Un singolo aborto aumenta rischio di nascite premature

Il sito web Medical Daily riporta un’intervista dello scorso settembre alla BBC di Siladitya Bhattacharya, professore di ostetricia e ginecologia ad Aberdeen (Scozia). La sua equipe ha riesaminato i dati delle donne scozzesi che hanno abortito dal 1981 al 2007, sia chirurgicamente che, in anni recenti, tramite farmaci, riscontrando nelle successive gravidanze di queste donne un 37% di probabilità in più di avere parti prematuri rispetto alle donne alla prima gravidanza che non avevano abortito.

Il ricercatore ha rilevato inoltre che il rischio è maggiormente legato alla modalità chirurgica dell’aborto, probabilmente perché  spesso vi si associano infezioni, traumi della  cervice uterina ed effetti negativi del raschiamento che possono indebolire la cervice e  portare in futuro a sterilità, gravidanze ectopiche, parti prematuri e sindromi della placenta previa.

Il rischio è soprattutto quello di preeclampsia, cioè di alta pressione arteriosa della madre in attesa, pericolosa per la donna stessa e per il feto, che in genere porta ad una nascita prematura.

Studi precedenti indicavano un aggravarsi del rischio con il numero degli aborti, mentre secondo questo studio il rischio raggiunge il suo massimo già con una sola interruzione di gravidanza. Questa discrepanza di risultati, probabilmente dovuta al fatto che le varie ricerche non sono state pianificate in modo identico, andrà studiata meglio in futuro.

In questa pagina abbiamo raccolto una serie di studi scientifici sul legame tra aborto indotto e nascita prematura nella successiva gravidanza.

Linda Gridelli

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Ma perché l’UAAR non condanna anche l’ateismo di Stato?

Recentemente l’UAAR (Unione degli Atei e Agnostici e – dicono – Razionalisti) ha pubblicato un articolo in cui dice di aderire alla richiesta fatta dall’International Humanist and Ethical Union all’ONU per condannare i Paesi che promuovono la violenza religiosa. Richiesta sacrosanta! Ci domandiamo però: dal momento che i peggiori crimini degli ultimi cento anni (e forse della Storia) sono stati commessi (e sono commessi tuttora) da regimi (ufficialmente o meno) atei, laicisti o anticlericali, perché l’UAAR non ha mai trovato il tempo di condannare l’ateismo di Stato (presente ancora oggi in diversi Paesi)?

Nella seconda metà del secolo, infatti, i peggiori crimini contro l’umanità, con particolare accanimento contro il Cristianesimo, sono stati compiuti dai regimi comunisti che hanno imposto l’ateismo di Stato: Unione SovieticaMongolia, Cuba, Romania, Bulgaria, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Albania (il primo stato con l’ateismo presente nella Costituzione), Jugoslavia, Cambogia e, in parte, Germania Orientale.

In un secondo articolo pubblicato sullo stesso sito si legge: “Le alternative a perenni, violenti conflitti dottrinali sono sole [sic] due: o una società totalitariamente monoconfessionale, o una società laica, libera civile e democratica che non assicura più alcuna tutela speciale alla religione. Facile capire quale sia la scelta migliore per l’Uaar. Ma non dovrebbe essere difficile capire che la stessa scelta sarebbe migliore anche per l’intera umanità”. Insomma, secondo questi signori una società può essere civile e democratica solo se rifiuta ogni religione. Un po’ quello che succede nei regimi in cui impera l’ateismo di Stato, in nome del quale, ancora oggi, nel 2012, i cristiani sono duramente perseguitati in Vietnam, in Cina, in Uzbekistan e, soprattutto, in Corea del Nord.

Nello stesso articolo, viene deplorato “il rigido integralismo musulmano, che scatena la violenza contro qualsiasi critica a simboli sacri, giudicata tout court blasfema. Difficile davvero che atei e agnostici, sebbene denigrati sistematicamente dalle religioni, reagiscano in questo modo. Non avere nulla di ’sacro’ alle volte è anche una benedizione”. Ma davvero!? È difficile che gli ateo-agnostico-razionalisti abbiano reazioni fanatiche?

Allora come mai l’Asociación Madrileña de Ateos y Librepensadores (cioè l’UAAR spagnola) ha minacciato di bruciare le chiese e aggredire i cattolici, in memoria della guerra civile? Come mai in Svizzera un ateo “sbattezzato” ha realizzato un attentato incendiario in una Cattedrale? Chi non ricorda poi come le associazioni atea madrilena ha accolto i pellegrini cattolici alla GMG 2011? Se è difficile che atei e agnostici reagiscano con intolleranza alla presenza religiosa nella società, come mai il leader internazionale dell’ateismo militante, Richard Dawkins, ha chiesto di «ridicolizzare pubblicamente chi crede in Dio»?

Aspettiamo risposte, intanto ricordiamo le parole di Frank Furedi, ex presidente dell’organizzazione politica  trotzkista inglese Revolutionary Communist Partye oggi sostenitore della British Humanist Association: «il nuovo ateismo si è trasformato non solo in una religione laica, ma in una religione secolare fortemente intollerante e dogmatica […] la minaccia più potente per la realizzazione del potenziale umano proviene oggi, non dalla religione, ma dal disorientamento morale della cultura secolare occidentale».

