La scienza non spiega tutto, se anche “Nature” se ne accorge….


 

di Alessandro Giuliani*
*biostatistico e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità

 

L’articolo apparso su Discovery Magazine dal titolo ‘I limiti della Scienza – (e degli scienziati)’ è un po’ surreale ma decisamente interessante. L’interesse scaturisce in larga misura dall’altezza del pulpito da cui proviene (l’autore è niente di meno che l’editore principale della versione on-line di Nature), il suo carattere surreale dalla sconcertante ingenuità (e quasi totale assenza di buon senso e discernimento) degli agonisti del dibattito stesso ma, a onor del vero, non dell’autore del pezzo, Ananyo Bhattacharya che ci fornisce delle considerazioni un pochino ovvie ma che, in uno sfondo di totale mancanza di buon senso, assurgono al rango di verità filosofiche profondissime.

Se andiamo con ordine forse dall’analisi di questo pezzo trarremo degli insegnamenti (io almeno ne ho tratti) ed anche dei motivi di soddisfazione per il livello del dibattito che si svolge sul nostro sito. Allora, l’autore commenta sconcertato la veemente reazione che si è sollevata contro un povero commentatore scientifico (Daniel Sarewitz) che ha osato affermare che su argomenti esoterici come il bosone di Higgs la scienza richiede di essere creduta ‘per fede cieca’ dai non esperti, in ciò non differendo da un credo religioso, il nostro aggiunge che questi pensamenti gli sono stati suggeriti da una visita ai templi di Angkor Vat in Cambogia dove ha compreso che la religione ha, tutto sommato, una sua funzione. Sorvoliamo su dei particolari quanto meno sconcertanti, il cognome del nostro è ‘Sarewitz’ , un cognome europeo di probabile origine ebraica, è vero che lo Spirito soffia dove vuole, ma dover arrivare fino in Cambogia per capire che non tutto è scienza senza mai essersi chiesti a cosa servissero campanili, cupole, sinagoghe, e cosa facessero uomini e donne vestiti con strani sai e tonache (o anche semplicemente gruppi di umani all’uscita da Messa), mi fa un po’ bizzarro, insomma uno che si chiama Daniel Sarewitz ne avrà sicuramente parlato e visto nella sua vita…

D’altro canto sogghigno dentro di me al pensiero che già nel XIII secolo S.Tommaso d’Aquino sentenziasse ‘In fide est assensus et cogitatio ex aequo’ , insomma non è pura irrazionalità la fede anzi, proprio le cattedrali di cui parlavamo poc’anzi avrebbero dovuto far venire qualche dubbio a Daniel sulla ‘fede cieca’. Vabbè dai non esageriamo, forse noi chiediamo troppo e siamo decisamente troppo colti e raffinati, magari dalle parti della scienza anglosassone (che bello però sentire le assonanze indiane dell’autore dell’articolo, che veramente l’invasione delle Università britanniche da parte di persone che hanno sempre visto il sacro come una presenza quotidiana sia prodromo di un rinsavimento generale?), questo è stato visto come una specie di sacrilegio, e giù critiche al povero Sarewitz colpevole di blasfemia antiscientifica (ed anche ad Ananyo Bhattacharya sono arrivati migliaia di messaggi pieni di livore). Nel suo pezzo comunque Ananyo si stupisce (o finge di stupirsi) per questo e ci dà un saggio di cultura filosofica citando il fatto che Ludwig Wittgenstein molto tempo fa aveva già capito la sostanziale idiozia di pensare che la scienza esaurisse tutto lo spettro delle attività conoscitive umane e che alle riunioni di quei saccenti del circolo neopositivista di Vienna ostentasse una netta separazione dal resto dei congregati fischiettando e recitando ad alta voce Tagore. Ananyo ci fa perfidamente notare come  tutti questi cervelloni in circolo non abbiano mai inventato niente di rilevante e chiude con la notazione che non è che se anche uno sapesse tutto del profilo di risonanza magnetica funzionale del suo cervello poi capirebbe tutto della sua vita e di come comportarsi . Questo, a grandi linee, il pezzo.

