I giri loschi dei Radicali e le firme sulle “delibere laiche” senza autenticazione

Quanti milanesi vogliono davvero l’eutanasia? Quanti le stanze del buco? Quanti la legalizzazione della droga leggera (per poi passare alla pesante)? Quanti l’eliminazione dell’obiezione di coscienza? Quanti vorrebbero i locali/quartieri a luci rosse in ogni comune?

Ben pochi, avranno risposto i membri del Partito Radicale, promotori ufficiali di queste “prelibatezze” offerte dalla cultura laica. Forse è per questo che -come dimostrano due filmati- durante le raccolte firme per la città di Milano a supporto delle loro ossessioni non si vede traccia di autenticatori, ma solo di militanti che invocano la laicizzazione dello Stato. Senza nessun pubblico ufficiale – per esempio un consigliere comunale – le sottoscrizioni ovviamente non sono valide, e Marco Cappato lo sa bene dato che a lungo ha contestato le firme irregolari a supporto dell’ultima candidatura dell’attuale governatore lombardo.

In entrambi i video, secondo l’inchiesta di “Libero”, non c’è traccia di un autenticatore, nemmeno dello stesso Cappato che essendo l’unico consigliere comunale radicale avrebbe potuto autenticare le firme (dato l’evidente conflitto di interessi la sua presenza sarebbe comunque risultata indifferente ai fini pratici). Nella registrazione si sente chiaramente l’autore del filmato chiedere perché non ci sia nessuno ad autenticare. La risposta: «Cappato è andato un attimo in bagno», guarda un po’ che coincidenza! Peccato che quest’attimo è diventato lunghissimo, tanto che sono arrivati due poliziotti e perfino la Digos. Il leader radicale si è presentato un quarto d’ora dopo. Sarebbe interessante fare l’esperimento di quante firme false si riescono a mettere in 900 secondi.

Ombre sui traffici loschi dei seguaci di Bonino & Pannella emergono anche dal recente “caso Florito”, l’ex capogruppo del PDL indagato per peculato. Si è infatti scoperto che Lidia Nobili, eletta nella lista Polverini e ora vice presidente commissione sanità alla Regione Lazio, ha presentato fatture da 160 mila euro per la società “Lallaria srl”, il cui amministratore unico è il militante radicale Paolo Campanelli, ex candidato sindaco nella provincia di Rieti. Il motivo di questo finanziamento è contenuto in una ricostruzione de “Il Fatto Quotidiano” (e de “Il Corriere”), dalla quale emerge la solita ipocrisia dei radicali: schierarsi pubblicamente contro le partitocrazie e poi contemporaneamente ricevere soldi per allearsi con un partito o con l’altro.

Non sappiamo se è per questi giri loschi o per i continui insulti verso il Quirinale che il presidente Napolitano ha pensato bene di ricevere una delegazione di esperti per trovare una soluzione al sovraffollamento delle carceri sbattendo fuori dalla porta la militante radicale Rita Bernardini che tanto ha sbraitato per questo problema. Probabilmente anche il Capo dello Stato ha capito, come rivelato dall’ex tesoriere dei radicali Danilo Quinto, che «il metodo radicale non ha nulla da spartire con la libertà e con la verità. Quel metodo non distingue tra mezzi e fini. A quel metodo, fondato sull’interesse, importano solo gli obiettivi da conseguire». Ai radicali interessa solo «coltivare nicchie di consenso elettorale. I loro proclami sulle carceri, ha spiegato l’ex amico e impiegato di Pannella, servono soltanto «per formare un bacino elettorale consistente e prezioso alla bisogna».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Anche l’Australia boccia le nozze gay

Dopo Germania, Polonia, Slovenia e North Carolina anche in Australia è stata respinta una legge che avrebbe legalizzato i matrimoni gay. Questa volta, al contrario dei precedenti casi, i quotidiani principali hanno deciso riportare la notizia, seppur in modo molto sintetico.

Il Parlamento australiano ha bocciato la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso con ben 98 voti contrari e solo 42 favorevoli. Per il “no” si sono espressi sia il premier laburista (non credente) Julia Gillard che il leader conservatore all’opposizione Tony Abbott. Il matrimonio, nel suo significato antropologico, rimane dunque preservato anche se in alcuni stati australiani sono permesse forme di unioni civili.

Gli attivisti per i diritti gay hanno definito la decisione “un schiaffo in viso” poiché evidentemente la lobby LGBT riteneva di essere riuscita a maturare abbastanza potere (economico e politico) anche nella cosiddetta “terra dei canguri”. Tuttavia i parlamentari di maggioranza sono stati autorizzati a votare il disegno di legge in base alle loro convinzioni personali piuttosto che su linee di partito (al contrario di quanto accaduto nel partito dei Verdi nel Regno Unito), questo ha contribuito all’importante risultato raggiunto.

Il dibattito sul disegno di legge ha visto svolgersi una discussione molto accesa nei giorni scorsi, culminata con  le dimissioni di un deputato liberale per aver paragonato il matrimonio gay al rapporto sessuale tra animali. Amenità del genere a parte, sulla questione si sono dette anche cose intelligenti, riassunte nella sottomissione di richiesta inviata nel maggio scorso da 150 medici e psicologi al Senato australiano con la quale si invitava ad opporsi alla legalizzazione del matrimonio omosessuale.

Su “Il Foglio”, nel frattempo, è stata posta la stessa domanda sulla legalizzazione delle nozze gay che ha visto la luce anche su questo sito web, formulata in questo modo: «Se il metro per attribuire la qualità di unione matrimoniale riconosciuta è quello dell’“amore”, non si capisce perché stupirsi del caso del Brasile, dove è stata da poco formalizzata la prima unione civile a tre, due donne e un uomo. E non si capisce nemmeno perché negare quel riconoscimento a un’unione incestuosa tra adulti, se c’è l’amore». Se infatti il criterio per legalizzare le nozze gay si basa sull’esistenza di un consenziente rapporto d’amore allora –come ha ricordato l’arcivescovo di Lione, cardinale Philippe Barbarin- perché discriminare la poligamia e i rapporti incestuosi privandoli di un’equiparazione al matrimonio eterosessuale?

Ovviamente si tratta di una semplice provocazione per far capire che la motivazione per offrire un riconoscimento ad una relazione sessuale dovrebbe essere differente dal mero sottolineare l’esistenza di una relazione romantica tra persone consenzienti, occorre infatti che tale relazione abbia alcune caratteristiche specifiche che la rendono unica e vitale per la società, come solo possono essere le relazioni tra l’uomo e la donna, basate sull’incontro equilibrato e naturale tra gli appartenenti dei due diversi sessi del genere umano, relazioni originalmente aperte alla vita e adatte naturalmente alla giusta e bilanciata accoglienza di un nuovo essere umano.

 

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Costantino e l’Editto di Milano: l’inizio della libertà religiosa

 

di Marco Fasol*
*professore di storia e filosofia

 

Ci stiamo avvicinando all’anniversario dell’Editto di Milano, promulgato dall’Imperatore Costantino nel 313 d. C. , e la stampa nazionale inizia ad occuparsi di questo evento veramente decisivo per la storia occidentale. Ho letto con interesse, al riguardo, l’articolo Perché Costantino scelse il dio dei cristiani?  Pubblicato su Il sussidiario net  del 26 agosto, a firma di Alfredo Valvo. Ricordo i contenuti assai diversi di tanta stampa laicista e di romanzi fuorvianti come il Codice da Vinci di Dan Brown. In quest’ultimo thriller, di successo mondiale, Costantino era presentato addirittura come il “responsabile” della divinizzazione di Gesù Cristo! Un’evidente deformazione ideologica che ci lascia intuire di quanta scarsa simpatia goda l’Imperatore Costantino agli occhi della cultura laicista. Cerchiamo invece di esporre con uno sguardo più oggettivo il grande contributo dell’Editto costantiniano, una vera pietra miliare per l’Occidente.