Salvatore Cammisuli

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La psicologa Foà e le conseguenze dell’aborto sui genitori

Parlando di aborto, spesso si sottovalutano le drammatiche conseguenze che si ripercuotono sulla vita dei genitori. I traumi causati da un aborto procurato, infatti, si manifestano, purtroppo, anche a distanza di anni. Ne sa qualcosa la Dott.ssa Benedetta Foà, psicologa, e già consulente del CAV Mangiagalli di Milano che, da anni, è impegnata nella cura della sindrome post-aborto.

La sua vocazione a questa opera, nasce, come lei stessa ama ricordare, a Medjugorie; la psicologa, infatti, è partita alla volta del paese delle apparizioni mariane nel 1995 come volontaria dell’associazione “A.R.P.A.” fondata da A. Bonifacio, in qualità di volontaria per gli aiuti umanitari: «E’ stato durante questo periodo – racconta la Dott.ssa Foà che la parrocchia di Medjugorie ha chiamato in suo aiuto un esperto, il canadese dottor Philip Ney. Con lui abbiamo fatto un percorso di Counseling specifico su “Abuso sessuale e Aborto”. Questo seminario ha aiutato tutti (sacerdoti, suore, laici), ma a me ha veramente aperto un mondo fino a quel momento sconosciuto». A fronte di questo incontro la psicologa capì che, dopo gli anni necessari alla formazione universitaria, si sarebbe occupata di uomini e donne che soffrono “per non aver accettato la vita dei loro figli”.

Il frutto dei suoi studi, e della sua esperienza professionale, l’hanno portata a scrivere, come co-autrice, “Maternità interrotte”, un “manuale” in cui viene trattato il problema del post-aborto e le possibilità di cura; tra i vari progetti che la vedono in prima linea, c’è anche la costituzione di un centro a Milano che si occupa della cura e del recupero di coloro che soffrono del trauma identificato con il nome di “stress post-aborto”. Quello che può sembrare un comune trauma recuperabile in poco tempo, in realtà, può trasformarsi in un vero e proprio dramma, come spiega la dottoressa : «Dall’approvazione della legge 194 del 1978 solo in Italia sembra che ci siano stati 5.000.000 di aborti praticati: questo vuol dire che ci sono altrettante madri/padri che hanno perso uno o più figli. Non tutti stanno male nello stesso modo e con gli stessi tempi, ma quando ci si rende conto che un figlio manca all’appello, e che la responsabilità è propria, molti stanno veramente male. Ho ricevuto telefonate di donne che dopo 10/15 anni di distanza dall’aborto procurato sono cadute in una depressione tale da non riuscire più a lavorare, fino a non riuscire più ad uscire di casa».

L’aspetto più sorprendente, e al tempo stesso sconvolgente, è che lo stress post-aborto colpisce anche gli uomini quando, anche dopo molto tempo, si rendono conto di non aver accolto la vita dei loro figli : «Il pensiero si blocca e l’aborto che hanno fatto fare alla compagna può diventare un chiodo fisso, tanto da non farli progredire nel loro cammino di vita». Ed è presente anche nei bambini sopravvissuti all’aborto.

L’aborto è una piaga sociale ed umana, un dramma che continua ad essere sottovalutato da una cultura intrisa di relativismo etico che, troppo spesso, propone un modello completamente errato di libertà, fatto semplicemente di individualismo e totale assenza di responsabilità. Gli effetti dell’aborto, come ha ricordato la Dott.ssa Foà, non si ripercuotono solo sulla vita del bambino, che non potrà mai vedere la luce, ma anche su quella dei genitori, che, nel loro cammino personale, saranno inevitabilmente accompagnati da un macigno che continuerà a pesare sulle loro coscienze. In questa pagina abbiamo raccolto un elenco di studi scientifici sulla “sindrome post-aborto.

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Vauro riesce a far ridere: «vi saluto compagni, a pugno chiuso!»

Il vignettista anticlericale Vauro Senesi ha fatto certamente più ridere con la sua lettera di addio a “Il Manifesto” con il quale ha collaborato per 30 anni, piuttosto che con le sue vignette. Ha infatti scaricato il quotidiano comunista, in liquidazione e profonda crisi, per approdare a “Il Fatto Quotidiano”: in poche parole l’orgoglioso comunista ha salutato i “compagni” per andare in un quotidiano non di sinistra dove viene pagato meglio.

Vauro è noto per sfruttare la libertà di satira, nascondendosi dietro ad essa, giustificando ogni insulto e offesa possibile?

Si può ridere dei due marò addetti alla protezione della petroliera Enrica Lexie fermati il 20 febbraio a Kochi perché sospettati di aver sparato a due pescatori indiani scambiandoli per pirati? Si può, al grido “la satira è libertà”, ridere sui morti causati dal terremoto dell’Aquila nel 2009? Si può dare libero sfogo al sessismo e alla misoginia con le proprie vignette? Si possono offendere milioni di credenti e cristiani ridicolizzando un Gesù in croce tentato dall’autoerotismo? Si possono descrivere i sacerdoti cattolici come tutti pedofili?

Evidentemente sì, dato che Vauro lo ha sempre fatto spostando a piacimento i confini della satira. Don Maurizio Patriciello, uno dei tanti preti -diffamati da Vauro- che lavorano per i più bisognosi, gli ha risposto scrivendo: «Sono un uomo che rispetta tutti e chiede di essere rispettato. Che non offende e gradirebbe di non essere offeso, infangato. Il signor Vauro con le sue vignette che dovrebbero far ridere tutti e invece, spesso, mortificano e uccidono nell’animo tanti innocenti. Ma non si deve dire. È politicamente scorretto. È la satira. Il nuovo idolo davanti al quale inchinarsi. La satira, cioè il diritto dato ad alcuni di dire, offendere, infangare, calunniare gli altri senza correre rischi di alcun genere».

Per capire meglio il personaggio è utile leggersi la lettera, citata sopra, con la quale ha salutato i lettori de “Il Manifesto” pochi giorni fa. Un uomo che nel 2012 e dopo l’orrore degli stati totalitari del ‘900 non si vergogna di proclamarsi “comunista”, magari anche nostalgico dell’Unione Sovietica. Sulle note di “Bella ciao”, leggete l’anacronismo di queste parole:  «un saluto a tutti i compagni e le compagne del giornale […]. Ho in mano una copia de “Il Manifesto”. Sotto la testata, in caratteri più piccoli, c’è ancora scritto “quotidiano comunista“. C’è chi sostiene che comunista sia ormai un termine obsoleto che non significa più niente o peggio. Per me significa molto. E allora saluti comunisti compagni. A pugno chiuso».

Compagno? Pugno chiuso? Ma che tristezza.., senza senso del ridicolo e del rispetto per le vittime del comunismo, il più grande progetto mai realizzato contro la dignità dell’essere umano. Almeno per una volta Vauro è riuscito a far sorridere, seppur amaramente.

La redazione

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Pediatri italiani (SIPPS): «crescita peggiore per “figli” di coppie gay»

Adozioni gay e studi. La Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) prende posizione contro le adozioni di bambini a coppie dello stesso sesso.

 

Finalmente qualcuno ha trovato il coraggio di intervistare i veri esperti del settore “infanzia” a proposito della crescita con genitori omosessuali. Lo ha fatto il quotidiano “Avvenire”, pubblicando le risposte di Giuseppe di Mauro, presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps). L’occasione sono le farneticanti dichiarazioni di Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, in supporto alle adozioni di bambini da parte di coppie omosessuali.

Occorre ricordare che Pisapia è stato votato anche da molti cattolici milanesi, indotti da un appello firmato da sacerdoti mediatici come don Virginio Colmegna e don Enrico Capitani. Oltre ad aver aperto al testamento biologico e alle coppie di fatto, ultimamente -come dicevamo- ha iniziato a parlare in modo favorevole anche delle adozioni omosessuali. D’altra parte tra i consiglieri eletti assieme a lui, oltre all’ex estremista Maurizio Azzolini che fa da capogabinetto e la statalista Elisabetta Strada che vuole gli oratori laici, c’è la fondatrice di “Soggettività lesbica”, Anita Sonego.

Ma, come dicevamo, al sindaco milanese ha risposto la Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps), invitandolo a desistere nel diffondere «informazioni superficiali e fuorvianti». Ha spiegato il presidente Di Mauro:  «Siamo preoccupati perché i media parlano dell’argomento con troppa leggerezza. Invece l’argomento è molto delicato e andrebbe valutato con maggiore rigore scientifico, soprattutto per le ripercussioni che comporta sulla crescita e lo sviluppo del bambino».  «I bambini», ha concluso Di Mauro, «hanno una grande capacità di adattamento, tuttavia, sulla base della letteratura scientifica disponibile, vivono meglio quando trascorrono l’intera infanzia con i loro padri e madri biologici, sposati e specialmente quando l’unione dei genitori rimane stabile a lungo». In questa pagina abbiamo raccolto una piccola parte della letteratura scientifica citata dal presidente di Sipps.

Qualche mese fa, assieme a Di Mauro, aveva preso posizione anche Francesco Paravati, presidente della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera (SIPO), spiegando che: «Quello che c’è di scientifico oggi dimostra che il bambino cresce confuso nell’identità perché perde i punti di riferimento, sia nelle “famiglie” monoparentali  che nelle unioni omosessuali. Il problema a carico del bambino è una difficoltà ad interloquire con punti di riferimento chiari».

Gli studi sulle coppie omosessuali che hanno adottato bambini – nei Paesi dove esiste questa possibilità – sono numerosi ma la maggior parte sono stati appositamente manipolati in favore della positività e comunque sempre basati su campioni piccoli e non rappresentativi e di scarsa attendibilità scientifica, come ha dimostrato recentemente Loren Marks, della Lousiana State University, sulla prestigiosa rivista scientifica “Social science research”.