Ora, anche se uno non è credente, non dovrebbe avere alcuna difficoltà, se solo un briciolo onesto, a guardare indietro alla sua vita e scoprire che la grandissima parte delle cose rilevanti che ha appreso non le ha imparate dai libri di scienze ma dai genitori, dalla prima fidanzatina, dagli amici, e perché no, forse anche da un prete al catechismo e dal primo da cui ha preso un po’ di botte o con cui la sua ragazza lo ha tradito. La possibilità che tutto questo insieme di insegnamenti non sia altro che una ‘brutta copia’ di qualcosa che si può (almeno in linea tendenziale) ridurre a un teorema non può essere definitivamente esclusa (quasi niente può essere definitivamente escluso) ma fa parte della classe di affermazioni del genere ‘sono la vittima di un complotto internazionale come è evidente dal fatto che tutti lo neghino’ che, se troppo reiterate, spesso portano al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

Allora perché tanta gazzarra? Coda di paglia? Insomma è chiaro che solo una percentuale minima (direi, a star largo, sotto 1 su 100000) degli abitanti del pianeta abbia gli strumenti per argomentare su temi come il bosone di Higgs e quindi (posto che la cosa sia per qualcuno di grande interesse) per definizione ci deve credere, questo d’altronde, a ben vedere, è vero per quasi tutte le affermazioni (con la curiosa esclusione di quelle più importanti, ma non divaghiamo..), insomma quanto a me, che non ci sono mai stato, potrei anche pensare che l’esistenza di Biella sia assolutamente fantomatica e frutto di un oscuro complotto di chi vuol farmi passare una visione distorta delle geografia della mia nazione. Il punto dolente ce lo svela il tenore degli interventi critici che più o meno sono del genere ‘Non bisogna avere fede nella scienza ma negli scienziati’, il che se ci si pensa un attimo è abbastanza paradossale da essere rimarcato, in quanto implica la possibile esistenza di una scienza disincarnata che possa esistere senza gli scienziati, ma è davvero così ? Qui arriviamo al nucleo caldo della deviazione del pensiero che ci ha portato all’odierna difficoltà di capirci veramente.

La grande differenza tra la fede cristiana e altre religioni è che noi cristiani adoriamo un Dio che si è fatto persona, uno di noi insomma, quindi non è che amiamo un’idea o un concetto, noi amiamo una persona. I fondamenti della fede sono quindi legati strettamente alla fiducia che nutriamo verso alcuni nostri simili, come mirabilmente sintetizzava Pascal ‘tendo a credere alla verità espressa da persone che sono disposte a farsi uccidere per essa’ , per questo la dicotomia tra scienza e scienziati ci appare paradossale, ma le cose non stanno così per un mondo dove l’idealismo (l’esistenza cioè di idee indipendenti dalle persone che le pensano) ha preso piede. Se capiamo bene questo punto, il resto arriva facile facile: è chiaro che non ha alcun senso pretendere che i ‘concetti scientifici siano immediatamente coerenti con la lettera della Bibbia’ (questo lo lasciamo fare agli eretici) ma è altrettanto chiaro che, siccome la scienza (così come il calcio, la gastronomia, la musica, l’agricoltura..) è un’attività umana essa porterà in sé TUTTO CIO’ CHE E’ UMANO e quando dico tutto, dico tutto, nessuna cosa esclusa.

Venerdì scorso ho passato una gran bella giornata con i miei cari amici con cui collaboro da qualche anno su una linea di ricerca che ha per obiettivo la costruzione di un formalismo simile alle formule di struttura della chimica organica per le proteine, in cui ha un ruolo preminente la considerazione delle strutture tridimensionali delle macromolecole come reti di contatto tra elementi (aminoacidi) adiacenti. Questo lavoro ci sta offrendo delle belle soddisfazioni ma soprattutto ci sta facendo approfondire la nostra amicizia reciproca, mi sono trovato a considerare come un certo modo di porre i problemi fosse ad esempio molto tipico di Paola e fosse molto consono al suo sguardo leggero (tipicamente romano) sul mondo, oppure di come Luisa riuscisse ad arrivare al nocciolo della situazione grazie alla sua capacità di fare ordine e di ascoltare attentamente tutti, di come Daniele riuscisse a trovare subito i difetti di un ragionamento apparentemente impeccabile … Insomma di come ciascuno, così come accade in un gruppo veramente affiatato, riuscisse ad amalgamare il suo unico e personalissimo modo di essere in qualcosa di diverso e di più grande. Mi immagino che lo stesso accada per una squadra di calcio o per un’orchestra, il bello del lavoro scientifico è che queste esperienze possono essere protratte fino ad età abbastanza avanzate e che la società ancora riesce a mettere da parte dei denari per pagare i nostri stipendi liberando tempo ed energie da utilizzare senza pensieri in questo gioco meravigliosamente divertente e appagante. E’ chiaro che, essendo un’esperienza così totale, se uno è credente (cioè innamorato) si trovi a pensare all’oggetto del suo amore, così come può succedere a un pescatore credente che guardi un tramonto sul mare o a un contadino che osservi nascere le sue pianticelle. Come giustamente fece notare don Giussani, il senso religioso non è altro che il senso di un’unità fondamentale di tutte le cose’, essere religiosi vuol dire  prendere sul serio ‘il tutto’.

