Sindone: «l’esito del C14: la più grande truffa scientifica di sempre»

Questi due ultimi anni sono stati davvero importanti per la Sacra Sindone e i suoi appassionati, ovviamente per la contrapposta disperazione dei militanti del CICAP, l’associazione italiana che spreca risorse andando a caccia di fantasmi.

Il documento principale del 2011 è stato senza dubbio il report di alcuni ricercatori di ENEA, coordinati dal fisico Paolo Di Lazzaro, i quali hanno respinto con ragionevoli argomentazioni la possibilità di un falsario medioevale. Proprio su UCCR il dott. Di Lazzaro ha presentato in anteprima i risultati (prima parte, seconda parte), pubblicati successivamente in un vero e proprio documento scientifico. I ricercatori hanno dimostrato anche la possibilità di colorare tessuti di lino in modo similsindonico (cioè abbastanza somigliante all’originale) soltanto tramite la luce UV e VUV di un laser eccimero impulsato della durata di alcuni miliardesimi di secondo (diversi video su Youtube, come questo, ripropongono le varie interviste di approfondimento al ricercatore dell’ENEA).

Nel febbraio 2012 è invece apparso il documentario “La notte della Sindone”, prodotto da Polifemo e RAI con la regia di Francesca Saracino, il quale ha fatto luce sulle ricerche, i personaggi e le misteriose manovre che hanno caratterizzato la controversa datazione al radiocarbonio eseguita nel 1988. Un responso, quello del c14, che vede oggi decisamente scettici sulla sua validità la maggior parte degli studiosi (ovviamente a parte quelli ideologicamente impegnati). In questa pagina viene riassunta la situazione attuale, qui basterà citare la relazione della Società Italiana di Statistica, con la quale sono stati rilevati errori di calcolo e la modificazione di alcuni dati per arrivare al livello di attendibilità dall’1 al 5%, ovvero la soglia minima per poter presentare l’esame scientificamente.

UCCR aveva per l’occasione intervistato la regista, la quale aveva preannunciato contenuti inediti e sconvolgenti. Ancora non siamo riusciti a visionare il documentario, che è divenuto acquistabile proprio in questi giorni, ma la recensione apparsa in questi giorni su Vatican Insider ha certamente confermato le parole della dott.ssa Saracino. Gli autori dell’inchiesta hanno infatti intervistato Franco Faia, che insieme a Luigi Gonella e a Giovanni Riggi di Numana fu protagonista e testimone dell’operazione di datazione della Sindone con il Carbonio 14, il quale ha definito così ciò che accadde allora: «Si tratta della più grande truffa scientifica di tutti i tempi».

Tre laboratori (Tucson, Zurigo, Oxford), come sanno i nostri lettori, ebbero qualche minuscolo frammento della Sindone per datarlo con il metodo del radicarbonio. I risultati fecero risalire la Sindone al periodo tra il 1290 e il 1360 (guarda caso proprio il momento in cui i dati storici segnalano la prima presenza certa della Sindone), ma tale esito venne raggiunto in una continua e persistente violazione delle procedure che ha gettato un’ombra pesante sulla serietà dell’ente di coordinamento. I “dati grezzi” degli esami, cioè le cifre di base che sono servite a stilare il rapporto, non sono però mai stati resi pubblici nonostante le richieste della diocesi di Torino. Francesca Saracino e Paolo Monaci sono riusciti ad arrivare ad una copia di questi.

Il professore di statistica Pierluigi Conti, dell’Università a Sapienza, ha studiato il rapporto pubblicato allora dalla rivista Nature, osservando l’esistenza di un errore aritmetico: «Un errore semplicissimo, di cui non sono stato il primo ad accorgermi. Un piccolo errore aritmetico che però è decisivo: perché fa sì che si concluda che il materiale esaminato dai tre laboratori è omogeneo». Se questo errore viene corretto, ha continuato, «si arriva a una conclusione opposta: e cioè che l’età del materiale sindonico datato dal laboratorio di Arizona è diversa – 50, 60, 70 anni – dal materiale datato dagli altri due laboratori». La conclusione è dunque inevitabile: «Questo inficia completamente le conclusioni statistiche che derivano dall’articolo di Nature». Un risultato analogo, condotto con altri metodi di calcolo statistico, è stato ottenuto in maniera indipendente dal prof. Marco Riani, docente di statistica presso l’università di Parma.

Così come ha dunque osservato la Società Italiana di Statistica citata più sopra, questi errori sono fondamentali perché se in un campione così piccolo – qualche centimetro di stoffa – si trova una disomogeneità così forte nell’età del tessuto, nel momento in cui si considera l’intera Sindone  – quattro metri di lino – «potremmo avere variazioni di centinaia e anche di parecchie migliaia di anni». E, da un punto di vista strettamente scientifico, «non c’è un’evidenza sufficiente a favore dell’ipotesi che la Sindone sia un reperto medievale» ha concluso lo statistico. Occorre ricordare che il chimico Raymond N. Rogers, considerato uno dei maggiori esperti a livello internazionale in analisi termica, ha effettivamente individuato proprio nella zona in cui è stato prelevato il campione per la datazione del 1988, delle inserzioni di rammendo invisibile con filo di cotone, probabilmente di origine medioevale, arrivando ad affermare«La data emersa dall’esame al radiocarbonio non è da considerarsi valida per determinare la vera età della Sindone». Perfino il responsabile di uno dei laboratori in cui è stata realizzata la datazione, Christopher Ramsey di Oxford, ha dichiarato in un comunicato ufficiale del 2008: «Ci sono un sacco di altre prove che suggeriscono a molti che la Sindone è più vecchia della data rilevata al radiocarbonio».

Tutto questo è ancora una volta una anticipazione, possibile grazie al fatto che Vatican Insider ha potuto visionare in anteprima il DVD e i contenuti extra, ma “La Notte della Sindone” presenta molti altri elementi decisivi e altamente sospetti. Invitiamo dunque tutti i nostri lettori all’acquisto del documentario.

 

Qui sotto il servizio sul documentario svolto dal TG2 del 24/09/2011

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Minacce di morte per Rupert Everett: è contrario all’adozione gay

L’attore britannico Rupert Everett è uno dei tanti omosessuali che recentemente hanno preso una posizione contraria all’adozione da parte di coppie dello stesso sesso: «Non riesco a pensare a niente di peggio che essere allevato da due papà gay» ha affermato facendo infuriare la ricca e indaffarata lobby LGBT.

Ovviamente l’omosessuale eretico non poteva passarla liscia, chi osa avanzare una riflessione contraria al mainstream omosessualista si espone infatti a grossi rischi personali. Al “Daily Telegraph” l’attore cinquantatreenne ha rivelato di essere divenuto il Nemico Pubblico Numero Uno, avendo anche ricevuto esplicite minacce di morte in seguito alle sue dichiarazioni: «Ho ricevuto lettere di odio e ci sono state anche minacce di morte. Sono odiato da loro».

Anche lo psichiatra americano Keith Russell Ablow, collaboratore del ”New York Times” e di Fox News ha recentemente affermato di ricevere «minacce e odio per posta ed e-mail  ogni volta che, anche soltanto menziono, la questione apparentemente ineffabile di come le forze sociali legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere potrebbero influenzare il benessere nei bambini».

Che vi sia una vera e propria “caccia alle streghe” verso chi osa smarcarsi dal mainstream omosessuale imposto alla società è ormai evidente a tutti. Più volte abbiamo segnalato casi di vera e propria discriminazione, ricordiamo le minacce di morte all’intellettuale laica Melanie Phillips, la quale ha osato criticare i programmi educativi del governo inglese che obbligano i bambini ad essere «bombardati dai riferimenti sugli omosessuali in ogni materia scolastica»le minacce di stupro verso la figlia del senatore democratico Ruben Diaz Sr. che difendeva il matrimonio tradizionale.

Come non citare il violento agguato notturno al sindaco di Madrid Alberto Gallardon, a sua moglie e ai suoi figli, perché aveva chiesto di diminuire il volume della musica durante il “Gay Pride”le bottigliate contro la manifestazione pacifica di “American Society for the Defense of Tradition, Family and Property” a New York, l’aggressione ai fedeli durante una funzione religiosa a Milano, il dimezzamento delle stipendio di Adrian Smith, padre di due bambini, per aver scritto sul suo profilo Facebook privato che il matrimonio è “fra uomo e donna”, il danneggiamento di alcuni fast-food di proprietà di Dan Cathy, imprenditore contrario ai matrimoni omosessuali, gli insulti e l’intolleranza verso dei giovani e civili manifestanti durante una iniziativa a sostegno del matrimonio tradizionale in Minnesota,  gli insulti razzisti verso gli abitanti del North Carolina per aver votato in maggioranza un referendum contro le nozze gay, ecc.

Da queste vicende si intuisce che il messaggio (molto mafioso) rivolto a tutti coloro che ritengono che il matrimonio debba essere solo tra un uomo e una donna è chiaro: non osate dirlo pubblicamente altrimenti ne pagherete le conseguenze.

 

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No alle unioni civili (per etero e omo): ecco alcuni perché

Nel marzo scorso abbiamo raccolto in una pagina alcune delle più interessanti posizioni di psicologi, giuristi e filosofi contrari alla legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Fortunatamente, seppur su quotidiani “secondari” (dal punto di vista della diffusione), proseguono settimanalmente le prese di posizioni in questo senso (scaturite dopo l’apertura del registro delle coppie di fatto nel comune di Milano, mentre a Varese è stato respinto). Ne raccogliamo altre in questo articolo, specialmente rivolte all’obiezione verso le unioni civili, richieste anche da alcune coppie eterosessuali.

Come spiega giustamente “Avvenire”, che ha dato spazio ad alcuni intellettuali, le unioni civili sono richieste da coloro che «in nome di una libertà assoluta rifiuta il matrimonio (anche solo civile), che avrebbe il torto di regolarizzare il rapporto, ma cui va stretta anche la convivenza, che non dà alcun riconoscimento pubblico. Per chi, in definitiva, non accetta le responsabilità e i doveri di un vero matrimonio (civile o religioso che sia), ma ne esige tutti i diritti, nei confronti del partner, dei figli e dell’intera società. Diverso il caso delle coppie gay, che non sono spinte dalle stesse motivazioni ma che cercano con tale attestato di chiamare “matrimonio” la loro unione e “famiglia” la loro convivenza». In merito alla situazione di privilegio delle coppie di fatto rispetto a chi sceglie di sposarsi si veda come esempio il recente caso della decisione del Tar del Veneto, secondo cui le coppie di fatto hanno il diritto di pagare rette più basse per l’asilo

 

Il sociologo Pietro Boffi, ricercatore del Cisf (Centro internazionale Studi famiglia) ha fatto presente che viene coinvolta «l’antropologia e l’ontologia stessa dell’essere umano», ricordando di non chiamarle «famiglie di fatto, perché quelle c’erano già: ora avremo coppie sposate (in comune o in chiesa), coppie di fatto (i conviventi) e coppie di registro, quelle che vogliono guidare l’auto ma non prendere la patente!». Essendoci «in gioco la definizione stessa di famiglia», ha proseguito, «occorre interrogarsi se la definizione di famiglia finora valida sia ormai vuota. Io sono convinto di no: maschio e femmina, un padre e una madre, sono categorie che non si buttano in un attimo, non possiamo ignorare l’intera psicologia dell’età evolutiva. Stiamo assistendo a una disarticolazione delle categorie mentali dell’umano». Anche tenendo in considerazione le coppie gay, ha ricordato che «la famiglia non è solo il luogo degli affetti, ma si regge su un patto che garantisce davanti a tutta la società due cose: la stabilità e la procreazione. Da sempre la procreazione è un fatto sociale, esce da un aspetto meramente privato. Ecco perché il matrimonio è un istituto giuridico». E infine: «occorre chiedersi quanto è utile a noi come società aprire a relazioni deboli, prive di stabilità e di tutele che invece il matrimonio (civile o religioso) garantisce. Perché promuovere un basso impegno e un basso profilo che non giovano a nessuno? Chi non vuole legami, basta che usufruisca delle leggi di diritto privato che già ci sono».

