Pio XI non rispettò l’accordo con il fascismo e attaccò le leggi razziali

Sul «Corriere della sera» del 26 luglio scorso, Francesco Margiotta Broglio, presentando uno studio di Giorgio Fabre per i «Quaderni di Storia», ha richiamato l’accordo al quale la Chiesa di Pio XI e il governo di Benito Mussolini giunsero il 16 agosto del 1938 sulla questione del razzismo: secondo la tesi di Fabre, pur di difendere l’ Azione cattolica, Pio XI subì la svolta razzista.

Fortunatamente sullo stesso quotidiano è arrivata immediata la replica di Valerio De Cesaris , docente di Storia contemporanea all’Università per Stranieri di Perugia e segretario della SISSCO (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea). Lo storico ha precisato giustamente che tale accordo «giungeva dopo settimane di alta tensione e due gravi discorsi di Pio XI: il primo contro il “Manifesto degli scienziati razzisti” (15 luglio); il secondo in cui il Papa lamentava che l’ Italia, sul razzismo, imitasse “disgraziatamente” la Germania (28 luglio)». Tuttavia tale intesa tra Chiesa e Stato «non segnò una svolta nello scontro che oppose la Santa Sede e il fascismo nel 1938. Fu anzi rapidamente accantonato, perché il Papa scelse di non tacere. Già il 19 agosto un articolo dell’ “Osservatore Romano” ribadiva la posizione tradizionale della Chiesa nei confronti degli ebrei, per sottolineare che l’ostilità antiebraica di parte cattolica non poteva in alcun modo dipendere da “ostracismo di razza”; il Papa, nei giorni seguenti, continuò a criticare il razzismo, contravvenendo quindi a quanto stabilito nell’ accordo».

Proprio per questo, il 22 agosto Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e genero di Mussolini, annotò nel suo diario: «Sembra che il Papa abbia fatto ieri un nuovo discorso sgradevole sul nazionalismo esagerato e sul razzismo. Il Duce, che ha convocato per questa sera Padre Tacchi Venturi, si propone di dare un ultimatum». Ci furono effettivamente pressioni su Pio XI, ma tuttavia «le due parti restarono, su razzismo e antisemitismo, in forte contrasto. Il 6 settembre, all’ indomani dei provvedimenti fascisti che escludevano gli ebrei da scuole e università, Pio XI pronunciò le celebri frasi sul legame indissolubile tra cristianesimo ed ebraismo: “Non è lecito per i cristiani prendere parte all’ antisemitismo. L’ antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente semiti“».

Nelle settimane e nei mesi successivi, ha continuato De Cesaris, “L’ Osservatore Romano” «criticò quasi quotidianamente il razzismo. Quando, tra ottobre e novembre 1938, la Santa Sede chiese più volte al governo italiano di discutere assieme il contenuto delle leggi razziali, Mussolini non volle concedere nulla. Le proposte di modifica avanzate dal Vaticano furono respinte. Le proteste del Papa, che scrisse personalmente al re Vittorio Emanuele III e a Mussolini perché non si vietassero i matrimoni misti, rimasero inascoltate (Mussolini neppure rispose alla lettera di Pio XI). In quel frangente, l’ atteggiamento del Duce fu volutamente umiliante verso il papa. Forse proprio perché quest’ ultimo, nei mesi precedenti, non aveva voluto piegarsi al diktat di non parlare del razzismo. Tema su cui le posizioni di Pio XI e di Mussolini erano inconciliabili e tali rimasero sino alla morte del Papa».

De Cesaris è un esperto di questa tematica avendo anche pubblicato il volume Vaticano, fascismo e questione razziale (Guerini 2011), nel quale, attraverso l’analisi di documenti italiani e vaticani, ha ricostruito la crisi tra il governo fascista e la Santa Sede in merito alla questione razziale e i passi diplomatici con cui la Santa Sede tentò di bloccare l’adozione in Italia delle leggi razziali. Durante la presentazione pubblica, la storia ebrea Anna Foa si è soffermata su questi articoli critici dell'”Osservatore Romano”, «prima che venisse sequestrato, prima che gli squadristi si avventassero su chi lo comprava per picchiarlo e per strapparne le copie». 