Semplifico la questione per rendere in modo più efficace la novità dell’Editto. Qual era il rapporto tra religione e politica nell’epoca precedente? Si può dire che in tutte le civiltà antiche vi era un legame molto stretto tra questi due ambiti della vita umana. Nell’antica Roma l’Imperatore era Pontifex Maximus e rappresentava dunque la massima autorità religiosa, oltre che ovviamente la massima autorità politica. Se noi guardiamo retrospettivamente la storia romana ritroviamo lo stesso schema. E’ impensabile nella civiltà romana una religione autonoma e indipendente dall’autorità politica. Lo storico Tito Livio ha fotografato bene la strutturale dipendenza della religione dal potere politico, definendola instrumentum regni. In altre parole l’Imperatore promuoveva ovunque il culto della sua persona nella consapevolezza che la sua divinizzazione costituiva un supporto importantissimo per imporre l’obbedienza ai suoi sudditi. Caio Giulio Cesare è stato il primo imperatore ad essere proclamato divino, dopo la morte. Poi, a partire da Ottaviano Augusto è diventato un titolo immancabile la divinità imperiale. Il divus Augustus, il divino Augusto era il titolo ricorrente in tutte le festività, in tutte le celebrazioni dei giochi imperiali, in tutte le città dell’Impero.

Il mito fondante la civiltà romana, da Augusto in poi, era quello della coppia divina di Marte – Venere, le cui statue venivano esibite in continuazione in tutte le occasioni di festività. E’ interessante notare, da un punto di vista storico, come tutte le grandi città d’Europa, del nord Africa e dell’Asia Minore avessero grandiosi anfiteatri che celebravano questo culto dell’Imperatore con grandiosi e terribili spettacoli gladiatori. Il Colosseo conteneva cinquantamila spettatori, l’Arena di Verona più di ventimila, così l’Arena di Arles e via via in tutto l’Impero. Lo spettacolo per eccellenza in tutti questi anfiteatri era quello che celebrava la divinizzazione dell’imperatore.  La coppia divina era sempre esibita accanto alla statua dell’Imperatore. E perché i cittadini dell’impero non si dimenticassero facilmente di questa fusione tra religione e politica, persino nelle monete era incisa l’immagine dell’imperatore con il titolo divino: Divus Augustus. Era questa l’iscrizione che è stata mostrata a Cristo nella celebre scena del tributo. Così, ogni volta in cui un cittadino dell’impero maneggiava una moneta, si ricordava del suo divino Augusto.

Se questa era la situazione, è facile immaginare anche il motivo forse principale delle persecuzioni ai cristiani. Naturalmente non pretendo di fare un’analisi storica puntuale e dettagliata, che del resto è stata fatta da eminenti storici; quello che mi interessa sottolineare è l’evidente incompatibilità tra il culto dell’Imperatore e il culto del Signore Risorto. Ovviamente la nuova religione non poteva accettare la sudditanza alla politica romana che era diventata una religione. E la politica romana non poteva accettare come religio licita una fede che rifiutava la divinità del capo politico.

Dopo quasi tre secoli di persecuzioni, finalmente con l’Editto di Milano, è cambiata per sempre la storia e la civiltà occidentale. La politica ha rinunciato ad essere pervasiva e totalizzante come lo era sempre stata, non solo nella civiltà romana, ma anche in quasi tutte le civiltà antiche, soprattutto in quelle orientali.  Riconoscendo la libertà di culto per i cristiani, l’Imperatore Costantino rinunciava alla pretesa di essere Pontifex Maximus, rinunciava al monopolio della religione, oltre che della politica.  E’ a partire da questa data che possiamo far iniziare dunque il diritto umano della libertà religiosa, riconosciuto solennemente nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (1948) ed ancor più solennemente affermato nella Dichiarazione Dignitatis humanae (1965) del Concilio Vaticano II.

Come si vede siamo tutti debitori di questo importante Editto di Milano che ha liberato la storia occidentale dalla soffocante tirannia della politica ideologica che presumeva di occupare tutti gli spazi della vita umana.  Tutte le volte in cui il significato etico e religioso di questo Editto è stato disatteso, abbiamo visto ripiombare la storia nelle tragedie dei totalitarismi, vere religioni della politica. Tutte le volte in cui è risuonata la voce della libertà religiosa si è rinnovata l’attualità di un Editto che ha cambiato la nostra storia. E’ interessante ricordare che questa svolta ha avuto come protagonista un Imperatore che ha concluso la sua esistenza facendosi battezzare. E’ forse per questo che Costantino non gode di grande simpatia da parte laicista? Forse c’è anche un altro motivo di questa scarsa simpatia: Costantino ha introdotto per primo l’obbligo della celebrazione pubblica della domenica. Così è entrata nell’Impero e si è diffusa in tutto il mondo, la scansione dei sette giorni settimanali e la celebrazione pubblica della dies dominica, in ricordo della prima domenica della storia: la Pasqua di risurrezione.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’UAAR si vergogna dei suoi fedeli e scarica il forum ufficiale

Nel 2010 il leader indiscusso dell’ateismo fondamentalista, il pensionato Richard Dawkins, è dovuto intervenire sul suo sito web e corrispettivo forum dopo essersi accorto dei continui e violenti insulti gratuiti che venivano rivolti verso i credenti, in particolare cristiani. Ha deciso così di moderare i suoi fedelissimi, pubblicando questo avviso: «Gli utenti sono da ora in poi pregati di presentare soltanto nuove discussioni che siano davvero rilevanti per la ragione e la scienza». Le reazioni degli utenti atei sono state di una violenza inaudita, arrivando a minacciare e augurare la morte al povero ex zoologo, il quale ha commentato desolato: «c’è del marcio nella cultura dello sfogo su Internet».

Una cosa abbastanza simile è accaduta al riferimento italiano dell’ateismo fondamentalista, ovvero l’associazione UAAR. Da quest’estate è infatti sparito dal suo sito web il collegamento al forum ufficiale dell’associazione, è quasi impossibile accedervi se non attraverso i motori di ricerca di internet (anche se, una volta trovato, sul forum rimane il logo dell’UAAR e la scritta: “Forum di UAAR.it”). La conferma arriva da un thread comparso a giugno nel forum, intitolato “Importante: la UAAR scarica il suo forum. Questo”. Il primo commento spiega la situazione: «Una decisione della dirigenza UAAR stabilisce che il presente forum non sarà più ospitato dalla UAAR e non avrà più alcun collegamento ad essa. Pare che la scelta sia dovuta ad una questione di immagine: taluni di passaggio di qui pensano erroneamente che il forum coincida con le posizioni ufficiali della UAAR, quindi la UAAR, per evitare questo grave fraintendimento, non pensa nulla di meglio che scaricare il forum. P.S.: non è uno scherzo».