“Avvenire”, ispirandosi chiaramente e legittimamente (anzi, ne siamo orgogliosi!) alle notizie apparse sull’argomento nel nostro sito web, ha riportato anche l’importantissimo contributo dell’ex presidente dell’American Psychological Association (APA), lo psicologo Nicholas Cummings, il quale -assieme ad un altro ex presidente dell’APA, Robert Perloff oggi nello staff scientifico di NARTH (associazione di psicologi che offre terapie riparative agli omosessuali che ne fanno richiesta)- ha fortemente criticato la posizione politica assunta dall’American Psychological Association rispetto all’omosessualità: «L’Apa ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale».

La redazione

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Crescono del 10% i ragazzi che vanno all’oratorio

Con l’inizio dell’estate abbiamo esaminato più da vicino il variegato mondo degli oratori, evidenziando come questa risorsa storica della Chiesa italiana continui ad esercitare ancora oggi una forte attrattiva anche in presenza di altre istituzioni laiche che si occupano di educazione dei giovani.

A pochi giorni dalla fine delle vacanze e con la riapertura delle scuole, l’edizione nazionale del Corriere, prendendo spunto dalla conclusione del primo happening nazionale degli oratori organizzato dal FOI (il Forum degli oratori italiani), ha restituito una immagine di queste strutture ancora più interessante di quella proposta su questo portale.

Svoltosi dal 6 al 9 settembre 2012, «H¹O», il primo happening nazionale degli oratori ha registrato la partecipazione attenta di circa 1.500  partecipanti, provenienti da 500 oratori di tutta Italia. “La realtà degli oratori – ha commentato mons. Nicolò Anselmi, Responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile – è profondamente radicata e ancora assai vivace in tutto il territorio italiano. L’incontro fra le diverse tradizioni oratoriane, dal nord al sud del Belpaese, può rappresentare una grande ricchezza: per questo si è deciso di organizzare un meeting nazionale”. La necessità di una maggiore integrazione e raccordo tra gli oratori è stata ben illustrata da don Marco Mori, Presidente del citato Forum degli Oratori Italiani, che ha affermato come “Gli oratori in Italia fanno moltissime attività, ma devono imparare a pensare e a camminare sempre più insieme”.

Maggiore coordinamento nelle iniziative ma anche la necessità di avvalersi di operatori che sappiano coniugare entusiasmo e preparazione:  a tale scopo, risulta significativa la qualificata presenza durante i lavori di docenti universitari di psicologia, pedagogia, e scienze sociali. Il tutto a supporto delle attività istituzionali del Forum che mirano a “sostenere e coordinare l’azione educativa degli oratori per la crescita umana e cristiana delle giovani generazioni; promuovere la ricerca pedagogica e metodologica, e individuare strutture adeguate; presentare le istanze degli oratori italiani e favorire il raggiungimento dei loro obiettivi nelle istituzioni locali, nazionali e internazionali”. Don Marco Mori ha meglio precisato le linee programmatiche del FOI per i prossimi anni: «Nuove sfide, nuove tecnologie, nuove frontiere. Per sfide intendo l’integrazione, tema sul quale noi adulti abbiamo tantissimo da imparare dai bambini che, è probabile, ci aiuteranno a superare pregiudizi e blocchi mentali. L’oratorio è uno straordinario, privilegiato punto d’osservazione».

Concludiamo con i numeri, eloquenti e non bisognosi di chiarimento alcuno, che rendono bene l’idea di cosa significhi la realtà degli oratori in Italia. Nei 6.500 oratori sparsi in tutto il territorio sono passati durante l’estate 2012 ben un milione e mezzo di piccoli e adolescenti, assistiti da un entusiasta esercito di 200.000 volontari, con una crescita percentuale del dieci per cento causata/agevolata dalla crisi – si riprende volutamente in questo articolo l’esatta dizione usata dal Corriere.

Di certo la sfavorevole congiuntura causata dall’inasprirsi della pressione fiscale in uno con la recessione ha inciso parecchio sulle abitudini delle famiglie italiane, ma non è affatto improbabile supporre che il ricorso alla consolidata esperienza degli oratori, capaci di garantire la permanenza dei loro piccoli ospiti in molti casi anche nelle ore pomeridiane, abbia pesato non poco nelle scelte educative. In fondo l’oratorio conserva sempre il suo carattere di gratuità, eccetto sopportabili quote d’iscrizione. Anche gli oratori del Sud, che storicamente parlando non hanno una tradizione così consolidata, hanno fatto registrare  numeri importanti, dalla Sicilia alla Campania, come similmente c’è stato fermento nell’Italia centrale, tra Lazio e Umbria.

A conferma del fatto, ammesso che servano ancora conferme, che le strutture educative della Chiesa restano insostituibili per il loro ruolo educativo capaci come sono di adeguarsi alle mutate esigenze delle nuove generazioni, senza per questo svalutare l’essenziale del loro messaggio.

Salvatore Di Majo

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Nemmeno i medici sanno far ragionare Corrado Augias

Hanno provato in tanti a strumentalizzare la morte del card. Carlo Maria Martini per tentare di tirare acqua all’eutanasia. In questo modo i laicisti che hanno finto di dispiacersi della morte dell’insigne biblista hanno voluto “onorare” la sua memoria.

I vari pecoroni anticlericali sono partiti alla carica con Eugenio Scalfari, sedicente grande amico di Martini, il quale ha affermato in prima pagina su “Repubblica” che l’ex arcivescovo di Milano avrebbe «deciso di essere staccato dalle macchine che ancora lo tenevano in vita». Ovviamente il tentativo era quello di paragonarlo a Welby, ma ben presto in molti hanno preso le distanze dal fondatore di “Repubblica” rispondendo ovviamente che nessuna macchina teneva in vita Martini.

Il militante radicale Federico Orlando, condirettore di “Europa”, quotidiano del Partito Democratico, ha invece tentato di far credere che avendo rifiutato l’accanimento terapeutico, il card. Martini abbia disobbedito alla Chiesa, la quale -secondo Orlando- imporrebbe a tutti di morire sotto accanimento terapeutico. Peccato che il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della pontificia Accademia per la vita, abbia commentato«Anch’io come Carlo Maria direi no a quelle terapie: l’accanimento terapeutico è rifiutato dalla Chiesa e da tutti i cattolici. Non solo è sconsigliato ma direi anzi che è proibito, come è proibita l’eutanasia. Così come non si può togliere la vita, allo stesso modo non la si può prolungare artificialmente». Anche Carlo Flamigni, da medico, ha onestamente riconosciuto:«Qualora Martini avesse rifiutato l’accanimento terapeutico che differenza farebbe? Non mi sembra che la Chiesa si opponga. Il cardinale ha soltanto rifiutato le cure che riteneva inutili, sicuramente non ha chiesto di essere lasciato morire. L’unico accanimento è piegarlo alla propria ideologia». 

E’ ovviamente intervenuto anche Paolo Flores D’arcais tentando una strumentalizzazione più fine. E’ infatti andato a prendere la lettera che la nipote dell’ex arcivescovo di Milano, Giulia Martiniha inviato a “Il Corriere della Sera”, dove vi è scritto che Martini ha «chiesto di essere addormentato. Così una dottoressa con due occhi chiari e limpidi, una esperta di cure che accompagnano alla morte, ti ha sedato». Flores D’arcais, consapevole del basso livello culturale dei lettori devoti, ha volutamente confuso la sedazione palliativa ricevuta da Martini con l’eutanasia, sostenendo che tale richiesta sia stata un «privilegio» concesso a Martini, mentre tutti i malati terminali non sarebbero autorizzati a fare altrettanto. E’ ovviamente una enorme falsità, ogni malato terminale ha infatti il diritto a richiedere la sedazione palliativa per allontanare le sofferenze del fine vita.

Lo gnostico Vito Mancuso, che si considera “figlio spirituale” di Martini, ha riconosciuto la validità della tattica di strumentalizzazione usata da Flores D’arcais e ha quindi pensato di accodarsi. Prima ha tranquillamente lasciato che Scalfari diffondesse falsità sul quotidiano di cui lui è editorialista, poi -parecchio tempo dopo e solo quando è stato chiamato direttamente  in causa da Marco Tarquinio- ha scritto una letterina ad “Avvenire” (e poi a “Repubblica”) prendendo le distanze da Scalfari ma tentando comunque di giocare le sue carte. Ha infatti affermato, imitando Flores D’arcais, che Martini ha «scelto di interrompere le cure finalizzate al mantenimento della vita per passare a cure finalizzate ad affrontare la morte nel modo meno traumatico possibile». Ha quindi chiesto che «a ogni cittadino sia dato il medesimo diritto esercitato da Martini». La ricostruzione è esatta, peccato che anche il teologo gnostico abbia voluto far credere che in Italia nessuno -tranne il card. Martini- possa chiedere la sedazione palliativa (tranne i cardinali, ovviamente).

Addirittura l’onorevole del PD Furio Colombo ha presentato la proposta di legge “Martini” sul fine vita, perché tutti abbiano la possibilità di chiedere la sedazione palliativa, che -come già ripetuto più volte- è già disponibile per tutti i malati in fase terminale che ne fanno richiesta. Dal livello di serietà dell’autore della proposta, comunque, non si poteva certo aspettarsi altro.

Come poteva non infilarsi nel mucchio anche il «giornalista dilettante romano» Corrado Augias (come lo definisce Costanzo Preve)? Il dott. Giorgio Tubere, che da vent’anni accompagna alla morte i pazienti in stato terminale, ha scritto armato di pazienza a “Repubblica” cercando di far ragionare l’indaffarato gruppetto di laicisti e spiegando chiaramente che è stato costruito «un “luogo comune” per cui la sedazione palliativa in fase terminale è spesso considerata erroneamente come “un intervento medico che pone la fine alle sofferenze accelerando la morte”. Non è così. La sedazione profonda terminale è una misura terapeutica di scelta estrema in casi di sofferenza intollerabile e viene praticata con un farmaco ipnotico […]. Il consenso del paziente è irrinunciabile. La sedazione terminale ovviamente non è eutanasia. Si tratta quindi di lasciare che la morte arrivi normalmente ma dormendo».

La spiegazione è chiara, limpida, cristallina, facile da capire perfino per un “libero pensatore razionalista”. Come ha scritto la “Rivista italiana di Cure Palliative”: «non ci sono prove che la sedazione terminale/palliativa accorci la vita», è un continuum delle cure palliative, e con essa «non esiste un’accelerazione della morte nei malati sedati». Ma per Corrado Augias, abituato a copiare  interi brani di altri autori senza citare la fonte e facendoli passare come suoi, è sempre tutto molto difficile da capire, e infatti ha risposto fingendo di ringraziare il medico per la precisazione, ma rispondendo incredibilmente di non vedere «diversità di sostanza» da quanto hanno detto i suoi compagni di merenda Scalfari & Mancuso. E’ come se dunque avesse dato del cretino al medico, che sarebbe intervenuto senza conoscere quel di cui sta parlando.

Augias ha poi continuato affermando che «non sappiamo se, quando il cardinale è stato sedato, fossero già cominciate le ultime ore a lui date dalla natura», mentre la nipote di Martini ha chiaramente scritto che la sedazione palliativa è avvenuta «con la consapevolezza condivisa che il momento si avvicinava». Ha poi concluso in bellezza ignorando le parole del medico e tornando ad affermare che la richiesta di sedazione palliativa da parte di Martini è «ciò che ognuno di noi si augura, se fosse necessario, se ce lo permetteranno».

Niente da fare, Augias non ha capito nulla. Eppure il dott. Tubere è stato chiaro: la sedazione palliativa è una misura terapeutica praticata normalmente in casi si sofferenza intollerabile sotto richiesta del paziente, permette infatti di attendere la morte dormendo senza accorciare la vita. Eppure Augias ha continuato a sostenere che si tratta di un privilegio concesso al cardinale. La cosa fa sorridere, sopratutto pensando che perfino Odifreddi lo avrebbe ormai capito.

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Dal luteranesimo al cattolicesimo: una imprevedibile conversione

Le conversioni dall’anglicanesimo e dal luteranesimo in questi ultimi anni (grazie soprattutto alla costituzione apostolica di papa Benedetto XVI, Anglicanorum coetibus) si sono molto intensificate. Ma quella di Ron Dop ha veramente un qualcosa di imprevedibile.

Ron è americano, convertitosi al cattolicesimo dal luteranesimo nel 2004. Nulla della sua vita avrebbe fatto presagire un cambiamento simile. “Lo Spirito Santo ha un gran senso dell’umorismo”, dirà poi. E’ stato cresciuto in una famiglia di forte tradizione luterana (sua madre divenne “pastora” luterana nel 1985), lui stesso fece parte di varie organizzazioni giovanili protestanti. Nel 1989 si sposò con Theresa, una cattolica non praticante, secondo il rito luterano.

Chiaramente Ron non aveva la minima intenzione di abbandonare la propria fede, così iniziò a portare spesso la moglie in chiesa affinché abbracciasse anche lei il protestantesimo. Ma non andò come sperava, infatti la moglie dopo qualche anno ricominciò ad interessarsi delle sue radici cattoliche, riscoprendo la propria fede e decidendo di riaccostarsi ai sacramenti. Quando nacque il loro primo figlio, William, decisero di battezzarlo secondo il rito luterano, ma arrivato all’età di sette anni i genitori lo portarono in una scuola cattolica, affinché potesse ricevere la migliore educazione possibile (penso faccia riflettere vedere come anche i protestanti vedano di buon occhio l’educazione impartita dai cattolici). Dopo solo un anno William domandò di poter ricevere la Prima Comunione.

Nonostante all’inizio uscisse addirittura di casa piuttosto che vedere la famosa rete televisiva cattolica, la EWTN, Ron cominciò lentamente a seguire le trasmissioni assieme alla moglie, allontanando così molti dei suoi pregiudizi anticattolici, tanto da portarlo addirittura a frequentare sporadicamente la Messa domenicale con la moglie e il figlio, senza comunque dimenticare la sua comunità. Avveniva talvolta che durante la messa si sentiva “pieno di gioia” durante una preghiera, un inno, o durante la consacrazione. Notò anche con grande interesse che la liturgia luterana nulla aveva di così sacro e mistico.

Questo lo mosse a interessarsi ancora di più, iniziò a leggere libri su libri, riscoprì la devozione ai santi e alla Madonna, comprese la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia  adottò anche la recita del Rosario. Ma di tutto questo suo itinerario nessuno sapeva niente, né la moglie, né la comunità luterana. Nel 2002 realizzò di essere spiritualmente e mentalmente cattolico, ma temendo la reazione della sua famiglia d’origine, totalmente luterana, rimase nel silenzio, finché non avvenne un fatto nella scuola del figlio. All’età di dodici anni William decise, contro tutte le tendenze dei ragazzi della sua età, di organizzare in totale autonomia un Rosario per i giovani della sua scuola. “L’orgoglio che provavo per mio figlio fece esplodere la vergogna per le mie paure”, racconta Ron, indicando questo momento come decisivo per la sua conversione pubblica.

Nella primavera del 2003 arrivò dalla parrocchia di sua moglie una lettera del parroco che invitava la famiglia a partecipare al catechismo. La lettera rimase per un mese sulla scrivania, ma alla fine Ron si decise e raccontò alla moglie il cammino degli ultimi anni, dandole una gioia incredibile. Non passò troppo tempo che rivelò la sua conversione anche ai suoi parenti.

Dopo aver iniziato il corso da catecumeno, durante la Pasqua del 2004 ha fatto il suo ingresso nella Chiesa Cattolica con entusiasmo fanciullesco. Così scrive oggi Ron guardando la sua vita:”Non potrò mai dimenticare l’esempio di mio figlio, che fece passare l’azione dello Spirito Santo in me”. L’uomo potrà rimanere testardo sulle proprie decisioni tutta la vita, ma se si lascia guidare dalla letizia che muove la Verità, non potrà rimanere staccato da essa tanto a lungo!

Luca Bernardi

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Le migliori risposte al ministro Profumo sull’ora di religione nelle scuole

Il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ha affermato di ritenere necessario «rivedere i programmi di religione» visto che nella scuola «ci sono studenti che vengono da culture, religioni e Paesi diversi. Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole, così come concepito oggi, non abbia più molto senso. Probabilmente quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica». Queste dichiarazioni -a titolo personale, come ha poi intelligentemente rettificato- hanno suscitato diverse polemiche e fiumi di inchiostro, basti sottolineare che il quotidiano “Repubblica” ne ha approfittato per una classica campagna laicista pubblicato una media di tre articoli al giorno contro l’insegnamento dell’ora di religione nelle scuole.

In molti –come il filosofo Costantino Esposito e il filosofo Michele Marsonet-, hanno giustamente fatto notare che Profumo evidentemente ha un’idea di insegnamento della religione cattolica (Irc) che nulla ha a che vedere con quello attuale. Infatti, come ha spiegato il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, «l’Irc è già cambiata. Non è di certo una lezione di catechismo, bensì una introduzione a quei valori fondanti della nostra realtà culturale che trovano la propria radice proprio nel cristianesimo», in un’ottica «attenta alla realtà multireligiosa e multietnica presente nella scuola  italiana».

L’antropologa Ida Magli ha criticato le parole del ministro Profumo spiegando: «Ogni religione costituisce un tratto fondamentale di una cultura e di conseguenza, per quanto riguarda l’Italia, il cristianesimo cattolico fa parte della sua storia politica e sociale, della sua filosofia, della sua etica, della sua arte. Il fatto che vi siano stati lungo il passare dei secoli così come oggi, credenti e non credenti, non cambia nulla a questo dato di fatto e la scuola di Stato non può ignorarlo. Per quanto riguarda invece l’insegnamento della religione cattolica in quanto tale, non sembra che si possa contestare la soluzione di lasciare la scelta di seguirlo se lo vogliono agli studenti stessi. In conclusione c’è una sola domanda da porre al ministro Profumo e ai nostri governanti in generale: volete che l’Italia rimanga una nazione, con la sua lingua, i suoi costumi, la sua storia, la sua civiltà, oppure che diventi un territorio geografico abitato da un insieme di persone con lingue, costumi, religioni diverse che ben presto cancelleranno perfino il ricordo dell’italianità?». A parte la già citata campagna di “Repubblica” (e del prevedibilmente noioso “Fatto Quotidiano“), critiche sono arrivate da sinistra –come le parole del deputato Pd Enrico Farinone, vicepresidente della Commissione Affari europei: «Ridimensionare l’ora di religione vuol dire negare quelle che sono le nostre radici»- come da destra: «l’insegnamento della religione nelle scuole è previsto dall’articolo 9 del Concordato; ed esso non ha finalità di catechizzare gli alunni o di preparare alla ricezione dei Sacramenti, nè tanto meno presuppone un atto di fede da parte dei destinatari oppure è riservato ai soli credenti», secondo il senatore PDL Franco Asciutti, capogruppo in commissione Istruzione al Senato. Anche il ministro Andrea Riccardi è intervenuto nel merito.

Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino – Montefeltro, ha spiegato che l’ora di religione non ha «niente a che spartire con la catechesi, che ha altre finalità e altri metodi e che si realizza nell’ambito della vita ecclesiale», è invece una possibilità «per tutti i cittadini italiani che lo desiderano di incontrare il cristianesimo come avvenimento di vita, di cultura e di società». Secondo il filosofo (non credente) Massimo Cacciari invece, «la nostra tradizione religiosa insegnata obbligatoriamente a scuola. Non solo, la teologia dovrebbe essere presente in tutti i corsi universitari di filosofia». E poi molto sapientemente: «non ha nessun senso insegnare Storia delle religioni. Così come si insegna Storia della letteratura italiana e non storia delle letterature mondiali, storia dell’arte italiana e non storia dell’ arte cinese, non vedo la necessità di insegnare il buddismo zen o la religione degli aztechi. Chi suggerisce di studiare tutte le storie delle religioni finisce per volere, in pratica, che non se ne studi nessuna».

Come ha ricordato anche Fausto Carioti, l’insegnamento della religione a scuola «non prevede adesione confessionale, non è catechismo. E’ educazione a capire cos’è il cristianesimo e dunque cos’è l’Italia: proprio per questo tantissime famiglie immigrate, dell’Islam e di altre religioni, ogni anno lo scelgono per i propri figli. E per questo stesso motivo, più aumenta la presenza di immigrati, più -al contrario di quanto sostiene Profumo- ha senso spiegare ai nuovi arrivati cos’è questo Paese e da dove viene la sua cultura». Tanto più, ha continuato l’ottimo articolo su “Libero”, «che l’ora di religione è facoltativa e chi la ritiene pericolosa può sostituirla con soluzioni alternative». E’ vero, l’ora alternativa funziona male/non funziona in tutte le scuole, ma questo problema non lo si risolve certo modificando l’ora facoltativa di religione. Anzi, come ha fatto presente il filosofo Antonio Allegra, l’alternativa maggiore oggi è «semplicemente uscire o entrare un’ora prima: inutile spiegare quanto sia difficile lottare contro questa tentazione, ovviamente diseducativa e discriminatoria nei confronti degli studenti che invece si avvalgono dell’ora di religione». I quali, essendo una materia facoltativa, faticano a prestare vera attenzione e per questo la storica Lucetta Scaraffia -come ha fatto Cacciari- ha proposto che diventi un insegnamento obbligatorio.

E’ utile ribadire ancora, come ha fatto Carioti e come ha fatto il filosofo Massimo Borghesi, che chi non ritiene interessante seguire l’Irc ha tutto il diritto di esercitare una forma di obiezione di coscienza (in questo caso sono d’accordo anche abortisti e radicali!) e scegliere di non partecipare alle lezioni, come fa il 10,4% degli studenti italiani. Tutti gli altri -il 90,6% secondo i dati del 2011-, aderiscono all’ora di religione, confermando, come spiegato su “Avvenire, sia l’apprezzamento dell’insegnamento sia la consapevolezza della stragrande maggioranza delle famiglie della necessità di una formazione culturale anche religiosa dei propri figli.

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Svelata la politica “mafiosa” dell’ente abortista Planned Parenthood

“Planned Bullyhood: la verità sulla lotta sui finanziamenti con Susan G. Komen for the Cure”. Questo, il titolo -velocemente tradotto- del libro recentemente pubblicato da Karen Handel, ex-membro del consiglio direttivo della Susan Komen Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro dedicata alla lotta ai tumori al seno. Nel volume la Handel riporta i retroscena della lotta per i fondi e la politica aggressiva di Planned Parenthood, l’ente abortista più grande del mondo a cui sono collegate decine e decine di cliniche abortiste, contro Komen; politica che, l’autrice definisce senza mezzi termini come «un enorme attacco premeditato ad un’organizzazione contro il cancro al senso» da parte dell’ente abortista.

Alla base della vicenda vi è un cambiamento della policy di Komen, decisa a tagliare le sovvenzioni agli enti beneficiari che “appaltavano” a terzi le mammografie e/o che fossero sotto processo giudiziario. Requisiti in cui Planned Parenthood rientrava pienamente. La reazione dell’ente abortista al taglio dei fondi è stata immediata e travolgente, alzando un «grido di protesta politico» che ha portato Nancy Brinker, fondatrice di Komen, a tornare sui propri passi e a dichiarare che continuerà a finanziare i sovvenzionamenti attualmente in corso, compresi quelli a Planned Parenthood – senza però parlare di rinnovo.

La questione, ad ogni modo, «non riguardava i soldi» -commenta Handel- quanto più invece dimostrare alle altre organizzazioni che «avrebbero dovuto fare quel che Planned Parenthood diceva ci avrebbero rimesso». Una mera prova di forza dunque, come dimostra nel suo libro l’ex-membro del consiglio direttivo Komen, mettendo in luce l’ammontare di soldi pubblici (stimati come 1,5 milioni di dollari al giorno) destinati alle cliniche abortiste e gli accordi politici intrattenuti dall’ente. Il cui «lampante coinvolgimento» in questo senso è quantomeno «inappropriato», specialmente considerati i corposi finanziamenti che riceve a livello federale.

Al suo epilogo la vicenda ha prodotto le dimissioni della Handel dalla sua posizione – «per correttezza nei confronti dell’organizzazione», ha dichiarato, in quanto, «(Planned Parenthood) non si sarebbe data pace finché fossi rimasta lì». «Sapevo che avrei dovuto andarmene», ha aggiunto, «e quella decisione fu presa nel momento in cui Komen s’arrese», tornando a finanziare l’ente abortista. Naturalmente, per l’autrice, la Susan Komen Foundation avrebbe dovuto mantenere la linea della propria decisione ma, ad ogni modo conclude, «spero che (Komen) possa uscirne più forte». La notizia è stata ripresa dalla Catholic News Agency.

Nicola Z.

 

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