Per un documentato approfondimento sui rapporti tra Santa Sede e fascismo circa le leggi razziali si invita a consultare questo articolo apparso su «La Civiltà Cattolica».

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L’ipocrisia de “Il Fatto Quotidiano”: chiesto il primo finanziamento pubblico

Che ci fosse aria di crisi al “Il Fatto Quotidiano” lo avevamo già annunciato nel giugno scorso, in occasione dell’ennesima bufala anticlericale inventata dai suoi giornalisti e puntualmente smascherata. Ma non sapevamo che le cose fossero così gravi.

I grandi moralizzatori della vita politica e pubblica italiana, della Chiesa e dei cattolici cominciano a stancare, lo dimostra il forte calo di vendite subito dal quotidiano laicista nei primi tre mesi del 2012, passando da 71mila a 52mila copie. È andata male anche con la pubblicità, come si spiega nell’ormai nota inchiesta realizzata su “Libero”, e in modo disastroso da marzo in poi. A poco dunque sono valsi i tentativi di Travaglio di sedurre Beppe Grillo. In contemporanea alla loro battaglia contro le grandi banche del paese, hanno investito la liquidità accumulata negli anni precedenti proprio in obbligazioni bancarie, comprando titoli di Banca Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e Banca di credito cooperativo di Roma. Tuttavia nel bilancio 2011 li hanno dovuti svalutare di 234.905 euro, perché le quotazioni erano scese.

La cosa più imbarazzante per Antonio Padellaro, Marco Politi, Marco Lillo e tutta l’ipocrita compagnia de “Il Fatto” è che si è scoperto che il 13 febbraio 2012 Giorgio Poidomani, all’epoca presidente del consiglio di amministrazione, ha chiesto al governo di Mario Monti il suo primo finanziamento pubblico ammesso dai diretti interessati: 162 mila euro in base alla legge 220 del 2010, varata dal governo Berlusconi. “Il Fatto” si garantirà quei soldi a scapito di altri, ma non modificherà la scritta sotto la testata che recita ancora: “Non riceve alcun finanziamento pubblico”, ingannando così per l’ennesima volta i lettori. Su “L’Adige” si commenta: «La questione qui è che dopo anni di campagne martellanti contro il finanziamento pubblico vi si vuole accedere perché si è in difficoltà. Forse, a volte un po’ di umiltà basterebbe».

Su “Tempi.it” si chiede a Padellaro e Travaglio di smentire la notizia, se è falsa, ricordando che «chi si è sempre posizionato sopra un piedistallo per non averli richiesti, dovrebbe quanto meno parlare. L’ultimo attacco di Marco Travaglio ai giornali che ricevono finanziamenti risale al 15 gennaio 2012». Più irriverente il commento su “Il Fazioso”: «Insomma fanno le verginelle pur ricevendo anche loro contribuiti indiretti».

Inventarsi menzogne a ripetizione pur di vendere con lo scandalo è rischioso, i loro lettori saranno pure ideologizzati ma a tutto c’è un limite. Speriamo serva da lezione all’allegra combriccola anticlericale.

 

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Il mistero della coscienza non è riducibile al cervello

Secondo diversi studiosi con manifeste intenzioni di propaganda laicista/riduzionista, la coscienza dev’essere intesa come un “epifenomeno” dipendente interamente (dunque riducibile) al funzionamento del cervello. Così afferma il “new atheist” Sam Harris nell’ultimo capitolo del suo ultimo libro (di cui abbiamo già parlato). Daniel Dennett, un altro “new atheist” (“nuovo”, a 70 anni, si fa per dire) la pensa allo stesso modo.