Le reazioni degli utenti –come si può parzialmente vedere– non si sono fatte attendere. Moltissimi -ancora una volta- hanno annunciato l’intenzione di stracciare la tessera associativa (si, perché per sentirsi atei razionalisti e appartenere ad una associazione che si autodefinisce “confessione religiosa” bisogna pagare!). Molti altri hanno confermato il loro pessimo giudizio e l’insofferenza verso le alte gerarchie dell’UAAR, ironizzando pesantemente sull’associazione e lamentandosi del completo disinteresse verso i propri associati, considerati gregge utile ad aumentare la propria visibilità (dopo 24 anni di presenza militante in Italia ancora sembrano in fase di partenza!). La questione principale dibattuta è proprio la mancanza di democrazia interna, sintetizzata in questo intervento: «Inutile sottolineare che in una associazione democratica, e la democrazia è il presupposto della laicità, una decisione del genere andrebbe messa ai voti fra tutti gli associati. Ma dirò di più: nel caso gli associati la bocciassero, i promotori della proposta, cioè gli attuali dirigenti, dovrebbero prenderne atto e farsi da parte». Un altro utente ha risposto: «Questo non è accaduto e non accadrà perché evidentemente la dirigenza UAAR se ne fotte della democrazia». E ancora: «l’UAAR oltre a non aver interpellato i soci, non ha nemmeno provveduto a fare adeguata informazione agli utenti di questo forum. Questo la dice lunga sulla considerazione che hanno dei soci e degli utenti del forum». Anche un ex militante in prima linea del circolo romano uaarino ha le idee ben chiare«Posso garantirti personalmente che la dirigenza se ne strafrega di qualunque nostra intenzione, buona o cattiva che sia. Come dici tu: te lo posso assicurare avendoci parlato di persona. E’ e resta un problema di democrazia interna e soprattutto di “controllo”. E Sua Maestà La Dirigenza vuole solo Sudditi, non Cervelli Pensanti».

L’utente “alec” ha avuto il merito di aver fatto emergere per primo quella che sembra essere per molti la vera motivazione di questa sorprendente scelta dei responsabili dell’associazione. Ha scritto infatti: «non basterebbe cancellare la discussione su Casapound che evidentemente tanto fastidio ha dato alla dirigenza?». Un secondo utente ha affermato: «Già in gennaio ho inteso prendere le distanze dall’associazione a causa del modo dozzinale e cialtrone con cui fu gestita la questione romana, per cui non posso stracciare una tessera che ho volutamente non rinnovato cinque mesi fa. Ma se potessi lo rifarei». Ma cos’è questa “questione Casapound”, detta anche “questione romana”? Ce ne siamo occupati a lungo anche a noi, come si può approfondire qui: il circolo principale dell’UAAR, quello di Roma, ha pensato di contattare i neofascisti di Casapound per proporre loro lo “sbattezzo” e probabilmente organizzare assieme degli eventi in cui presentare tale amenità, come è stato fatto per parcondicio anche con il centro sociale Acrobax, considerati gli “sfasciavetrine” di Roma per la loro partecipazione ad atti di terrorismo urbano e per usare il loro centro sociale come nascondiglio per le armi dei Blac Block (nello stesso edificio, l’ex cinodromo di Roma, l’UAAR ha presentato l’iniziativa “sbattezzo”). Tornando alla “questione Casapound”, Massimo Maiurana –membro del Comitato del Coordinamento dell’Uaar, nonché responsabile della comunicazione interna dell”associazione- ha giustificato l’iniziativa affermando: «va detto che casapound non è un’organizzazione violenta come lo sono altre, è un’organizzazione che qualche volta e’ stata coinvolta in episodi quantomeno discutibili, ma mi pare abbia fatto anche altro».  Questa è dunque la vicenda che (anche dopo il nostro interessamento) grande disagio ha creato tra i soci e la dirigenza.

Occorre dire che uno degli amministratori del Forum ufficiale dell’UAAR si è degnato di intervenire, escludendo che con lo “scaricamento” del forum si voglia insabbiare la “questione Casapound”, concludendo la spiegazione con una frecciatina spocchiosa verso gli utenti del suo Forum: «e ora stracciatevi pure le vesti», che altro non ha fatto se non aumentare le polemiche. Le parole del responsabile non hanno comunque convinto nessuno: «Di che cosa abbiamo paura (domanda da socio)? O meglio, a chi sta sulle scatole il forum (ri-domanda da socio)?», sono tornati a domandarsi gli utenti. Un altro ha tirato delle conclusioni personali: «o non sopportano l’opposizione interna (vedi casapound) e vogliono “sterilizzarla”…e allora sono poco democratici;  oppure hanno delle capacità di programmazione strategica e di marketing (senza offesa) davvero limitate…ma sono tutti politici del PD per caso?». Stupisce osservare anche la presenza di un moderatore del Forum UAAR, tale “Boris”, prendere in giro l’associazione: «aspettiamo solo che gli augusti dirigenti ci dicano in quale riserva indiana dobbiamo pacificamente sloggiare, come e quando, e togliamo il disturbo. Dopodichè, ognuno farà come vuole […]. In ogni caso quando tutto ciò andrà in porto straccerò la tessera dell’Uaar, me ne terrò scrupolosamente alla larga e farò di tutto perchè tutti quelli che conosco facciano altrettanto».

«Il problema è che in questo forum c’è una discussione in cui la dirigenza rimedia una figura barbina», ha commentato un utente molto attivo. «Questo in teoria non dovrebbe essere un problema. Ma che viceversa sia un problema, anzi sia il problema, lo si evince senza ombra di dubbio ricordando che questa dirigenza è la stessa che trova inaccettabile l’idea che un coordinatore di circolo si iscriva a titolo personale ad un blog ad essa non gradito! Se quella iscrizione fu insopportabile, figuriamoci la discussione su Casapound qui sul forum». Ecco che viene dunque sollevata una seconda questione, oltre quella “casapound”, ovvero l’epurazione di un gruppo di responsabili regionali per ridicoli motivi, come appunto la semplice iscrizione di uno di questi ad un blog critico verso la dirigenza UAAR. Una battuta di un utente riassume l’imbarazzo della dirigenza UAAR verso il suo forum: «Mi ricorda il comportamento di quei bambini che stanno perdendo a calcio e allora pigliano e si portano via il pallone».

Verso la fine del thread l’intervento di un moderatore chiarisce un po’ le cose: l’UAAR vuole sganciarsi dal forum perché «il peso delle discussioni interessanti vs. caciara/OT/trollaggio/insulti/battibecchi è enormemente spostato verso questi ultimi». Proprio come accaduto al forum legato al sito web di Richard Dawkins, anche la dirigenza UAAR è arrivata dunque a vergognarsi dello scadente livello di maturità ed educazione dei suoi fedelissimi, alla faccia della tanto sbandierata razionalità e tolleranza “laica”. A conferma di tutto questo, basta infatti leggere gli onnipresenti insulti reciproci tra gli stessi utenti uaarini sul forum, tanto che il moderatore è stato costretto ad intervenire nuovamente per chiudere definitivamente il thread di discussione, diventato una guerra tra utenti. Spettacolo davvero deprimente (di cui vi risparmiamo il dettaglio) per chi ha dovuto leggersi le 54 pagine di discussione sul forum dell’UAAR.

Tuttavia, come hanno intuito alcuni utenti, è possibile che la dirigenza UAAR abbia scaricato il forum sia per aver capito che lasciare esprimere i propri seguaci in modo pubblico è controproducente rispetto all’immagine di serietà e tolleranza che vorrebbe cucirsi addosso (meglio tenere tutto all’interno), sia perché in questo modo possono prendere le distanze da un mezzo di comunicazione ormai divenuto troppo scomodo, tramite il quale i responsabili vengono continuamente criticati dall’interno. Proprio grazie al forum, infatti, è stato possibile che i membri e simpatizzanti dell’UAAR si avvertissero tra loro degli intrallazzi dell’associazione atea con Casapound, delle purghe dei dirigenti eretici e di tante altre “brillanti” decisioni prese dalla dirigenza.

 

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

A proposito dell’anima, risposta a Chiara Lalli

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Fortunato Tito Arecchi, Professore emerito di Fisica presso l’Università degli Studi di Firenze e Scientific Associate dell’Istituto Nazionale di Ottica (INO) del CNR, di cui è stato Presidente dal 1975 al 2000. E’ inoltre Fellow della Optical Society of America e membro della Academia Europaea e della Academie Internationale de Philosophie des Sciences. Vincitore del Premio Max Born 1995 e del premio Enrico Fermi 2006, è autore di oltre 400 pubblicazioni scientifiche e dei volumi “I simboli e la realtà(con la moglie Iva, JacaBook 1991), Caos e Complessità nel vivente (IUSS Press-Pavia 2004), e Coerenza Complessità Creatività (Di Renzo Editore 2007)»

 

di Fortunato Tito Arecchi*
*docente di Fisica presso l’Università degli Studi di Firenze

 

In un intervento del 6/9 u.s. sul Corriere della Sera, Chiara Lalli, recensendo l’ultimo libro di Edoardo Boncinelli, afferma che le neuroscienze hanno reso irrimediabilmente superflua la nozione di anima e segnato definitivamente la fine del dualismo tra mente e corpo.

E’ opportuno esplorare i termini del problema prima di accettare dichiarazioni così perentorie, dobbiamo cioè aver chiaro di che cosa stiamo parlando, per evitare di cadere in equivoci. Nel parlare di ogni giorno, chiamiamo “anima” quell’insieme di operazioni che sembrano esclusivamente umane e che ci distinguono dagli altri animali. Sappiamo di avere in comune con gli altri animali nascita e morte, respirazione e nutrizione, salute e malattia; ma il linguaggio articolato – nelle sue varie forme: verbale, musicale, visivo – risulta essere esclusivamente umano.

Abbiamo emozioni in comune con gli altri animali, quando ad esempio reagiamo a particolari stimoli sensori per difesa; ma conosciamo particolari classi di emozioni che ci nascono dal confronto fra brani diversi di un discorso (letterario, musicale, figurativo) cioè fra una percezione immediata ed una precedente codificata in un linguaggio e richiamata dalla memoria. A questo tipo di emozioni puramente umane riserviamo nomi particolari; ad esempio alcune le chiamiamo “estetiche”, altre “mistiche” e così via.
Genericamente parliamo di ”anima” e con questo termine traduciamo termini equivalenti in uso in altre lingue (Greco, Ebraico, ecc).

Con la filosofia greca, è nata la nozione di “sostanza” cioè di cosa che sussiste in sé, senza bisogno di “appoggiarsi” a qualche altra cosa, come invece ad esempio, il rosso di un fiore. Per Platone l’anima era una sostanza autonoma rispetto al corpo ( punto divista dualista), per gli epicurei invece (si ricordi il De rerum natura di Lucrezio) esistono solo i corpi formati di particelle elementari (monismo). Aristotele criticò entrambi questi punti di vista e introdusse una nozione che diremo “duale”: l’anima umana è specifica degli uomini perché ne configura (cioè “forma”) la materia corporea rendendola umana e non –che so io- canina o cavallina, ma non è una sostanza preesistente. Nel cristianesmo si crede- partendo dalla Resurrezione di Gesù- alla resurrezione finale dai morti, in anima e corpo, senza ancorarsi ad un punto di vista filosofico. Questo ha permesso di accettare interpretazioni filosofiche disparate: ad Agostino di sentirsi vicino a Platone, mentre Tommaso d’Aquino – e con lui il filone centrale della teologia cattolica-ha accettato l’interpretazione duale. Resta oscuro che cosa faccia l’anima dopo la morte e prima della resurrezione finale. E’ però ingenuo fantasticare sui milioni di anni che separano la vita attuale dal giudizio finale. In effetti, la nostra nozione di “tempo” è legata al moto, cioè ai corpi; non abbiamo alcuna idea di che cosa sia il tempo in assenza di corpi.

Dopo questa premessa, in epoca moderna Cartesio esordì con un dualismo: anima e corpo sono due sostanze separate. Ma siccome la scienza parla esclusivamente del ruolo dei corpi, si presume che essa sia in grado di descrivere tutto quanto vediamo, comprese quelle emozioni dell’anima con cui abbiamo aperto il discorso. In termini moderni, parleremo di “riduzionismo naturalistico” dove la “natura” viene identificata con la collezione di particelle che esploriamo in laboratorio. Questo sembra l’ovvio sviluppo di una fisica nata con Newton nel ‘600. Ma a turbare l’armonia di questo schema semplicistico è arrivata la fisica quantistica: ogni atto di misura introduce una “novità”. Domanda a cui non sappiamo rispondere: questa “novità” era già presente negli oggetti osservati, o è stata introdotta come un “disturbo” dall’osservatore? Non avendo una risposta e non potendo più ricorrere alle semplificazioni pre-quantistiche, dobbiamo accettare , come dice René Thom, una “fisica dei significati” che va oltre il semplicismo newtoniano; si tratta di una riscoperta della nozione di forma (cioè di Aristotele!) che l’ingenua bipartizione cartesiana aveva tolto di mezzo. Orbene, nelle operazioni linguistiche in cui cogliamo i significati- e da cui siamo partiti per introdurre la nozione di anima- ci troviamo esattamente nelle stessa situazione .

Per concludere, con buona pace dei ”naturalisti” l’anima rimane un problema: da un lato (contro il monismo) con gli apparati sviluppati dalla scienza non riesco ad “attrezzare” con significati una collezione di particelle; dall’altro (contro il dualismo) mi risulta priva di senso fisico la nozione di un’anima separata; pertanto, mi qualifico come “duale”. Si dirà: e gli angeli? Risposta : è uno stretto argomento di fede, sottratto a putativi protocolli di misura. Queste brevi considerazioni mostrano che è prudente non parlare di cose su cui non si abbiano ricette precise di intervento, come ben diceva Ludwig Wittgenstein“Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Gesù aveva una moglie? Uno scoop “alla Corrado Augias”

Il Dan Brown de noantri, ovvero l’ateologo-tuttologo Corrado Augias, ci ha abituato a incredibili scoop sui Vangeli e su Gesù. Frequentemente insiste nel ripetere che «Gesù aveva dei fratelli», interpretando grossolanamente il termine “adelfòi” presente nei Vangeli, che in realtà significa “cugini”. La «cialtroneria dell’approccio di Augias» nel realizzare il suo infelice libro “Inchiesta sul cristianesimo” (Mondadori 2008), come ha commentato il filosofo Costanzo Preve, parlando del «libello del giornalista dilettante romano», lo ha perfino portato  a sostenere che il primo martire, Santo Stefano, in verità non è stato lapidato dai giudei e liberti romani, ma dagli stessi cristiani, incolpandoli per questo omicidio.

Così quando su alcuni quotidiani si è letta la notizia della scoperta di un frammento di papiro contenente la frase “Gesù disse loro: mia moglie…” in molti hanno pensato all’ennesimo tentativo di Augias di attirare un po’ di attenzione. E invece no, l’ateologo di “Repubblica” non c’entra, il frammento (grande come un biglietto da visita) scoperto è risalente al IV secolo dopo Cristo, scritto in lingua copta, la cui fonte ha voluto rimanere anonima e la cui provenienza è misteriosa. E’ stato presentato nei giorni scorsi da Karen Kingdocente della Harvard Divinity School, esperta di “gnosticismo” ed in esso compare appunto, tra le altre, la frase: “Gesù disse loro: mia moglie…” e poi “lei sarà in grado di essere mia discepola”.

Ovviamente non ci sarebbe nulla di compromettente se Gesù avesse avuto una moglie, come alcuni apostoli -tra cui Pietro- avevano, lo ha ricordato giustamente Ken Schenck, preside del Wesley Seminary in Indiana e docente di Nuovo Testamento presso la Wesleyan University e anche John Byrondocente di Nuovo Testamento presso l’Ashland Theological Seminary. Se Gesù fosse stato sposato, affermano molti autorevoli biblisti, gli evangelisti lo avrebbero semplicemente scritto.

La stessa docente ha comunque affermato che nulla di questo frammento del IV° secolo autorizza a dargli credito storico, insistendo sul fatto che «non dovrebbe essere considerato come la prova che Gesù, in quanto persona storica, è stato effettivamente sposato», come non hanno credito storico (né pretendono di averlo) i numerosi vangeli apocrifi e gnostici. «Il testo è stato scritto probabilmente secoli dopo la vita di Gesù, e tutta la prima letteratura cristiana storicamente attendibile tace sulla questione». Tuttavia, in molti si sono già gettati sulla scoperta per valorizzare quella corrente di pensiero bene espressa da Dan Brown nel suo Il codice da Vinci: il matrimonio di Gesù, i suoi figli e la dinastia segreta. Giovanni Filoramo, ordinario di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Torino ha spiegato che «il Vangelo di Giuda», quello «su cui ha lavorato proprio la dottoressa King che studia il nuovo frammento di papiro in cui Gesù parla di sua “moglie”, non ci dice niente su Gesù, ci dice soltanto alcune cose sui cristiani gnostici. È utile per capire il loro pensiero»Giorgio Paximadi, ordinario della Facoltà teologica di Lugano, ha spiegato«Prima di tutto siamo di fronte ad un frammento senza nessun contesto archeologico e chiaramente non può darci informazioni su Gesù, ma siamo di fronte a una testimonianza delle sette gnostiche del II secolo e di come queste siano sopravvissute in Egitto fino al IV secolo. Di frammenti così fatti se ne troveranno altri nel futuro, e mettendoli insieme si potrebbe scrivere un romanzo fantasy». Armando Torno ha spiegato che si tratta di uno scoop vecchio, già confutato perché l’originale copto indica “collaboratrice” o “compagna di lavoro” più che “moglie”.

Ben Witherington, uno studioso del Nuovo Testamento presso l’Asbury Theological Seminary, ha spiegato che la dottoressa King è una sostenitrice del «Vangelo di Maria e del Vangelo di Giuda, che ci raccontano la prime esperienze cristiane di vario genere, in particolare di tipo gnostico», lo stesso frammento trovato «potrebbe contribuire allo studio dello gnosticismo nel secondo o quarto secolo, ma mentre questo frammento è interessante, si tratta di molto rumore per nulla se siete interessati al Gesù storico». Inoltre, «il documento segue lo schema dei testi gnostici durante i periodi monastici dei secoli secondo, terzo e quarto, in cui il linguaggio dell’intimità è stato usato per parlare di rapporti spirituali. In considerazione del carattere prevalentemente ascetico dello gnosticismo, è probabile che abbiamo a che fare con il fenomeno della “sorella-moglie”, e il riferimento è ad un rapporto strettamente spirituale, vicino ma che non coinvolge l’intimità sessuale». Anche Antonio Socci, autore di un bellissimo e recente libro sulla storicità del cristianesimo “La guerra contro Gesù” (Rizzoli 2012),  ha ricordato che «la questione di Gesù sposatodel ruolo degli uomini e delle donne, anche l’aspetto sessuale della vita di Gesù è notoriamente un tema attinente alla religione gnostica, e dunque una questione puramente ideologica». Si è anche giustamente lamentato che «si ignorano le scoperte veramente straordinarie e clamorose che riguardano i vangeli canonici, tipo il papiro del vangelo di Giovanni che è stato trovato pochi anni fa e che riporta il vangelo all’età apostolica, demolendo tutte le illazioni e i teoremi costruiti su di esso in quanto vangelo apocrifo» e «si allestisce questa fiera del frammento apocrifo, quando sappiamo benissimo che i cosiddetti vangeli apocrifi o vangeli gnostici si distanziano anche secoli dai vangeli canonici».

Jim West, biblista presso la Quartz Hill School of Theology, ha spiegato che finché aleggia tutto questo mistero attorno al frammento, rispetto alla provenienza e alla fonte anonima sopratutto, esso «non è niente di più di una dichiarazione di nulla, senza contesto sostanziale è di nessuna utilità. Le uniche persone che accettano artefatti senza provenienza sono coloro che fanno gli spettacoli per Discovery Channel»Wolf-Peter Funk, un professore e noto linguista presso la Laval University del Quebec, che ha co-diretto il progetto di modifica francofona della biblioteca copta di Nag Hammadi, ha messo in dubbio l’importanza della scoperta ricordando che «ci sono migliaia di frammenti di papiro dove si trovano cose folli, può essere qualsiasi cosa». Ha poi dubitato anche l’autenticità stessa, dicendo che la forma del frammento è “sospetta”. Anche Stephen Emmel, professore di Coptology presso l’Università di Muenster, membro del gruppo consultivo internazionale che ha rivisto nel 2006 la scoperta del Vangelo di Giuda, ha messo in dubbio l’autenticità del documento: «C’è qualcosa in questo frammento nel suo aspetto e anche nella grammatica del copto, che mi sembra essere in qualche modo non del tutto convincente».  Alin Suciu, papirologo presso l’Università di Amburgo, è stato più schietto: «direi che è un falso. La scrittura non sembra essere autentica rispetto ad altri campioni di papiro copto risalenti al 4° secolo».

«Ci sono un sacco di cose davvero dubbie su questo», ha commentato David Gill, professore di archeologia presso l’Università Campus Suffolk ed esperto del commercio illegale sull’antichità. «I responsabili accademici dovrebbero mantenere le distanze da esso»L’Institute of America, per esempio, si è rifiutato di pubblicare articoli sul suo giornale circa la scoperta di reperti antichi privi di una provenienza certificata. Hany Sadak, il direttore generale del Museo Copto del Cairo, ha affermato che l’esistenza del frammento era sconosciuta alle autorità egiziane fino a quando la notizia è emersa sui quotidiani: «Personalmente ritengo, come ricercatore, che il frammento non sia autentico perché, se fosse stato in Egitto, lo avremmo conosciuto e ne avremmo sentito parlare». Opinione condivisa da Larry Rothfield, docente presso l’Università di Chicago. Francis Watson, docente di Teologia biblica presso la Durham University ha ampiamente spiegato, traducendo le parole visibili sul reperto, perché il frammento dev’essere considerato un falso. Di “falso moderno” hanno parlato anche due eminenti papirologi: Roger Bagnall dell’Università di New York, AnneMarie Luijendijk, dell’Università di Princeton e il coptologo Ariel Shisha-Halevy dell’Università di Gerusalemme. James R. Davila biblista dell’Università di St Andrews afferma ironico: «Insomma, ci troviamo di fronte a un frammento che, fortuna delle fortune, preserva esattamente – ma proprio esattamente – le parole che vorremmo vedere sulle labbra di Gesù in un antico frammento evangelico».

E’ importante notare comunque che -se questo frammento dovesse in futuro risultare autentico- l’unica cosa che proverebbe è che l’autore di questo testo, scritto secoli dopo il tempo di Gesù, credeva che Gesù fosse stato sposato (intimamente o spiritualmente con qualcuno). Infatti la stessa studiosa King, intervistata da “Repubblica” (che non vede l’ora di una feroce «reazione ufficiale della Chiesa cattolica») ha spiegato che il frammento può solo «fornire la prova che fra i primi cristiani [siamo nel IV secolo…difficile parlare di “primi” cristiani, nda] alcuni credevano che Gesù fosse sposato. Era dunque già presente un dibattito sulla questione se dovessero sposarsi e avere rapporti sessuali». La cosa interessante, notata da Antonio Socci, è che «coloro che oggi contestano il celibato ecclesiastico lo fanno dicendo che è solo una legge canonica che non ha mai avuto valore dal punto di vista teologico o spirituale. Invece è una legge canonica che ha le radici nella vita apostolica. Se dicono che nel IV secolo c’era un dibattito in corso sul celibato dei preti», valorizzando l’autenticità di questo frammento, «si contraddicono e confermano che ha ragione la Chiesa».

 

AGGIORNAMENTO 23/09/12
Kevin J. Madigan, membro del Comitato redazionale dell’“Harvard Theological Review”, ha comunicato la decisione, da parte della rivista, di rimandare la pubblicazione del contributo ufficiale di Karen L. King sulla scoperta del frammento, fino a quando non vi saranno elementi sufficienti per supportarne ragionevolmente l’autenticità.

AGGIORNAMENTO 26/09/12
Sul sito web “Libertà e Persona” sono state riportate le parole della studiosa Karen L. King contenute in un reportage esclusivo scritto da Ariel Sabar per lo “Smithsonian Magazine”. In esso emerge chiaramente l’intenzione faziosa della King nel presentare questo frammento: «Come mai solo la letteratura che afferma che [Gesù] era celibe è sopravvissuta? E tutti i testi che mostrano che aveva una relazione intima con la Maddalena o che era sposato non sono sopravvissuti? E’ una casualità? O è per via del fatto che il celibato è divenuto un ideale per la Cristianità?». E aggiunge che il documento «mette in dubbio l’intera affermazione cattolica che il celibato sacerdotale sia basato sul celibato di Gesù. Loro dicono sempre ‘questa è la tradizione, questa è la tradizione’. Ora vediamo che questa tradizione alternativa è stata messa sotto silenzio. Ciò che mostra [questo testo] è che ci sono stati dei primi cristiani per i quali le cose non stavano così, che potevano comprendere invero che l’unione sessuale nel matrimonio poteva essere una imitazione della creatività e della generatività di Dio e poteva essere spiritualmente giusta e appropriata». E fin troppo evidente l’intento ideologico.

AGGIORNAMENTO 24/10/12
Un accademico dell’Università di Oxford, Andrew Bernhard, ha scoperto la presenza di un errore di battitura sul documento, già presente in uno degli esemplari elettronici più diffusi del Vangelo di Tommaso. Ha quindi sostenuto che il frammento si tratti di una banale copia prodotta artificialmente.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Doreena Paz: “il mio percorso, dall’omosessualità alla conversione”

http://relationshipplaybook.com/wp-content/uploads/2010/08/Sad-Woman.jpgEntrata nel mondo gay 15 anni, a diciasette, aveva già perso la voglia di vivere ma ora, vent’anni dopo, è in procinto di sposare un uomo. È la storia di Doreena Paz, recentemente pubblicata in esclusiva su ReligionEnLibertad.com e qui riportata per la prima volta in italiano.

L’infanzia e la depressione.
In principio, i primissimi ricordi omosessuali risalgono all’epoca in cui Doreena aveva 5 anni, «ricordo mi piaceva una mia coetanea vicina di casa e in quel periodo, mi piacevano anche alcune ragazze del mio quartiere», racconta. Fu, tuttavia, solo dieci anni dopo che realizzò completamente le proprie tendenze sessuali, scoperta che precederà una forte crisi religiosa e d’identità che la porterà alla depressione. «Non riuscivo a risolvere il conflitto», racconta,  «ricordo che chiamai i miei genitori e gli dissi tutto. Ma nessuno aveva idea di cosa stesse succedendo […] Ho sofferto in silenzio per mesi, confinata nella mia stanza». Lo psicologo da cui la portarono, «in linea con le correnti psicologiche attuali», dichiarò si trattasse “varietà sessuale” e sebbene i suoi ragionamenti non convincessero particolarmente Doreena, non le restò che credergli e quietarsi la coscienza.

La fuga e il sadomasochismo.
Poco dopo, seguì il periodo delle discoteche e dei locali gay – fu lì che conobbe Martina, lei «aveva trent’anni ed io quindici, con tutto quello che può implicare». In seguito alla degenerazione della situazione familiare che diventava, di giorno in giorno, più insostenibile, «carica di stupida ingenuità, presi le mie cose e andai a vivere con Martina». Ma le cose non migliorarono, anzi. Martina, «non era così buona come pensavo», ma portava con sé problemi d’alcolismo e una gelosia morbosa. Due anni dopo, nel cui frattempo la relazione era arrivata ai limiti del sadomasochismo, un violento litigio pose fine alla convivenza, «non la rividi ma più».

Il primo “matrimonio”.
Diciannovenne, Doreena conobbe Erika, mamma peraltro di una bambina, Julieta. «Fu, come, trovare il calore di una casa dopo tanto freddo e cinismo», racconta, tant’è che «presto diventammo spose e organizzammo un piccolo matrimonio tra amici». Ma il “matrimonio” non durò a lungo. Dopo il primo anno, Doreena scoprì che veniva considerata come una domestica dalle mamme della classe di Julieta, «questo mi ha infastidito molto […], sentivo il bisogno di essere madre». Non passò molto che la relazione fu troncata, «non riuscivo a credere che l’amore era così banale nel mondo gay. Ho sentito una grande delusione». Nel frattempo, una verità si andava insediando nella testa di Doreena, i bambini necessitano di un padre e di una madre – una convinzione maturata attraverso l’esperienza con Julieta. La quale, mai conobbe una figura maschile in famiglia e «quando la madre non c’era, ogni tanto l’afferrava una tristezza enorme, che conoscevo solo io: sentiva terribilmente la mancanza del padre».

La svolta e la conversione.
Risolta la complicata separazione con Erika, Doreena tornò a vivere, «stanca della vita», con i suoi genitori. «Tutto sembrava inutile, privo di senso. Sentivo di aver perso i miei anni in qualcosa che, ovviamente, non poteva finire bene». Ma da lì a poco, tra alti e bassi, ci sarebbe stata la svolta: «Ho iniziato a leggere la Bibbia, […] ad andare in chiesa […] e partecipare alle attività pastorali». Tagliati tutti i collegamenti con l’ambiente omossessuale, due anni dopo, decise d’entrare in terapia riparativa per la cura dell’omosessualità, i cui progressi, «a piccoli passi, lenti ma sicuri», non si sono fatti attendere. «Ora, […] Non mi sento vuota. Mi sento in pace con Dio. Sono fidanzata con una persona che mi ama e, se Dio vuole, ci sposeremo. […] Dio ci precede, sempre avanti, senza mai perdere la speranza», conclude Doreena.

 

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’attore omosessuale Everett: «niente di peggio di due genitori gay»

Fin troppo facile per la lobby LGBT bandire una crociata contro chi osa esprimere un’opinione personale contraria al mainstream omosessualista imposto nei media, in quel caso basta citare il pensiero dell’icona gay Mario Mieli secondo cui gli eterosessuali convinti, cioè coloro che non vogliono avere a che fare con «il frocio e con la donna repressi dentro di lui», sono individui castrati, «adulti “monosessuali”, repressi, intrinsecamente omofobi e per questo votati alla guerra», e il gioco è fatto. 