 

E’ intervenuta anche la psicologa Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, la quale ha affermato che le operazioni avanzate da alcuni comuni, per ultimo quello milanese, «rientrano in un più ampio disegno di delegittimazione della famiglia molto chiaro, in atto in modo sotterraneo, ovvero togliendo valore a quello che c’è». Sulla scena ci sono due culture, «una cultura che vede il limite come un valore, e un’altra cultura opposta, dove ogni limite viene eliminato. Ad esempio affermare che l’unione di un uomo e una donna è uguale a quella tra persone dello stesso sesso significa pensare che tra maschio e femmina non c’è differenza, cioè che ogni individuo è totipotente e indifferenziato, che non ha limiti, perché ognuno è tutto. Non a caso il terreno di questa battaglia è proprio il sesso, la differenza più radicale nella persona, l’aspetto davvero fondante del limite: chi è maschio non è anche femmina e viceversa. Pensiamoci bene: qualsiasi donna incinta chiede subito se il figlio “è maschio o femmina”, perché così ne conoscere l’identità». Secondo la neuropsichiatra, l’adozione di un figlio da parte delle coppie gay «provocherà danni molto gravi a questi minori. Potrà vivere quel bambino con due genitori maschi (o femmine)? Dipende: se vogliamo crescerlo nell’onnipotenza sì, ma sappiamo che questo non lo farà stare bene. Il fatto è che oggi si pensa che amare un figlio significhi solo riversargli addosso dell’affettività, ma così non è. A forza di desensibilizzare le persone e di svuotare le parole del loro vero significato – famiglia, matrimonio, diritti – si diluisce ogni confine»

 

Ha concordato il teologo Giancarlo Grandis, docente di Teologia morale alla Facoltà del Triveneto, il quale ha ricordato che «il matrimonio ci si realizza nell’alterità vera, cioè nell’altro come diverso da me. Qualcuno sostiene la necessità di un registro per le unioni di fatto come garanzia per le coppie che non intendono vincolarsi tra loro con un matrimonio, ma che ne esigono gli stessi diritti. La questione da porre alla base di questa discussione è: i diritti si fondano sui desideri? Se la risposta è sì, tutto è diritto, anche in assenza di qualsivoglia dovere. Se però i diritti sono legati alla reale e concreta natura dell’uomo, le cose vanno in maniera molto diversa».

 

La giurista Anna Denovi, avvocato del Foro di Milano, presidente del Centro per la Riforma del diritto di famiglia, componente di Telefono Azzurro, del Comitato scientifico dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia e docente universitaria ha spiegato da parte sua che «su temi tanto sensibili la società non si sofferma a riflettere abbastanza. Oggi in Italia il matrimonio non può che essere l’impegno assunto da un uomo e una donna davanti a Dio o allo Stato civile. Però lo stato di fatto sta anticipando il diritto ovunque in Europa, e l’Italia è un Paese che quasi da solo protegge ancora la sua anima iniziale, fa da baluardo alle tradizioni e a un’etica anche laica (il valore del matrimonio civile)». Ha poi concluso: «Due persone eterosessuali che convivono hanno già tutti i riconoscimenti: i loro figli godono degli stessi diritti degli altri, se uno dei due muore l’altro ha diritto al trasferimento del contratto d’affitto, eccetera. Direi che solo per gli omosessuali c’è un salto effettivo».

 

Il prof. Alberto Gambino, professore ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile presso l’Università Europea di Roma ha spiegato che in Italia non sarebbe possibile approvare il matrimonio omosessuale perché «il nostro matrimonio è fondato sulla distinzione tra i sessi. Sarebbe altresì necessario un massiccio intervento di modifica del Codice Civile, oltre che dell’articolo 29 stesso; il quale, a sua volta, si richiama alla concezione del matrimonio presente nel Codice Civile all’epoca vigente, nel ’42, ove veniva messa in risalto proprio la differenza di sesso». In ogni caso non è certo la maggioranza (degli Stati esteri o dei politici italiani) che connota l’etica: «Abbiamo avuto in passato maggioranze legittime che hanno realizzato leggi del tutto contrarie all’uomo. un esempio storico eclatante di come morale e legge non sempre coincidano, e che in casi estremi prevalga comunque l’etica lo abbiamo con il processo di Norimberga dove gli esecutori degli ordini e delle azioni più efferate furono condannati non sulla base delle leggi che, formalmente, gli avrebbero permesso di compiere i crimini che avevano commesso, quanto dei principi del diritto naturale».

 

Il filosofo Pietro Barcellona, docente presso l’Università di Catania, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ha spiegato che su questi argomenti bioetici non si contrappongono «una visione cattolica e una visione laica, ma una visione laica che si identifica con la conoscenza scientifica del tempo e che non conosce alcuna interrogazione sul senso della vita, e una concezione antropologica fondata sull’appartenenza di ogni essere umano ad una comunità che elabora il proprio stare al mondo». I temi bioetici, ha continuato, «sono tutti argomenti che possono essere affrontati senza alcun riferimento ai testi sacri e alle confessioni religiose, bensì sul terreno di una seria analisi delle componenti psicologiche e culturali della nostra condizione umana». La sua riflessione si è posata in modo molto interessante sui problemi della fecondazione assistita e il concetto di “madre surrogata”, rispetto alla tematica delle unioni civili ha espresso «perplessità» riguardo «l’attuale dibattito sul riconoscimento delle coppie omosessuali come una forma di nuova famiglia. Personalmente ritengo infatti che vadano regolamentati i diritti economici relativi ad una convivenza protratta nel tempo, ma penso che l’adozione di un bambino da parte di una di persone dello stesso sesso rischi di produrre nella rappresentazione mentale del giovane una lacerante distorsione fra l’attitudine a svolgere ruoli femminili e maschili, paterni e materni, e la realtà di una coppia fondata su una somiglianza senza differenza».

 

Concludiamo con una curiosa riflessione dello psicologo Jesse Bering apparsa sul blog di “Scientific American, nella quale si teorizza che l’avanzamento del processo di «normalizzazione delle forme adulte di relazioni omosessuali» e «il crescente sostegno pubblico per il matrimonio gay porterà, ironia della sorte, al declino finale della popolazione omosessuale». Questa speculazione di Bering c’entra poco con il resto dell’articolo, ma se le conclusioni dovessero rispondere al vero sarebbe una situazione davvero paradossale.

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La conversione del leader ateo Josh Horn: «un altro modo di vivere!»

Davvero difficile parlare di “conversione” all’ateismo (o alla fede diversa, come è meglio dire) o all’agnosticismo, in essi ci si lascia semmai scivolare, ci si ritrova dentro per diversi motivi, solitamente accompagnati da un retrogusto di scettica amarezza, di sconsolazione, di cinismo e a volte di rabbia e arresa. Al contrario, la storia (attuale e passata) mostra che alla fede si approda spesso con gioia, si racconta quel momento di festa accompagnando i ricordi con termini positivi e luminosi: «prima era come se non vedessi», si sente frequentemente dire dai neoconvertiti che incontriamo ogni giorno.

Qualcosa del genere è accaduto durante la conversione cattolica di Josh Horn, presidente della “Secular Free Thought Society” – associazione di studenti non religiosi della Arizona State University-, da cui ovviamente ha dato le dimissioni due anni fa.

Cresciuto come cristiano battista, Horn si è allontanato dalla fede durante gli anni di scuola superiore a contatto per la prima volta con studenti non battisti e con il mondo secolare. Ha iniziato a studiare testi (scientifici in particolare, non di stampo creazionista) che prima non aveva avuto modo di poter avere. In un mese è divenuto deista, e poco dopo è avvenuta la transizione all’ateismo: «Ero rabbioso e avevo assunto una sorta di mentalità vittimista», ha ricordato. «Ero abbastanza ostile verso le religioni in generale, mi sono dato la missione personale di dimostrare a tutti che ogni religione era falsa». Grazie alla sua spiccata capacità razionale ha quindi aderito e ben presto scalato la vetta della “Secular Free Thought Society”, attrezzato con un ampio repertorio anticlericale e antiteista.

Tre mesi dopo essere divenuto presidente dell’associazione di non credenti, nel marzo 2010, Horn ha vissuto una esperienza religiosa durante la lettura di una preghiera cattolica. «Il miglior modo per spiegarlo», ha raccontato, «è che non soltanto percepivo e sperimentavo qualcosa, ma percepivo e sperimentavo qualcosa di particolare e un modo completamente nuovo di vivere. Ed è stato il fatto che si trattava di un modo nuovo che era strano, molto più che l’interazione con qualcosa di nuovo. L’unica parola che posso usare è un senso mistico, non l’avevo mai provato. Non avevo mai percepito nulla in quel modo prima e vorrei sostenere che quello che ho percepito misticamente era Gesù Cristo».

Ecco dunque che anche nel suo racconto ritorna quell’apertura degli occhi e del cuore di cui si è accennato all’inizio: «E ‘stato un modo completamente nuovo di vivere la realtà, per cui non c’è analogia con qualsiasi altra cosa che ho vissuto, e per questo è molto difficile da spiegare», ha proseguito il giovane convertito. In questo caso la conversione è come se fosse stata “subita”: «Ero infastidito da ciò che era accaduto, e spaventato – non confortato per niente. Io non pensavo fosse possibile. Accade e tu ti rendi conto che questo ti obbliga a cambiare immediatamente vita e l’intera strada che si era intrapresa». Come già detto, Horne si è dimesso dalla presidenza di “Secular Free Thought Society” il giorno successivo.

Le reazioni dei suoi ex compagni di fede non sono state rispettose, come già avvenuto nel 2004 per la conversione dell’ex leader dell’ateismo scientifico Antony Flew (definito pazzo e “vittima dell’Alzheimer” dal suo “figlio spirituale”, Richard Dawkins). «Ci sono stati suggerimenti sul fatto che ero malato di mente», ha detto Horn. «Me lo aspettavo, ho vissuto una intensa esperienza interiore e questo gruppo è basato interamente sul suo rifiuto. Ho deciso di andare avanti con la mia vita». Averroè Paracha, un altro ex presidente della “Secular Free Thought Society” e amico intimo di Horn ha confermato la persecuzione subita dopo la conversione, e spiegando che localmente è stato uno scandalo: «La maggior parte della nostra posizione era antireligiosa, quasi molesta verso le persone religiose. Il nostro club era famoso per questo. La conversione di Horn è diventato una sorta di convalida per gli altri gruppi cristiani nel campus».

Oggi, a due anni di distanza, Horn si è pienamente immerso nel cattolicesimo, non ha perso nulla del suo fervore. E’ contento di essersi lasciato alle spalle la rabbia corrosiva che sperimentava prima, svolge un intenso lavoro di  volontariato presso l’ASU’s All Saints Newman Center, legge i Padri della Chiesa e San Tommaso d’Aquino, ed è divenuto una cassa di risonanza verso i nuovi convertiti: «Aristotele diceva che lo scopo di un buon flauto è l’essere suonato bene. Io penso che lo scopo di una buona storia è quella di essere raccontata».

In questi giorni sul sito web www.ratiochristi.org è comparsa la testimonianza di uno studente, anche lui convertitosi al cattolicesimo. Quest’estate ha creato sorpresa la conversione cattolica di Leah Libresco, nota blogger di “Patheos Atheist Portal”.

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C’era una volta la panspermia, la teoria che sposta solo il problema

 
 

di Mariano Bizzarri*
*biochimico e presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana

 

“Una volta che tutti i nostri tentativi di ottenere materia vivente da materia inanimata risultino vani, a me pare rientri in una procedura scientifica pienamente corretta il domandarsi se la vita abbia in realtà mai avuto un’origine, se non sia vecchia quanto la materia stessa, e se le spore non possano essere state trasportate da un pianeta all’altro ed abbiano attecchito laddove abbiano trovato terreno fertile”. Così si esprimeva von Helmholtz, riassumendo l’ipotesi che sta alla base della teoria della Panspermia, per la quale i “semi” della vita (al limite anche molecole organiche complesse come il DNA) sarebbero sparsi nell’Universo e sarebbero giunti sul nostro (come su altri) pianeta attraverso meteoriti o altro materiale “spaziale”.

L’idea nasce con Anassagora, per essere ripresa nel XIX secolo da un folto gruppo di scienziati, astronomi e filosofi: Berzelius, Lord Kelvin, von Helmholtz, Fred Hoyle, Francis Crick. I sostenitori della panspermia hanno trovato alcune conferme indirette nel ritrovamento di molecole organiche semplici (come la porfirina e la poliformaledeide) nella polvere interstellare. Questi dati furono estrapolati da Hoyle che ipotizzò la presenza di batteri disseccati nello spazio profondo. Al momento la teoria si fonda su elementi indiretti, nessuno dei quali conclusivo: la possibilità di sopravvivenza sul suolo lunare o a 40.000 metri di altezza di batteri, il rinvenimento di materiale organico sul meteorite ALH8001, i controversi risultati di attività chimica della sonda Viking.

Le obiezioni alla teoria sono tante e vale la pena elencarle brevemente:
1)    A meno che non si postuli l’esistenza di una “biochimica alternativa” (proposta peraltro suggerita da taluni), la vita richiede determinati elementi (carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto) in densità e quantità sufficiente per l’innesco di alcune basilari reazioni chimiche. Devono coesistere le giuste condizioni di temperatura e di pressione e un determinato valore di gravità. L’insieme dei fattori descritti nelle loro proporzioni rispettive è alquanto raro, anzi rarissimo nell’universo: il che rende l’esistenza della vita un evento estremamente improbabile.

2)    Lo spazio interstellare (microgravità, raggi cosmici, venti stellari e drastiche alterazioni di temperatura) arreca un danno considerevole alle molecole ed alle cellule viventi. Gli studi sugli estremofili (batteri e protozoi che vivono negli ambienti estremi) mostrano per esempio che il DNA ha un’emivita breve (1,1 milioni di anni), incompatibile con i tempi imposti dai viaggi interstellari.

3)    Inoltre i batteri non potrebbero sopravvivere al trauma gravitazionale e termico dovuto all’impatto terrestre, anche se una qualche protezione potrebbe essere offerta dal risiedere all’interno di una cometa.

Di fatto la prova regina è e resta la documentata presenza di vita su un altro pianeta o corpo astrale. Come noto, nessuna prova è stata finora prodotta a tale riguardo.

Recentemente gli studi presentati dal team di astrofisici dell’Università di Princeton al congresso europeo di scienza planetaria svoltosi a Madrid in questi giorni, sono stati accolti con grande (ed inspiegabile enfasi) dalla stampa, che li ha presentati come una conferma della Panspermia. Niente di tutto questo. Il contributo degli astrofisici americani si è limitato a dimostrare come talune meteore possano viaggiare negli spazi interstellari ad una velocità “ridotta”, tale da consentire a pianeti più grandi di poterli attrarre nella loro orbita, rendendo possibile quello scambio di materiale roccioso tra sistemi lontani che l’astrofisica riteneva impossibile fino a qualche tempo fa. Per esplicita ammissione della Prof.ssa Malhotra, coordinatrice del team, lo studio non dimostra che la vita sia giunta sulla Terra dallo Spazio, ma solo che lo scambio di materiale sia una possibilità concreta. Resta ovviamente da dimostrare che germi di vita siano realmente presenti nelle rocce che vengono attratte dai pianeti. E questo ci riporta al punto di partenza. Da dove viene la vita? I sostenitori della panspermia ritengono l’evento talmente complesso da dover ipotizzare che la comparsa della vita sia accaduta “altrove”. Ma ovviamente questo non fa che spostare il problema da un pianeta ad un altro, per dirla con le parole di Stephen Hawking. La verità è che non abbiamo neanche una soddisfacente definizione scientifica del “fenomeno” vita, e discutiamo animatamente su come questa sia potuta apparire sulla Terra, non avendo al riguardo ancora nessuna certezza. L’argomento non è ovviamente di quelli che si risolvono con una breve nota giornalistica. E resta quindi molto, molto aperto a qualsiasi sviluppo.

La panspermia è quindi un ipotesi cui mancano, a tutt’oggi, fondati supporti sperimentali. In nessun caso potrebbe comunque essere considerata una teoria di origine della vita, considerato che, pur ammettendo per assurdo che la vita possa essere giunta da un altro pianeta o sistema interstellare, resta comunque da spiegare come sia nata in quel contesto. Ipotizzare quindi che la vita sia nata al di fuori della Terra, non risolve il quesito di base: come è nata la vita?

In realtà l’enfasi che taluni scienziati e soprattutto i media pongono sulla teoria della panspermia rileva di ben altri obiettivi. Quello che si vuole dimostrare è un asserto in realtà contraddittorio con se stesso. Da un lato, si considera la vita un fenomeno improbabile, dal carattere emergente e che si è appalesato come evento aleatorio nel contesto di uno dei tanti possibili universi. Come tale sfugge a qualunque disegno teleologico e si inscrive d’ufficio nel novero degli eventi casuali. Dall’altro, con il negare alla Terra quelle specificità uniche che hanno reso possibile la comparsa della vita, si cerca di inquadrare questa nell’ambito dei fenomeni comunque possibili in contesti per quanto possibile simili a quello rappresentato dal nostro pianeta.  Di due l’una: o la vita è un fenomeno altamente improbabile – e allora non si capisce perché insistere che abbia potuto presentarsi anche in altri sistemi solari – oppure è possibile che sia nata un po’ dovunque, e allora perché non essere proprio la Terra la sua patria di origine?

Insistere sull’ipotesi della panspermia porta comunque ed inevitabilmente a svilire il valore della vita (fenomeno “casuale”, legato ad una imponderabile ed improbabile concatenazione di eventi) e, in addendum, ad alimentare ulteriormente la vena ateistica della scienza materialistica contemporanea. Come infatti è possibile continuare a credere nell’esistenza di Dio, se la vita stessa costituisce un evento aleatorio? Come non vedere come queste posizioni portino a defraudare di significato l’esistenza, ricondotta ad un mero gioco di probabilità? Viene da domandarsi se questo pensiero “dissolutivo” sia “spontaneo” o se una qualche oscura regia congiuri nel cercare di inculcare filosofie nichiliste che, a ben vedere, non portano da nessuna parte.

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Il video delle due gemelle unite per la testa: messaggio agli abortisti

Un video sfida la non autosufficienza fisica e la presunta mancanza di dignità della vita come argomento a favore dell’aborto. Fortunatamente l’interruzione di gravidanza non è inammissibile solo per i cattolici, ma vi sono (soprattutto negli Stati Uniti) anche associazioni di non credenti che si battono contro questa piaga, tra cui Secular Pro-Life di cui abbiamo già parlato.

Pochi giorni or sono il loro sito parlava della famiglia canadese Hogan, nella quale cinque anni fa sono nate Tatiana e Krista, due gemelle siamesi attaccate per la testa. Purtroppo non è possibile dividerle chirurgicamente, perché condividono parte del materiale cerebrale e della circolazione del sangue. La loro mamma Felicia apprese dell’anomalia al quinto mese di gravidanza, ma non volle abortire. A causa di questa scelta, ella ricevette parecchie lettere anonime in cui le bambine vennero definite “mostri che non avrebbero dovuto nascere” ed amenità simili.

Oggi la famiglia Hogan ha risposto in modo provocatorio (e discutibile) rendendo visibili al pubblico di Internet le bambine; hanno infatti postato un video (qui sotto) che le mostra mentre giocano allegre e sorridenti nonostante l’evidentissimo handicap. La loro storia ricorda moltissimo quella delle bellissime gemelle Abby e Brittany, di cui ci siamo già interessati.

La presidentessa di Secular Pro-Life, Kelsey Hazzard, dice che questo video è un modo per la famiglia di dire: “‘Queste ragazze dolci hanno il diritto di essere qui, e hanno sempre avuto il diritto di essere qui.’ Speriamo che la gente inizierà a pensare prima di parlare”. 

Lo scopo del video è duplice: gli abortisti e gli indecisi vengono invitati a riconsiderare il problema della vita quando non vi è l’autosufficienza del corpo; i pro-life sono invitati a mettere in pratica le loro convinzioni visitando il sito ProLifeCares.org, che spiega come evitare che la propria beneficenza o il proprio aiuto vada ad enti connessi con l’industria dell’aborto.

“Nonostante tutta la propaganda contraria, i pro-life hanno profondamente a cuore il benessere di tutte le persone vulnerabili, non solo di quelle non ancora nate”, ha concluso la Hazzard.

 

Qui sotto il breve video delle due gemelle siamesi pubblicato su Secular Pro-Life:

 
Linda Gridelli

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Eugenio Borgna ed il contributo della fede cristiana alla psichiatria

Eugenio Borgna e fede cristiana. Uno dei più importanti psichiatri italiani racconta della sua fede cristiana e di quanto essa abbia influito nella sua relazione con i pazienti, quando riesce ad introdurre in loro l’ideale della speranza.

 

Se c’è una cosa evidente per il cristiano è che tutto quanto accade, di bene o di male, è un dono. L’amore, la gioia, la sofferenza e la malattia, tutto è per la sua maturazione, ogni cosa chiede di essere vissuta con questa coscienza, penetrata nel profondo, vissuta con letizia, con speranza e se possibile con gratitudine.

Ovviamente, fino a quando si parla di avvenimenti positivi è facile essere d’accordo, ma quando si tratta di dolori e malattie pochi -comprensibilmente- hanno il coraggio di affrontarli con questa concezione ultimamente positiva. Per questo è molto interessante l’aiuto di uno dei maggiori psichiatri italiani, Eugenio Borgna, il quale afferma senza mezzi termini che «anche la malattia è un dono». Borgna è oggi Primario emerito di psichiatria all’Ospedale maggiore di Novara, dove è responsabile del Servizio di Psichiatria e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali presso l’Università di Milano.

Ilsussidiario.net lo ha intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, “Di armonia risuona e di follia” (Feltrinelli 2012), dove ha parlato dei numerosi casi clinici affrontati nella sua carriera con i quali condivide il dramma della sofferenza e invita a guardarli all’interno di un ideale abbraccio di vita, reso possibile dalla sua fede cristiana.

«E’ solo accogliendo nella fede cristiana il mistero come senso definitivo dell’esistenza che sono riuscito ad andare al di là dei sintomi dell’esperienza psicotica. Possiamo capire fino in fondo l’altro solo se lo guardiamo con occhi bagnati di lacrime; segno commosso di una ipersensibilità  a quella condizione finita comune a tutti gli uomini», ammette Borgna. Egli contesta fortemente l’interpretazione naturalistica delle patologie mentali che ricerca le cause della psicosi nel malfunzionamento dei centri cerebrali, e la sua cura attraverso i farmaci e l’elettroshock. Critica «l’assegnare alla ragione calcolante, astratta, alla ragione delle apparenze, il solo modo di capire cosa il paziente abbia, come questo si deve curare o se esse deve essere abbandonato al suo destino». Propone dunque, sulla scia di Guardini, Scheler, Husserl, Heiddeger, il metodo fenomenologico, «non mi fermo ai sintomi ma li trascendo, cercando di capire quali siano i sentimenti, le emozioni, la vita interiore dell’altro». Ma per farlo bisogna evitare di negare che «nella follia ci possa essere anche solo un granello di speranza e di saggezza».

La malattia, come affermato da Romano Guardini, a volte «fa sgorgare in noi motivi di riflessione, di contemplazione, di comprensione che non sarebbero altrimenti possibili. Anche la malattia è un dono». Conclude quindi lo psichiatra: «Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Questo è l’ultimo fondamento che consente di guardare l’altro dall’unico punto di vista che mai consentirà di venir meno al rispetto di una dignità, e di una libertà assediate dal male».

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Nuovo studio: donne cattoliche e magistero della Chiesa sui contraccettivi

http://www.catholicsistas.com/wp-content/uploads/2012/09/girl_praying-500x394.pngContro lo spesso propagandato dato, peraltro più volte smentito, per il quale il “98% delle donne cattoliche usa contraccettivi” è stato recentemente pubblicato uno studio che potrebbe porre definitivamente la parola fine sulla questione. La ricerca, intitolata “Cosa pensano le donne cattoliche su fede, coscienza e contraccezione”, ha evidenziato una forte ricettività agli insegnamenti della Chiesa in materia di family planning anche da parte di quella fetta di cattoliche che non li accettano completamente o in parte.

Nella pubblicazione si parla espressamente di “opportunità nascosta” offerta dall’insieme di donne «che non accettiamo pienamente l’insegnamento della Chiesa, ma sono aperte a saperne di più», ad d’ascoltare gli insegnamenti derivanti dalla storica enciclica Humanae Vitae. «Due terzi di queste donne», commentano gli autori, «sono già coinvolte nella vita parrocchiale», e conseguentemente, «facilmente raggiungibili. I dati mostrano che maggiore è l’inserimento della donna nella Chiesa e ai Sacramenti, più è probabile che l’accezione dell’insegnamento della Chiesa sulla pianificazione familiare». Starebbe quindi ai sacerdoti esprimere e promuovere attivamente la visione cattolica sulla contraccezione, «delicatamente, ma con convinzione». Soprattutto se considerato che dallo studio emerge che il 72% delle frequentanti della Messa domenicale s’affidano all’omelia come fonte primaria di conoscenza degli insegnamenti della Chiesa.

Lo studio ha inoltre evidenziato come l’accettazione dei principi della Chiesa sui contraccettivi tra le giovani cattoliche frequentanti le funzioni domenicali,  tra i 18 e i 34 anni, va dal 27% al 37%. Tuttavia, se si osserva i dati riguardanti la fascia tra i 18 e i 54 anni, l’accettazione è solo del 13%, comunque sufficiente a far scendere il 98% di cui sopra, all’87%. Un terzo di queste mostra di avere semplicemente un’idea sbagliata di ciò che insegna la Chiesa, mentre il 44% esprime una visione sfumata degli insegnamenti ecclesiali sulla pianificazione familiare, accettando “parti” di quegli insegnamenti, la maggioranza di esse afferma comunque di essere ricettiva a saperne di più, in particolare sui benefici per la salute e l’efficacia della pianificazione familiare naturale, sostenuta ampiamente dalla Chiesa come alternativa alla contraccezione.

Ad ogni modo, viene anche riportato come per 9 cattoliche su 10 la fede è importante nella vita di tutti i giorni, «vogliono diventare buone cattoliche», concludono gli autori, «molte di loro saranno ricettive, dato il giusto messaggio con il giusto approccio». Lo studio è liberamente consultabile sul sito dell’Ethics and Public Policy Center.

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Libertà dell’uomo e libero arbitrio: gli insegnamenti stabiliti dal cristianesimo

Son stato stimolato in questi giorni dalla lettura dell’articolo pubblicato su Crisismagazine a scrivere sulla libertà, uno dei temi più belli e scottanti di ogni tempo.

I cristiani, e soprattutto i cattolici, vengono continuamente tacciati di essere contro la libertà a causa della loro opposizione ai seguenti “diritti”: aborto, eutanasia, testamento biologico ecc. Su questi temi si invoca sempre il diritto di libera scelta della persona, limite invalicabile e inviolabile (secondo la stragrande maggioranza dell’umanità, senza esagerare). Ma pochi si chiedono e indagano da dove provenga questa libertà personale così tanto esaltata da ormai circa 50 anni, se non prima. Ebbene, è proprio grazie al cristianesimo, fin da San Paolo che la esplicitò in modo chiaro, che la libertà esiste in quella che noi oggi chiamiamo Europa (intendo rifarmi, oltre che all’articolo sopracitato scritto da Joseph Pearce, visiting fellow presso il “Thomas More College of Liberal Arts” nel New Hampshire, anche al pensiero di mons. Luigi Negri, relativamente al testo Ripensare la modernità).

 

LIBERTA’ DELL’ESSERE UMANO. San Paolo già nella Lettera ai Galati (3, 26-29) gridava che le antiche distinzioni tra schiavi e liberi erano scomparse perché siamo tutti Figli di Dio, cioè la nostra essenza, il nostro valore deriva non dal nostro status sociale, per dirla con poche parole, bensì dall’essere generati dallo stesso Padre, chiamati tutti a essere con Lui e di Lui. Furono tanti in seguito, tra i più grandi pensatori cattolici, a continuare questa difesa della libertà personale di ogni individuo. Francisco De Vitoria nel 1539 nella Relectio de indis, riportando San Tommaso e prendendo le difese degli indios,  scrive: “.. come dice bene San Tommaso, per diritto naturale gli uomini sono tutti liberi” (La questione degli indios, ed. Levante, Bari, p.36), e riguardo all’opportunità o meno di convertire a forza i pagani scrive: ”S. Tommaso sostiene che i pagani non devono essere costretti ad abbracciare la fede, poiché il credere è proprio della volontà”.(idem, p 101). Sentir dire ben 515 anni prima della Dichiarazione dell’uomo e del cittadino che “tutti gli uomini sono liberi per diritto naturale” è una cosa che potrebbe sorprendere molti, ma non chi è veramente informato della verità dei fatti.

La definizione di libertà come facoltà di ogni uomo fu stabilita nell’alveo della cristianità in modo netto e schietto e non, come ormai la storia “ufficiale” vuole farci credere, durante la Rivoluzione Francese. Fu nell’1800 circa, se non prima, che si stabilirono al contrario le basi per quello che poi avvenne durante l’ultima guerra mondiale: con l’inizio della scristianizzazione dell’Europa, dovuta agli Illuministi, si incominciò sempre più, ma in modo “quasi” impercettibile, a perdere i valori fondamentali della persona: se sei figlio di Dio la tua dignità non può essere scalfita, anzi essa viene esaltata; ma se diventi frutto del caso su cosa si basa la tua dignità? Se l’esserci o non esserci è indifferente al cosmo, se la persona non ha alcun scopo ultimo, alcun fine, non si può che concludere con Nietzsche e la teoria del “sopravvive il più forte”. Se l’uguaglianza dell’uomo è negata, la libertà è in pericolo. Il filosofo tedesco infatti divise l’umanità in due classi, Ubermenschen e Untermenschen, uomini superiori e uomini inferiori, degni di vivere i primi, massa subumana degna di morire i secondi, e forse a qualcuno potrà venire in mente quello che i nazisti teorizzarono rispetto alla distinzione delle razze e della superiorità ariana, destinata a dominare il mondo. Da bravi materialisti quali erano non lasciarono certo le loro idee nel mondo iperuranico. Fu appunto il ‘900 il periodo della storia dove veramente gli uomini fecero a meno di Dio, arrivando non solo a perdere la propria umanità, toccando punte di perversione diabolica. Fu la conseguenza diretta del mancato rispetto del concetto cristiano di uguaglianza tra gli uomini: “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché voi tutti siete un essere solo in Cristo Gesù” (Galati III, 26-29).

 

LIBERTA’ NELL’ESSERE UMANO. Oltre alla imprescindibile connessione tra libertà e uguaglianza, l’altro aspetto della libertà sancita dal cristianesimo è la libertà della volontà e le conseguenze ad essa. Se siamo liberi di agire (libero arbitrio) e non soltanto schiavi dei nostri antecedenti biologici, come i materialisti sostengono, dobbiamo accettare il fatto di essere responsabili delle nostre scelte e delle loro conseguenze. Al contrario la visione fortemente ateista di riduzionismo e materialismo pretende -per restare coerente con sé stessa- di negare all’uomo la facoltà del libero arbitrio, è un’illusione ci dicono, siamo tutti schiavi dei nostri istinti biologicamente determinati. Ancora una volta la negazione di Dio porta alla negazione della libertà. Perché, infatti, dovrebbero difendere qualcosa che non credono esista?

 

Per concludere, abbiamo osservato che il concetto di libertà dell’essere umano e libertà nell’essere umano (libero arbitrio) provengono entrambi dal cristianesimo e sono da esso sostenuti e difesi ancora oggi. Tacciare il cristianesimo di non lasciare la libertà all’individuo è dunque antistorico e contrario alla stessa natura della religione cristiana. Se poi alcuni uomini “cristiani” hanno fatto e faranno atti riprovevoli contro la libertà, e la storia ce li mostra, questo non toglie che tali azioni vennero compiute innanzitutto contro la loro stessa fede e il loro Dio. Una frase di G. K. Chesterton si adatta perfettamente alla situazione: ”Il mondo moderno … ha usato e usa tuttora  le verità che gli arrivano dall’antico tesoro della Cristianità; che includono certamente verità conosciute dall’antichità pagana, ma cristallizzate dal cristianesimo”.

Luca Bernardi

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Jozef Tiso, la deportazione degli ebrei e le proteste della Chiesa cattolica

Molto spesso chi attacca la Chiesa usa una singolare tattica: ammette che alcuni uomini del clero hanno avuto un atteggiamento eticamente corretto, ma afferma che in realtà queste persone furono delle mosche bianche che hanno agito contro la loro stessa gerarchia. Al contrario, porta spesso l’esempio di preti e vescovi che hanno compiuto misfatti per dimostrare la criminalità della Chiesa presa nel suo insieme. Ad esempio, taluni portano il caso del presidente slovacco, il presbitero Jozef Tiso, che durante la seconda guerra mondiale fu a capo di un regime responsabile della deportazione di migliaia di ebrei, per dimostrare la complicità della Chiesa nell’Olocausto. I fatti però smentiscono questa teoria.

Quando Hitler invase la Cecolosvacchia impose ai slovacchi un protettorato e alla guida del movimento nazionale s’impose appunto Jozef Tiso. Il suo ruolo politico fu malvisto dalla Santa Sede perché riteneva inopportuno un simile coinvolgimento del clero in uno stato affiliato alla Germania nazista e il Vaticano rifiutò quindi di sottoscrivere il concordato che Tiso, per rafforzare il regime, propose alla Santa Sede. Al Papa infatti non sfuggiva il fatto che la Slovacchia si trovasse in un evidente condizione di subalternità politica verso la Germania e che questa sarebbe potuta ben presto diventare anche ideologica.

Non mancava però, la convinzione che Tiso agisse in buona fede e l’ambasciatore della Santa Sede in Slovacchia, Giuseppe Burzio annottò che “egli [Tiso] è convinto o almeno spera che, rimanendo al potere, riesca a salvare il salvabile e che l’applicazione dei metodi nazionalsocialisti non sarà portata alle estreme conseguenze”. (G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano 2007 p. 387). Questa visione però cominciò a cambiare quando il regime slovacco cominciò ad introdurre la legislazione razziale ad imitazione dei nazisti: il 9 settembre 1941 venne emanato, sotto forma di un’ordinanza governativa, il “codice ebraico” basato sul modello delle leggi di Norimberga. Questo passo dispiacque molto alla Santa Sede che decise di declassare Tiso togliendoli il titolo di “monsignore”. (M. Phayer, Il papa e il diavolo , Roma 2008 p. 29).

La situazione però era destinata a peggiorare perché nel 1942 la Slovacchia cominciò a deportare gli ebrei. Il regime infatti concluse un accordo con i tedeschi nella quale s’impegnava al versamento di cinquecento marchi per coprire il costo di ogni singolo deportato a patto che i nazisti non reclamassero le loro proprietà. La notizia delle deportazioni allarmò il Vaticano che intervenne subito per cercare di fermarle: il 14 marzo, il segretario di stato Luigi Maglione convocò il rappresentate slovacco presso la Santa Sede, Karol Sidor, per comunicargli che “non poteva credere che un paese che sosteneva d’ispirarsi ai principi cristiani avesse preso misure così gravi che avrebbero avuto effetti terribili su molte famiglie”. Lo stesso Pio XII intimò al governo di prendere immediatamente provvedimenti per fermare le deportazioni. Maglione incaricò Burzio di incontrare il ministro degli interni, Vojetch Tuka per cercare di persuaderlo a porvi fine e commentò che nel governo slovacco vi erano due pazzi: “l’uno Tuka che è l’esecutore e l’altro Tiso che permette che accadono”.

Anche i vescovi fecero circolare una lettera pastorale nella quale, pur giustificando alcune misure di discriminazione antisemita, specificavano che “gli ebrei sono gente come noi e dunque devono essere trattati umanamente”. I rappresentati slovacchi, pur dichiarando la loro professione di cattolicesimo, disobbedirono agli ordini vaticani e continuarono a trasferire gli ebrei. Tuttavia, le insistenti proteste del Vaticano unite al malumore della popolazione contraria alle deportazioni, indussero il governo a porvi fine. Si trattava solo di una proroga dato che le guardie Hlinka (i fascisti slovacchi) erano intenzionate a riprenderle: “Verrà marzo e poi verrà anche aprile e i trasporti partiranno ancora” dichiarò il ministro degli Esteri Sano Mach. Ciò però non avvenne perché i vescovi e i rappresentati vaticani intervennero efficacemente affinché questo non accadesse. Tra i molti interventi, Maglione inviò una nota al governo spiegando che “la Santa Sede rischierebbe di sottrarsi al suo compito divino se non deplorasse le disposizioni e le misure che offendono gravemente i diritti naturali per la semplice ragione che queste persone appartengono ad una determinata razza.” (M. Burleigh, In nome di Dio, Bergamo 2007 pp. 301-302).

Ciò permise che per un breve periodo di tempo la Slovacchia divenne paradossalmente un rifugio sicuro per gli ebrei polacchi in fuga dallo sterminio. Questa situazione durerà fino all’autunno del 1944 ossia quando dopo un’insurrezione, i tedeschi assunsero il diretto controllo del territorio iniziando a deportare tutti gli ebrei che fino ad ora erano riusciti a scampare all’Olocausto. Anche stavolta la Chiesa intervenne sebbene vi fosse ben poco che si potesse fare: Pio XII diede istruzioni al suo diplomatico di recarsi da Tiso e riferirgli il dovere di aiutare quelle persone colpite “a motivo della loro nazionalità o stirpe” facendo leva anche sui suoi doveri di sacerdote e sul fatto che le ingiustizie commesse sotto il suo governo avrebbero arrecato danno all’immagine del suo paese e alla stessa Chiesa. Tiso fu però irremovibile e giustificò le deportazioni tedesche come misura di sicurezza dello stato (sic!). La Santa Sede deciderà dunque di spostare le sue richieste verso la Legazione slovacca che si era mostrata profondamente contrariata di fronte ai soprusi effettuati contro gli ebrei. (Alessandro Duce, La Santa Sede e la questione ebraica, Roma 2006 pp. 337-339).

La Chiesa non diede quindi la sua benedizione al governo di Tiso e anzi, fu per essa una fonte di grave imbarazzo tanto che monsignor Domenico Tardini si rammaricherà per il fatto che il presidente della Slovacchia fosse un prelato perché mentre tutti potevano capire che la Santa Sede non aveva il potere di fermare Hitler, difficilmente si poteva intuire che la Santa Sede non fosse in grado neppure di richiamare un prete. Che il papa disapprovasse Tiso lo si poté comunque comprendere all’epoca del suo processo: quando il prelato, fuggito in Germania, fu ricondotto in patria per essere processato e impiccato, la Santa Sede ne prese le distanze e Radio Vaticana commentò negativamente il suo operato osservando che “ci sono leggi a cui bisogna obbedire, non importa quanto si ami il proprio paese”. (M. Phayer, Il papa e il diavolo , Roma 2008 p. 63).

Mattia Ferrari

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