Pochi tuttavia condividono questa ipotesi, ricordiamo ad esempio che Steven Weinberg, vincitore del Premio Nobel per la Fisica nel 1979, ha riconosciuto nel suo libro “Dreams of a Final Theory” che esiste davvero un problema con la coscienza e, nonostante la potenza della teoria fisica, la sua esistenza non sembra derivabile da leggi fisiche. Un altro Nobel per la fisica, Eugene Wigner, ha spiegato che «in qualunque modo i nostri concetti futuri si possano sviluppare, lo studio del mondo esterno ha portato alla conclusione che il contenuto della coscienza è una realtà ultima», dunque irriducibile.

Donald D. Hoffman, del Department of Cognitive Science dell’University of California, ha a sua volta riconosciuto «il problema a far derivare la coscienza dalla biologia. Finora nessuno ha potuto costruire una teoria scientifica per spiegare come questo sia potuto accadere. Questo fallimento è così impressionante che ha portato alcuni a chiedersi se all’Homo sapiens manchi l’apparato concettuale necessario». Il Nobel per la fisica Erwin Schrödinger è stato molto più deciso nella sua negazione al materialismo, affermando che «la coscienza non può essere spiegata in termini fisici e nei termini di nessun’altra cosa» (E. Schroedinger, “General Scientific and Popular Papers”, in Collected Papers, Vol. 4. Vieweg & Sohn, Braunschweig/Wiesbaden 1984, pag. 334).

A questo proposito è utile segnalare l’uscita del volume “..e la coscienza? Fenomenologia psico-patologia neuroscienze” (Edizioni Laterza 2012), curato da due filosofie: Patrizia Manganaro, docente di Filosofia del Linguaggio all’Università Lateranense di Roma e Angela Ales Bello, docente di Fenomenologia dell’esperienza religiosa presso la stessa università e fondatrice e direttrice del Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche. L’opera è di 902 pagine e raccoglie i contributi di filosofi, medici, psichiatri e neuroscienziati (del calibro di Anselmo Caputo, Gianfranco Basti, Bruno Callieri, Luigi Aversa, Piero Trupia, Vittorio Gallese, Francesca Ferri, Corrado Sinigaglia, Alberto Oliverio, Fabrizio Micheletti, F. Tito Arecchi). Una piccola presentazione è apparsa anche sul blog del dott. Alberto Carrara.

Come riporta “Avvenire”, la Ales Bello ha spiegato: «E’ possibile ribaltare la collocazione della coscienza secondo la quale essa è un “epifenomeno” del cervello? La risposta è positiva, a patto che si sottolinei la complessità e la stratificazione dell’essere umano, che conduce non a un rigido dualismo ma a una dualità, all’interno della quale è presente un aspetto psichico-spirituale autonomo». Il cervello è il “luogo della coscienza”, e questo è bel lontano da ogni riduzionismo: «il dualismo mente-corpo», afferma la Manganaro, «è stato superato nella direzione di un approccio duale, il quale pone l’irriducibilità dell’essere umano al centro del vivere intenzionale, come punto d’irradiazione dei suoi atti esistenziali, cioè fenomenologicamente, come coscienza costituente».

Questo nuovo approccio duale alla persona da parte delle scienze cognitive può contribuire alla tematica metafisica della sussistenza dell’anima dopo la morte, in linea con il pensiero di Tommaso d’Aquino. Non a caso il premio Nobel per la fisica, Neville Mott,  ha affermato: «Credo che né la scienza, né la psicologia fisica possano mai “spiegare” la coscienza umana. Per me, quindi, la coscienza umana è al di fuori della scienza, ed è qui che cerco il rapporto tra Dio e l’uomo» (N. Mott, “Can Scientists Believe?”, James & James Science Publishers Ltd, 1991, pag. 8).

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Studio inglese: “l’incremento degli aborti è figlio della crisi”

http://www.mammole.it/allegati/minaccia_aborto.pngLa crisi economica diventa sempre più crisi morale. Se infatti con le precarie condizioni finanziarie aumentano sempre più le difficoltà economiche delle famiglie, dai dati di una recente indagine, sempre più coppie considerano accettabile e tranquillamente perseguibile la via dell’interruzione volontaria di gravidanza.

Una tendenza particolarmente presente in Europa e negli Stati Uniti e che si è palesata più di altrove in Gran Bretagna, dove è stata espressamente definita con la ricerca condotta dalla società indipendente Insight Research Group’. Nello studio, in cui è stato utilizzato un campione di donne e medici di famiglia, viene illustrato come l’attuale crisi dell’economia e l’incertezza del futuro che ne deriva, rappresenta un importante fattore nel recente aumento di aborti. Dal quadro che emergerebbe dalla ricerca, inoltre, un terzo delle donne al di sotto dei 25 anni ha affermato di non voler mettere su famiglia sino alla fine dello stato recessivo del Paese.

Nondimeno, mentre Oltremanica si prende atto degli inquietanti risultati registrati e di tutte le implicazione che se ne possono trarre, in Italia, ha recentemente visto la luce la bambina salvata dall’aborto grazie al sostegno economico della parrocchia. Un barlume di speranza in una società moralmente decadente.

Nicola Z.

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Nuovo studio: matrimoni gay più instabili e orientati al divorzio

I matrimoni gay a New York hanno festeggiato da poco il primo anno di vita, dopo il sì del Senato espresso il 24 giugno 2011 grazie a quattro voti di politici repubblicani comprati a suon di dollari dalla potente e ricca lobby gay. Ma uno studio ha già rovinato i festeggiamenti, mostrando l’instabilità di queste relazioni nei Paesi che per primi le hanno legalizzate, mostrando inoltre quanto non siano affatto l’ambito migliore per la crescita di bambini.

Una piccola premessa sulla legalizzazione delle unioni omosessuali nello stato americano: gli impiegati nel business dei matrimoni della Grande Mela si sono lamentati per il flop rispetto alle aspettative. Non è stato per nulla un boom di “happy ending”, forse perché non era un’esigenza sentita dagli stessi omosessuali, come invece è stato fatto credere. Inoltre, non è fortunatamente stato d’esempio per altri stati, che anzi hanno fortificato -grazie a emendamenti costituzionali- la definizione di “matrimonio” come unione esclusiva tra uomo e donna, si veda ad esempio il Nord Carolina. Anche in Italia ci sono segni di disinteresse in questo senso, al di là delle strumentalizzazioni politiche, basta osservare la scarsità di iscrizioni da parte di coppie gay ai registri civili, creati in diverse città, fin dagli anni ’90, come a Bologna. Certo, sono registri puramente simbolici, ma proprio per questo dovrebbero traboccare di iscritti.

Il recente studio di cui abbiamo accennato è stato realizzato da un docente di demografia dell’Università di Stoccolma, Gunnar Anderson, il quale ha scoperto che in Svezia (dove le unioni civili sono legali dal 1995) e in Norvegia (legali dal 1993) i matrimoni tra maschi dello stesso sesso hanno il 50% di probabilità in più di finire in divorzio, rispetto ai matrimoni eterosessuali. Le coppie di lesbiche “sposate”, hanno invece mostrato il 167% di probabilità in più di divorziare rispetto alle coppie eterosessuali. In Svezia i dati sono simili per i maschi, mentre il tasso di divorzio per le coppie di sesso femminile è risultato essere addirittura il doppio rispetto ai matrimoni di sesso maschile. Ricordiamo che Svezia e Norvegia sono aree definite altamente “gay-friendly”, dove il tasso di omofobia/stigmatizzazione (continuamente usato come giustificazione) è bassissimo. Tutto questo si aggiunge agli interrogativi sull’opportunità per la crescita di un bambino all’interno di queste relazioni, ed anche sulla necessità di regolamentare relazioni che non mostrano segni di continuità.

Sul “National Review”, riportando tali dati, si è anche sostenuto che il “matrimonio” dello stesso sesso è in declino di popolarità nei Paesi Bassi: 2.500 coppie gay sposate nel 2001 – l’anno in cui è stato legalizzato -, 1.800 nel 2002, 1.200 nel 2004 e 1.100 nel 2005. Nel 2009, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, c’è stato un altro calo del 2%.

Questo disinteresse da parte degli omosessuali di veder riconosciute relazioni stabili, è spiegato dalle parole del sociologo dell’Università di Chicago, Edward Laumann«i cittadini gay trascorrono la maggior parte della loro vita adulta in relazioni transitorie o impegni a breve termine, della durata di meno di sei mesi» (Adrian Brune, “City Gays Skip Long-term Relationships: Study Says”, Washington Blade 27/2/04). Uno studio condotto su uomini omosessuali nei Paesi Bassi, ha scoperto inoltre che la «durata media di una partnership stabile» è di 1,5 anni (lo studio va acquistato per poter essere letto integralmente). Nel 2003 durante una conferenza della “American Sociological Association”, è emerso che il 75% degli omosessuali canadesi ha più partner contemporaneamente. Nel 2003-2004 il “Gay/Lesbian Consumer Online Census”, valutando gli stili di vita di 7.862 omosessuali, ha rilevato che di coloro che erano coinvolti in una “relazione attuale”, per il 40% durava da meno di 10 anni e solo per il 5% durava da oltre venti anni (“Largest Gay Study Examines 2004 Relationships” GayWire Latest Breaking Releases). Uno studio norvegese ha inoltre mostrato che le persone con comportamento omosessuale e bisessuale hanno avuto un numero significativamente maggiore di partner sessuali, rispetto agli eterosessuali.

Caso vuole che proprio in questi giorni venga diffusa la notizia che la prima coppia gay italiana ad aver ottenuto il certificato di famiglia anagrafica basata su vincoli affettivi e di convivenza si è già separata. Durata del rapporto? Tre anni. Si potrebbe andare avanti con altri esempi, ma è sufficiente per far affiorare il dubbio che le relazioni omosessuali durino mediamente meno, e siano maggiormente instabili e promiscue.

La redazione

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Legalizzare l’eutanasia aumenta il numero di richieste di morte

Un’altra tesi dei promotori della cultura “pro-death” è stata confutata. Poco tempo fa uno studio aveva mostrato che l’aborto illegale non è associato ad un aumento di mortalità materna, al contrario di quanto sostiene la più grande leggenda nera creata dai favorevoli all’uccisione dell’essere umano nella prima fase della sua esistenza. Chi promuove l’eutanasia/suicidio assistito invece, sostiene che liberalizzare tali pratiche non favorisca cambiamenti sociali, ovvero non induca un maggior numero di cittadini a suicidarsi (seppur in modo “dolce”, come abilmente recita lo slogan pro-eutanasia).

In realtà basterebbe il solo uso del buon senso per respingere queste affermazioni (si veda lo stesso ragionamento a favore della legalizzazione delle droghe leggere e pesanti), ma è opportuno segnalare i recenti risultati forniti dalla rivista medica britannica “Lancet” sulla situazione olandese: da quando, a fine 2001, è stata autorizzata la pratica dell’eutanasia, le morti eutanasiche sono aumentate del 73%. In particolare dal 2003 al 2010, il numero di eutanasizzati è passato dai 1.815 casi iniziali ai 3.136 morti del 2010, registrando un’accelerazione del 35% negli ultimi due anni.

In Olanda, uno dei fronti più avanzati dei “pro-death” essendo una società ex protestante e largamente secolarizzata, l’eutanasia non è riservata solo agli anziani o malati terminali, ma viene contemplata anche per soggetti sani. In una recente comunicazione la Royal Dutch Medical Association (Knmg) ha ricordato ai medici associati che le richieste vanno accolte anche per pazienti affetti da malattie mentali, demenza, psicosi suicide, ma anche semplicemente tedio per la vita e anche in caso di solitudine.

Secondo il cosiddetto “Protocollo di Groningen”, un accordo stipulato fra associazione dei pediatri e governo, l’eutanasia può essere praticata anche sui minori, e perfino sui neonati, se gravemente ammalati. Dato che il bambino non può acconsentire alla propria morte, sono i genitori a dare il consenso per lui o, in mancanza di essi, il tutore legale: una forma di eutanasia involontaria che è applicata solitamente, come “soluzione compassionevole” (sic!), alle disabilità gravi.

Ricordiamo che l’eutanasia è fortemente osteggiata dalle principali associazioni mediche, come più volte segnalato, ed è vietata in tutto il mondo all’infuori che nel Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo), mentre in Svizzera e in tre dei 50 stati Usa (Washington, Oregon e Montana) è permesso solo il suicidio assistito.

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Il cristallografo Krivovichev: «se c’è una legge in natura, c’è Chi è sopra ad essa»

Fede e ragione. Pragmatismo e spiritualità. Sacerdozio e scienza. Sono i capisaldi su cui poggia e si mescola la vita di Sergey Vladimirovich Krivovichev. Lui è uno scienziato, cristallografo, di autorità mondiale, scopritore di un minerale a cui è stato dato il suo nome ma è anche, e soprattutto,un diacono sposato, cristiano ortodosso e padre di sei figli.

«Sono cresciuto in una famiglia di scienziati. Papà era un insegnante, e la mamma era una maestra. Ho scoperto il cristianesimo negli anni in cui frequentavo l’Università di Leningrado; molti dei miei colleghi sostenevano l’esistenza di Dio. Ed ho cominciato ad interrogarmi. I miei genitori erano molto preoccupati di questo mio approccio alla Chiesa. Temevano che avrei abbandonato la scienza e che non avrei avuto una vita normale. Poi quando ho presentato loro Irina, mia attuale moglie, si sono tranquillizzati», spiega Sergey, in una recente intervista. Intanto era già stato battezzato ed aveva abbracciato la vita cristiana, proseguendo anche nella sua carriera di ricercatore.

E’ stato professore presso la cattedra di cristallografia St. Petersburg State University, ha ricevuto la medaglia per giovani scienziati della società russa Mineralogical, dopo quella dell’Accademia delle Scienze in Russia. Ed è diventato diacono. Anche se Sergey ritiene che “non bisogna predicare fuori posto”, egli ritiene che un credente sensibile spiritualmente insegni già nel proprio comportamento il “senso dell’armonia”dell’universo. «Noi scienziati scopriamo una legge. Che però in natura esiste già. Ciò significa che ci deve essere qualcosa, o meglio, Qualcuno che contiene tutte le informazioni dell’universo, anzi è al di sopra delle informazioni».

Proprio in questa sua visione coerente di fede e di abbandono a Dio, ha generato sei figli, mantenendoli con delle borse di studio. «Fino a poco tempo fa, vi erano due bambini in ogni stanza, ma con il nuovo bambino dovrà fare spazio per lui … ma mi consolo pensando che se Dio ci dà i bambini, sicuramente ci sarà posto per loro»– asserisce lo scienziato non negando che : «Molti problemi sorgono: come nutrirli, dove metterli, ma sappiate che il mondo è governato dalla Provvidenza. Quindi non vi è nulla da temere. ll tutto bene non è nel nostro diritto. Il Signore ci mette in certe condizioni, e questo è il suo disegno per noi che va ricambiato… » – ammonisce, basando ogni dettaglio della sua esistenza familiare e professionale sulla fede e lasciandosi guidare dal Signore, la sua più grande scoperta.

Livia Carandente

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Quando gli scienziati parlano della fede e di Dio

Secondo la concezione epistemologica dominante in alcuni ambienti, nata nell’ubriacatura collettiva durante il periodo illuminista, la scienza porterebbe all’infallibilità della conoscenza e sarebbe la fonte di ogni risposta -prima o poi-, rendendo superflue tutte le altre forme di sapere, a cominciare da quella filosofica e religiosa.

La prima conseguenza di questa idolatria moderna è l’assoluta considerazione per le parole dello scienziato in ogni sfera di conoscenza (da quella filosofica a quella religiosa, da quella culinaria a quella sportiva) e la convinzione per cui esso non può che essere lontano dalla fede religiosa oppure, se credente, vivrà in un perenne stato di dissociazione interiore. Quest’idea odifreddiana, per chi conosce veramente il metodo scientifico e il contesto in cui viene utilizzato, oltre a essere metodologicamente scorretta, è anche smentita dai fatti come ha spiegato Giandomenico Boffi, ordinario di Algebra al­l’Università di Chieti-Pescara.

UCCR ha per questo voluto creare un elenco di citazioni, in continuo aggiornamento, di grandi scienziati in cui si affronta la tematica del rapporto con Dio e con la fede religiosa. Molte di esse appaiono già nell’header (la parte in alto) del sito web. Abbiamo diviso la pagina, che verrà enormemente ampliata nel tempo, seguendo un ordine temporale e partendo dagli scienziati dell’età contemporanea. Ovviamente il tutto è a disposizione dei blogger che vorranno usufruire di queste citazioni (sempre con rispettiva fonte) per il loro portale.

Nella creazione di questo elenco (che sarà presente in modo permanente nella sezione “Fede e Scienza” del sito) ci siamo lasciati ispirare da questa frase di Albert Einstein: «La scienza contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguire finalità teologiche, poiché deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perchè la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sè altre scelte quando creò il mondo» (citato in Holdon, “The Advancemente of Science and Its Burdens”, Cambridge University Press, New York 1986, pag. 91).

 

Citazioni di scienziati credenti, cristiani e cattolici

 

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«Procuravo aborti, uccidevo bambini, oggi mi batto per la vita»

Due storie toccanti di chi ha servito in prima persona la cultura della morte e ora, proprio perché forte di questa esperienza, si batte per la cultura della vita.

Dal sito della Pro-Life Action League conosciamo la storia di Carol Everett, medico ed ex-abortista americana:  «Quando abbiamo aperto la nostra primi clinica», racconta oggi, «nel primo mese abbiamo procurato 45 aborti. L’ultimo mese che ci sono stata, avevamo procurato oltre 500 aborti in un mese». Un lavoro redditizio, dato che ha fruttato oltre un milione di dollari l’anno. La svolta nella vita di Carol avvenne proprio poco dopo l’apertura della quinta clinica “della morte”: lei e il marito ebbero necessità di un consulente finanziario, guarda caso cristiano, che fu determinante per la loro conversione. Carol, che anni prima aveva abortito il terzo figlio su pressione del marito e da allora era lentamente caduta in una spirale di infelicità, rimase folgorata dalle sue ragioni, e il 27° giorno di consulenza abbandonò la sua carriera di abortista. Prese avvio la sua missione di medico pro-life: la prima accusa fu rivolta ai servizi telefonici pensati per le giovani rimaste incinte, i quali subdolamente instillano l’idea dell’aborto senza menzionare l’ipotesi di tenere il bambino.

Da esperta ex-abortista, Carol spiega: «In realtà, non ci sono parole per descrivere l’aborto». Non solo perché è estremamente doloroso per una donna, «ho visto sei persone dover tenere ferma una donna mentre le procuravano l’aborto», ma perché lo è ancora di più per il bambino, ucciso in modo straziante. Le reazioni? «Due» – risponde. La prima è che la donna dica: “ho ucciso il mio bambino”. E’ la reazione più comune e la più sana, dimostra che la donna si rende conto di ciò che ha fatto ed è pronta ad affrontare la cosa per conviverci per il resto della sua vita. La seconda è che la donna invece decida di negare ciò che ha fatto, non lo vuole affrontare, e rifiuta il pensiero. «Le persone si rendono conto di aver ucciso il loro figlio in media dopo cinque anni», riflette oggi la dott.ssa Everett, la quale si dice convinta del fatto che ogni volta che gli attivisti pro-life manifestano davanti una clinica, accendono una luce dentro di essa, perché rendono coloro che vanno ad abortire responsabili delle loro azioni, li portano a riflettere. Questa è la missione che Carol si è posta, e che ha reso la sua vita finalmente felice, vissuta in pienezza.

 

Su “Tempi.it” un’altra storia ricca di significato. E’ quella di Antonio Oriente, medico italiano e anche lui ex abortista (ne avevamo già parlato). Appena laureato ha cominciato a praticare gli aborti: «La legge diceva che si poteva fare. Non c’è modo migliore di evitare le proprie responsabilità». Però, «accadeva che alla fine degli interventi, quasi inconsciamente, facevo terminare l’operazione alle infermiere». Pensava di aiutare i pazienti, «ma mi sbagliavo: dandogli la possibilità di uccidere un figlio rovinavo anche loro e mentivo a me stesso». Poi l’incontro con la sua futura moglie, pediatra: «una donna che lottava per la vita e amava i bambini. Mi ha sposato senza sapere che ero abortista e quando l’ha scoperto ha cercato di farmi smettere, ma io non ci sentivo proprio». Ironia della sorte, lui che per lavoro uccideva i figli degli altri, non riusciva ad averne di suoi:  «Tornavo a casa la sera e mia moglie piangeva. Così cominciai a crollare: ero stimato, risolvevo i problemi della sterilità altrui, ma davanti a mia moglie ero impotente. Davo risposte a tutti e non riuscivo a darne una a me».

Una sera una coppia di pazienti, vedendolo in questo stato, lo invitano senza successo ad un incontro di preghiera, cosa troppo distante da lui. Tuttavia dopo alcuni giorni cambia idea, ritrovandosi in una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario durante un incontro del movimento ecclesiale “Rinnovamento nello Spirito”. Tornerà più volte a questo appuntamento, fino a cambiare intimamente: «Ho visto tutta la verità e ho cominciato a pregare davanti al crocifisso. Mi sono reso conto che chiedevo un figlio a un Padre buono mentre uccidevo quelli degli altri». Arriva anche la promessa di interrompere l’attività abortista: «Da quel giorno non ho più smesso di lottare per la vita. Viaggio in tutta Europa per combattere la cultura della morte, per dire che cosa sono aborto e fecondazione assistita, per dire che non c’è problema economico, familiare o di relazione che non si possa affrontare e per raccontare che la vita ripaga sempre. Non mi può fermare nessuno: ora voglio tutelare la vita che ho bistrattato e ucciso per tanti anni».

Ma la conversione non è mai senza prezzo. Contrariamente a quanto si dice, gli obiettori di coscienza trovano grosse difficoltà:  Il dott. Oriente ha ricevuto minacce dai superiori: “non puoi rifiutarti di dare la pillola”; “non puoi rifiutarti di rilasciare i certificati abortivi, non esiste obiezione di coscienza”.  Oggi la vita di Antonio è più difficile, eppure afferma: «Ringrazio il Signore che l’ha resa davvero vita, che mi ha ridato la libertà, la possibilità di scegliere e di fare davvero quello che voglio e non quello che vuole la società. Ringrazio di essere diventato un medico, perché chi uccide non lo è». E conclude: «voglio raccontare quant’è bello spendersi per la vita anche se guadagno di meno ed è più faticoso».

La redazione

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Buone vacanze ma….restate in ottima compagnia!

La redazione UCCR augura a tutti i suoi gentili lettori di trascorrere delle vacanze felici e liete, un momento prezioso per stare insieme a coloro a cui si vuole bene con l’auspicio di «riaccorgersi della prodigiosa presenza dell’altro», come ha sottolineato Davide Rondoni su “Avvenire”, del suo esserci in modo gratuito. Magari arrivando anche a ringraziare per il dono di questa presenza, il buon Dio per chi crede e il signor Caso, per chi non ha questa grazia.

Il sito web riprenderà l’aggiornamento quotidiano lunedì 13 agosto 2012, torneremo con la promessa di migliorare i tanti limiti che ancora abbiamo.

Tuttavia in questo periodo vi lasciamo in ottime mani, esistono infatti diverse realtà sul web a cui ci sentiamo particolarmente vicini per l’affinità del messaggio che intendiamo offrire. Di seguito alcune di esse (ci scusiamo per coloro che abbiamo necessariamente tralasciato):

 

 

Buone vacanze, a voi e alle vostre famiglie!

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