Più difficile invece far scattare la selvaggia reazione mediatica quando a dichiararsi contrarie all’ideologia LGBT sono persone dichiaratamente omosessuali.  Fortunatamente non sono pochi i “liberi pensatori”, l’ultimo in ordine cronologico è stato l’attore britannico Rupert Everett, protagonista in “Il matrimonio del mio migliore amico” e “Shakespeare in Love”, dichiaratamente gay dall’inizio della sua carriera. Intervistato di recente da Sunday Times Magazine ha raccontato che sua madre avrebbe sempre voluto vederlo sposato con una donna, magari con dei figli perché «sarebbe stato un padre meraviglioso». «Lei pensa che i bambini abbiano bisogno di un padre e una madre», ha proseguito Everett, «e io sono d’accordo con lei. Non riesco a pensare a niente di peggio che essere allevato da due papà gay». Giustamente “Il Foglio” ha commentato riportando la notizia: «le balle sull'”omoparentalità” sono un furto di verità ai danni dei bambini e degli adulti che diventeranno».

Consapevole di essersi attirato le ire omosessualiste, ha voluto precisare: «Non sto parlando a nome della comunità gay. In realtà non mi sento parte di alcuna “comunità”». Non potendo usare contro di lui la tiritera dell’omosessualità repressa, la reazione mediatica si è basata sul tentativo di screditare e svalutare la sua persona citando qualche frase controversa pronunciata dall’attore in passato, cioè il classico “argomento ad hominem”. Un chiaro esempio è quello realizzato dall’Huffington Post, il cui articolo si conclude con un elenco di “celebrità omofobe 2012″, a conferma del fatto che chi osa esprimere un parere personale di dissenso dall’omosessualità è condannato ad essere tacciato di omofobia. Indipendentemente se sia etero o omosessuale.

Ma Everett, ieri celebrato come attore dal mondo gay e oggi diffamato sui media, non è certo un caso isolato. Abbiamo già parlato di Richard Waghorne il quale ha criticato il mondo omosessuale per il bigottismo e l’abuso dell’etichetta “omofobo” verso chiunque esprima una forma di contrarietà.  Da omosessuale ha spiegato poi i motivi per cui si oppone al matrimonio tra gay, affermando che «non mi sento minimamente discriminato per il fatto che non posso sposare una persona dello stesso sesso». 

Lo stesso ha fatto l’omosessuale Andrew Pierce rivolgendosi al primo ministro inglese David Cameron: «io sono un conservatore e un omosessuale, e mi oppongo al matrimonio gay. Sono un bigotto?».  Ha poi citato altri nomi di noti omosessuali contrari al riconoscimento delle unioni gay, come David Starkey e  Alan Duncan, scrivendo infine «nessuno dei miei amici gay vogliono il matrimonio gay come legge».

Qualche giorno fa abbiamo invece segnalato la presa di posizione di  David Blankenhorn, sostenitore dei diritti gay negli Stati Uniti, il quale ha detto«il matrimonio è fondamentalmente centrato sui bisogni dei bambini. Ridefinire il matrimonio per includere le coppie gay e lesbiche eliminerebbe del tutto nel diritto -e indebolirebbe ancora di più nella cultura-, l’idea basilare di una madre e un padre per ogni bambino».

Anche il cantante Elton John pare sulla via del pentimento per essere divenuto legalmente il padre, assieme ad un altro uomo, del piccolo Zachary (privandolo così del diritto ad avere una madre), ovviamente grazie ad una donna “surrogata” e del suo utero preso in prestito, nel silenzio più totale del femminismo britannico. Dopo essersi fatto spedire il latte materno via posta, la star ha riconosciuto recentemente«Zachary mi chiama “daddy” e David “lo chiama papà”. Per lui è naturale, ma un giorno, quando comprenderà, mi guarderà come si guarda a un pazzo scatenato». E ancora: «gli si spezzerà il cuore rendendosi conto di essere cresciuto senza nessuna madre».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’ipocrisia dei media (e di Augias) nella censura del film anti-Islam

Quando si immerge un crocifisso nel piscio dell’artista è espressione artistica. Quando dei bambini tirano delle bombe (o escrementi?) contro il volto di Gesù Cristo è espressione artistica. Quando si appende una rana in croce è espressione artistica. Quando si mostra una donna fare autoerotismo con un crocifisso è espressione artistica. Quando una Pussy Riot spezza con una moto sega una croce di legno in memoria dell’Olocausto e insulta il Patriarca di Mosca è legittima protesta politica. Quando invece un film offende Maometto e l’Islam allora si tratta di «contenuti che offendono la fede».

L’ipocrisia dei media occidentali è sotto gli occhi di tutti in questi giorni in cui la società è unita nel condannare, giustamente, un film offensivo verso l’Islam comparso su Youtube, «Innocence of Muslims»che Google ha già prontamente censurato in alcuni Paesi. Il film, della durata di 14 minuti, è stato prodotto e diretto da tale “Sam Bacile” di origine egiziana e di religione copta (regista di filmini pornografici) e finanziato da più di cento investitori ebrei, con lo scopo di richiamare l’attenzione sulle “ipocrisie” dell’Islam anche in seguito all’11 settembre del 2001 (cioè quello che hanno fatto i leader ateisti Christopher Hitchens e Sam Harris negli ultimi 10 anni). La diffusione del lungometraggio ha innescato come prevedibile diverse proteste in alcuni paesi a maggioranza musulmana, culminati con l’attentato al consolato statunitense a Bengasi nel quale hanno perso la vita 4 funzionari americani, tra cui l’ambasciatore Christopher Stevens.

“Il Corriere della Sera”, “Repubblica” e “Il Fatto Quotidiano” -sempre in prima linea ad invocare il rispetto verso la libertà artistica, di satira e d’espressione quando si tratta di contenuti che prendono di mira il cristianesimo e la Chiesa cattolica– si sono scatenati nella condanna alla pellicola, invocando la censura della forma di espressione del regista egiziano. Si è svegliata perfino Dacia Maraini con il suo pistolotto sulla «libertà che si trasforma in insulto». Ma con quale libello contro la Chiesa era impegnata la laicissima scrittrice settantasettenne quando il fotografo statunitense Andres Serrano immergeva nel suo piscio una croce con appeso Gesù Cristo? In quel caso la Maraini si è ben guardata dal pontificare che «la difesa della libertà è una bella cosa, ma la libertà propria va sempre messa in rapporto alla libertà altrui». Anzi, probabilmente se si fa una piccola ricerca, si trova perfino il suo nome tra gli intellettuali europei che hanno promosso questa “grande opera d’arte” (sic!).

Mai visto un articolo de “Il Corriere della Sera” invocare il rispetto dei credenti contro l’offensiva “rana-crocifissa” del tedesco Martin Kippenberger che ha suscitato l’indignazione del popolo altoatesino (nessun ferito, nessuna vetrina rotta, solo indignazione). Anzi nei suoi articoli si elogiava la direttrice del Museion di Bolzano per aver ignorato beatamente le proteste mantenendo esposta l’opera e ripetendo la sua frase: «l’arte è anche un po’ provocazione». Anche il  direttore de “La Stampa” Mario Calabresi ha usato uno spazio sul suo quotidiano per invocare un «mondo più rispettoso delle idee e delle credenze altrui». Sul suo quotidiano anche Gian Enrico Rusconi ha voluto dire la sua: «E’ necessario creare un nuovo equilibrio tra i principi della libertà di espressione e del diritto al rispetto dell’integrità del credo religioso». Ma qualcuno ha mai letto un articolo del cattolico Calabresi o del laico Rusconi sul «serve maggior rispetto al credo religioso» di fronte all’esposizione di Madonna and Child IIun’icona della Madonna con in braccio Gesù, immersa -ancora una volta-, in un bicchiere di urina del fotografo Serrano?

Incredibilmente anche l’ateologo di “Repubblica”, Corrado Augias ha pensato bene di dire la sua, da un lato riprovando a sfruttare la circostanza per mostrare la superiorità dei “laici” che non farebbero guerre religiose (ancora una volta ignorando però, da amante della storia, gli orrori dell’ateismo di stato), e dall’altro lato difendendo l’attaccamento degli islamici al profeta Maometto, e scagliandosi addirittura contro la libertà d’espressione: «quando la libertà diventa provocazione» è infatti il titolo del suo intervento critico verso il film. L’ipocrisia del dileggiatore del cristianesimo Augias in questo caso ha superato ogni confine, per non parlare del quotidiano in cui scrive che si è addirittura dilettato in una critica alla satira e in difesa delle vittime (due articoli, perfino). Non dimentichiamo il pavido “Fatto Quotidiano” che quotidianamente pubblica contenuti offensivi verso i cattolici (qualche giorno fa anche una bestemmia in pagina divertendosi con una “traduzione automatica” di un discorso del cardinale Ruini), perché –come sottolinea “Avvenire”– «tanto i cattolici, al massimo, reagiscono con una protesta verbale o scritta». E se osano lamentarsi vanno ancora di più offesi e ridicolizzati perché stanno violando la libertà d’espressione.

Siamo comunque contenti che tutti questi bizzarri personaggi abbiano cominciato oggi (meglio tardi che mai) a difendere la libertà di religione, vediamo se rimarranno coerenti anche domani quando le vittime torneranno ad essere, come sempre, cristiani e cattolici. «Il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli», ha detto padre Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa Vaticana (ricevendo il ringraziamento del prestigioso ateneo sunnita al-Azhar del Cairo). Ecco l’unica voce coerente, cioè quella della Chiesa, perennemente in difesa da ogni forma di discriminazione, indipendentemente dal tipo di religione professata dalle vittime.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Eutanasia: ecco perché il suicidio è l’ossessione della società laica


 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

 
 

Ovunque vada, Beppino Englaro, viene accolto da una folla, plaudente, quasi entusiasta. E’ una di quelle persone che riescono ancora a tirar fuori la gente di casa. Ma chi siete andati a vedere?, verrebbe da chiedere. Recentemente Englaro è venuto in un paesino della mia terra, Mezzolombardo, in cui 400 persone, su invito di un assessore che proviene dal PATT (forse l’unico partito in Italia che nello statuto si propone di seguire la dottrina sociale della Chiesa), avevano firmato la richiesta perché si introducesse nel comune il testamento biologico. Quel testamento, poi, non lo ha firmato nessuno. Perché una cosa è plaudire al principio secondo cui chi vuole morire, deve poterlo fare quando vuole, altra cosa invece è pensare alla propria morte, e all’eventualità che un giorno qualcuno ci aiuti ad andarcene, magari con troppo fretta o superficialità…

Tante firme, dunque, nessun testamento, e tanti ad applaudire Englaro. Mi viene da pensare che sia solo questione di tempo. L’eutanasia, se le cose continuano così, entrerà a breve in tutte le legislature europee. Chi si batte per la vita, deve ovviamente lottare anche sul fronte delle leggi. Ricordando, però, che se la battaglia rimane ferma lì, a vincerla sarà solo chi, come i radicali, ha la pazienza di erodere un confine alla volta. La battaglia vera è ancora una volta teologica.

Perché l’eutanasia, come il suicidio, in ogni tempo, ci porta ad una sola domanda: esiste Dio? In una società in cui il senso di Dio è presente, in cui Dio è Creatore e amico dell’uomo, l’eutanasia non entrerà mai. In una società, invece, in cui Dio è espulso dalla vita di ogni giorno, il suicidio è inevitabile. Da un punto di vista logico, è facilissimo da comprendere: Cristo, infatti, cioè un Dio “con noi”, rende ogni vita, e ogni morte, quale che essa sia, degna di essere vissuta. Ogni vita, perché la vita ha senso solo se ha un respiro che vada al di là dei muri di questo mondo; ogni morte, perché ogni morte è un evento vero e significativo solo se apre a qualcosa. Altrimenti è un non evento.

Ma questa verità può essere compresa anche da un punto di vista storico. Il sociologo Marzio Barbagli, nel suo “Congedarsi dal mondo”, ci ricorda che nel mondo cristiano il suicidio era più raro, ed è invece più diffuso laddove la società è più secolarizzata (nei regimi atei si raggiunge sempre il top). In un mondo cristiano la vita è anzitutto dono di Dio: un dono non si butta via, non si spreca; ed è anche un compito: un compito da portare a termine. Dio ci dona la vita, ma ce ne chiede anche conto. Chi crede in Lui, dunque, vi attinge fede, speranza e carità: fede, cioè fiducia che tutto ciò che accade, anche il male, sia in fondo grazia perché anche dal male si può trarre il bene; speranza, cioè certezza nella presenza di Dio accanto a noi; carità, cioè amore, per Dio, ma di conseguenza anche per noi stessi, sue creature, e per chi ci sta vicino (per cui uccidersi diventa tradire l’amore, per Dio, per sé, per gli altri che ci amano).

A fermare il gesto estremo di molte persone, nella società cristiana, ricorda sempre il Barbagli, furono spesso, oltre all’amore per Dio, la paura dell’inferno e la consolazione della confessione. L’uomo di fede sa dunque che, come di fronte al male fisico vi è sempre la possibilità di affrontarlo, così di fronte a quello morale, non si è mai definitivamente sconfitti dalla propria colpa, dal senso della propria miseria. In varie culture esiste il “suicidio di vergogna”, come ammissione di un fallimento: nel cristianesimo, nessuno è mai fallito del tutto, perché tutti possono rinascere a vita nuova, perdonati da Cristo, lavati dal suo sangue. Infine, nota sempre il Barbagli, la società cristiana aveva una forte coesione sociale: ciò significa che l’esistenza di una famiglia salvava tantissime persone dalla disperazione, vuoi perché sperimentavano l’amore di qualcuno, vuoi perché sentivano, nei suoi confronti, un forte senso del dovere.

Se tutto questo è vero, vivere è, nelle società di fatto atee e secolarizzate, un impegno sempre più gravoso: siamo soli, esistenzialmente, se Dio non c’è (senza una fede e una speranza che siano soprannaturali e non soltanto buoni auspici). Non amiamo Dio, né lo temiamo, né ne cerchiamo il conforto ed il perdono.

Inoltre proprio l’aver scacciato Dio dalla nostra vita, ci consegna al nostro egoismo, all’individualismo: non per caso viene oggi a mancare anche la coesione sociale. La famiglia è sempre più disgregata e ridotta. Pochi matrimoni e pochi figli. Vuoto demografico. Così la solitudine esistenziale, metafisica, diventa solitudine concreta, di tutti i giorni. Così Englaro, annunciatore non della buona novella, non della resurrezione, ma della morte “autonoma”, può avere tanti fans. Oggi che la vita è sempre meno sacra, perché non vi è più Dio, può rimanere, sacro, il dolore? Può rimanere evento da preparare, cui giungere “parati” (estote parati, si diceva un tempo), la morte? Se è il nulla eterno che ci aspetta, il nulla ci circonda. Circonda vita e morte. Balzarci dentro, prima o dopo, per un infarto o per suicidio assistito, cambia nulla…

Da “Il Foglio”, 30/08/12

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace