Ma perché Margherita Hack continua a credere a Babbo Natale?


 
 
di Umberto Fasol*
*preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico

 
 
 

Il tema della ricerca di Dio è sempre più attuale.  Nonostante l’immensa pervasività del mondo economico-finanziario nella vita di tutti i giorni, la domanda di senso affiora e fa capolino ovunque, così come la parietaria cresce tra i fitti sassi del muretto non appena può, cioè appena trova un po’ di terra tenera. La natura dell’uomo, infatti, è rapporto con l’infinito e il valore dello spread di oggi la lascia assolutamente indifferente.

Margherita Hack sembra avere idee chiare su questo tema.  Recentemente, invitata all’Istituto religioso Euromediterraneo, ha ribadito la sua posizione: “L’idea di Dio nasce per spiegare ciò che la scienza non sa spiegare. La scienza dice cosa sono le stelle, come funzionano. Sappiamo ricostruire un album di famiglia dell’universo ma non sappiamo dire perché sia fatto così.  Ed ecco che è stato inventato Dio.  Dio è comodo, troppo comodo. Ma è un’idea infantile, come Babbo Natale”.  A seguire i soliti applausi.  Non si sa perché. Vorrei analizzare la sua tesi, ormai logora,  proponendo prima un paio di questioni e poi una riflessione.

Inizio con la prima domanda: “perché mai gli uomini, vedendo che continuano a scoprire cose nuove, una dopo l’altra, dovrebbero inventarsi un Dio Creatore di tutto, piuttosto che attendere fiduciosi i prossimi successi della Scienza?”. Se, cioè, abbiamo chiarito cosa sono le stelle, se abbiamo descritto la loro reazione termonucleare, se ancora siamo in grado di metterle in fila, dalle nebulose ostetriche alla sequenza principale, dalle giganti rosse alle nane bianche (“l’album di famiglia dell’Universo”) perché mai l’uomo moderno, colto e tecnologico, non dovrebbe sedersi soddisfatto e dire a se stesso: andiamo avanti così, di scoperta in scoperta, senza farci illusioni? Non c’è una contraddizione tra la gratificante sequenza di scoperte e l’intuizione di Dio?

Se dunque gli scienziati (Newton, Copernico, Keplero, Einstein, Mendel, Maxwell, Fermi, Rubbia, Zichichi, Rossi, Canobbio, ecc…) formulano l’ipotesi di Dio, lo fanno in un contesto di conoscenze e non di ignoranze.  Avranno i loro motivi per farlo: perché ritenerli tutti bambini incapaci di parlare e di pensare? La cosa deve far riflettere perché porta a conclusioni opposte a quelle riferite dalla Hack: sono le nostre scoperte che ci avvicinano a Dio e non il nostro bisogno di capire.

Proseguo con un’altra domanda. “E’ un’idea infantile…” dice la Hack, ma, mi chiedo: “Tra le due ipotesi: il Mondo inventato da una Mente Superiore e il Mondo fattosi da solo, qual è la favola più grande?”. Altro che Babbo Natale!  Quello almeno porta i doni ai bambini per stupire e diffondere gioia, ma… un Mondo Ordinato che sorge spontaneamente dal nulla e che si evolve in 13,7 miliardi di anni formando il lago di Garda e le Dolomiti, le barriere coralline e il tramonto sul mare, gli occhi dei bambini e il genio di Mozart, i fiori del campo e le sequoie giganti della California, il ciclo dell’acqua e la fotosintesi clorofilliana…credere che tutto questo si sia fatto da solo non è infinitamente più folle di tutte le nostre fiabe?  Come si fa a pensare che anche solo una delle nostre cellule possa autoassemblarsi a partire da miliardi di molecole possibili con altrettante infinite combinazioni?

Concludo ora con la riflessione. Dio è la spiegazione necessaria di ciò che esiste così come esiste. La complessità irriducibile dei fenomeni materiali che la Scienza descrive trascende a tal punto la natura dei suoi costituenti da richiedere una Finalità ordinatrice e causale, pena la contraddizione. In parole semplici: la retina e il cristallino non vedono, ma l’occhio collegato al cervello sì. Perché mai l’occhio dovrebbe essere fatto così com’è e per di più collegato al cervello, quando le combinazioni possibili dei suoi “pezzi” sono molteplici ed equiprobabili? Da quali proprietà cellulari dovrebbero mai scaturire queste architetture complesse e scelte tra tutte le possibilità? Insomma: le componenti della vista possono darsi da sole ciò che non hanno?

E ovviamente l’esempio dell’occhio è certamente quello più sfruttato nelle letteratura classica ma si tratta solo di un particolare; si pensi ai cicli della biochimica cellulare, si pensi alla relazione tra la respirazione e la fotosintesi, si pensi ad ogni singolo apparato del nostro corpo o alle reti ecologiche, o ancora a tutta la sinergia dell’intera biosfera. La Scienza contemporanea avvicina sempre di più la ragione indagatrice all’ipotesi di una Mente superiore nella misura in cui svela un’organizzazione della materia “fine tuned”, che non può darsi da sola per il semplice fatto, scontato, che i protoni, i neutroni e gli elettroni non sono intelligenti.

Dio è l’intuizione della mente di fronte all’intelligenza della materia che, inizialmente uniforme, infinitamente densa e calda, si è raffreddata lentamente, si è espansa in modo controllato, si è organizzata in galassie e pianeti e, su uno di questi, la Terra, un punto azzurro e caldo immerso nel gelido spazio, è diventata il sorriso e il pianto del neonato, che ci intenerisce e ci fa toccare il Suo Mistero. La materia primordiale, fatta di particelle subatomiche e governata dalle quattro forze fondamentali, si arricchisce progressivamente di qualcosa che non ha, l’ informazione, al punto tale da diventare cosciente.

Trovo che l’idea di Dio sia terribilmente adulta.  Frutto di sguardi, di pensieri, di ragionamenti, di sensazioni, di esperienze di bellezza e di progetto. Negare Dio coscienziosamente e a ragion veduta significa invece, per quanto capisco, precipitare tutta la realtà nel “non senso”. Verrebbe da ribaltare la posizione della Hack, affermando: “E’ troppo comodo rifiutare Dio come la spiegazione di ciò che non si sa”. L’idea di Dio, in effetti, continua ad intrigarmi, sia per ciò che so, che per ciò che non so. Vorrei concludere con le parole di Richard Swinburne, professore di Filosofia ad Oxford: “Io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per spiegare perché la scienza spiega.”

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Buone notizie per la natalità a Jesi: tutti i medici sono obiettori di coscienza

Sui maggiori quotidiani nazionali a inizio settembre ha trovato spazio la notizia della sospensione del servizio di interruzione volontaria della gravidanza presso l’Unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Jesi,  guidata dal dottor Angelo Curatola, dove tutti i dieci ginecologi che ne fanno parte si sono dichiarati obiettori di coscienza.

Ciò avviene in realtà dal mese di agosto e le donne richiedenti a tutt’oggi sono impossibilitate ad avvalersi dell’ultima fase del servizio, quello di day surgery, l’intervento vero e proprio effettuato in reparto. Abbiamo già riferito di situazioni analoghe avvenute precedentemente in Italia, come si può leggere su altre pagine di questo sito, e quanto accade a Jesi ripropone con ogni evidenza come le scelte pro life prendano piede sempre più massicciamente proprio tra gli addetti al settore, ginecologi e personale sanitario. Nel caso delle Marche, i vertici regionali della CGIL si sono rifatti allarmati ai dati forniti dal Ministero della Sanità che illustrano come gli obiettori di coscienza in quella regione costituiscono il 62% dei medici, il 50% degli anestesisti e il 43% del personale non medico.

Ad individuare la giusta soluzione, che viene invocata come toccasana per tutti i casi di obiezione di coscienza in materia di interruzione volontaria della gravidanza, ci pensa invece la presidente della locale sezione della AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) che da Ascoli Piceno, con molto pragmatismo e pure un certo fastidio per le ovvietà, fa sapere che “un governo tecnico non dovrebbe quindi avere difficoltà nel risolvere ‘tecnicamente’ il fenomeno dell’obiezione di coscienza diffusa, se inquadrato come deve essere nell’ambito della violazione di un diritto sancito dalla legge”. La soluzione, dunque, è quella già auspicata a suo tempo dagli ineffabili radicali: eliminare l’obiezione di coscienza con riferimento alla interruzione di gravidanza.

Evidentemente quelli della AIED  ignorano che lo scorso 30 luglio 2012, il Comitato Nazionale di Bioetica ha approvato l’atteso parere sul rapporto tra obiezione di coscienza e bioetica; le conseguenze di tale dichiarazionem i cui contenuti sono stati magistralmente messi in evidenza da Aldo Vitale in un precedente articolo su questo sito, non possono essere disattesi all’interno di una Nazione come la nostra che, osiamo ancora sperarlo, voglia dirsi e comportarsi di conseguenza come Stato di Diritto. Nel richiamato parere, infatti, si evidenzia la piena liceità del diritto all’obiezione di coscienza, inteso, dunque, come diritto fondamentale della persona tutelato dalla vigente Costituzione (artt. 2, 3, 10, 19 e 21) e come tale quindi inviolabile. L’obiettore cioè rifiuta di obbedire a una legge rilevante in campo bioetico motivando tale modo di agire con l’esigenza di non violare le proprie convinzioni morali o principi religiosi, testimoniando così una certa visione del mondo senza che l’ordinamento giuridico possa sanzionarlo per tale scelta. Il succitato parere vieta qualunque soluzione “creativa”, per non dire “persecutoria”, che miri a danneggiare o a dissuadere gli obiettori; la soluzione, semmai, è da rinvenire nelle “conclusioni e raccomandazioni” finali del parere stesso, dove viene evidenziata l’esigenza di assicurare la sostenibilità dell’obiezione di coscienza in campo bioetico, impegnando l’ordinamento giuridico a trovare altre soluzioni.

Invece, resta del tutto irrisolta la questione dell’aborto visto come conquista di civiltà, vero diritto civile a tutela delle donne. Sotto il profilo giuridico, la 194 è legge vigente nell’ordinamento italiano e, come ogni altra normativa in materia di diritti civili, richiede di essere applicata. Ma la positività di una legge – cioè la sua vigenza che discende dal solo fatto di essere stata deliberata, approvata e pubblicata secondo l’iter previsto dall’attuale Costituzione –  vale anche a sancirne l’effettivo valore presso il popolo che dovrebbe riconoscerla come conforme ai suoi principi? Detta in altri termini: questa legge “riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio” come recita l’articolo 1 della legge stessa? E lo fa nel modo più giusto, conforme al diritto naturale?

Concludiamo cercando di capire meglio in concreto cosa significhi essere obiettore di coscienza e del perché maturi questa scelta in un operatore sanitario grazie ad una  sconvolgente testimonianza, alla cui lettura rinviamo con questo link. Da Maddalena Bertolini, di professione ostetrica, parole che non ammettono alcun tipo di commento; solo attenta lettura e riflessione. Perché la vita, quella che deve ancora nascere e quella di chi la custodisce nutrendola, non è né utopia né astrazione. Anche se, ad onor del vero, più  che di vita, nel leggere queste righe crude nella loro schiettezza ho avuto l’impressione di assistere ad una macellazione. Ma non c’erano di mezzo vitelli, tori, pecore…soltanto esseri umani.

Salvatore Di Majo

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«Come donna non mi sento al sicuro nella comunità atea»

Ci risiamo, nuovamente emergono gravissimi problemi di rispetto verso la donna nella comunità di atei militanti. Sembra un’accusa tirata per i capelli e invece non è affatto così, tanto che sono le stesse donne impegnate in questi movimenti a denunciare la pesante situazione.

Ne sa qualcosa Rebecca Watson, giovane americana proprietaria del blog al femminile “Skepchick” che l’anno scorso ha voluto rendere noto uno spiacevole approccio sessuale ricevuto durante la sua partecipazione alla “World Atheist Convention” di Dublino. Avendo osato lamentarsi di questo, ha ricevuto come risposta tutta una serie di insulti misogini dai membri della comunità atea americana, terrorizzati di aver in questo modo screditato ancora di più loro reputazione agli occhi degli statunitensi (che è già decisamente bassa, come mostrano i sondaggi). Perfino il grande sacerdote Richard Dawkins ha voluto intervenire consigliando alla Watson di stare in silenzio e di non lamentarsi istericamente di aver ricevuto attenzioni sessuali, quando nel mondo ci sono donne costrette a subire mutilazioni genitali. Per queste dichiarazioni il leader ateista ed ex zoologo è stato inserito tra i peggiori misogini del 2011.

Quello della Watson non sembra affatto essere un caso isolato. L’8 luglio scorso infatti l’associazione “American Atheists” ha reso nota l’intenzione di creare una politica di autoregolamentazione per i loro convegni e conferenze per far sapere che «gli eventi dell’”American Atheists” sono sicuri e divertenti». La sorprendente decisione è stata causata dall’aumento esponenziale di denunce da parte di donne di molestie sessuali ricevute durante le conferenze dell’associazione. Todd Stiefel, presidente e fondatore dell’associazione umanista Stiefel Freethought Foundation ha parlato di donne «molestate senza sosta, toccate sotto i tavoli, minacciate di stupro, furtivamente fotografate per voyeurismo pornografico». 

Qualche giorno fa è emerso l’ennesimo caso. La vittima si chiama Jen McCreight, divulgatrice scientifica, atea e femminista, abituata a scrivere su Freethoughtblogs.com. Nell’agosto scorso ha spiegato di essere entrata da cinque anni nel movimento ateista, trovandosi bene «fino a quando non ho cominciato a parlare di femminismo». Ha iniziato a trattare questo argomento perché -ha raccontato- «ho ricevuto inviti sessuali da sconosciuti in tutto il Paese. Quando comparivo o parlavo in occasione di eventi atei, c’era sempre una marea di commenti sul mio seno e sul mio aspetto fisico». Così ha pensato ingenuamente di parlare di femminismo, per educare al rispetto verso le donne, ma «puntuale come un orologio, ogni mio post sul femminismo veniva commentato da centinaia di commenti dove mi si accusava di odiare gli uomini, di essere brutta e esageratamente arpia. Nonostante la merda che ho ricevuto, ho continuato a sostenere pubblicamente questi movimenti. Ho pensato che questo diluvio di sessismo non aveva niente a che fare con loro. Non riesco a contare quante volte ho pubblicamente sottolineato che il movimento ateo/scettico, anche se non perfetto, è ancora un posto sicuro per le donne e altre minoranze. Ma ora riconosco che stavo solo cercando di convincere me stessa».  Ed ecco le parole più forti: «Io non mi sento al sicuro come donna in questa comunità, mi rendo conto di non essere mai stata la benvenuta in questo movimento. Abbiamo vomitato cartelloni che sostengono che siamo buoni senza Dio, ma in che modo lo stiamo dimostrando come movimento?»

Parole durissime che non sono certo piaciute alla gerarchia laicista che ha scatenato -come reazione- un putiferio incredibile di diffamazione della povera McCreight. Una violenza inaudita tanto che qualche giorno fa la blogger atea ha annunciato di voler smettere di aggiornare il blog: «Ho chiuso con il blogging per un periodo indefinito di tempo», ha scritto. «C’è un gruppo di persone là fuori impegnate ad odiare me, i miei amici, e anche le persone che sono solo vagamente associate. Non posso più scrivere nulla senza che le mie parole vengano travisate. Mi sveglio ogni mattina leggendo commenti offensivi ed e-mail su come io sono una “puttana”, “puritana”, “brutta”, “grassa”, “femminazista”, “ritardata”, “cagna” e “figa” (solo per citarne alcuni). Se blocco queste persone ricevo un’ondata ancora più grande di odio ingiustificato. Questa mattina ho dovuto cancellare decine di commenti di persone che imitano la mia identità facendo grafici osceni, degradanti commenti sessuali sulla mia vita personale. In passato, più persone hanno minacciato di contattare il mio datore di lavoro con le “prove” che sono uno scienziata cattiva (perché sono una femminista) cercando di distruggere il mio lavoro. Sono costantemente preoccupata che l’abuso si diffonda ben presto ai miei cari».

Ancora una volta affermazioni durissime, ma lo sfogo è continuato: «questo comportamento tossico sta colpendo tutte le parti della mia vita. Con questa nuvola di odio appesa sopra la mia testa non riesco a godermi i miei hobby. Sono costantemente con i nervi logori che mi spingono a prendermela con quelli che amo. Trascorro la maggior parte del mio prezioso tempo libero arrabbiata, sul punto di piangere per dover moderare i commenti o leggere nuove cose terribili che vengono dette su di me. E l’unica soluzione che vedo è quella di staccare la spina. Posso ancora occasionalmente scrivere di scienza o di argomenti che non trattano l’abuso (non aspettatevi articoli sull’ateismo o il femminismo per un po’). Ma non posso più affrontare un’orda ossessiva di nemici che stanno cercando di rendere la mia vita miserabile, perché ci sono riusciti. Quindi, addio per ora. Ho bisogno di concentrarmi su come mantenere me stessa sano e felice, e questo non accadrà all’interno della tossica comunità atea». La McCreight si è fatta rivedere il 10 settembre 2012 rivelando che i suoi timori erano fondati: l’odio degli atei si è trasmesso da lei a suo padre e alla sua famiglia. Il fenomeno è talmente diffuso che il sito web “Skepchick.com”, per correre ai ripari, ha dovuto intervistare diversi leader ateisti facendoli affermare che l’odio verso le donne perpetrato nella comunità atea e umanista è cosa disdicevole e discriminante.

Di fronte a tutto questo le femministe di professione e la stampa laicista non soltanto non se ne occupano ma continuano imperterriti a descrivere Benedetto XVI come “misogino” (seppur inconsapevole) perché «esclude le donne dal sacerdozio». Peccato che le motivazioni siano assolutamente ragionevoli e per nulla discriminatore, come riconoscono le  stesse donne cattoliche. Lo ha fatto di recente Suor Viviana Ballarin, presidente dell’organismo dal quale dipendono tutti gli ordini religiosi femminili italiani (USMI), la quale -seppur avanzando giuste rivendicazioni di maggior spazio a livello di responsabilità e decisionalità nella Chiesa- ha affermato: «Non sono smaniosa di rivendicazioni per quanto riguarda le questioni teologiche aperte. Come donna mi sento pienamente realizzata sia nella mia identità che nella mia missione. Se un giorno il sacerdozio e il diaconato verranno dati alle donne ben venga, mi pare però che ciò che conta veramente per ogni donna sia vivere quella diaconia e quel sacerdozio che sono stati impressi nella sua carne come fuoco il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio».

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“Morale laica” nelle scuole francesi: fallimento del relativismo laicista

La proposta di Vincent Peillon, ministro dell’Educazione francese del governo dello zapaterista Hollande, ha fatto molto discutere. Si vorrebbe introdurre nelle scuole un’ora di fantomatica «morale laica» obbligatoria dal 2013 perché «se non è la Repubblica a dire quali sono i vizi e le virtù, il giusto e l’ingiusto, altri lo faranno al suo posto», ha affermato il ministro Peillon. L’ideatore del programma laicista è ovviamente un protestante, il filosofo Jean Baubérot.

Durante quest’ora obbligatoria di laicismo ampio spazio sarà dato all’educazione sessuale, perché «l’istruzione deve decostruire i pregiudizi di genere». Per i laicisti, infatti, è un pregiudizio parlare di “uomini” e “donne” perché -a detta loro- ognuno è quel che decide di essere e dare del “maschio” o della “femmina” ad una persona può essere configurata come discriminazione.

Dalle colonne di “Tracce” ha risposto Costantino Esposito, docente di Filosofia all’Università di Bari (l’intervista è molto profonda e vale la pena leggerla integralmente): «E’ un’idea astratta. Mi pare che si individui un programma ideale per “ricostruire la scuola”, ma ancora di più gli alunni che la frequentano, come se si partisse da un vuoto da riempire. Lo Stato, attraverso la scuola, è chiamato a forgiare una nuova natura. Quel riferimento esplicito alla “costruzione del cittadino” mi ha fatto venire in mente che il grande vincitore, in Francia, è ancora Rousseau». Lo Stato deve cercare di rifare l’uomo, inquietante il ricordo dei secoli bui illuministi!

Tutto questo è comunque una clamorosa dichiarazione di fallimento del laicismo di Stato imposto in Francia, infatti -ha continuato il filosofo Costantino-: «ciò che riconosce Peillon, con un certo “orrore repubblicano”, è che non è successo quello che ci si aspettava. Anche se poi non si chiede perché. Certi valori su cui la società francese si aspettava di costruire se stessa non bastano. La vera domanda, infatti, sarebbe questa: come mai una società impostata su certi valori non è riuscita a lasciare un’impronta di bene, di costruttività sociale nei cittadini? Questo vuoto è segno di un fallimento, di un’inadeguatezza di quei valori nell’interpretare la realtà». Il laicismo francese (cioè laicità negativa, ovvero proibizione di ogni simbolo religioso nell’ambito pubblico) è nato da una prevaricazione giacobina, come si ricorda bene su “Il Foglio”. L’insegnamento della religione a scuola venne soppresso nel 1882, sostituito dall'”istruzione morale e civica”.

Inutile dire che il celebre filosofo francese Alain Finkielkraut ha bollato come “patetico” il progetto neolaicista, mentre il filosofo Christian Vanneste ha affermato: «Il governo intende costringere gli uomini a essere liberi. I giacobini sono tornati». Lo Stato laicista vuol prendere il posto delle famiglie per indottrinare i suoi cittadini, per questo la filosofa ed editorialista di “Figaro”, Chantal Delsol, ha così criticato: «In un Paese libero, come siamo orgogliosi di esserlo, l’educazione morale è responsabilità delle famiglie». Il giurista e docente universitario Carlo Cardia ha fatto notare che «la notizia potrebbe sembrare clamorosa. La Francia, campione della laicité neutrale e distante da ogni religione, introdurrà nelle scuole pubbliche l’insegnamento di «etica laica». E lo farà con obiettivi ambiziosi, contrastanti con i dogmi del relativismo […]. Siamo di fronte al fallimento del relativismo dominante […]. Nella patria del razionalismo il pensiero relativista ha trovato una prima, tardiva eppure inattesa sconfitta».La Repubblica insegnerà cosa è bene e cosa è male, riconoscendo così un a-priori incompatibile con il relativismo. Ma come possono esistere un bene e un male non relativi, e dunque assoluti, se Dio non esiste?

La cosa più interessante è infatti tornare a domandarsi come e se possa esistere una morale laica. Il card. Carlo Maria Martini si è ad esempio domandato qualche anno fa: «Quali ragioni dà del suo agire chi intende affermare e professare princìpi morali che possano richiedere anche il sacrificio della vita, ma non riconosce un Dio personale? Dove trova il laico la luce del bene?». Il compianto arcivescovo aggiungeva poi: «So che esistono persone che, pur senza credere in un Dio personale, sono giunte a dare la vita per non deflettere dalle loro convinzioni morali. Ma non riesco a comprendere quale giustificazione ultima diano del loro operare», e soprattutto come la fantomatica “morale laica” possa risultare convincente per le grandi masse umane. Insomma, «l’etica ha bisogno della verità» e questa può essere solo trascendente, capace di superare l’uomo limitato, debole, peccatore che tutti conosciamo e tutti siamo.

Negando l’esistenza di Dio si nega l’esistenza di valori assoluti pre-esistenti alla persona, e dunque si impedisce la sussistenza di una moralità perché essa non può che appoggiarsi su valori non relativi. La morale, per chi si ritiene figlio unico della cieca evoluzione è una mera illusione: «Non esiste qualcosa come giusto e sbagliato. Mi sono convinto che l’ateismo implica l’amoralità, e poiché io sono un ateo, devo quindi abbracciare l’amoralità» ha scritto Joel Marks, professore emerito di filosofia presso l’University of New Haven, in un articolo del 2010 dal titolo “An Amoral Manifesto”. Senza Dio tutto è possibile, diceva Dostoevskij, senza Dio esistono solo opinioni personali e a decidere cosa sia “giusto” e “sbagliato” è la maggioranza di opinioni simili. Così il cannibalismo (o la pedofilia) diventa morale in un “paese cannibilista” (o pedofilo). Alcuni approfondimenti qui e qui.

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Tre professionisti coerenti ed amanti della vita umana


 
 
di Stefano Bruni*
*pediatra
 

Ho raccolto, e mi sembra bello condividerle con voi, le esperienze di alcuni personaggi italiani cui la stampa ha dato di recente una seppur timida eco. Queste testimonianze mostrano che al mondo c’è ancora qualcuno che dà il giusto valore alla vita umana e che non si lascia confondere dal rumore assordante che ci circonda e che vorrebbe farci credere che una vita che soffre o che è malformata o che è semplicemente troppo giovane o troppo vecchia non è vita o può comunque essere tranquillamente, talvolta persino “legalmente”, interrotta.

 

In un articolo pubblicato il 21 agosto scorso su Avvenire, il Dott. Mario Melazzini, medico oncologo, affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica, la gravissima, progressiva e letale malattia che tutti noi conosciamo bene, si esprimeva come segue: «La ricerca scientifica riveste un ruolo imprescindibile nella lotta alle malattie considerate al momento inguaribili. […] E’ solo dalla ricerca che possono giungere le risposte terapeutiche che malati e famiglie si attendono. Tutti ci auguriamo che arrivino al più presto, tuttavia la ricerca ha tempi precisi per arrivare a esiti concreti: va portata avanti in maniera corretta e responsabile, senza strumentalizzazioni e in maniera etica, nel rispetto dei criteri e delle procedure validate, senza lasciare spazio a false illusioni e “viaggi della speranza”.» Quanta differenza nell’approccio di questo grande medico, costretto sulla sedia a rotelle, rispetto alle polemiche e alle strumentalizzazioni, cui di recente abbiamo assistito, del caso di Celeste, la piccola bimba ammalata di atrofia muscolare spinale.

Ma mi preme riportarvi una parte ancora più bella dell’articolo del dott. Melazzini: «Ma nel contempo si vuole e si deve continuare a vivere: ancora troppe volte ci si dimentica che l’efficace presa in carico e il continuo sviluppo della tecnologia possono realmente consentire anche a chi è stato colpito da patologie inguaribili di continuare a guardare alla vita come a un dono ricco di opportunità e di percorsi inesplorati prima della malattia. Quest’ultima, dopotutto, non porta via emozioni e sentimenti, ma fa comprendere che l’essere conta più del fare. È questa la vera speranza: il medico può cercarla e trasmetterla anche quando prevalgono i dubbi e l’angoscia, imparando dai pazienti come proprio la speranza sia il vero e proprio cuore della guarigione.» E ancora: «La ricerca è linfa vitale che alimenta la speranza di una vita migliore per chi, oggi, è costretto a vivere con la malattia. Ma non dobbiamo dimenticarci che un corpo malato non può diventare in nessun caso un fattore di isolamento, esclusione ed emarginazione dal mondo. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la vita e trasformino il malato in un peso sociale. Si tratta di un’offesa per tutti, ma in particolar modo per chi vive una condizione di malattia. Questa idea, infatti, aumenta la solitudine dei malati e delle loro famiglie, e introduce nelle persone più fragili il dubbio di poter essere vittima di un programmato disinteresse da parte della società. La domanda di senso di un’esistenza è strettamente correlata alla possibilità di esprimersi e, soprattutto, al fatto che ci sia o meno qualcuno a raccogliere i messaggi. Non bisogna lasciare che siano la trascuratezza, l’abbandono e la solitudine a decretare una vita degna o meno di essere vissuta.»

 

Il quotidiano Libero, il 30 agosto scorso, pubblicava invece un articolo sulla Dott.ssa Elvira Parravicini, una neonatologa italiana che negli Stati Uniti, in un grande ospedale pubblico, accoglie i neonati con seri problemi che tuttavia i genitori hanno deciso di non abortire, anche grazie alla consapevolezza che c’è una squadra di esperti disponibile a farsene carico. Questo team di medici e infermieri accoglie questi bimbi e cerca di rendere loro la vita, quei brevi istanti di vita che magari hanno a disposizione, la più confortevole possibile. Perché è vita anche quella di un bambino malformato o gravemente prematuro. Ed essere amati da una famiglia, fosse anche per poche ore, è un diritto e un bisogno primario di questi bimbi. La dott.ssa Parravicini ha raccontato la sua esperienza nel corso dell’ultimo meeting di CL a Rimini.

Vi confesso che da Pediatra non sono riuscito ad ascoltare questa bellissima esperienza senza provare emozioni fortissime ed un’ammirazione grande per questa persona. Si decide di diventare medici perché si desidera salvare i propri simili, aiutarli a vivere meglio. La morte di un paziente, per un medico, è sempre fonte di frustrazione. La dott.ssa Parravicini ci dimostra che un medico è sempre a favore della vita, anche di quella che ai più non sembra nemmeno degna di essere vissuta; ci dimostra che un medico deve accompagnare con grande disponibilità, delicatezza e amore ogni vita, accogliendola nel momento della nascita o della “rinascita” a seguito di una guarigione, ma anche sostenendola nel momento della fine. Perché, in fondo, come dice la dott.ssa Parravicini: «Di cosa ha bisogno un bambino? Di avere accanto la mamma e il papà. Qual è il suo piacere principale? Mangiare. Ecco, partiamo da qui: devono poterlo fare, fosse anche per i soli cinque minuti che stanno al mondo». In fondo è semplice: «Non c’è strada, se non la realtà. Il bambino ci dà tutti i segni di cui abbiamo bisogno. Perché lui è dato, ai genitori e a me: a noi, che non possiamo definire il suo destino. A noi è chiesto di osservare e seguire la realtà.».

Qui sotto l’intervento della dott.ssa Parravicini al Meeting di Rimini

 
 

Infine, a dimostrazione che si può essere ottimi ricercatori continuando a rispettare la vita fin dal suo inizio, credo sia bello citare le parole del Dott. Angelo Vescovi, neurobiologo, dichiaratamente agnostico, sostenitore della ricerca sulle cellule staminali adulte. Di recente ha iniziato una sperimentazione trapiantando nel cervello di due malati di Sclerosi laterale amiotrofica le cellule staminali cerebrali ingegnerizzate di un feto abortito spontaneamente donate dai genitori del bimbo (nello stesso modo in cui due genitori potrebbero donare gli organi del proprio figlio deceduto prematuramente). Intervistato da Francesco Ognibene su Avvenire lo scorso 1 agosto, alla domanda sul perché della sua scelta etica di non lavorare con cellule staminali embrionali, ha risposto quanto segue: «Non per motivi religiosi, ribadisco che sono agnostico: le mie motivazioni nascono da convinzioni personali di scienziato, sulle quali resto coerente. Ho un enorme rispetto per la vita, in tutte le sue forme. A rigor di logica e di scienza, dimostrabile e verificabile, la vita comincia all’atto del concepimento e finisce con la morte naturale. L’intervallo tra i due istanti è lo spazio della vita umana, ed è uno spazio sacro, laicamente sacro: quanto di più grande ci sia nella considerazione di uno scienziato, e certamente nel mio sistema di valori. Non credo in una scienza che viola il diritto a esistere della vita, e in particolare della vita umana».

E infine: «Non credo in una scienza che crea vita umana per poi distruggerla al solo scopo di ricavarne cellule embrionali. Così facendo la scienza calpesta la regola più elementare della morale universale, ovvero il rispetto della vita umana, per soddisfare le necessità che derivano dall’insufficienza delle sue capacità tecniche. Il vero scienziato davanti a un problema cerca la soluzione, non la scorciatoia. Il lavoro che stiamo conducendo dimostra una volta in più che esiste la soluzione al problema dell’uso delle staminali nel pieno rispetto della vita».

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L’UAAR si occupa dei classici latini e dice sciocchezze, come al solito

Cesare? Un pacchiano. Virgilio? Un opportunista. Ovidio? Uno sprovveduto. E va così anche per Cicerone e san Girolamo, definiti rispettivamente “monotono” e “sordido”. Chi può aver emesso questi giudizi sui maggiori autori della letteratura latina? Ovviamente l’UAAR, l’Associazione degli Atei e Agnostici (sedicenti) Razionalisti. Per loro, ovviamente, l’unico a salvarsi è Lucrezio, l’unico ateo della letteratura latina, autore del grande poema De rerum natura. Dalla sua opera è stata tratta un’antologia di passi scelti, intitolata “Vivere laico” e recensita sul sito ufficiale dell’UAAR. Proprio in questa recensione si possono leggere i lapidari giudizi di cui sopra, oltre a numerose altre amenità.

L’articolo si apre con un elogio di una nota collana che ha messo a disposizione di un vasto pubblico ottime edizioni di classici latini e greci. Poi prosegue: «Dopo Repubblica, in queste settimane è stato il Corriere a lanciare una nuova collana di supplemento al quotidiano “I classici del pensiero libero greci e latini”, che in agosto ha regalato ai lettori “Il discorso della verità” di Celso, meglio conosciuto con il titolo “Contro i Cristiani”. Meritevole di menzione è, in tutte queste pubblicazioni, oltre che la rivalutazione di taluni autori, per lo più sconosciuti a meno di non aver frequentato scuole umanistiche, lo sforzo di recuperare la trama di un pensiero perduto, spesso volutamente eclissato». Addirittura “volutamente eclissato”? Una nuova teoria del complotto!? Nella collana in questione ci sono Saffo, Aristotele, Cicerone, Cesare… chi mai li vuole eclissare? Ma non si vendono a pochi spicci allegati ai quotidiani?

«Questo interessante libretto antologico su Lucrezio, a cura di Paolo Marsich, già curatore di testi di Plutarco e Cicerone, uscito da qualche anno e più volte ristampato», si continua, «appartiene ai volumetti che non possono mancare nella libreria di ogni buon lettore (laico)». Laico? Perché laico? Un ebreo, un buddista, un mussulmano, uno shintoista, un cattolico, un metodista non possono leggere Lucrezio, Plutarco e Cicerone? Boh. L’autore dell’articolo, Stefano Marullo, continua elencando alcuni autori di ieri e di oggi, dimenticati o incompresi, poi afferma: «Lucrezio, poeta e filosofo (autentica bestia nera con Seneca e pochi altri per i liceali degli anni superiori che preferiscono tradurre le pacchiane e tonitruanti guerre galliche cesaree o le monotone orazioni ciceroniane) non sfugge a questo destino». Come “le monotone orazioni ciceroniane”!? Ma Cicerone non era tra gli autori che non possono mancare nella libreria di ogni buon lettore (laico, ovviamente)?

Immediatamente dopo si legge, sempre a proposito di Lucrezio: «Non conobbe il Cristianesimo ma gli apologeti cristiani si interessarono molto a lui. Fra tutti un cenno merita quel Sofronio Eusebio Girolamo [per gli amici, san Girolamo, nda], uno dei personaggi più sordidi [addirittura!!] della chiesa antica [in minuscolo nel testo], detrattore di professione e plagiatore di fanciulle [insomma, qualcosa a metà tra Marco Travaglio e Wanna Marchi] (che non gli impedì il cursus honorum che lo portò ad essere dichiarato santo, padre e dottore della Chiesa [qui in maiuscolo]) per il quale Lucrezio morì suicida in preda alla pazzia». Come tutti sanno, il “sordido” san Girolamo fu il più grande umanista dei suoi tempi, celebre soprattutto come autore della Vulgata, la sua traduzione della Bibbia in latino dal greco e dall’ebraico (per inciso: nonostante le numerose traduzioni latine della Bibbia che circolavano ai tempi di Girolamo, Wikipedia lo definisce “primo traduttore della Bibbia dal greco e dall’ebraico al latino”, il che la dice lunga sull’attendibilità dell'”enciclopedia libera”). Girolamo era talmente dedito allo studio degli autori classici, che – pare – un angelo gli apparve rimproverandolo: “Ciceronianus es, non Christianum” (“Sei un ciceroniano, non un cristiano!”). Ma forse è questo il motivo per cui l’autore dell’articolo mostra tanto rancore verso Girolamo: riflette su di lui l’odio per Cicerone. O su Cicerone l’odio per Girolamo?

Non contento, Marullo continua: «Lucrezio scegliendo l’epicureismo non farà nulla per ingraziarsi le amicizie dei potenti, non sceglierà certo l’opportunismo di Virgilio che canterà la gloria del suo imperatore (Ottaviano Augusto) e non sarà così sprovveduto come Ovidio che il suo imperatore offenderà (e dal medesimo Augusto sarà esiliato). […] Irriverente e lapidario Lucrezio ha parole che rasentano l’abrasività. Come quando […] ribalta le accuse di empietà rivolte alla filosofia epicurea dimostrando che piuttosto sono le credenze religiose e le superstizioni a condurre gli uomini a compiere le azioni più indegne, come il sacrificio della giovane Ifigenia, figlia di Agamennone immolata sull’altare con l’inganno (la promessa di sposare Achille) ad Artemide affinché la flottiglia greca partisse con il favore dei venti».

Qui raggiungiamo addirittura il paradosso: sul sito dell’UAAR si elogia Lucrezio perché diceva che la religione pagana era assurda e crudele! Ma allora perché all’interno dell’associazione di atei ci sono numerosi neo-pagani, per stessa ammissione di una dei membri dello staff  (lei stessa pagana)?  Misteri del razionalismo.

Salvatore Cammisuli

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Nuovo studio: aborto indotto aumenta il tasso di mortalità della donna

Tra i vari danni creati dalla cultura laicista (italiana e non), c’è quello di aver diffuso l’idea che l’aborto sia più sicuro del parto. Come già avvenuto per altri cavalli di battaglia, i promotori della disinformazione sono stati di nuovo contraddetti.

Un nuovo studio delle cartelle cliniche di quasi mezzo milione di donne in Danimarca, pubblicato sulla rivista Medical Science Monitor, ha rivelato infatti tassi di mortalità materna significamente più elevati a fronte di un aborto indotto. I ricercatori, hanno esaminato i tassi di mortalità a seguito della prima gravidanza di donne in età riproduttiva, e i grafici dei tassi di mortalità dopo 180 giorni, 1 anno e 10 anni dalla prima gravidanza.

I risultati delle ricerche hanno evidenziato tassi di mortalità significativamente più alti tra le donne che hanno abortito in ogni periodo di tempo esaminato; nel complesso, lo studio ha rivelato che le donne che hanno avuto aborti nel primo trimestre avevano un rischio di morte superiore dell’89% entro il primo anno, e un rischio superiore dell’80% nell’intero periodo preso in esame.

 

 

Esistono tuttavia ancora studi in cui viene rilevata la pericolosità del parto rispetto all’aborto, ad esempio quello pubblicato a febbraio dalla rivista “Obstetrics & Gynecology”, ma essi sono solitamente basati su singoli certificati di morte o da segnalazioni delle agenzie governative. Infatti, secondo il Dott. David Reardon, co-autore dello studio danese sopra citato, l’indagine su“Obstetrics & Gynecology” mette a confronto “mele e arance”, utilizzando serie decisamente incomplete ed incomparabili. Afferma Reardon : «I medici e gli altri funzionari che redigono i certificati di morte, non sono quasi mai a conoscenza di eventuali aborti della paziente. Lo studio da noi condotto, è attualmente l’unico modo per identificare e confrontare oggettivamente i tassi di mortalità associati all’esito della gravidanza». Del resto, l’imprecisione dei conteggi tradizionali riguardanti la morte associata alla gravidanza, è stata sottolineata anche da alcuni ricercatori che, nel 2004, hanno esaminato i dati dell’assistenza sanitaria nazionale in Finlandia, rilevando che  solo il 27% dei decessi associati ad una gravidanza poteva essere identificato dai certificati di morte.

Reardon ha anche sostenuto che questi risultati critici verso l’aborto vengono “soppressi” per motivi ideologici e politici: «Attivisti statunitensi ed europei, ONG ed ambienti accademici fanno pressioni sui Paesi in via di sviluppo per condurli ad una legalizzazione dell’aborto. Il loro obbiettivo, ampiamente documentato, è quello di ridurre i tassi di natalità tra i poveri; tale obbiettivo è stato mascherato dalla tesi “politicamente corretta” che afferma che l’aborto sia più sicuro del parto, e che esso rappresenti un elemento positivo per la salute delle donne. Qualsiasi prova che vada a minare le fondamenta di questa tesi, è quindi ostinatamente ignorata e soppressa».

Precedenti studi sui tassi di mortalità in Finlandia, hanno rilevato un triplice aumento del rischio di suicidio, rispetto alla popolazione generale, durante il primo anno dall’aborto, e un rischio di sei volte maggiore rispetto alle donne che hanno partorito. Il tasso di suicidio più alto è stato rilevato a due mesi dall’aborto. Studi condotti in California, invece, hanno rilevato una probabilità di malattie cardiache superiore del 187% rispetto alla norma; tale incidenza, è dovuta allo stress procurato dall’aborto. In questa pagina abbiamo elencato una serie di questi indagini scientifiche e varie notizie apparse sui quotidiani internazionali.

«Numerosi studi hanno messo in relazione l’aborto ad un consumo più elevato di sostanze, a comportamenti autodistruttivi, a ricoveri in ospedali psichiatrici, a disturbi del sonno, a disturbi alimentari, e ad un aumento generale di trattamenti medici», ha concluso Reardon.

Nicola Terramagra

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Il nuovo libro del filosofo Nagel: un altro duro colpo al neodarwinismo

 

di Enzo Pennetta*
*biologo

 

Dopo il libro di J. Fodor e M.P. Palmarini, “Gli errori di Darwin”, arriva un nuovo duro colpo per la teoria neodarwiniana, e anche stavolta giunge da un non credente. E così come la volta precedente, non proviene da un biologo, forse è un segno che la teoria è bloccata internamente da un super-paradigma, e che essa potrà essere messa in crisi solo dall’esterno.

Il titolo del nuovo libro di Thomas Nagel, docente di filosofia presso la New York University, è Mente  e cosmo: Perché la concezione materialistica Neo-Darwiniana della natura è quasi certamente falsa” (“Mind and Cosmos: Why the Materialist Neo-Darwinian Conception of Nature Is Almost Certainly False”, Oxford University Press), il messaggio non avrebbe potuto essere più dirompente.

Nagel è conosciuto sin dal 1974 quando per la «Philosophical Review» scrisse un articolo intitolato What is it Like to Be a Bat? contro il riduzionismo nelle scienze fisiche. Era dunque inevitabile che prima o poi affrontasse un argomento centrale in ogni dibattito sulla mente: la sua origine e quindi la teoria dell’evoluzione. Il libro di Nagel è essenziale e diretto, si tratta di un testo che affronta senza mezzi termini gli aspetti irrisolti della teoria neo-darwiniana ponendo precise domande che chiedono una risposta ai sostenitori della teoria, a pagina 5 troviamo ad esempio il seguente passaggio:  «Il riduzionismo fisico-chimico in biologia è la visione ortodossa, e ogni resistenza nei suoi confronti è vista come non solo come scientificamente scorretta, ma anche come politicamente scorretta. Ma da molto tempo trovo difficile da credere il racconto materialista di come noi e gli altri organismi esistiamo, inclusa la versione standard di come funzionino i processi evolutivi. Più dettagli impariamo sulle basi chimiche della vita e sulla complessità del codice genetico, più diventa non credibile il racconto standardizzato di come sia avvenuto».

Nagel conferma dunque quello che già da tempo andiamo dicendo: la critica al darwinismo incontra forti resistenze non tanto su basi scientifiche, ma in quanto è “politicamente scorretta”. Questa affermazione trova una forte conferma nella posizione assunta dal Consiglio d’Europa che ha deliberato in materia con un apposito documento sui “pericoli del creazionismo” (termine col quale si indica ogni obiezione alla teoria ortodossa). Ma nonostante le pressioni del “politically correct”, diventa sempre più difficile ignorare i dati scientifici che mettono sempre più in difficoltà la teoria, e col passare del tempo la mancanza di risposte soddisfacenti diventa sempre più difficile da giustificare.

Ma come dicevamo, ancora una volta la critica al darwinismo viene da una posizione non religiosa, non c’entra nulla il creazionismo, e così analogamente a quanto dovettero fare J. Fodor e M. P. Palmarini, anche Nagel deve fare la sua professione di ateismo per difendersi da quel tipo di accuse che bloccano in modo pretestuoso il dibattito: «Il mio scetticismo non è basato su credenze religiose, o nella credenza di qualche alternativa definita. Si tratta solo della credenza che le prove scientifiche disponibili, a dispetto del consenso dell’opinione scientifica, in questa materia non ci portano razionalmente a piegare l’incredulità del senso comune. E questo è particolarmente vero nel caso dell’origine della vita». E subito dopo aver fatto questa professione, Nagel affronta dunque il problema di una teoria alternativa a quella darwiniana, affermando che se essa non è ancora disponibile, quella attuale è comunque tanto insoddisfacente da non poter essere ulteriormente accettata.

Dopo aver affrontato argomenti come la mente e il riduzionismo, il libro di Nagel giunge infine alle sue conclusioni che inchiodano i sostenitori del neodarwinismo alla realtà dei problemi che affliggono la teoria: «In questo presente clima di dominante naturalismo scientifico, pesantemente dipendente dalla speculativa spiegazione darwiniana per ogni tipo di questione, e di attacco armato fino ai denti contro la religione, ho pensato che sia utile speculare su possibili alternative…. Una comprensione dell’Universo come fondamentalmente predisposto a generare la vita, e una spiegazione della mente che probabilmente richiede un forte distacco dalle solite forme di spiegazione naturalistica di quanto io adesso possa concepire»

Il darwinismo dunque non solo è una insoddisfacente spiegazione dell’origine delle specie, ma in quanto “-ismo” è ormai un’ideologia che permea ogni aspetto della realtà e che si propone come esplicativa di tutto. Un paradigma fondante della visione del mondo del “politically correct”, e che quindi è estremamente difficile mettere in discussione, ma ciononostante la conclusione del libro di Nagel non solo è ottimista, ma nella sua visione del futuro giunge ad essere impietosa verso lo stato attuale delle cose: «Le evidenze sperimentali possono essere interpretate per adattarsi a diverse teorie, ma in questo caso [della teoria neodarwiniana nda] il costo delle contorsioni concettuali e probabilistiche è proibitivo. Io sarei pronto a scommettere che l’attuale consenso dei benpensanti apparirà ridicolo in una o due generazioni (ovviamente potrebbe essere sostituito da un nuovo consenso anch’esso sbagliato). Il desiderio di credere degli uomini è inesauribile».

E’ difficile aggiungere altro alle parole conclusive di Nagel, se non che esse, insieme a quelle di Fodor e P.Palmarini, possono diventare un nuovo manifesto della critica al darwinismo e che per questo motivo devono essere diffuse e dibattute il più possibile.

P.S.
Segnaliamo sul sito web di Enzo Pennetta, Critica Scientifica, l’avvio dell’ottima iniziativa “Tavola Alta” in cui diversi docenti universitari si confronteranno sull’evoluzione biologica, consapevoli della necessità di una sua nuova interpretazione che la renda soddisfacente dal punto di vista scientifico, allontanandosi dall’assunto riduzionistico che malauguratamente la sostiene

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Smascherando le false citazioni attribuite a Sant’Agostino…

Se si ha la pazienza di navigare per un po’ in rete, aggirandosi tra i siti anticlericali ed anticristiani, si scoprirà ben presto (e con buona pace della libertà di pensiero di cui pretendono di ammantarsi gli autori) come abbondi il copia&incolla: gira e rigira, infatti, i contenuti sono sempre gli stessi, una serie di luoghi comuni e falsificazioni contro il cristianesimo e contro la Chiesa sistematicamente ripetuti come un mantra fino all’ossessione.

Uno dei più noti cavalli di battaglia è senza dubbio l’esposizione di un florilegio di citazioni attribuite a Padri e Dottori della Chiesa, che per l’assurdità e la ripulsa suscitata dai loro contenuti, dovrebbero immediatamente render manifesta la vacuità e l’inciviltà della religione cristiana, con tutti i suoi duemila anni di storia. Chiunque legga queste frasi dovrebbe porsi la domanda: se la religione cristiana non è allora altro che una tale accozzaglia di sciocchezze, come ha fatto a resistere e diffondersi per oltre duemila anni, ed essere ancora oggi accettata da tanta gente? Purtroppo nella maggior parte dei casi, questo interrogativo non emerge, accontentandosi di credere che la religione sia una cosa da ignoranti e incivili. Chi invece decide di andare a verificare sui testi dei rispettivi autori, scopre che queste attribuzioni sono falsificazioni, in pochi casi inventate di sana pianta e molto spesso frasi estrapolate da veri testi ed opportunamente alterate, così da poter mettere in bocca ai vari autori ciò che si vuole loro far dire. L’anti-cristianesimo (o ateismo moderno), non è mai riuscito a porsi positivamente perché privo di argomenti, ma può affermarsi solo in contrapposizione al Cristianesimo; ed in più, non avendo appunto buone ragioni da esporre, è costretto a inventare menzogne come unico mezzo dialettico a sua disposizione.

Un accanimento particolare è rivolto verso Sant’Agostino, proprio per la sua importanza nella Chiesa. In questa pagina abbiamo mostrato,  testi alla mano, cosa veramente abbia scritto il Dottore della Chiesa limitandoci ad una raccolta di testi che possa fungere da utile fonte primaria (al lettore interessato spetta l’eventuale approfondimento). Ne approfitteremo anche per mostrare come sia falsa l’immagine di Sant’Agostino nemico della donna e della sessualità.

 

Le false citazioni attribuite a Sant’Agostino

 
Francesco Santoni

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Gay, 14 milioni di italiani la pensano come Cassano. Che si fa?

Per aver detto la sua circa la possibilità di avere colleghi omosessuali, il calciatore Antonio Cassano – ai sensi dell’art. 11 bis del regolamento disciplinare – è stato multato dalla Uefa con 15.000 euro di ammenda. Giustissimo, avranno pensato in molti. Ora, tralasciando qualsivoglia considerazione nel merito, c’è un problema, anzi un grosso problema: milioni di italiani la pensano esattamente come il fantasista barese.

A dirlo è una fonte autorevole, l’Istat, che in La popolazione omosessuale nella società italiana”, report diffuso lo scorso 17 maggio 2012, ha reso noti gli esiti di una ricerca condotta sondando le opinioni di cittadini di età compresa tra i 18 e i 74 anni.

Cosa è emerso? Semplice: più dell’8% del campione considerato ritiene «per nulla accettabile» l’ipotesi di avere un collega omosessuale, il 9,5% esclude che accetterebbe di avere un omosessuale come superiore in ambito lavorativo, per il 28,1% è «per nulla accettabile» che vi siano medici omosessuali mentre addirittura il 41,4% del campione non ritiene tollerabile che un omosessuale possa fare l’insegnante elementare. Non finisce qui: secondo il 29,7% degli intervistati gli omosessuali dovrebbero nascondere il loro orientamento. Il che corrisponde sostanzialmente al Cassano pensiero, centrato sull’inopportunità, da parte degli omosessuali, di manifestare il loro orientamento:«Se ci sono froci, problemi loro».

Ora, quasi il 30% di un campione rappresentativo di cittadini tra i 18 e i 74 anni significa, approssimando, che circa 14 milioni di italiani la pensano come il calciatore multato. Di qui un dubbio: che si fa? Chiediamo a 14 milioni di italiani di tacere, di non dire ciò che pensano? Oppure introduciamo il reato di omofobia e aspettiamo di multarli tutti uno per uno? Anche perché se si chiedessero 15.000 euro a 14 milioni di italiani si incasserebbe la bellezza di 210 miliardi. Una somma stratosferica, equivalente a più del doppio di quello che l’Eurogruppo stanzierà per salvare la Spagna dal rischio default.  Dunque attenti, cari italiani, che se lo viene a sapere Monti siete fregati.

N.B.
La pubblicazione di questo articolo non significa in modo automatico che il suo autore o i responsabili del sito web intendano condividere le opinioni di queste 14 milioni di persone.

Giuliano Guzzo

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