione francese: nel mese di luglio furono uccisi 861 sacerdoti, in agosto 2077,  le morti continuarono in autunno seppur in numero inferiore e nel 1937 calarono sensibilmente senza mai però interrompersi del tutto. Inoltre, venne bandita ogni forma di culto e le chiese furono distrutte o trasformate in stalle, magazzini o rifugi. Questa persecuzione non fu “legale”, ma venne effettuata da “comités revolucionarios” sostenuti dalle forze politiche ossia dagli anarchici, dai comunisti e dai socialisti rivoluzionari (cfr. A. Riccardi, “Il secolo del martirio”, Milano 2000 pp.335-347).

Bisogna aggiungere che il governo repubblicano fece ben poco per fermare le violenze e anzi, si rifiutò di condannare pubblicamente le atrocità anticlericali nonostante i ripetuti appelli vaticani. Tardivamente, il governo nominerà il ministro cattolico basco Manuel de Irujo che propose il ripristino della libertà di culto, ma la sua proposta incontrò la resistenza dei suoi colleghi e la diffidenza di alcuni settori ecclesiastici che vi scorsero una manovra propagandistica (Alfonso Botti, Una indagine mancata sulle ragioni dell’odio, “il Manifesto” 28 ottobre 2007).

Anche di fronte a queste atrocità, il Vaticano  mostrò cautela nell’avvicinarsi al regime dei nazionalisti e rifiutò la richiesta di Franco di condannare apertamente i baschi per l’appoggio alla repubblica, al contrario protestò per l’uccisione di preti baschi da parte delle sue truppe e si disse afflitto per le possibili derive franchiste (intendendo con ciò probabilmente il suo avvicinamento a Hitler, cfr. H. Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Torino 1963 pp. 380-381). Pur essendo cattolici, i baschi si erano infatti schierati con la repubblica, che aveva concesso loro uno statuto di autonomia e ciò permise di evitare nei loro territori le violenze antireligiose che si ebbero nelle altre zone dominate dai repubblicani. Il Vaticano cercherà quindi di mediare una pace separata con il governo basco, che pur di mantenere l’autonomia ed evitare i massacri derivanti dalla sconfitta, era pronto a consegnare la corona del loro stato ai Savoia. I servizi segreti repubblicani, però, intercettarono una lettera del segretario di stato Pacelli ai membri del governo basco in cui si accennava alla nascita di un loro stato autonomo e indipendente. La vicenda raggiunse così la stampa internazionale e ne venne a conoscenza lo stesso Franco e il progetto naufragò (A. Petacco, Viva la muerte!, Milano 2006 pp. 154-155).

In risposta alle violenze contro il clero, sempre più preti e vescovi cominciarono a schierarsi dalla parte dei ribelli, spesso assumendo toni da crociata. Il documento più importante a tal proposito fu la lettera collettiva pubblicata dalla quasi totalità dei vescovi il 1 luglio del 1937. In essa si descrivevano i soprusi e le discriminazioni subite dalla Chiesa fin dal 1931, si denunciava il pericolo di un complotto volto a portare al potere il comunismo (che si scoprì, in realtà, basato su documenti falsi anche se il pericolo di una rivoluzione comunista era tutt’altro che irrealistico),  confutava l’idea che la Chiesa avesse attirato su di sé la persecuzione e assicurava il proprio appoggio ai nazionalisti. Anche il Vaticano, seppur lontano dal concedere un sostegno incondizionato a Franco cominciò a correggere la propria linea di condotta quando le sorti della guerra cominciarono a volgersi in favore dei nazionalisti fino a riconoscere il loro governo nel maggio del ’38, dopo che  ebbe revocato la legislazione anticlericale e dopo che già molte nazioni avevano ormai riconosciuto il nuovo stato. La Santa Sede non diede comunque un’approvazione assoluta perché tra i membri più estremisti della Falange vi erano non pochi anticlericali e non cessò la sua opera a favore dei perseguitati per alleviare le sofferenze della guerra (domande di grazia per i prigionieri, richiesta di sospendere i bombardamenti nelle città, inviti alla tregua, ecc.). Interventi che molte volte rimassero inascoltati. Lo stesso discorso di Pio XII dell’aprile del ’39 in cui si congratulava per la vittoria, venne epurato perché contente passi in cui si auspicava clemenza per i vinti. (M. Burleigh, In nome di Dio, Bergamo 2007 pp. 362-363).

Non è inesatto, in definitiva, affermare che fu la politica repubblicana ad alienarsi la Chiesa tollerando (o persino incoraggiando) una feroce persecuzione anticristiana. Politica, che oltre ad essere criminale, fu anche controproducente perché permise al caudillo di dare una giustificazione morale alla rivolta e inimicò la massa dei cattolici che cominciò a vedere nella vittoria dei ribelli la sola possibilità di salvezza. Come ebbe infatti ad osservare all’epoca il prete catalano Carles Cardò: «Uno dei partiti bellici, ci ammazza; l’altro ci difende (…) Chi può stupirsi che quei perseguitati, che sfuggirono per poco alla morte, scegliessero l’altro campo?» 

Mattia Ferrari

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Nuovo studio: maggior disagio per bambini di coppie gay

Famiglie arcobalenoLa rivista scientifica “Social Science Research” ha pubblicato recentemente due studi molto interessanti sulle problematiche dei bambini cresciuti all’interno di una relazione omosessuale. Il primo è quello del sociologo dell’Università del Texas, Mark Regnerus (qui il paper integrale), basato sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale, il quale ha intervistato direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, dimostrando un significativo aumento del tasso di: suicidio,tradimento, disoccupazione, ricorso alla  psicoterapia, patologie sessualmente trasmissibili, povertà, inclinazione al fumo e alla criminalità. Un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari ha pubblicato un comunicato sul sito della Baylor University sostenendone l’attendibilità statistica e metodologica.

Il secondo studio è stato realizzato da Loren Marks della Louisiana State University, nel quale si critica fortemente la posizione (politica) dell’American Psychological Association (APA), secondo la quale i figli di genitori gay o lesbiche non sarebbero svantaggiati rispetto a quelli di coppie eteorsessuali. La studiosa ha analizzato i 59 studi citati dall’APA per sostenere la propria tesi, dimostrandone la scarsa rilevanza.

In questi giorni è apparso un terzo studio in peer-review, realizzato da Daniel Potter dell’American Institutes for Research e pubblicato sul “Journal of Marriage and Family”. Anche lui si è concentrato sui bambini cresciuti all’interno di relazioni dello stesso sesso, paragonandoli a quelli cresciuti con genitori di sesso opposto. Ha introdotto sottolineando come la ricerca mostri chiaramente che «i bambini cresciuti in famiglie tradizionali (vale a dire, con i due genitori biologici sposati) tendono a fare meglio dei loro coetanei cresciuti in famiglie non tradizionali», come abbiamo anche dimostrato in questa pagina.

Un’eccezione finora, ha continuato Potter, sembrano però essere stati i bambini cresciuti da persone dello stesso sesso, infatti alcune ricerche precedenti hanno sostenuto che non esistono differenze sostanziali con i bambini cresciuti in famiglie tradizionali. Tuttavia, ha ricordato, «gli studi sulle famiglie dello stesso sesso si sono affidati ad una concettualizzazione statica della famiglia», cioè hanno modellato la famiglia come unità statica, mentre occorre tenere conto del numero di transizioni familiari, ovvero i passaggi critici che queste relazioni incontrano. L’autore ha così usato un campione di 20.000 bambini per «creare un indicatore dinamico della struttura familiare, testando la sua associazione con i punteggi di valutazione matematica». I risultati «hanno indicato che i bambini cresciuti da famiglie dello stesso sesso hanno riscontrato un punteggio più basso rispetto ai loro coetanei cresciuti in famiglie biologiche e sposate».

Questi risultati indicano dunque che le conseguenze del vivere in una “famiglia” con genitori dello stesso sesso «erano simili a quelle associate al vivere con genitori divorziati, con patrigni o conviventi: ci sono le prove che questi bambini fanno peggio rispetto ai loro coetanei provenienti da famiglie tradizionali», a causa «di interruzioni, instabilità e cambiamenti associati alle transizioni che accompagnano la formazione di questi tipi di famiglie non tradizionali».

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Ma davvero i Paesi più poveri sono anche più religiosi? E perché?

Secondo una delle più famose tesi laiciste, la religione sarebbe uno strumento nato per superare la paura della morte. Abbiamo già documentato, anche attraverso indagini sociologiche, che non è un’affermazione che trova riscontro nella realtà. Una seconda versione di questa stessa tesi, che viene pescata dal repertorio anti-teista in alternativa alla prima, vuole che la religiosità  sia più alta nelle Nazioni più povere del mondo e che quindi la religione sia utile a sopportare la lotta per la sopravvivenza quotidiana. La questione si può affrontare in diversi modi.

1) Innanzitutto non ci sarebbe nulla di strano, certamente –come dimostrano gli studi (realizzati in società prevalentemente cristiane)- le persone che credono in Dio vivono una vita qualitativamente superiore dal punto di vista psico-fisico: avere un senso ultimo verso cui orientare quotidianamente il proprio cammino, rende certamente l’esistenza più lieta, come è più gustoso (e probabilmente più ragionevole) compiere la fatica della scalata di una montagna se si è consapevoli di avere una vetta da raggiungere. Ma tutto questo non autorizza affatto sostenere che la fede sia un’illusione perché contribuisce ad una vita migliore. Chi afferma questo compie una fallacia argomentativa, confondendo banalmente la causa con uno degli effetti.

2) Occorre anche dire, come già affermato per la tesi sul “comfort dalla morte”, che il disagio economico/sociale può essere anche un forte stimolo per pensare allo scopo della propria vita, ad interessarsi di essa. Prendere coscienza della propria impotenza umana avvicina a Dio perché aiuta a vivere in semplicità d’animo (secondo l’ammonimento evangelico), in gratitudine per quello che si ha e che non è scontato avere. Al contrario, il ricco o il benestante sarà più tentato di crogiolarsi nell’illusione di essere “a posto”, di non avere bisogno di null altro o di nessun Altro, difficilmente vivrà in gratitudine e in semplicità. Non a caso Gesù stesso, dopo il rifiuto del giovane ricco a donare i suoi beni ai poveri e a seguirlo, disse: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» (Mc 10, 17-30). L’essere materialmente benestanti porta facilmente al rischio di illudersi di essere davvero autosufficienti (a meno che arrivi un terremoto a spazzare via queste strane idee), basta soltanto guardare il consumo di antidepressivi nei Paesi ricchi e sviluppati a dimostrazione di come l’uomo abbia sempre bisogno di “altro” rispetto a quanto possiede. Il bisogno umano è insoddisfabile, a meno che trovi una Ragione ultima su cui finalmente riposare. Dunque, possiamo dire che la povertà è un forte antidoto all’illusione, per questo probabilmente alcuni studi mostrano che le persone meno benestanti sono anche più religiose.

3) E’ opportuno comunque segnalare l’articolo su “Psychologytoday” scritto da Derek Bickerton, professore emerito di linguistica presso l’Università delle Hawaii, il quale si definisce “paleo-scettico”, ovvero scettico verso tutto, scienza compresa. Bickerton confuta in ogni caso l’equazione “religione=povertà” spiegando che l’ateismo non prenderà il sopravvento nei Paesi sviluppati, anzi «è anche dubbio se l ‘Europa e Nord America possano mantenere il loro attuale livello di sviluppo economico. Tante civiltà hanno subito un crollo economico, perché dovrebbe essere la nostra l’unica eccezione?». Ovviamente tutto questo supponendo che la tesi sia corretta…ma entrando nel merito, occorre sottolineare che «negli Stati Uniti, -che fino a poco tempo fa erano uno dei Paesi più economicamente sviluppati, con alta disponibilità di sport e divertimento come presunti sostituti della religione-, la percentuale di atei oscilla tra un improbabile 9% e uno 0,04%». Oltretutto, «gli abitanti dei paesi secolarizzati, come Svezia, Danimarca, Francia e Germania, ammontano a non più di circa 158 milioni mentre la popolazione degli Stati Uniti è quasi il doppio». Volendo anche prendere tutta l’Europa, occorre includere «paesi come l’Italia (74% di credenti in Dio), Polonia (80%), Grecia (81%), Portogallo (81%) e Romania (90%). Anche l’Irlanda ha uno stabile 73% di credenti». Tutti questi sono Paesi economicamente sviluppati, contro i quali inevitabilmente si infrange la teoria laicista.

Volendo poi approfondire ulteriormente, è errata anche «la dicotomia “ateismo” da un lato e “Dio/religione” dall’altro. Che dire, altrimenti, di tutti quei cittadini europei – in prossimità o addirittura più della metà in alcuni Paesi – che non credono in Dio o in una religione particolare, ma credono in una sorta di spirito, di “maggiore potenza”, o “forza vitale”? Sicuramente gli atei non vorrebbero definirli come correligionari, e se non lo fanno i livelli di ateismo in Europa scenderebbero similmente a quelli degli Stati Uniti». La conclusione è che «in realtà, è molto probabile che i livelli di ateismo siano rimasti pressoché costanti in ogni momento e in ogni luogo». Lo stesso Marx, ideatore inconsapevole di questa bizzarra tesi laicista, definiva la religione come “oppio dei popoli”, ma dopo aver affermato che essa è anche «il sospiro della creatura oppressa, il cuore di un mondo senza cuore, e l’anima di condizioni senza anima».  Dunque, ha concluso Bickerton, «egli comprendeva chiaramente che la religiosità è più profonda e più complessa di quanto gli atei pensino. Gli atei si vantano di demolire illusioni, forse dovrebbero cominciare dalle loro».

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La coraggiosa conversione cattolica dell’islamico Ilyas Khan

E’ giunta a noi grazie al National Catholic Register una storia assai gradita: la conversione di Ilyas Khan. Quest’uomo, nato da genitori musulmani, cresciuto in Gran Bretagna, tuttora proprietario della squadra di calcio Accrington Stanley ha deciso di abbracciare il cattolicesimo. Quanti sono i mussulmani che vorrebbero rinunciare alla loro fede per accogliere Gesù Cristo come Dio, ma che per paura dei loro correligionari scelgono di non aderirvi! Ebbene quest’uomo ha invece deciso di uscire allo scoperto e racconta la sua storia al sito citato poc’anzi.

Alla prima domanda dell’intervistatore su cosa lo abbia portato alla fede così risponde Khan: «Alla mia fede ha contribuito molto l’educazione avuta fino ai 4 anni. Mia madre era molto malata così fu una mia nonna, che era profondamente cattolica, ad accudirmi nei primi anni; non potevo non considerarmi se non cristiano. Purtroppo dai 4 anni fino ai 17 anni fui educato e cresciuto come musulmano. Intrapresi gli studi universitari, la Provvidenza Divina intervenne ancora e scelsi di andare a soggiornare presso la Netherhall House, uno studentato dell’Opus Dei». Fu il tempo passato in quello studentato che lo avvicinò alla spiritualità e fede cattolica: «Non posso dire di essere stato condotto alla fede inconsapevolmente, anzi fu proprio tra i 18 e 19 anni che scoprii personaggi come Hans Urs Von Balthasar. Fu grazie a lui che cominciai a interessarmi di teologia e così mi imbattei in Sant’Agostino e Origene. Già allora avrei voluto uscire allo scoperto, ma non volevo arrecare dolore ai miei genitori, che erano ancora vivi».

Il passo finale è stato aver maturato un «maggior grado di consapevolezza di tutta la mia vita, delle mie basi morali; il desiderio di abbandonare l’Islam era profondo, ma è stata la spinta di Cristo che alla fine mi ha portato alla decisione». Inoltre ha inciso il «vivere quotidianamente la vita di una chiesa a Hong Kong, durante il mio soggiorno in Asia a circa venticinque anni. E’ stato il luogo dove mi sono avvicinato al cattolicesimo tradizionale. Dai venticinque anni in poi non ho mai dubitato di essere cattolico. E’ stato Von Balthasar a guidarmi». C’è stato un momento che ha però inciso in maniera indelebile: «stavo camminando per la Basilica di san Pietro e mi ricordo di essermi letteralmente arrestato vedendo la Pietà di Michelangelo; mi sono giunte mille domande nel guardare quel volto della Madonna che guardava il suo Figlio. Ho detto tra me: “Questo è Dio; non può non essere Dio”. Per l’Islam dire che Dio si è fatto uomo è un’eresia; lì mi son caduti tutti i dubbi. La bellezza e l’atmosfera attorno a quello spettacolo hanno segnato il punto di svolta».

Khan ha ammesso di venire «descritto in Gran Bretagna come “il più importante neoconvertito al cattolicesimo”. Ma non ho paura di manifestare la mia fede, anche con tutte le minacce di odio e morte che mi sono arrivate». Quest’uomo, questo grande uomo, possa essere una forte testimonianza a tutti coloro che sono ancora reticenti nel far sapere al mondo chi sono e cosa credono.

Luca Bernardi

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