L’8×1000 per Ortodossi e Pentecostali, l’UAAR rimane ancora esclusa

La Commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato i disegni di legge sulle intese con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (detti Mormoni), con i Pentecostali e gli Ortodossi. Così, dopo valdesi, assemblee di Dio, avventisti, ebrei, battisti e luterani, altre religioni entrano nell’Intesa con l’Italia beneficiando dell’8 per mille.

Rimangono escluse purtroppo altre religioni (come Islamici, Testimoni di Geova, Induisti e Buddisti), che forse verranno incluse nel tempo. Come abbiamo già espresso in un articolo esaustivo, l’8 per mille è la destinazione di una quota delle tasse già dovute, ed è una scelta completamente volontaria. Il meccanismo di ripartizione funziona in modo che “chi firma decide anche per chi non firma”, cioè la quota dei contribuenti che non ha firmato viene suddivisa tra i destinatari secondo la proporzione risultante dalle scelte espresse.

La Chiesa Cattolica viene accusata di beneficiare maggiormente rispetto a tutti gli altri dell’8×1000, ma non ha alcuna colpa se viene scelta dalla maggioranza delle preferenze del 40% dei contribuenti che esprime una scelta.  Nel nostro articolo abbiamo affrontato anche le accuse sulla distribuzione dei fondi che la Chiesa riceve (quindi tutto l’argomento degli “interventi caritativi” minori rispetto al “sostentamento del clero” e “esigenze di culto e popolazione”, accusa superficiale e falsa come abbiamo spiegato).

Tornando alle intese dello Stato con nuove religioni, esprimiamo tutta la nostra solidarietà all’UAAR, l’associazione di atei fondamentalisti italiani. Purtroppo nonostante tutti i loro sforzi, ancora una volta sono rimasti fuori. Da anni infatti, contemporaneamente all’aggressione alla Chiesa per l’8×1000, aspirano loro stessi a concorrere per questa ripartizione di fondi, tanto da arrivare ad auto-definirsi una “confessione religiosa”. Lo hanno fatto nel “Ricorso straordinario allo Stato” (come abbiamo già parlatoe che si può trovare sul loro sito web

Nel documento ufficiale, l’UAAR si lamenta perché «è stata disconosciuta la qualificazione non solo di confessione religiosa, ma anche quel­­la di associazione religiosa: ma un’u­­nione di atei non è né una società sportiva né un partito politico né può essere qualcosa di diverso da una associazione con fine di religione […], e l’UAAR, come si è detto, si interpreta come religione». E ancora: «l’ateismo non potrebbe nemmeno essere distinto dalla religione». Intende concepirsi come “confessione religiosa” e concepire i propri iscritti come membri di una “confessione religiosa” per «determinati fini o per conseguire vantaggi legislativamen­te previ­sti, come confessione», ovvero «vantaggi non soltanto morali, ma anche concreti». Quali sono questi vantaggi? Secondo l’UAAR, «è sufficiente pensare ai vantaggi di tipo patrimoniale (attribuzione dell’otto per mille del gettito IRPEF, deducibilità del­le erogazione liberali dei fedeli fino a due milioni di lire) e non patrimoniali (ac­cesso al servizio radiotelevisivo pubblico e riserva di frequenze; insegnamento dottrinale su richiesta nelle scuo­le pubbliche) per cogliere quanto que­sti strumenti possano essere discriminatori nei confronti degli atei, qualora non fossero messi a disposizioni anche delle associazioni di atei».

Tuttavia, la confessione religiosa UAAR ancora una volta è rimasta fuori dall’8×1000…un abbraccio di solidarietà dunque va al capo religioso Raffaele Carcano e al presidente onorario dell’associazione religiosa Piergiorgio Odifreddi.

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Il genetista Jouve contrario all’aborto: «l’embrione è un essere umano»

Siamo ormai vicini al momento in cui il governo spagnolo di Mariano Rajoy, come avevamo anticipato in Ultimissima 14/2/11 e Ultimissima 30/9/11, comincerà davvero a mettere mano alla permissiva legge sull’aborto voluta da Zapatero, il cui unico risultato è stato quello di aumentare il numero di interruzioni di gravidanza.

Il ministro della Giustizia, Alberto Ruiz-Gallardón, ha dato una scadenza: «Entro ottobre modificheremo la legge sull’aborto», pressato anche dalle numerose sigle pro-life e dalle associazioni di disabili. Innanzitutto tutte le minorenni che decidono di interrompere la gravidanza dovranno prima ottenere l’autorizzazione del padre o del tutore ed inoltre non sarà più possibile ricorrere all’interruzione di gravidanza per delle anomalie fetali poiché esse nella grande maggioranza dei casi non implicano il pericolo di morte né per la madre né per il nascituro. Soltanto nel 2010 sono state interrotte volontariamente 3.361 gravidanze per questo motivo.

Interrogato sulla tematica dell’aborto, il docente di genetica presso l’Università di Alcalá de Henares, Nicolas Jouve, già presidente della “Sociedad Española de Genética” (1900-1994)  e responsabile della “Cátedra UNESCO de Bioética”, ha risposto che il cambiamento della legge sull’aborto «dovrebbe ascoltare la scienza», poiché «la vita umana inizia al momento del concepimento». Nel mondo scientifico, ha continuato, «è estremamente chiaro. Questo essere umano dal concepimento dispone già di tutte le informazioni genetiche che lo costituiscono». Ma «se le leggi non vogliono trattare con i dati della scienza, non è un problema della scienza».

Per questo amore ai dati scientifici, mettendo da parte ogni ideologia moderna, nel 2009 il genetista Jouve ha anche presentato e diffuso un manifesto in difesa della vita umana nascente, chiamato anche “Dichiarazione di Madrid”, raccogliendo l’approvazione e l’adesione di oltre 2.200 professori universitari, ricercatori e medici di tutte le specialità, alte cariche dello Stato, direttori di enti sociali e scrittori. Nel manifesto, ha spiegato lui stesso, «è implicita la nostra posizione antiabortista anche quando ci opponiamo all’assurdo ed egoista slogan “noi partoriamo, noi decidiamo”, poiché in nessun caso abortire equivale a togliersi un neo o un dente. Perciò abbiamo voluto mettere ben in chiaro che “l’embrione (dalla fecondazione fino all’ottava settimana) e il feto (dopo l’ottava settimana) sono le prime fasi dello sviluppo di un nuovo essere umano e che nel ventre materno non fanno parte della sostantività di nessun organo della madre, anche se dipendono da essa per il proprio sviluppo”. Nel manifesto segnaliamo anche che l’aborto non è solamente “l’interruzione volontaria della gravidanza, ma un atto semplice e crudele di interrruzione della vita umana“, “un dramma con due vittime: il bambino che muore e la madre che sopravvive e soffrirà ogni giorno le conseguenze di una decisione drammatica e irreparabile”».

In un secondo articolo, il prestigioso genetista ha affermato: «le scoperte scientifiche recenti sull’inizio della vita umana confermano i tradizionali punti di vista della Chiesa. Essendo concorde con questi progressi non c’è nessuno scontro o contraddizione tra scienza e religione in materia di inizio della vita umana. Non ci sono salti qualitativi nella costituzione genetica, né pertanto nella condizione umana, dal momento della fecondazione fino alla morte. L’embrione è la prima tappa della vita umana che merita di essere qualificato come essere umano e l’essere umano è immutabile nella sua identità genetica lungo l’arco della sua vita. Per questo, dal punto di visto della biologia, non ci sono argomenti per mettere in discussione il fatto che la vita umana ha la stessa intensità in tutte le sue tappe e, coerentemente con questo dato della scienza, il documento pone la domanda: come un individuo umano potrebbe non essere una persona umana?».

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“BioEdge”: stretto legame tra nozze gay e uteri in affitto in India

Secondo il giornale online “BioEdge”, un osservatorio internazionale molto attento alle dinamiche nord-sud del mondo in campo bioetico, esiste un legame stretto tra l’introduzione di leggi sul matrimonio omosessuale e la crescita di domanda di maternità surrogata (cioè di utero in affitto), soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

L’articolo viene riportato in Italia da “Il Foglio” e “Linkiesta”dove si spiega che attraverso un’indagine di “BioEdge” su serie di cliniche della fertilità, in India e negli Stati Uniti, la conclusione è che «sono senz’altro in aumento le donne bisognose nei paesi in via di sviluppo o in paesi economicamente in difficoltà che si accingono a lavorare per coppie gay in cerca di offerte low cost in campo gestazionale». L’India spicca per convenienza, come spiega Samundi Sankar del Srushti Fertility Research Centre di Chennai, dove esistono tra le seicento e le mille cliniche della fecondità. «Riceviamo un sacco di richieste da parte di coppie gay di Stati Uniti e Israele», ha precisato Sankar.

Anche Samit Sekhar, del “Kiran Infertility Centre” di Hyderabad ha confermato: «Sì, abbiamo un numero considerevole di persone gay che visitano la nostra clinica per avere un bambino utilizzando i servizi delle donatrici di ovuli e abbiamo notato un aumento del numero di coppie omosessuali e single che ci contattano non appena la loro unione viene legittimata nei rispettivi paesi d’origine».  «Se la legge nel loro paese non ammette il rapporto gay, si presentano come single», ha spiegato invece Himanshu Bavishi del “Fertility Institute “di Ahmedabad. Jeffrey Steinberg, direttore dell’Istituto di fertilità di Las Vegas e di Los Angeles, ha commentato: «sta emergendo un trend prevedibile. Da quando sono stati legalizzati i matrimoni gay siamo stati sommersi dalle richieste di donatori di ovuli e di maternità surrogate».

Queste povere donne, spesso analfabete, a volte vedove o abbandonate dal marito, pur di ricevere un po’ di denaro, lasciano che la lobby omosessualista sfrutti il loro corpo per perseguire il capriccio di poter avere un bambino, violando contemporaneamente il suo diritto a crescere in modo equilibrato con un padre e una madre.

La conclusione di Antonio Sanfrancesco, su “Linkiesta” è condivisibile: «Le aperture alle coppie gay, e più in generale alla “libertà procreativa”, dietro il velo ipocrita del progresso, sono legate a doppio filo allo sfruttamento selvaggio di donne povere e indifese. Stupisce, su questo, il silenzio assordante delle femministe di casa nostra, sempre pronte a scendere in piazza per ogni causa ma incredibilmente afone di fronte a questo fenomeno. Quelli che in Occidente chiamano “diritti civili” sono solo l’ennesima, enorme mostruosità di un mondo che, in nome del business e dei capricci di qualcuno, usa una creatura umana come mezzo invece che come fine. Questo contrasta non solo con ogni etica religiosa ma anche con l’etica laica».

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Le Pussy Riot hanno perso l’occasione per una protesta civile

Due anni di carcere è stata la pena decisa dal Tribunale di Mosca per le Pussy Riot, il gruppo femminista-punk al centro di uno scandalo per aver intonato un inno blasfemo e anti-Putin nella cattedrale del Salvatore, la chiesa ortodossa più importante della città, nel febbraio scorso. Nadia Tolokonnikova, Ekaterina Samutsevich e Maria Alyokhina sono dietro le sbarre da marzo e rischiavano addirittura una pena di sette anni per “teppismo e incitamento all’odio religioso”.

La loro bravata è stata davvero violenta, come discriminanti sono sempre le manifestazioni del femminismo fondamentalista. Le tre fanciulle sono entrate con cappuccio colorato e chitarre elettriche nella cattedrale russa, facendo il verso alla liturgia ortodossa e gridando frasi offensive verso i credenti: «Tutti i parrocchiani strisciano inchinandosi […]. Per non addolorare il santo dei santi le donne devono partorire e amare. Merda, merda, merda del Signore. Madre di Dio, Vergine, diventa femminista. Diventa femminista, diventa femminista. Il Patriarca crede in Putin. Quella puttana dovrebbe piuttosto credere in Dio». L’incitamento all’odio religioso è davvero deprecabile, tuttavia due anni di prigione a queste povere e disperate ventenni (due perfino madri) sono una pena davvero eccessiva.

Come ha spiegato Massimo Introvigne, coordinatore dell’Osservatorio della Libertà Religiosa costituito dal Ministero degli Esteri, «non è giusto aggredire la Chiesa Ortodossa russa quando presenta, non senza buone ragioni, la presunta performance ‘artistica’ delle Pussy Riot come una violazione dei diritti dei cristiani all’integrità dei loro luoghi di culto, che non possono indiscriminatamente diventare teatro di proteste politiche, anche giustificate, nel corso delle quali si offende la sensibilità della comunità cristiana». Amnesty International (a favore dell’aborto e quindi discriminatrice degli esseri umani non apprezzati nella prima fase della loro esistenza) ha parlato invece di «legittima, per quanto potenzialmente offensiva, azione di protesta». Tuttavia in una società civile l’offesa non può mai essere legittima, e la libertà d’espressione termina sempre quando inizia la libertà di non essere derisi e discriminati per le proprie convinzioni, religiose o non religiose che siano.

Le tre fanatiche femministe, portavoce del movimento LGBT, sono note oltretutto per aver organizzato il 29 febbraio 2008 un’orgia di 20 persone presso il “Museo biologico di Timiryazev” di Mosca. In una seconda manifestazione, anch’essa di ben poco onore e prestigio verso il genere femminile che intendono difendere senza che nessuno gliel’abbia richiesto, hanno disegnato su un ponte di Pietroburgo un grande fallo in erezione, di fronte al quartier generale dei servizi segreti russi. Tra i loro sostenitori capeggiano consumate icone della rivoluzione sessuale, da Madonna a Yoko Ono (già solo questo un buon motivo per schierarsi dalla parte opposta), e anche le invasate di ‘Femen’, che in Ucraina hanno espresso loro solidarietà tagliando con una moto sega una grande croce cristiana in memoria dei milioni di vittime dello stalinismo . Fortunatamente non sono state ipocrite come le Pussy Riot, le quali dopo aver insultato i cristiani ortodossi nella cattedrale russa hanno affermato che non era loro intenzione offendere il sentimento religioso.

Le Pussy Riot si sono rovinate la vita e hanno perso. Hanno perso un’altra occasione per dimostrare che è possibile manifestare le proprie legittime idee in modo civile, senza incitare all’odio, senza violare la libertà altrui e senza offendere milioni di cittadini. Oggi il mondo occidentale le esalta, domani non saprà neanche più ricordarsi i loro nomi.

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Nek e la rinascita della fede a Medjugorje

Filippo Neviani, in arte Nek, conta oggi su vent’anni di carriera, oltre 8 milioni di dischi venduti nel mondo e un’ottima popolarità anche all’estero. Pochi sanno però del suo cammino più intimo, della sua fede cattolica rinata nell’inverno del 2005 durante un viaggio a Medjugorje, invitato da Chiara Amirante, la fondatrice di Nuovi Orizzonti.

«In quel posto ci sono stato ben tre volte e le assicuro, senza con questo cadere nella sterile ed inutile retorica, che la mia fede prima era molto, ma molto più tiepida, poi si è riscaldata e mi sono infervorato», ha raccontato recentemente. «Indubbiamente devo fare ancora molta strada,ma sono sulla via giusta. Vedo una Chiesa attiva, concreta, vicina alle esigenze di chi soffre». Grazie all’incontro con “Nuovi Orizzonti”, Nek ha trovato una «seconda famiglia», come ha spiegato, «perché mi avete fatto capire, mi avete fatto vedere quanto Dio sia vicino, quanto Dio non sia astratto, divinità, ma quanto Dio sia simile a ognuno di noi e quanto opera attraverso la nostra piena disponibilità».

Introdotto in questa grande amicizia, ha collaborato attivamente alla realizzazione del villaggio di “Cittadella Cielo”, per aiutare concretamente quanti desiderano emergere dal buio nel quale sono precipitati. «Oggi sento tutto questo come la mia casa, in cui vengo accolto per ciò che realmente sono», ha raccontato«Posso dire che Medjugorje è un luogo che io consiglio di visitare innanzitutto agli scettici, affinché si rendano conto che lì non c’è nulla di esoterico o di magico. C’è la presenza della Madonna e di Dio, che sono disponibili a entrare in te, se lo vuoi, in punta di piedi, per spalancarti l’anima a cose meravigliose. Anche chi avrà fatto questo viaggio per pura curiosità, tornando a casa si renderà conto di essersi arricchito di qualcosa di importante che, se coltivato con amore, porterà frutto». Su Youtube sono disponibili diverse sue testimonianze molto interessanti.

 

Qui sotto una recente intervista a Nek sul suo percorso di fede (06/2/11)

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Lo storico Napolitano: «priva di senso la polemica sul silenzio di Pio XII»

Quello sul “Papa nazista Pio XII” sta diventando un argomento di aggressione sempre più debole per i laicisti, nei confronti della Chiesa cattolica. Perfino la direzione del museo dell’Olocausto di Gerusalemme ha deciso di modificare la lapide decisamente critica su Pio XII, accogliendo anche le tesi degli storici e degli ebrei suoi difensori.

L’ultimo ad aver preso posizione in ordine cronologico è lo storico Matteo Luigi Napolitano, professore associato in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Urbino, autore del volume: The Vatican files: la diplomazia della chiesa. Documenti e segreti” (San Paolo 2012). Napolitano, come ha recensito molto bene Aldo Maria Valli su “Europa”,  si è occupato di studiare i documenti redatti da Harold Tittman, vice del rappresentante personale del presidente Roosvelt in Vaticano, e dall’ambasciatore britannico a Roma, sir Godolphin Francis Osborne d’Arcy, i quali -secondo alcuni fantasiosi giornalisti- dimostrerebbero in maniera inequivocabile che Pio XII mantenne il più assoluto silenzio sulla deportazione degli ebrei romani avvenuta nel tragico 16 ottobre del 1943. Ciò, secondo i critici, getterebbe «ombre un po’ pesanti sulla causa di beatificazione di Pio XII», in quanto dimostrerebbero che papa Pacelli in quei giorni era più preoccupato della presenza di “bande comuniste” nella capitale che non dell’atroce sorte degli ebrei».

Questa è la tesi di accusa. Napolitano è andato allora studiare le carte, concentrandosi sulla data del “documento Tittman”, ovvero 19 ottobre 1943, tre giorni dopo la deportazione degli ebrei romani. Nel testo dell’udienza concessa dal papa al rappresentante statunitense, non balza all’occhio solo il silenzio di Pio XII, ma anche quello dello stesso Tittman: nessuno dei due infatti accenna alla deportazione del 16 ottobre. La cosa è impossibile, e infatti dai fogli d’udienza di quei giorni, conservati in Vaticano, si è scoperto che il colloquio tra papa Pacelli e Tittman avvenne il 14 ottobre, prima della deportazione. La data riporta il 19 ottobre per motivi burocratici che vengono dettagliatamente spiegati dallo storico, il quale nel 2010 aveva già realizzato un lungo e documentato trattato sull’argomento.

Napolitano, dopo aver mostrato altre verifiche incrociate, ha concluso dunque ritenendo «priva di senso la polemica su Pio XII che tace della sorte degli ebrei romani». Pio XII scelse correttamente di non denunciare pubblicamente l’arresto degli ebrei romani, per consentire così il salvataggio di molti di loro e scongiurare azioni più accese e decise, anche contro i cattolici.  Tuttavia non rinunciò ad un tentativo di pressione per interrompere gli arresti presso il generale Stahel, come testimoniato dall’ufficiale tedesco della sede del governatore militare di Roma, Nikolaus Kunkel. Non solo, ma –come è emerso da documenti inediti- sollecitò ampiamente numerosi conventi e istituti religiosi, come quello della “Società del Sacro Cuore”,  ad allestire adeguati rifugi presso le proprie case religiose allo scopo di dare asilo agli ebrei perseguitati.

Non a caso  l’ebreo David Dali, professore di storia ebraica all’Universittà di Hartfordche, ha riconosciuto«Nel corso del ventesimo secolo il popolo ebraico non aveva alcun amico più grande […]. Durante la seconda guerra mondiale, Pio XII ha salvato vite ebraiche più di chiunque altro, anche più di Oskar Schindler e Raoul Wallenberg». Nella sua dichiarazione al teatro San Carlo di Napoli, il 3 ottobre 1945, l’antifascista Francesco Nitti ha dichiarato: «Il giorno in cui ebrei, massoni, socialisti, comunisti, radicali sono stati sotto la minaccia di morte, il Papa ha fatto aprire loro come rifugio le chiese, i monasteri, i conventi, monaci e preti si sono prestati, per volontà del Pontefice, a salvare quanti erano in pericolo e, nel nome di Cristo sono stati salvati non pochi ch’erano ritenuti nemici di Cristo». Sempre rispetto alla leggenda nera nata contro Pio XII, iI maggiore esperto ebreo sull’Olocausto in Ungheria, Jeno Levai, ha affermato: «è particolarmente deplorevole il fatto che l’unica persona in tutta l’Europa occupata che agì più di tutti gli altri per frenare il terribile crimine e mitigarne le conseguenze, sia diventata oggi il capro espiatorio degli insuccessi altrui».

 

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Nuovo studio: persone religiose fanno più beneficenza

In un contesto di narcisismo laicista e odio religioso come quello della società attuale, le persone che osano credere in Dio e alla Chiesa vengono perfino accusate di non pensare alla carità e alla generosità, ma soltanto egoisticamente a sé stessi. Ovviamente, si afferma, i non credenti si comportano al contrario, sono più civili, democratici e felici.

Interessante dunque leggere i risultati di alcune indagini sociologiche che analizzano queste questioni. Uno studio pubblicato nel giugno 2011, ad esempio, ha mostrato come i non credenti preferiscano sostenere opere a favore degli animali e della vegetazione piuttosto che Ong a favore degli uomini, impegnate per disastri ambientali, riduzione della povertà, persone con disabilità e progetti per lo sviluppo del bambino. Inoltre, la maggioranza delle persone religiose non sostengono specificamente un’opera religiosa, ma donino denaro ad enti non confessionali.

Uno studio del dicembre 2011 ha invece rilevato come gli adulti taiwanesi (compresi i non religiosi) hanno maggiori probabilità di fare donazioni verso enti di beneficenza sostenuti da persone religiose e che le persone non religiose appaiono molto meno inclini a fare beneficenza rispetto alle altre categorie di persone.  Nel febbraio 2012 è stato invece segnalato da “Charities Aid Foundation” (CAF) che le persone religiose donano soldi in beneficenza due volte di più rispetto a persone senza fede, e solo il 31% dei donatori religiosi hanno dato soldi ad una attività religiosa. Nel luglio scorso, un’indagine ha mostrato che il motivo per cui i cattolici sono così caritatevoli è la loro libera imitazione del comportamento di Gesù, e non un obbligo morale imposto dal substrato religioso.

Un ennesimo studio è stato pubblicato di recente, realizzato da Ben Johnson della University of North Carolina, il quale ha utilizzato i dati da un campione nazionale rappresentativo di 5.000 famiglie per studiare gli effetti della religione nella probabilità e nella quantità di donazioni per beneficenza. Il modello utilizzato ha mostrato che essere cattolici o protestanti significa avere una «maggiore probabilità di fare beneficenza rispetto alle persone che non si identificano con la religione». In media, «i cattolici danno 523,00 dollari in più delle persone senza preferenza religiosa, gli ebrei danno 2679,67 dollari di più e i protestanti 199,69 dollari di più».

In questa indagine, al contrario di quelle precedenti, è risultato che le persone religiose preferiscono donare a Enti di carità religiosi rispetto a quelli secolari. Lo studioso ha però commentato che «non è sorprendente che essere protestante o cattolica renda una famiglia più propensa a donare ad una organizzazione religiosa rispetto ad una famiglia non religiosa». La conslusione in ogni caso rimane questa: «In media, le persone religiose donano più soldi e più fanno più frequentemente beneficenza rispetto alle persone non religiose».

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Insulti e razzismo contro gli abitanti del Nord Carolina, contrari alle nozze gay

Come avevamo avuto modo di segnalare, nello stato americano del Nord Carolina il 61% (contro il 39%) dei cittadini, attraverso un emendamento costituzionale, ha confermato il divieto del matrimonio gay e sostenuto quel che affermato dalla Costituzione, ovvero “matrimonio come l’unione tra uomo e donna”. Uno smacco tremendo per la ricchissima e potente lobby gay, che –dopo essere riuscita a “comprare” la legalizzazione delle nozze gay nello stato di New York qualche mese prima, attraverso centinaia di migliaia di dollari consegnati ad alcuni politici inizialmente contrari-, pensava di aver ormai spianato la strada per lo stravolgimento completo.

L’editorialista di “Spiked online”, Brendan O’Neill, ha rivelato su “The Telegraph” i dettagli della reazione omosessualista a questa decisione popolare, notando che «se ti opponi al matrimonio gay sei uno stupido, male informato, vittima del lavaggio del cervello, povero provinciale e bigotto. Almeno questo è il messaggio che emerge dai circoli liberali in America sostenitori del matrimonio gay e disgustati dalla popolazione del Nord Carolina». Per avere avuto il coraggio di affermare che il matrimonio deve rimanere così com’è, «sono stati sottoposti a livelli straordinari di abusi e di ridicolizzazione», ha continuato O’Neill.

Attraverso una serie di collegamenti ipertestuali ha dunque elencato tutti i vari insulti e assurdità che alcuni media hanno rivolto alla maggioranza di cittadini del Nord Carolina, addirittura arrivando a equiparare la legalizzazione del matrimonio gay alla liberazione dei neri dalla schiavitù. Il “New Civil Rights Movement”, uno dei principali gruppi pro-matrimonio gay in America, li ha definiti «cittadini ignoranti». Il magazine laicista “Free Thinker” si è buttato sul razzismo vero e proprio definendo gli abitanti del Nord Carolina dei “knuckle-draggers”, ovvero “stupidi uomini cavernicoli”. Il “Daily Kos” parla di loro come “odiosi, paranoici, bigotti di destra e stupidi uomini primitivi”, sostenendo che gli oppositori al matrimonio gay sono “esemplari di knuckle-scraping”, ovvero persone rozze e sgraziate. La rivista “Buzzfeed” ha pubblicato un pezzo titolato “14 passi per evolvere le vostre opinioni sul matrimonio gay”, mostrando una scimmia in gabbia – l’avversario tipico del matrimonio gay, a quanto pare – che si “dovrebbe evolvere”.

Sul noto quotidiano inglese sono state citate diverse pagine “Facebook” a sfondo turistico verso il Nord Carolina, letteralmente «invase e prese di mira dai cosiddetti liberali, che furiosamente insultano i “somari e omofobi” e “stupidi arretrati” che abitano in quello “disgustoso Stato “». E’ nata anche una campagna per boicottare il Nord Carolina, danneggiandone così l’industria del turismo. Su “Twitter”, il popolo del Nord Carolina è stato definito come “idiota”, “figlio di p.”, “da sterminare”invitando ad un suicidio collettivo.

Il commento finale di O’Neill è abbastanza ovvio e pienamente condivisibile: «questa orgia di bile contro i cittadini del Nord Carolina, invitati ad uccidere se stessi per fare un favore al mondo, mostra cosa ci sia dietro la campagna gay-matrimonio. Non si tratta di diritti e uguaglianza, di amore o di felicità. Piuttosto, il matrimonio gay è diventato uno strumento attraverso il quale i settori benpensanti della società esprimono la loro superiorità morale su coloro che ritengono vittime del lavaggio del cervello, provinciali disadattati e frequentatori di chiese. Il matrimonio gay è diventato una sorta di arma per dimostrare chi è meglio, chi è evoluto. Sostenere il matrimonio gay è diventata una sorta di guerra culturale, un modo di distinguersi dalla folla ignorante. Essere contro il matrimonio gay può ora essere visto quasi come un atto di ribellione politica, contro una élite lontana che teme e detesta chi non è come lei».

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Ottima iniziativa: nascono i “Giuristi per la vita”

Nel maggio scorso per le strade di Roma si sono riversate migliaia di persone, uomini, donne, bambini, anziani, famiglie intere, per gridare “si alla vita e no all’aborto”. I quotidiani laicisti, in particolare quelli di proprietà di miliardari anticlericali e massoni, hanno per l’occasione –come avevamo documentato allora– riversato un fiume di insulti e improperi contro queste persone, definendoli “fondamentalisti”, “incivili”, “misogini”, “integralisti” ecc.

Proprio questa reazione scomposta è stata però il segno del successo della prima “Marcia nazionale per la vita”, organizzata da diverse sigle pro-life, una vittoria che ha già dato un primo frutto: sono nati infatti in questi giorni i “Giuristi per la vita”, presieduti dall’avvocato Gianfranco Amato (che ha già avuto l’onore di sconfiggere in tribunale i fondamentalisti atei dell’UAAR, colmando un vuoto legislativo sulla presenza di autorità religiose nelle scuole).

Il sito “Libertà e Persona” lo ha intervistato per capire le intenzioni di questa nuova associazione: «E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che negli ultimi anni le questioni relative all’inizio ed alla fine della vita si siano spostate dal piano scientifico, filosofico, teologico a quello più prettamente giuridico», ha spiegato Amato. «Complice l’intervento sempre più pregnante del legislatore in ambiti prima non regolamentati, e l’intromissione sempre più invasiva e discutibile dell’autorità giudiziaria». Per questo è nata «l’esigenza di costituire una task force di giuristi che abbiano a cuore il valore della vita e, soprattutto la dignità della persona dal suo concepimento fino alla sua morte naturale. L’esperienza ci insegna che, per quanto utili ed importanti, le conferenze, i convegni e i dibattiti, a volte non appaiono sufficienti ad incidere sulla realtà».

Iniziativa davvero meritoria, dunque, in quanto serve a difendere il diritto alla vita proprio nelle sedi in cui tale diritto viene interpretato e applicato, anche perché «una pattuglia di agguerriti e convinti avvocati riesce ad ottenere molto più di tanti autorevoli saggi, illustri simposi e dotte disquisizioni accademiche». L’avvocato ha anche spiegato che ad aver ispirato tale iniziativa sono stati i Radicali, infatti «la battaglia per il riconoscimento della pillola RU486 da parte della AIFA è stata condotta perfettamente e senza grande clamore da un pool di legali pannelliani ostinati e combattivi».

Per non parlare di come hanno fatto uccidere Eluana Englaro, cioè attraverso una decisione giuridica che ha pensato di ricostruire le volontà della donna da vaghi ricordi del padre risalenti a decenni prima (il quale, secondo la testimonianza di Salvatore Crisafulli, ha ammesso di essersi inventato tutto). Probabilmente se allora «un’azione fosse stata intrapresa, fin da subito, da un team di legali con una mirata ed efficace strategia, anziché essere lasciata al generoso e sporadico intervento di qualche solitario volenteroso, forse le cose sarebbero andate diversamente. Dico ciò con cognizione di causa».

L’aggressione alla vita umana è spalmata su diversi campi, e proprio questi saranno sotto l’attenzione di questo team di avvocati e giuristi: le battaglie legali sulla RU486, su EllaOne, la pillola dei cinque giorni, sulla Legge 40/2004, sugli attacchi all’obiezione di coscienza in materia di aborto, sui consultori, sugli inutili registri dei cosiddetti testamenti biologici, ecc. «Ecco perché è nata l’idea di costituire l’associazione “Giuristi per la Vita”», ha quindi concluso l’avvocato Amato, «un gruppo affiatato e risoluto di avvocati, filosofi del diritto, docenti, studenti, e operatori del diritto in genere, che possa diventare un utile strumento operativo nella lotta in difesa della vita. Una sorta di “Soccorso Rosso” pro-life».

Complimenti dunque, e un fortissimo in bocca al lupo! Siamo con voi!

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Il matrimonio porta un beneficio anche dal punto di vista economico

Il matrimonio non è soltanto benefico dal punto di vista psico-fisico, come dimostra un’immensa mole di dati scientifici, ma è anche la prospettiva migliore dal punto di vista economico, come stanno riconoscendo sempre più economisti e ricercatori sociali.

Si è occupato di questo un articolo apparso sul  “New York Times” spiegando che gli studi mostrano come le modificazioni sociali, con aumento di famiglie monoparentali e coppie di fatto, hanno aumentato il divario di reddito tra benestanti e non. Al contrario, secondo il demografo Mindy Scott, le famiglie basate sul matrimonio seguono “traiettorie differenti”. Andrew Cherlin, un sociologo presso la Johns Hopkins University, ha affermato: «Gli americani privilegiati si sposano, e sposarsi li aiuta a rimanere privilegiati».

Una delle ragioni è che gli uomini sposati hanno un maggior incentivo a essere coscienziosi nel lavoro per sostenere la famiglia, essi «godono di un premio economico, negli Stati Uniti, di circa il 19 per cento in più rispetto ai loro coetanei con le stesse credenziali», ha riferito W. Bradford Wilcox, direttore del National Marriage Project e professore di sociologia presso la University of Virginia . Essi «lavorano circa 160 ore in più rispetto ai loro coetanei con stesse credenziali, lavorano in modo più strategico, e di conseguenza, tendono a guadagnare di più». I benefici economici del matrimonio, ha aggiunto, sono però per entrambi i partner: «Le donne che si sposano hanno per la fine della loro vita molto di più in termini di attività, che si tratti di una casa o altri beni».

«La famiglia è assolutamente necessaria per il funzionamento del mercato», ha affermato Jennifer Roback Morse di “The Ruth Institute”. Avere entrambi i genitori biologici permette di creare un giusto mix di competenze e abilità, questa socializzazione sana aumenta anche la possibilità del bambino di diventare un cittadino produttivo. «I sostituti alla famiglia sono costosi e inefficaci, e i contribuenti finiscono per pagarne il prezzo», ha affermato durante una lezioni alla Acton University.

Occorre dunque anche per questi motivi valorizzare e sostenere sempre di più la famiglia tradizionale, basata sul matrimonio tra uomo e donna, istituzione in profonda crisi sopratutto a causa del fallimento della rivoluzione sessantottina.

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