Detto questo direi che non abbiamo molto altro da aggiungere, e dare una scorsa ai messaggi di risposta al pezzo di Ananyo mi ha fatto rimanere perplesso e un po’ triste, c’è ad esempio chi dice ‘certo la poesia è importante, ma che c’entra con la scienza..’ (la poesia??). La tristezza e il disappunto mi derivano anche dalla considerazione che quelli che pretendono che la scienza elimini ogni dubbio ed ogni angoscia rendendo inutile ogni altro tipo di sapienza umana sono magari gli stessi che montano su tutte le furie quando la figlia adolescente esce di casa in una tenuta da bordello di New Orleans e non li saluta neanche (ma non dicevi che tutto ha una motivazione scientifica? Ma non li hai letti i lavori sugli squilibri ormonali dell’adolescenza e la loro ragione evolutiva?) oppure quando trovano la macchina abbozzata o il volo aereo gli viene cancellato..

Ecco, ognuno la pensa come vuole ovviamente, ma perché abbracciare un modo di pensiero che vale solo in ambito limitato (una porzione dell’orario di lavoro, la scrittura di un saggio scientifico o di una mail in un blog) invece di cercare qualcosa che sia applicabile (e che quindi offra delle buone dritte) anche a tavola, a letto, allo stadio, in macchina e al mare? Se solo considerassimo rilevante per la scienza tutto lo spettro di ciò che è umano forse ci risparmieremmo molti fraintendimenti e, chissà, vivremmo molto meglio. Ma che l’editore capo di Nature on-line accenni a questo discorso è già un buon inizio…..

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Illinois: Corte d’Appello approva l’obiezione contro la pillola del giorno dopo

La Corte d’Appello dell’Illinois ha deliberato che i farmacisti possono rifiutare la somministrazione della pillola del giorno dopo.

In Italia c’è già la possibilità per medici e farmacisti di rifiutarsi di somministrare farmaci potenzialmente abortivi, come abbiamo già riferito in questo stesso sito. Anche a Washington è stata di recente riconosciuta l’obiezione di coscienza dei farmacisti, ma la questione è ancora aperta e controversa in America.

Lo scorso settembre a Chicago due farmacisti, obiettori di coscienza, hanno vinto una causa durata sette anni riguardante la somministrazione della pillola del giorno dopo; questo crea un precedente che aiuterà a proteggere altri farmacisti che in futuro vorranno far valere il loro diritto all’obiezione e si rifiuteranno di fornire tale pillola.

Festeggiano, cautamente, le associazioni per la vita dell’Illinois e in particolare Karen Brauer, presidentessa di Pharmacists for Life International, la quale dice che, come l’evidenza dimostra, la cosiddetta contraccezione d’emergenza (pillola del giorno dopo) può indurre l’aborto, e mente chi dice che se presa entro due o tre giorni, previene l’ovulazione e la possibilità di una gravidanza. «Se la pillola del giorno dopo è assunta dopo l’ondata di ormone luteinizzante, non sopprime l’ovulazione, ma interferisce con l’impianto dell’ embrione ed è quindi risulta essere abortiva», ha detto.

La Brauer riferisce inoltre di aver visto molti farmacisti perdere il posto di lavoro per essersi rifiutati di vendere la pillola del giorno dopo e questo ha creato un sentimento di solitudine e impotenza anche negli altri colleghi pro-life. «Non sanno dove andare o cosa fare per portare avanti con coerenza le proprie convinzioni» ha detto. Anche in forza della recente sentenza, è comunque tornata ad incoraggiare i farmacisti obiettori a correre il rischio della perdita del posto e a perseguire azioni legali, se necessario, per difendere la libertà di coscienza.

Linda Gridelli

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

«La tua vita non ha dignità», quando i medici impongono l’eutanasia

Il dibattito sull’eutanasia e, in generale, sulle leggi riguardanti il fine vita, è sempre più serrato. La moderna società, immersa fino al collo nel nichilismo e nel relativismo etico, tenta di spacciare l’eutanasia come un diritto reclamato a gran voce da tutti i malati terminali, come una giusta, sacrosanta e dignitosa liberazione dal dolore che la comunità deve concedere all’individuo gravemente malato. Il tutto, seguendo un tipico principio delle società relativiste: se la maggioranza delle persone, e dell’opinione pubblica, decide che la vita, in certe condizioni, non è più degna di essere vissuta, allora l’eutanasia diventa un diritto inviolabile, un valore guida attraverso cui regolamentare le delicate, ed infinitamente eterogenee, situazioni legate alla fine della vita.

Nella società relativista, come la nostra, è quindi l’opinione di maggioranza che decide ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; non esistono più valori assoluti, come, ad esempio, la vita, ma solo ciò che la società propone come modello etico e di comportamento. Il passaggio dalla “volontà della società”, alla “volontà dell’individuo”, è quindi molto breve; ciò che desidera la società, diventa automaticamente ciò che desidera l’individuo. In realtà, come abbiamo già visto, l’eutanasia non è affatto un desiderio della maggior parte dei malati. 

L’ultimo esempio di ciò, arriva dall’Inghilterra. Qui, una persona, che per questioni di privacy verrà indicato con “L.”, ha iniziato una battaglia legale contro il Pennine Acute Hospital perchè non vuole essere condannato a morire. L. ha 55 anni, musulmano osservante, emigrato da giovane nell’area di Manchester, dove vive con la sua famiglia; sono proprio i suoi cari ad aver portato in tribunale l’ospedale, perché i medici hanno sentenziato che, in seguito a 2 arresti cardiaci che hanno gravemente danneggiato il cervello, L. non ha possibilità di guarire in modo significativo, ed è quindi un paziente che non merita di essere rianimato. I medici sostengono che rianimarlo, significherebbe esporlo ad un possibile nuovo arresto cardiaco, e questo porterebbe a “prolungare la sua morte e la sua vita senza dignità“.

A partire da maggio, però, i familiari di L. hanno notato dei segnali di miglioramento : “Quando mia mamma gli parla – dice il figlio – lui la riconosce, perché si fa subito attento e guarda dalla parte dove si trova mia mamma. Una volta poi lei ha fatto una battuta e lui si è messo a ridere“. Appurata questa situazione, un gruppo di medici indipendenti ha certificato che quello di L. non è uno Stato vegetativo persistente, ma uno stato di minima coscienza. Ora, tutta la vicenda è in mano al tribunale, il quale dovrà decidere se L. deve essere condannato a morire, anche contro la sua volontà, oppure no. Il figlio di L. non hanno dubbi : “Mio padre è un uomo pieno di vita e non vuole morire“.

Quello di L. è solo uno dei tanti casi in cui qualcuno, in questo caso i medici, si arroga il diritto di decidere della sorte di un malato, senza avere prove certe riguardanti il suo effettivo stato di coscienza. La scienza medica, infatti, non ha ancora dimostrato inequivocabilmente che i pazienti in Stato vegetativo, o in coma, non possano mai più riprendersi; numerosi, infatti, sono stati i casi in cui, persone date per spacciate, si sono risvegliate a distanza di anni, dichiarando di possedere, durante il coma, una perfetta coscienza di ciò che accadeva loro intorno. La questione, al contrario di ciò che vorrebbero certe correnti opportuniste della nostra società, è tutt’altro che chiusa.

Nicola Terramagra

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Quando “Corriere” e “Repubblica” disprezzavano le cellule staminali adulte

Era il 2005 ma sembra passato un secolo da quando i principali quotidiani del Paese – quelli letti da gente colta e perbene, mica da talebani cattolici – spiegavano che coloro che avrebbero disertato il referendum sulla Legge 40/2004 e, più in generale, gli studiosi (Angelo Vescovi, Bruno Dallapiccola e tanti altri) che ritenevano superflua e infruttuosa – oltre che eticamente discutibilissima – la ricerca sulle cellule staminali embrionali in favore di quella sulle staminali adulte, erano nel torto. Torto marcio.

L’equilibratissimo Corriere della Sera, per dire, all’indomani dell’indizione del referendum si schierò subito – neanche il tempo di ragionarci su, di riflettere, di berci sopra un caffè – a favore del “Sì”. In prima pagina, of course: «Il nostro è un sì soprattutto in difesa della libertà di ricerca scientifica (che altrimenti subirebbe gravi limitazioni con l’impossibilità di mettere a punto cure per malattie come Alzheimer, Parkinson, sclerosi, diabete)» (Corriere della Sera, 14/1/2005). E le staminali adulte? Quella non era una frontiera di ricerca? No, zero. Neanche un accenno. Roba da cattolici preconciliari, avranno pensato in via Solferino.

Memorabili, poi, le sconfortate dichiarazioni riprese da Repubblica all’indomani del referendum che confermò l’impossibilità di ricercare sulle cellule staminali embrionali. Il padre della fecondazione in vitro italiana, il prof. Carlo Flamigni, si avventurò in cupi pronostici: «l’Italia sarà costretta ad acquistare i brevetti di ciò che altri hanno scoperto, perché messi in grado di ricercare e lavorare in questa direzione» (La Repubblica, 14/6/2005, p. 12). Umberto Veronesi, dal canto suo, non fu da meno: «Il limite principale sarà posto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, che rappresentano davvero una grande promessa della biomedicina» (La Repubblica, 15/6/2005, p. 8).

Oggi cosa succede? Succede che Shinya Yamanaka e John Gurdon, i principali studiosi sulle staminali adulte – o, meglio, coloro che hanno dimostrato che è possibile (come molti ipotizzavano, inascoltati, già nel 2005) “riprogrammare” le cellule staminali adulte fino a renderle paragonabili a quelle embrionali – ricevono il premio Nobel per la Medicina.

Nel frattempo lo studioso Hwang Woo-Suk, che Repubblica definì l’«eroe coreano» (la Repubblica, 14/6/2005, p. 12) e considerato la promessa mondiale per le cellule staminali embrionali, si è rivelato un totale imbroglione; nel frattempo non le parrocchie ma i più avanzati centri di ricerca – pensiamo, per dirne un paio, ai casi della californiana Geron biopharmecuetical e della Susan G. Komen for the Cure Foundation, la più importante fondazione contro il cancro al seno degli Stati Uniti – hanno abbandonato la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ritenute poco utili sul fronte terapeutico; nel frattempo Corriere e Repubblica, tanto per cambiare, debbono ancora scusarsi con quanti – giustamente – non diedero credito a quella che loro consideravano «una grande promessa della biomedicina». E invece era una bufala.

Giuliano Guzzo

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

«Sono nato da uno stupro: grazie mamma per non aver abortito»

Sull’aborto in caso di stupro si è fatto recentemente un gran polverone mediatico negli Stati Uniti per le sfortunate, quanto male interpretate, dichiarazioni del membro del congresso americano Todd Akin che, rispondendo a un giornalista ha parlato di “stupro legittimo” in caso di aborto in caso di violenza sessuale.

A margine di questa legittima polemica il dibattito è proseguito e recentemente un’emittente nordamericana ha trasmesso un servizio al riguardo. Un uomo chiamato Ken ha raccontato la sua storia: è stato cresciuto in una famiglia adottiva, e fino ai 30 anni non ha mai conosciuto sua madre. Quando l’ha trovata, ha scoperto le circostanze della sua nascita: a 15 anni venne violentata e in seguito venne aiutata da un’ istituzione cattolica di carità a cui lo lasciò, dopo aver preso la coraggiosa decisione di lasciarlo vivere. In seguito Ken fu adottato, oggi è sposato e ha tre figli.

Ha dunque deciso di intervenire nel dibattito, parlando per coloro che non hanno voce:  “Mi si rivolta lo stomaco quando sento parlare di stupro, perché è qualcosa di orribile. Mia madre non ha cercato di dirmi il nome di mio padre, perché lui aveva minacciato di ammazzarla se avesse mai detto qualcosa”. “Se mai lo incontrassi”, ha continuato, “credo che la prima cosa che farei sarebbe dargli un pugno. Lo stupro è una cosa spaventosa, però quello che voglio dire alle donne che ci stanno ascoltando è: da qualcosa di così terribile può nascere qualcosa di buono. E io ne sono la prova”.

Ha poi raccontato di aver mantenuto una relazione con la sua madre biologica e la sua famiglia, dopo averla rincontrata, tutti insieme hanno partecipato alla celebrazione delle nozze d’oro dei suoi genitori adottivi. Ha detto di ammirare la sua madre biologica per come si è rifatta una vita: “E’ stato un periodo molto duro per lei, si è sacrificata molto, per cercare di superare quel dolore che era entrato nella sua vita”. Quando Ken è venuto a conoscenza della sua storia, ha fatto la promessa di adottare un figlio, in ringraziamento del fatto di essere stato lasciato vivere. E così ha fatto.

Riguardo all’aborto il suo messaggio è chiaro: i bambini concepiti durante uno stupro sono “veri” quanto tutti gli altri. “Sono stanco che la gente tratti questi bambini come se non fossero nulla. Loro possono nascere, possono crescere, possono vivere una vita straordinaria”. Perché rispondere con altra violenza ad un atto di violenza?

Davide Galati

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Minnesota: ecco l’intolleranza di alcuni sostenitori del “gay marriage”

Un gruppo di giovani nel Minnesota (USA), appartenenti alla “American Society for the Defense of Tradition, Family, and Property” (TFP) ha organizzato una manifestazione molto patriottica (fin troppo!) contro la ridefinizione del matrimonio, in versione gay, per le strade principali, chiedendo agli automobilisti di suonare il clacson in segno di sostegno.

Come si può osservare nel video qui sotto, moltissimi hanno sostenuto la manifestazione: c’è chi ha suonato, chi è sceso dall’auto per congratularsi, chi ha ripreso con le videocamere e chi si è unito al gruppo.

Coloro che non erano d’accordo potevano semplicemente proseguire a guidare evitando di suonare il clacson, invece molti automobilisti hanno ancora una volta espresso bene una certa intolleranza omosessualista, tirando bottiglie e lattine contro i giovani, urlando minacce, bestemmie, parolacce e insulti vari (“nazisti” si sente urlare). Una manciata di contro-manifestanti – uno dei quali portava una pistola nella fondina laterale – ha fatto segni volgari con le mani.

Più volte abbiamo fatto notare la violenta intolleranza di numerosi sostenitori del “gay marriage”, come se opporsi al riconoscimento del matrimonio omosessuale rendesse lecite reazioni tanto violente. C’è davvero in gioco la libertà d’opinione. Gli ultimi a farne le spese sono stati l’imprenditore Dan Cathy (e i suoi fast-food devastati per essersi schierato contro le nozze gay) e gli abitanti del North Carolina (insultati razzisticamente per aver votato in maggioranza un referendum contro le nozze gay). In questa pagina un piccolo riassunto degli episodi più violenti.

 

Qui sotto il video che raccoglie il sostegno e l’intolleranza osservati durante la manifestazione in Minnesota

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La lettera di Albert Einstein su Dio, quello Spirito che si rivela nel cosmo

Con la data del 3 gennaio 1954 venne indirizzata al filosofo Erik Gutkind, a Princeton. Si tratta di una lettera di Albert Einstein su Dio, che vale oggi 3 milioni di dollari.

Uno dei tanti documenti in cui il Premio Nobel per la Fisica esprime il proprio punto di vista su Dio e sulla religione. In molte lettere e in molti articoli ha citato Dio come preoccupazione maggiore emersa, non certo da una base religiosa personale che non aveva, ma dallo studio scientifico del cosmo, delle sue leggi, dell’ordine e dell’intelligenza che dietro a tutto questo inesorabilmente si rivela.

«Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo come a un miracolo o a un eterno mistero?», domandava a Maurice Solovine nella lettera scritta nel 1952. «A priori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Ci si potrebbe attendere che il mondo si manifesti come soggetto alle leggi solo a condizione che noi operiamo un intervento ordinatore. Questo tipo di ordinamento sarebbe simile all’ordine alfabetico delle parole di una lingua. Al contrario, il tipo d’ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall’uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d’ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. È qui che compare il sentimento del “miracoloso”, che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli».

Einstein, se bisogna per forza etichettarlo, affermava il cosiddetto “Dio degli scienziati”, l’Essere che per forza di cose ha creato e ordinato ma che poi si è tenuto in disparte: «La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio», ha detto lui stesso. E ancora: ««Chiunque sia veramente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno Spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, e di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà, dobbiamo essere umili». E’ il Dio a cui la sola ragione dell’uomo (come diceva Pio IX), senza l’aiuto della fede, può permettersi di approdare leggendo con intelligenza i segni della realtà: «La mia religiosità consiste in un’umile ammirazione di quello Spirito immensamente superiore che si rivela in quel poco che noi, con il nostro intelletto debole e transitorio, possiamo comprendere della realtà. Voglio sapere come Dio creò questo mondo. Voglio conoscere i suoi pensieri; in quanto al resto, sono solo dettagli», diceva ancora il prestigioso scienziato.

«La scienza», secondo lui, «contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguire finalità teologiche, poichè deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perchè la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sé altre scelte quando creò il mondo». E’ il riconoscimento evidente di un Dio che ha operato, che ha fatto determinate scelte, che ha pensato l’universo.

Un Dio immobile però, disinteressato agli uomini. Tanto che Einstein -come scrive in questa lettera da 3 milioni di dollari oggi  venduta all’asta- parlava in modo molto crudo del Dio rivelato, addirittura come «un’espressione e un prodotto della debolezza umana. La Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende per lo più infantili. Nessuna interpretazione, di nessun genere, può cambiare questo per me». Ma, sempre nello stesso documento, scriveva anche la famosa frase: «la scienza senza religione è zoppa e la religione senza scienza cieca». La presunta dicotomia tra scienza e fede è nata per lui da «errori fatali».

Il teologo Thomas Torrance, come riporta “Il Tempo”, è stato probabilmente il massimo esponente dello studio del pensiero religioso di Einstein ed è arrivato alla conclusione che il celebre fisico «coglieva la rivelazione di Dio nell’armonia e nella bellezza razionale dell’universo che suscitano un’intuitiva risposta non concettuale nella meraviglia, rispetto e umiltà associati alla scienza e all’arte». Max Jammer, rettore emerito della Bar Lan University di Gerusalemme ed ex-collega di Albert Einstein a Princeton, ha affermato invece che la concezione di Einstein della fisica e della religione erano profondamente legate, dato che, nella sua opinione, la natura esibiva tracce di Dio, un po’ come una “teologia naturale”, «in pratica, con l’aiuto della scienza naturale, si può cogliere il pensiero di Dio».

Lo scrittore Friedrich Duerrenmatt disse invece: «Einstein parlava così spesso di Dio che quasi lo consideravo un teologo in incognita. Non credo che questi riferimenti a Dio possano essere considerati semplicemente dei modi di dire, perché Dio aveva per Einstein un profondo significato, piuttosto elusivo, di non scarsa importanza per la sua vita e la sua attività scientifica. Ciò era segno di uno stile profondo di vita e di pensiero: “Dio” non era un modo di pensare teologico ma piuttosto l’espressione di una “fede vissuta”». Il premio Nobel Salam ha invece commentato: «Einstein è nato in una fede abramitica, dal suo punto di vista era profondamente religioso. Ora, questo senso di meraviglia conduce molti scienziati all’Essere superiore -”der Alte” (“il Vecchio”), come Einstein affettuosamente chiamava la Divinità – un’intelligenza superiore, il Signore di tutta la creazione e della legge naturale».

Che cosa non c’è stato in Albert Einstein? E’ mancato l’incontro cristiano, cioè il momento in cui -grazie ad un avvenimento preciso, per aiuto dello Spirito e per libertà personale, dice la Chiesa- l’uomo prende in seria considerazione il fatto che quel Dio così evidente, ma così lontano, si sia voluto rivelare agli uomini. Il più importante esponente dell’ateismo scientifico degli ultimi anni, Antony Flew, si è convertito nel 2004 arrivando ad intuire questo: «Certamente la figura carismatica di Gesù è così speciale che è sensato prendere in seria considerazione l’annuncio che lo riguarda. Se Dio si è davvero rivelato è plausibile che lo abbia fatto con quel volto». Einstein, per le circostanze della sua vita, non è invece arrivato fino a qui, ma tuttavia in una intervista del 1929 ha commentato: «Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Sull’origine dell’uomo, alcune domande


 
di Umberto Fasol*
*preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico

 
 

Sull’Agorà di domenica 23 settembre (inserto del quotidiano l’Avvenire) è apparso un lungo articolo del professore Mons. Fiorenzo Facchini, già ordinario di antropologia all’Università di Bologna e riferimento costante dell’Osservatore Romano per quanto riguarda il tema dell’Evoluzione.

L’articolo ripropone alcuni passi significativi del suo ultimo libro: “Evoluzione: cinque questioni” (Jaka Book, 2012), sotto il titolo: “Dio non è contro Darwin”. Vorrei qui esporre due osservazioni a proposito di questo autorevole testo. La prima è di carattere paleoantropologico e la seconda, invece, di ordine epistemologico.

Fiorenzo Facchini scrive che “una parentela diretta, per discendenza, con le scimmie antropomorfe, non viene sostenuta da nessuno. Viene ammesso un ceppo comune per le antropomorfe e gli ominidi, tra i quali si svilupperà la linea umana.” E’ chiaro che questa rassicurazione da una parte conforta, perché conferma il salto evidente che c’è tra noi e le scimmie, ma dall’altra rilancia la ricerca verso un mondo sconosciuto qual è quello di un “ceppo comune” che oggi non esiste e di cui non si hanno tracce. Se il confronto tra il genere Homo e la Scimmia risulta oggi possibile e ci vede totalmente diversi (per la postura eretta, per la capacità cranica, per il linguaggio simbolico, per il senso religioso, ecc…), il confronto tra il genere Homo ed un “antenato comune” risulta impossibile dal punto di vista empirico (non c’è e come si potrà riconoscerlo?).

Proseguo con i miei pensieri. Proprio comprendendo tutte le difficoltà che si incontrano nel tentativo di attribuire un reperto fossile ad un gruppo piuttosto che ad un altro, soprattutto nel caso in cui si tratti di specie estinte, mi chiedo se non sia possibile includere i pochissimi frammenti attribuiti a Homo habilis (3-4) nella variabilità intraspecifica delle australopitecine o comunque delle scimmie in generale. La capacità cranica del cosiddetto Homo habilis (600) mi pare che possa confortare una simile inclusione. Dall’altra parte il cosiddetto Homo erectus è a tutti gli effetti Homo (così è stato chiamato), cioè uomo, e perché non potrebbe essere considerato all’interno dell’amplissima variabilità antropometrica dell’Homo sapiens? Se queste due operazioni fossero possibili, non avremmo certamente risolto il problema dell’origine dell’uomo, però avremmo fatto un po’ di ordine, molto importante nella nostra indagine sull’origine.

La seconda osservazione. Mons. Facchini sostiene l’intervento diretto di Dio nella creazione dell’Uomo difendendo la sua tesi con queste parole: “l’intervento di Dio nella comparsa dell’uomo non è per supplire a deficienze di causalità di ordine naturale, ma perché la struttura fisica del vivente non è adeguata a produrre da sola un essere arricchito dello spirito. Quando e come ciò sia avvenuto è impossibile dirlo o immaginarlo.” Ora io concordo certamente con l’Autore sul fatto che la materia non possa produrre lo spirito, ma mi interesserebbe anche conoscere il suo pensiero su come la materia abbia potuto produrre l’informazione necessaria per farle assumere l’aspetto delle forme viventi che tutti conosciamo.

In altre parole, vorrei proporre di applicare l’argomentazione che ha invocato per spiegare la comparsa dell’Uomo anche alla morfogenesi degli esseri viventi, dal batterio all’uomo, proprio perché questa costituisce una complessità di informazioni strutturate tale da non essere predicibile a partire dalle proprietà dei suoi costituenti fisici. Insomma, se l’identità dell’uomo non è riconducibile alla sua struttura fisica, non possiamo dire lo stesso dell’identità della vita in quanto tale? E se nel primo caso è lecito parlare di Dio, non è possibile farlo anche nel secondo caso senza tema di essere radiati dal consesso degli uomini che usano il cervello?

 

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

300 scienziati contro la fecondazione in vitro: «distrugge esseri umani»

Sono trascorsi tre anni dalla presentazione al Parlamento polacco del  documento  in cui si chiedeva un divieto legislativo sull’uso della fecondazione in vitro, firmato da 100 scienziati.

Ad oggi quelle firme pro vita si sono triplicate, sostenendo che tale criterio di inseminazione comporta la distruzione di essere umani non nati. E non solo; secondo gli studiosi i bambini nati da questo tipo di fecondazione sarebbero maggiormente esposti, rispetto a bambini concepiti naturalmente, al rischio di avere difetti alla nascita o ritardi mentali e fisici.

I ricercatori dunque hanno proposto un’alternativa al problema della sterilità; la NaProTechnologia . “Essa è basata sul Modello Creighton, utile proprio a seguire il corpo della donna durante il suo ciclo naturale. In nessuna fase di questo metodo vi è la distruzione di esseri umani non nati, nè si distrugge la dignità dei coniugi e dell’essere umano concepito”–  si legge nell’appello dei ricercatori che ne assicurano l’efficacia e ne garantiscono il costo meno elevato rispetto alla procedura in vitro.

Tale metodo fu sviluppato da Thomas Hilgers nel 1991 e monitora le fasi del sistema riproduttivo femminile basandosi essenzialmente su metodi naturali quindi sulla capacità di riconoscere la propria fertilità da parte dei coniugi in cerca di prole, come consiglia la Chiesa cattolica.

Il padre del metodo, Hilgers, è un professore del dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, delll’Università di Medicina del Nebraska (Stati Uniti d’America), ispirato dal messaggio dell’enciclica  “Humanae Vitae”, Papa Paolo VI. Questo sistema finalizzato alla ricerca del concepimento, è riconosciuto anche come una tecnica di prevenzione sanitaria per la salute delle donne.

Livia Carandente

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Anche l’Irlanda del Nord respinge il matrimonio omosessuale

Dopo GermaniaPoloniaSloveniaNorth Carolina e Australianel silenzio mediatico, anche l’Irlanda del Nord si è opposta alle nozze gay.

E’ stata infatti respinta una mozione a favore della ridefinizione del matrimonio, la quale tuttavia avrebbe soltanto rivelato il punto di vista dell’Assemblea sulla questione, senza poter legalizzare il “gay marriage”. Un risultato positivo avrebbe comunque aumentato la pressione sull’esecutivo.

Commentando il risultato, il ministro delle Finanze, Sammy Wilson, membro del “Democratic Unionist Party” (DUP), il partito di maggioranza dell’Irlanda del Nord, ha affermato che non vi è «alcuna richiesta diffusa in tutta la società» per l’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ha anche sostenuto che una modifica della legge avrebbe un impatto negativo sulla libertà religiosa e sulla possibilità di obiezione di coscienza di varie figure professionali, come gli insegnanti che sarebbero stati penalizzati per il loro rifiuto ad insegnare e promuovere la nuova definizione nelle scuole.

Una modifica legislativa che avrebbe preteso indebitamente di cambiare un concetto antropologico, come lo è la definizione stessa di “matrimonio”. Lo ha spiegato in modo interessante il sociologo Luca Diotallevi, docente presso l’Università di Roma Tre: «i principi non cambiano, ciò che muta sono i modelli».

Secondo le parole dell’omosessuale Doug Mainwaring, infatti: «il “matrimonio”» è «un termine immutabile, che può essere applicato solo agli eterosessuali. Non dobbiamo pasticciare con esso. Io sono gay. Qualche anno fa ero dall’altra parte della barricata su questo argomento. Ma più leggevo, pensavo, studiavo e tentavo di difendere la mia posizione, più mi rendevo conto che non potevo farlo […]. Il termine “matrimonio” non deve essere modificato o regolato in alcun modo. Ammettiamolo: non dovremmo tentare di forzare un qualcosa che non è mai stato pensato per le coppie dello stesso sesso. Le relazioni omosessuali sono diverse da quelle eterosessuali».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace