Con Dio o senza Dio tutto cambia: proporre la fede amica della ragione

 
 
di Francesco Moraglia
patriarca di Venezia

dall’intervento al Sinodo per la Nuova Evangelizzazione, 13/10/12

 

Sulla linea del magistero costante della Chiesa e, più recentemente, di Giovanni Paolo II (Fides et ratio) e di Benedetto XVI (Lectio magistralis, Regensburg, il 12 settembre 2006), auspico che la nuova evangelizzazione riservi maggior spazio alla catechesi, con speciale attenzione alla complementarietà fede, ragione.

Siamo grati all’impegno di chi con competenza e sensibilità si fa carico della pastorale dell’alta cultura, favorendo il dialogo con gli intellettuali e gli scienziati cristiani, con quanti sono in onesta ricerca. Anche sul piano della catechesi ordinaria ci si deve incamminare verso una più condivisa coscienza circa la dimensione culturale della fede, affinché il credente non viva una sudditanza psicologica e si percepisca in ritardo sul quadrante della storia.

Non di rado, il cattolico vive una sorta di complesso d’inferiorità nei confronti della modernità e postmodernità per un personale, non risolto conflitto tra fede e ragione. Il silenzio del cattolico-medio, nel dare ragioni della sua speranza, è fragorosissimo. Oltre a potenziare il primo annuncio, la lettura della Bibbia, la lectio divina, – sulla linea della Dei Verbum e dell’esortazione post-sinodale Verbum Domini– ritengo necessario, in ordine alla nuova evangelizzazione, rinsaldare il legame strutturale tra ragione e fede.

Si tratta di far entrare la cultura nella pastorale ordinaria; ciò, oggi, risponde a una diaconia cristiana nei confronti della storia, di fronte a una cultura che si elabora sempre più a partire dal sapere delle scienze e della tecnica, generando un pensiero strumentale e funzionale. In tale situazione, in Italia, la maggioranza dei giovani, compiuta l’iniziazione cristiana smarrisce il rapporto con la Chiesa, la fede, Dio. Molteplici le cause; ritengo, però che, in non pochi casi, la fede non sia supportata da una catechesi amica della ragione, capace di una vera proposta antropologica e in grado di legittimare la plausibilità della scelta cristiana.

E’ necessario rilanciare il CCC [Catechismo della Chiesa Cattolica, NdR] dando maggiore spazio ai contenuti affinché la fede non si riduca ad una fede “fai da te”; la fides quae non di rado è carente nelle nostre catechesi; è importante la metodologia ma non a scapito dei contenuti o dell’esperienza elevata a luogo teologico. Se con Dio o senza Dio tutto cambia, è doveroso ricentrare la catechesi su Dio e su quanto la rivelazione cristiana dice di Lui, non dimenticando che il Dio di Gesù Cristo – come ricorda Benedetto XVI – è insieme Agape e Logos.

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Aborto : fortunatamente aumentano gli obiettori di coscienza

Come abbiamo già avuto modo di vedere, gli obiettori di coscienza, in tema di aborto, sono sempre più numerosi. Cresce, infatti, il numero dei medici che scelgono di non praticare interruzioni di gravidanza perché convinti che la vita sia tale fin dal concepimento. A tal proposito, un articolo comparso su “Il Corriere della Sera, mostra come, anche nel nostro Paese, questa tendenza sia in aumento.

Il quotidiano nazionale, infatti, riporta alcune interessanti statistiche che confermano l’aumento dei medici obiettori: per i ginecologi, si è passati da un 58,7% del 2005 ad un 69,3% nel 2010, mentre per gli anestesisti la percentuale si è spostata dal 45,7% al 50,8%. Interessante, poi, notare un aumento degli obiettori anche tra il personale non medico, dove si è passati dal 38,6% del 2005 al 44,7% del 2010. In generale, i valori più alti sono stati registrati nel Sud Italia, con punte dell’85% dei ginecologi in Basilicata, del 78,1% degli anestesisti in Sicilia e del 79,4% del personale non medico in Calabria.

Questo dato, costituisce senza dubbio un duro colpo per tutti coloro che si battono contro la libertà dei medici, e che considerano l’obiezione di coscienza in tema di aborto una malattia che va debellata; per costoro, infatti, il buon medico non dovrebbe obiettare. Se questa tesi fosse corretta, è evidente che dovremmo rivedere, e rivalutare, completamente la figura del medico perché, in questa fantasiosa visione, egli non sarebbe altro che un “automa” programmato per eseguire gli ordini del paziente, e sarebbe costretto ad esercitare la sua professione dimenticandosi completamente della sua coscienza. E’ evidente, che la figura del medico si svuoterebbe completamente di qualsiasi tipo di competenza e professionalità, e non diventerebbe altro che una “scappatoia” per la risoluzione di tutti i problemi.

Un altro interessante dato riportato dal “Corriere”, è la diminuzione del numero di aborti; tra il 2010 e il 2011, le interruzioni di gravidanza sono scese del 5,6%.

Non si può certo ignorare, poi, la famosa pillola RU486, a lungo oggetto di una feroce battaglia ideologica che l’ha introdotta anche nel nostro Paese. Secondo “Avvenire” tuttavia, il ricorso all’aborto chimico non è stato così frequente come inizialmente ipotizzato; in Lombardia, ovvero in una delle regioni più popolose, le interruzioni di gravidanza tramite aborto chimico sono state “appena” 444, in Toscana i casi sono stati 760, in Piemonte 1.356 e in Emilia Romagna 2.271. Secondo i dati raccolti, è ipotizzabile che, a fine anno, gli aborti chimici saranno meno di 7.000, ovvero, indicativamente, solo il 6% del totale. Numeri, quindi, assolutamente modesti.

La strada è certamente ancora lunga e tortuosa, ma questi dati indicano che la diffusa mentalità che considera l’aborto come un diritto inalienabile, e non come un dramma esistenziale, comincia seriamente a mostrare tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni.

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Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz: «studiando filosofia sono divenuta credente»

Il premio Nobel per la chimica, Melvin Calvin, ebbe ad affermare: «Nel cercare di discernere le origini della convinzione sull’ordine dell’universo, mi pare di trovarle in un concetto fondamentale scoperto duemila o tremila anni fa, ed enunciato per la prima volta nel mondo occidentale dagli antichi ebrei: ossia che l’universo è governato da un unico Dio e non è il prodotto dei capricci di molti dèi, ciascuno intento a governare il proprio settore in base alle proprie leggi. Questa visione monoteistica sembra essere il fondamento storico della scienza moderna» (M. Calvin, “Chemical Evolution”, Oxford 1969, pag. 258).

La scienza nasce dall’alveo della religione cristiana, come abbiamo visto, ed è un dato di fatto anche per i nemici dei credenti come Peter Atkins, il quale ha a sua volta riconosciuto: ««la scienza, il sistema di credenze fondato saldamente su conoscenze riproducibili e pubblicamente condivise, è emersa dalla religione» (P. Atkins, “The limitless power of science”, Oxford University Press 1995, pag. 125).

Ma non soltanto l’indagine scientifica è debitrice della religiosità , ma anche quella filosofica. Lo ha spiegato molto bene Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, filosofa e presidente dell’Istituto europeo di filosofia e religione a Heiligenkreuz, in un’intervista per l’Osservatore Romano: «con Cusano mi fu chiaro che la grande filosofia si nutriva normalmente di un potenziale religioso. La stessa critica della religione di Nietzsche si lasciava leggere come “mistica negativa” (Henri de Lubac). Da un punto di vista fenomenologico Dio era da trovarsi indirettamente nel “mondo del fenomeno”; qui incontrai Romano Guardini ed Edith Stein. Entrambi furono miei maestri postumi. Il cuore del mio lavoro è il XIX e il XX secolo perché vi si concentra un grande lascito: la filosofia della religione».

La Gerl-Falkovitz, già docente presso le Università di Monaco di Baviera, Bayreuth, Tubinga e Eichstätt, dal 1993 al 2011 ha retto la cattedra di filosofia della religione e scienza religiosa comparata all’Università tecnica di Dresda, mentre dal 2011 -come già detto- presiede l’Istituto Europeo di filosofia e di religione presso l’Istituto Superiore filosofico-teologico Benedetto XVI, a Heiligenkreuz (Vienna). Durante l’intervista ha citato anche il celebre Edmund Husserl, spiegando che «quasi non parlò di Dio, ma molti dei suoi allievi si convertirono al cristianesimo», ha affrontato il pensiero di Ildegarda di Bingen che Papa Benedetto XVI dichiarerà Dottore della Chiesa e ha rivelato anche qualcosa di sé.

«Da adolescente ho fatto parte di un gruppo giovanile cristiano», ha raccontato la filosofa tedesca, « lì abbiamo potuto esprimere la nostra critica alla Chiesa, manifestare la nostra saccenteria ed essere guidati intelligentemente da una giovane teologa a una riflessione più profonda. Queste discussioni aperte, ma anche le sante messe, sono state importanti per il mio ancoraggio nella fede. La riflessione filosofica mi ha illuminata e ha rafforzato molte proposizioni della fede non chiare: sono diventata veramente credente studiando filosofia. Perciò oggi insegno anche fenomenologia, perché so che conduce a verità profonde con l’”apprendere a guardare”. Si deve cambiare solo lo sguardo, allora si vedono le Verità di Cristo. Già nella patristica è stato detto: “Tutte le luci della terra di Grecia brillano per il sole che si chiama Cristo”».

Nella sua riflessione ha trovato spazio anche una critica alla moderna “ideologia del gender”, una tesi pericolosa e profondamente contraria alla dignità e diversità della donna: «mi sono occupata obiettivamente di teologia femminista fin dagli anni Settanta, soprattutto di storia delle donne e dell’”immagine” maschile di Dio. Quando l’ideologia si indirizzò verso la “liturgia delle donne” e la costruzione arbitraria di un preteso “matriarcato”, divenni critica: una serie di ideali suonavano irreali e piuttosto zoppi. Considerai criticamente anche Simone de Beauvoir con la sua proposta di mascolinizzazione della donna e, soprattutto, l’ideologia del gender, che ha degradato il corpo alla corporeità neutrale. Ildegarda di Bingen già aveva considerato il corpo con molta serietà. Si può apprendere dalla storia delle donne cristiane molto di buono su questo argomento, ora dimenticato».

Infine una lode al Pontefice: «Con Joseph Ratzinger il Logos cristiano si desta a una vita inattesa. Questo “salva” non solo l’antica e primitiva Chiesa nel presente, ma la salva anche dallo scrollarsi dalle spalle la verità. Il Papa parla da una religiosità del pensiero: la conversione alla realtà».

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Argentina: isteriche femministe attaccano la cattedrale e i cattolici

Un gruppo di 500 femministe radicali argentine, nella città di Posadasha pensato di richiedere un trattamento speciale in materia di omicidio nel codice penale, il femminidicio (legittimo) e la legalizzazione dell’aborto (molto meno legittimo!!) vandalizzando scuole, case, auto e monumenti.

Non contente hanno cercato di entrare nella cattedrale cattolica della città per tentare di distruggerla, protetta tuttavia da una catena umana pacifica di giovani cattolici, che sono riusciti ad evitare che la chiesa venisse profanata.

Recitando con tranquillità il rosario (facendo ancora di più infuriare le paladine della tolleranza), come si vede nel video qui sotto, si sono lasciati umiliare dalle femministe, venendo sporcati di pittura sul volto e sugli abiti ed evitando di reagire alle provocazioni. Tuttavia il gruppo di esaltate è riuscito a vandalizzare i muri della cattedrale con scritte del genere. “l’unica chiesa illuminata è quella che brucia” “nessun Dio, nessun modello, nessun marito”, “Chiesa spazzatura, tu sei la dittatura“.

Il vescovo di Posadas, mons. Juan Rubén Martínez, data l’assenza di forze dell’ordine, ha chiesto giustizia per l’aggressione subita da parte dei giovani e ha comunicato che le scritte sulle mura non saranno cancellate per due giorni così che la gente conosca e rifletta su quale sia il livello dei nemici della chiesa.

Due mesi fa alcune isteriche femministe russe, le Pussy Riot, hanno pensato di manifestare le loro idee politiche intonato un inno blasfemo nella cattedrale del Salvatore, la chiesa ortodossa più importante della città, insultando pesantemente il Patriarca.  Nel 2011, in Italia, un gruppo di femministe ha fatto irruzione durante il Salone di Torino impedendo la presentazione del libro del leader storico del Movimento per la vita, Carlo Casini. Ma davvero le donne sentono il bisogno di essere rappresentate e difese socialmente da queste esagitate?

 

Qui sotto il video dell’aggressione femminista alla cattedrale

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Odifreddi contro i dinosauri della politica, dunque Emma Bonino

Nel penultimo articolo del suo blog “Il non senso della vita di Piergiorgio Odifreddi” (“omen nomen” direbbero i latini, “di nome di fatto” diciamo noi), il famoso matematico impertinente (o incontinente) ha attaccato i cosiddetti matusalemme della politica.

Odifreddi ha trattato (non si sa con quale autorità il pensionato torinese si occupi sempre di tutto, dalla teologia alla politica, forse perché si accorge di riuscire meglio che con la divulgazione scientifica?) in particolare del suo ex amico Walter Veltroni il quale ha dichiarato di non volersi più candidare, innescando il commento di Odifreddi: «ha compiuto l’unico atto sensato per chi siede in parlamento da decenni».

Odifreddi in realtà pone come al solito una riflessione sempliciotta, è sbagliato infatti sostenere che chiunque sieda in Parlamento da oltre dieci anni debba smettere di candidarsi. Esistono politici, a sinistra al centro e a destra, che svolgono una politica di qualità da moltissimo tempo e meritano di continuare a fare il loro mestiere. Altri invece no.

Odifreddi accusa chi si candida da decenni. Ma Emma Bonino, ad esempio, è da vent’anni che tenta di fare politica (21 anni e 90 giorni ad agosto scorso, per la precisione)!! Evidentemente anche lei fa più che parte dei politici attaccati alla poltrona, ma come mai nessun accenno alla leader dei Radicali (la quale, oltretutto, proprio il mese scorso ha lasciato scoperto il Senato per partecipare ad una festicciola in suo onore)?

Per non parlare dell’anacronistico Marco Pannella (ritratto nella foto, assieme alla Bonino, già allora nelle loro pose preferite), che diffonde sermoni politici (e non solo, purtroppo) dal 1958! C’è da dire tuttavia che Odifreddi ha accennato ai due radicali nel suo celebre libro “Perché Dio non esiste” (Aliberti 2010), dicendo: «Pannella parla molto ma fa poco. La stessa Bonino quando è stata al governo con Berlusconi, che cosa ha fatto per bloccare gli interessi della Chiesa?» (pag. 51). Peccato che poi -dopo l’interessamento di UCCR (qui tutta la vicenda)- abbia tentato in tutti i modi di non riconoscere le sue affermazioni, nonostante abbia pubblicizzato il libro per mesi sul suo sito web, inventandosi un complotto dell’intervistatore e dell’editore contro di lui.

Vogliamo poi citare il laicista furioso Furio Colombo, deputato tra le file del PDS-DS nel 1996 e ancora oggi componente del PD? Il militante dell’Arcigay Franco Grillini, invece, lo vediamo in “attività” (tra virgolette ovviamente) dal 1985, quando si candidò a Bologna nelle liste, guarda caso, del Partito Comunista Italiano. Sono dodici anni invece che subiamo la poco seria militanza dei radicali Maurizio Turco Marco Cappato.

Prima si parlava di Veltroni come ex-amico di Odifreddi. Infatti, con questo articolo, il leader del fondamentalismo ateo italiano si è tolto un bel sassolino dalla scarpa: nel 2007 proprio su invito di Walter Veltroni, Odifreddi si è candidato alle primarie del Partito Democratico in una lista di sinistra a suo sostegno, ed è risultato eletto nel collegio Torino Centro, pochi mesi dopo è stato nominato membro della Commissione Manifesto dei Valori dello stesso partito. Nel 2008 ha abbandonato il partito, ma nel 2009 è rientrato per sostenere la candidatura a segretario del cattolico adulto Ignazio Marino. Il motivo dell’abbandono lo ha detto lui stesso: «Veltroni è un vecchio democristiano di sinistra. E’ responsabile della tragedia del Pd. Uno come Veltroni non si capisce cosa voglia. E alla fine ti frega. Gli chiesi di prendere posizione contro i democristiani. Lui ha parlato della funzione pubblica della religione. E allora me ne sono andato […]. Ha sbagliato tutto» (Perché Dio non esiste, pag. 34,35 e 102).

Ricordiamo che Veltroni aveva anche invitato Odifreddi ad organizzare i tre Festival della Matematica (2007-2009) a Roma. Alla fine però il matematico, già vincitore per due volte dell’Asino D’Oro come peggior divulgatore scientifico italiano, è stato scaricato dai responsabili del Festival con un’e-mail. Odifreddi lasci perdere le vendette personali e cominci a occuparsi, se non ha nulla da fare, dei veri dinosauri della politica, come la mitica coppia radicale appena citata.

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Papa Luciani: confermata la causa naturale, cadono i complotti sulla morte

La morte naturale di Papa Giovanni Paolo I è confermata da 167 testimoni e documenti medici, scagionando qualsiasi sospetto di morte indotta. Un colpo definitivo alle teorie del complotto avanzate da scrittori come Corrado Augias e David A. Yallop, già smentite dai familiari del pontefice.

 
 
 

Brutto colpo per i fautori di miti e leggende: Giovanni Paolo I non è stato assassinato dal Vaticano, è morto di cause naturali.

167 tra testimoni e documenti medici confermano definitivamente che scagionano qualsiasi sospetto di morte indotta, come afferma mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense e postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I.

 

Papa Luciani e le tesi di Corrado Augias e David A. Yallop

Eppure lo scrittore Corrado Augias, ad esempio, aveva riportato molte speculazioni e misteri riguardo a questo caso. Nel suo libro “I segreti del Vaticano. Storie, luoghi, personaggi di un potere millenario” (Mondandori 2010), ha discusso a lungo sull’evento che si verificò poco prima di una decisione importante del Papa riguardante la riorganizzazione dello Ior, suggerendo l’ipotesi dell’assassinio avanzata dai media anglo-sassoni.

Augias ha in pratica ripreso la tesi dello sceneggiatore britannico David A. Yallop, che ha affermato di poter presentare prove dell’omicidio e rivelare i nomi dei colpevoli. Con il suo libro “In nome di Dio. La morte di papa Luciani” (1985) vendette oltre sei milioni di copie in tutto il mondo, permettendogli di acquistare un castello nell’Inghilterra del Sud grazie ai diritti d’autore [cfr. Contro la Chiesa, San Paolo 2009, p. 315]. Da buon sceneggiatore, Yallop presentò il profilo di papa Luciani come uomo immerso nella luce per contrapporlo alle descrizioni tenebrose fatte sul Vaticano, arrivando a sostenere che Giovanni Paolo I fosse favorevole alla pillola anticoncezionale (il sex tira evidentemente molto più del crime!) e all‘aborto.

Le affermazioni di Yallop su papa Luciani (tra cui il fatto che fosse un uomo in ottima salute) sono state tuttavia smentite dai familiari di Luciani, Edoardo Luciani e Nina Luciani, e dalla governante suor Vincenza Taffarel, che lo ha curato fin da prima dell’elezione al pontificato e che ha testimoniato una crisi di salute il giorno prima del decesso [cfr. Corriere della Sera, 28/09/1993].

Marco Roncalli, pronipote di papa Giovanni XXIII, ha confermato questa informazione nel suo libro (qui una sua intervista chiarificatrice). Le accuse di Yallop rivolte al cardinale Villot, a Paul Marcinkus e alla massoneria (immancabile!) secondo le quali si organizzarono per ucciderlo con una dose eccessiva di calmanti, sono state inoltre confutate dall’anticlericale John Cornwell nel suo libro “Come un ladro nella notte” e dallo storico cattolico Michael Hesemann in “Contro la Chiesa”.

 

L’ingenuità del Vaticano creò la leggenda su Luciani

È importante sottolineare che il Vaticano ha contribuito a creare leggende attorno a questo caso, dicendo due piccole bugie. È stato erroneamente riferito che il segretario privato del Papa, don Diego Lorenzi, è entrato per primo nella stanza, ma in realtà è stata la sua governante, suor Vincenza, a scoprire il corpo del pontefice. Questa scelta è stata fatta per mantenere segreta la presenza di una semplice governante nella stanza del Papa, anche se Albino Luciani non aveva intenzione di cambiare le sue abitudini da parroco di campagna.

La seconda bugia è stata diffusa da Radio Vaticana, quando ha rivelato che il Papa aveva il libro “L’imitazione di Cristo” sulle gambe. In realtà, si è poi scoperto che stava prendendo spunto dalle sue vecchie omelie per nuovi discorsi [cfr. Contro la Chiesa, San Paolo 2009, p. 330], come spiegato anche dal segretario privato. Entrambe queste bugie sono state considerate notizie scomode da rivelare al mondo.

Non è stata infine eseguita alcuna autopsia poiché non era ritenuta necessaria all’epoca (siamo nel 1978); il medico personale, il dott. Buzzonetti, aveva attribuito la causa del decesso a un infarto miocardico (ma molto probabilmente fu un’embolia polmonare). Quando le prime indiscrezioni sui media emersero, il Vaticano decise di non procedere con l’autopsia, evitando – come affermò il card. Oddi – di “piegarsi al sensazionalismo della stampa” (cfr. Contro la Chiesa, San Paolo 2009, p. 330). Avrebbe significato prendere sul serio le voci circolanti e mostrare di avere dei dubbi.

 

170 testimoni e la causa naturale della morte di Luciani

La questione è stata definitivamente risolta recentemente da mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense e postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I, che presenterà la “positio” sulla beatificazione di papa Luciani, comprendente tutta la documentazione raccolta sulle sue virtù eroiche, sulla sua vita e sul presunto miracolo.

In occasione di questa presentazione, mons. Dal Covolo ha spiegato che «vengono fuori delle novità interessanti, emergono nuovi dettagli sullo stato di salute di Papa Luciani e, grazie alle testimonianze (167 persone sentite) e ai documenti medici raccolti, la conferma definitiva che scagiona qualsiasi sospetto di morte indotta».

Se la realtà supera la leggenda, è importante difendere la verità, anche quando questa è contraria all’anticlericalismo. Sarà interessante vedere se Corrado Augias continuerà ad ignorare la realtà e ad utilizzare la sua notevole capacità di immaginazione. Non lo sappiamo, ma siamo fiduciosi che possa sempre cambiare qualcosa.

La redazione

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I contraccettivi gratuiti non prevengono l’aborto, ecco perché

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Renzo Puccetti, medico-chirurgo, specialista in medicina Interna, membro della Research Unit della European Medical Association, referente per l’area bioetica della società medico-scientifica interdisciplinare Promed Galileo e socio fondatore dell’Associazione Scienza & Vita»

 

di Renzo Puccetti*
*bioeticista e specialista in medicina interna

 

“Studio mostra che i contraccettivi gratis riducono il tasso di aborto” (New York Times) “Studio mostra che la contraccezione gratis significa meno aborti e gravidanze tra le adolescenti” (Washington Post), “La contraccezione gratis può prevenire gli aborti” (CNN), “Aborti in calo grazie ai contraccettivi gratuiti” (Le Matin), “La contraccezione gratuita aiuta a diminuire gli aborti negli Stati Uniti” (El Mundo), “Studio: la contraccezione gratis porta a meno aborti” (The Guardian), “Usa: con la distribuzione gratuita di anticoncezionali si registrano meno aborti” (Quotidiano Nazionale). Sono solo alcuni dei titoli che le maggiori testate giornalistiche hanno usato per informare il pubblico di uno studio appena pubblicato sulla rivista Obstetrics & Gynecology, organo ufficiale della Federazione Mondiale dei Ginecologi e degli Ostetrici (FIGO).

Senz’altro un bel aiutino per quella riforma sanitaria voluta dal presidente Obama che obbliga tutti i datori di lavoro a pagare ai propri dipendenti i contraccettivi e indirettamente anche gli interventi di aborto e che ha fatto coalizzare la Chiesa Cattolica Americana con gli Evangelici e la galassia protestante conservatrice sui temi etici aggrediti nel fondamentale diritto alla libertà religiosa garantito dalla costituzione americana. Fino a questo momento infatti i presunti benefici che l’amministrazione americana ha promesso grazie alla diffusione gratuita della contraccezione poggiavano su affermazioni altisonanti, ma su evidenze davvero misere. Basta pensare a questo proposito che per conferire un alone di scientificità alle proprie politiche il ministero della salute americano ha commissionato all’Institute of Medicine un rapporto (Clinical Preventive Services for Women: Closing the Gaps) volto ad identificare le misure necessarie a garantire la salute delle donne in cui gli esperti hanno dedicato ampio spazio a suggerire la più ampia espansione possibile dei servizi di cosiddetta salute riproduttiva, alias contraccettivi e aborto. Quando a pagina 105 di quel documento gli esperti hanno sostenuto che la contraccezione riduce il ricorso all’aborto non sono riusciti a fare di meglio che citare due sole voci bibliografiche di cui una non è nemmeno uno studio peer reviewed, ma una semplice brochure di Heather Boonstra, responsabile della promozione nella legge e nei regolamenti federali dell’agenda del Guttmacher Institute, istituto scientifico con strettissimi legami con la Planned Parenthood, la grande organizzazione americana con centinaia di cliniche per aborti in America ed in mezzo mondo.

In quello che doveva essere un contributo scientifico della massima accuratezza, gli esperti dell’Institute of Medicine hanno inspiegabilmente omesso revisioni come quella di Inamura e colleghi pubblicata nel dicembre 2007 sull’European Journal of Public Health, o quella di Douglas Kirby del marzo 2008, nessuna menzione del nostro studio pubblicato nel 2009 sull’Italian Journal of Gynaecology & Obstetrics, silenzio sugli studi del professor David Paton, docente di economia alla Nottingham University Business School, niente sul fallimento delle politiche inglesi, scozzesi, svedesi, francesi che nonostante una diffusione più che capillare della contraccezione hanno raccolto come risultato livelli di abortività tra i più alti in Europa; omesso anche lo studio del professor José Luis Dueñas, primario ginecologo dell’Ospedale Universitario La Virgen Macaren di Siviglia, che sul numero di gennaio 2011 della rivista Contraception ha mostrato il parallelo incremento di contraccezione e aborto in Spagna nel periodo 1997-2007. Niente, nichts, rien, nada, silenzio tombale, solo il refrain radicaloide servito in salsa anglosassone “più pillola, meno aborti”.

Eppure anche nel 2012 si sono accumulate ulteriori evidenze che mostrano un quadro del tutto opposto. Sul numero di febbraio dello Scandinavian Journal of Public Health la ricercatrice del dipartimento di sociologia dell’Università di Stoccolma Veronica Halvarsson ha mostrato che in Svezia per ogni 100 prescrizioni in più di pillola contraccettiva si registra un incremento di 3,3 aborti tra le ragazze di 16 anni. Questo, in estrema sintesi, il desolante panorama scientifico su cui si sono mossi gli artefici di una ideologizzata selezione delle informazioni che hanno salutato come manna lo studio dei ricercatori della Washington University di St. Louis, una pubblicazione che hanno da subito cominciato a brandire come la prova definitiva della bontà delle loro teorie: la contraccezione è il solo modo realmente efficace per contrastare gli aborti. Se le cose stessero davvero così, tutti, a prescindere dalle personali posizioni etiche sulla contraccezione, avrebbero il dovere di prendere atto della realtà, tanto più che questo studio è uscito dal confronto accademico per essere citato sui blogs, i forum di discussione e i social networks. È per questo che ritengo necessario offrire ai lettori qualche informazione aggiuntiva rispetto alla limitatezza di un titolo o nel caso migliore di un breve resoconto dello studio in oggetto.

Gli autori nel periodo compreso tra agosto 2007 e settembre 2011 hanno arruolato 9256 donne di età media pari a 25 anni (il nome attribuito allo studio è stato Contraceptive CHOICE Project). Il 16% di queste era rappresentato da donne arruolate nelle cliniche per abortire, altre erano pazienti dei medici che lavoravano nelle stesse cliniche per aborti. Le donne partecipanti dovevano essere già sessualmente attive o quanto meno prevedere di esserlo entro 6 mesi, non dovevano usare contraccettivi oppure, se li usavano, dovevano essere intenzionate a cambiare il metodo. Al momento in cui venivano contattate per partecipare allo studio le donne ascoltavano un breve scritto che le informava circa l’efficacia e la sicurezza dei metodi contraccettivi a lunga durata d’azione (LARC, Long Acting Reversibile Contraception) e poi, se effettivamente incluse nello studio, venivano sottoposte ad una sessione educativa sulla contraccezione. Il 42% delle donne aveva abortito e per oltre il 50% era formato da donne di colore. Secondo i risultati riportati dai ricercatori quello che era l’end-point primario dello studio, il tasso di aborti ripetuti nell’area di St. Louis dove si è svolto lo studio, si è ridotto di ben poco: dal 48% al 45%, mentre nella limitrofa area di Kansas City il tasso di abortività è aumentato di circa 4 punti percentuali. Più accentata la riduzione del 20,6% registrata nel numero di aborti nell’area di St. Louis rispetto al resto dello Stato del Missouri. Ancora più marcato il divario del tasso di abortività tra le oltre 9000 donne studiate (4,4-7,5 ogni 1000 donne in età fertile) e quello rilevato a livello regionale (13,4-17,0 ogni 1000 donne in età fertile). Questi risultati sono tali da consentire di affermare che la diffusione gratuita dei contraccettivi riducono gli aborti? La risposta obiettiva non può che essere negativa e le ragioni sono molteplici.

Pur non volendo considerare la strana omissione degli autori nel fornire i dati di abortività grezzi e non soltanto quelli aggiustati secondo età e sesso (peraltro con procedura non specificata), volendo inoltre tralasciare che il tasso di abortività nel campione non è stato rilevato in modo oggettivo, ma mediante interviste telefoniche, si deve innanzi tutto sottolineare che il campione studiato non è affatto rappresentativo della popolazione generale: ben il 42% aveva avuto almeno un aborto (un livello triplo rispetto alle coetanee nella popolazione generale) e oltre il 50% delle donne era di colore (la percentuale di donne di colore nello stato del Missouri è invece inferiore al 12%). Nel campione studiato ben il 75% delle donne ha scelto come contraccettivo la spirale, un mezzo cioè il cui meccanismo d’azione non è soltanto contraccettivo, ma anche micro-abortivo (la spirale agisce in parte ostacolando l’annidamento nell’utero materno dell’embrione eventualmente concepito), oppure un impianto sottocutaneo a rilascio prolungato di progestinico. Non stupisce quest’alta preferenza nel campione per i LARC dal momento che già Henshaw in America nel 1984 e Moreau nel 2010 in Francia avevano dimostrato la tendenza delle donne dopo l’aborto a virare spontaneamente verso mezzi di controllo delle nascite connotati da maggiore efficacia. Nel campione esaminato la propensione ad abortire era molto elevata ed era un criterio di ammissione il fatto che queste donne fossero già sessualmente attive o lo diventassero a breve. È quindi esclusa la possibilità che in questo campione si potesse verificare quella compensazione del rischio che gli studi hanno dimostrato essere un meccanismo di primaria importanza per spiegare il fallimento della contraccezione nel ridurre gli aborti tra la popolazione generale. È abbastanza verosimile (ed era già stato dimostrato nel gennaio 2012 dallo studio neozelandese di Rose e Lawton e in agosto da quello scozzese di Cameron, entrambi per l’abortività ripetuta) che in una popolazione così selezionata, caratterizzata dall’attivo esercizio della sessualità e dall’altissima propensione ad abortire, l’introduzione di mezzi (spirali e impianti sottocutanei) ad elevata efficacia e non abbisognevoli di un’assunzione reiterata, possa condurre ad un abbassamento dell’abortività. Ma che cosa succederebbe se la stessa offerta di contraccettivi gratuiti venisse fatta alla popolazione generale? Lì la promozione dei LARC si rivolgerebbe a molte donne, particolarmente le più giovani, sessualmente non attive, ma che secondo il modello comportamentale conosciuto come rational choice model, comincerebbero a trovare conveniente avere una vita sessuale liberata dalla paura della gravidanza, è poi verosimile prevedere che nella popolazione generale, dove i rapporti non sono così regolari come nella popolazione valutata nello studio, un numero assai minore sceglierebbero la contraccezione di lunga durata preferendo ad essa altri mezzi, come la pillola, i cerotti, l’anello vaginale e il preservativo, tutte metodiche caratterizzate da un tasso di fallimenti nettamente superiore.

Non si capisce quindi la ragione per cui gli autori dello studio non abbiano riportato i tassi di abortività del campione studiato suddivisi per il metodo contraccettivo scelto. Che cosa è successo infatti tra le 1686 donne che nello studio hanno scelto una qualche forma di preparato estro-progestinico? Gli autori hanno omesso a questo proposito qualsiasi informazione. Che cosa succederebbe delle donne che invece opterebbero per il condom? Che cosa succederebbe delle molte donne che dietro la promessa che attraverso la contraccezione il sesso può diventare un gioco e che poi si troverebbero a provare sulla propria pelle che non è così? In Francia il 91% delle donne sessualmente attive usa la contraccezione, i due terzi di quelle che abortiscono hanno usato la contraccezione nel mese in cui sono rimaste incinte, in America la percentuale è del 50%, ma un altro 40% ha comunque usato la contraccezione precedentemente, è cioè stato plasmato dalla mentalità contraccettiva. Usare pertanto il campione CHOICE per affermare che fornire gratis la contraccezione porta alla riduzione degli aborti costituisce un esempio assai chiaro di quella fallacia di composizione che gli statistici individuano quando si vuole trasferire automaticamente il dato di un particolare campione all’intera popolazione.

Che dire poi del fatto che gli autori non hanno minimamente accennato al rischio potenziale derivante dalla diffusione dei LARC riguardo le malattie sessualmente trasmesse? Eppure sullo stesso numero di ottobre di Obstetrics & Gynecology un gruppo di lavoro comprendente anche Jeff Peipert, lo stesso ricercatore che ha condotto lo studio CHOICE, ha messo in evidenza che l’utilizzo dei LARC si associa nelle donne HIV negative ad un dimezzamento dell’uso costante del preservativo, confermando precedenti studi riportati nella revisione dell’argomento pubblicata nel 2011 sulla rivista Infectious Diseases in Obstetrics and Gynecology dalla ricercatrice del Center for Disease Control and Prevention di Atlanta, Maria Gallo. È confortante leggere che queste considerazioni sono le stesse con cui Michael J. New, professore all’Università dell’Alabama ed esperto di politiche sanitarie, ha pesantemente criticato la lettura superficiale e ideologica dello studio in questione.

Al termine di questa disamina voglio appena accennare alla mia partecipazione al congresso mondiale di ginecologia che si è appena concluso a Roma, dove ho illustrato e discusso uno studio che conferma la necessità di cautela nel trarre conclusioni definitive da dati parziali. Ai colleghi intervenuti nella sessione dedicata alle tematiche di salute pubblica ho mostrato il lavoro condotto insieme al professor Noia, il dottor Oriente, il professor Natale e la professoressa Di Pietro nel quale si evidenzia come nelle aree degli Stati Uniti dove maggiore è il ricorso ai metodi di contraccezione efficace e reversibile non si registra affatto un minore tasso di aborti, mentre addirittura laddove più elevato è l’impiego del condom, il ricorso all’aborto aumenta in modo statisticamente significativo. Uno studio ecologico come il nostro non è indicativo di un rapporto di causa-effetto, ma è comunque suggestivo circa la necessità di indagini specificamente mirate ad approfondire e svelare la realtà.

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Nella Germania nazista credenti e non credenti si rifugiavano nelle chiese

Chi segue la stampa spagnola conosce bene il successo riscosso dal romanzo storico “Los hijos del Führer” (Libroslibres 2012) di Francisco Javier Aspas sull’indottrinamento dei bambini tedeschi, un vero viaggio nella Gioventù hitleriana (oltre otto milioni di membri).

L’autore, intervistato per l’occasione dall’ottimo sito “Religion En Libertad”, ha detto che «il ruolo svolto dalla mitologia germanica era molto più importante di quanto si possa pensare a priori, in particolare nella formazione dei ragazzi della Gioventù hitleriana». Lo studioso si è soffermato anche sul tanto discusso ruolo della Chiesa cattolica nei confronti del Nazismo e viceversa: «Adolf Hitler e il Nazionalsocialismo», ha spiegato, «hanno sempre avuto un atteggiamento ambiguo rispetto al cristianesimo. Per esempio, provavano ammirazione dalla sua durata millenaria nel tempo (qualcosa che aspiravano per la loro ideologia), ma d’altra parte erano consapevoli del fatto che esso si scontrava sui principi fondamentali della loro visione della vita e dell’uomo». Infatti l’ambiguità la si vede dagli avvenimenti nell’ascesa di Hitler al potere: «il 20 luglio 1933 il regime nazista e il Vaticano hanno firmato un concordato a Roma, presto violato da Adolf Hitler. Infatti cinque giorni dopo i nazisti hanno approvato una legge sulla sterilizzazione che sconvolse le chiese cristiane e in particolare la Chiesa cattolica. Il 30 dello stesso mese, è stata messa al bando la Lega della Gioventù Cattolica. Pochi mesi dopo, durante la “notte dei lunghi coltelli”, Erich Klausener, leader di Azione Cattolica, è stato fucilato».

Inoltre, ha proseguito Francisco Javier Aspas, «anche se Hitler, consapevole delle profonde radici cristiane della Germania, ha sempre cercato di mantenere rapporti non belligeranti con il cristianesimo, migliaia di sacerdoti sono stati tra le vittime della repressione interna nazista. La Gestapo ha ripetutamente violato il sigillo della confessione e numerosi pastori, ostili al regime di Hitler nelle loro omelie, sono stati uccisi nei campi di concentramento, come quello di Dachau». Addirittura, secondo lo storico, «nel lungo periodo il cristianesimo avrebbe cessato di esistere in Germania». Anzi, come sostengono diversi storici dell’Olocausto, Hitler avrebbe distrutto la Chiesa cattolica. «Anche se questo non era l’ideologia originale, dal momento che Heinrich Himmler prese la guida delle SS, divenne l’avanguardia ideologica sostituire il cristianesimo con il nazismo. Tra le altre cose, alcuni tra i più importanti leader nazisti, come Alfred Rosenberg, Martin Borman, Dietrich Eckart o lo stesso Heinrich Himmler, erano dichiarati pagani e anti-cristiani». Addirittura, ha rivelato, «in una delle canzoni più popolari della marcia della Gioventù hitleriana, questo concetto è chiaramente spiegato: “Nessun sacerdote può impedire che siamo figli di Hitler, non seguaci di Cristo. Benedetta svastica porta solo la salvezza per la terra”».

Il nazismo si può vedere come un processo di paganizzazione della Germania, «tuttavia questo tentativo non si è concretizzato in modo permanente. I tedeschi sono rimasti fedeli ai canti, agli alberi di Natale e al cenone. Nelle SS ogni rapporto con il cristianesimo venne eliminato, per esempio il matrimonio tra i membri delle SS e le loro mogli venivano celebrate da un ufficiale, sull’altare c’era un ritratto di Hitler, un’edizione del Mein Kampf e un’urna in cui ardeva il fuoco. L’ufficiale dava alla coppia il pane e il sale, simboli di Madre Terra e dello spirito del patrimonio ancestrale».

Nel romanzo storico, una delle protagoniste è Helga Petersen, la madre di Hans, un  bambino nazista fanatico, essa rappresenta centinaia di migliaia di tedeschi inorriditi di fronte al nazismo e al regime di Adolf Hitler e si rifugia in una Chiesa cattolica. Infatti, «ho pensato a questo aspetto del carattere di Helga Petersen dopo aver esaminato la documentazione completa delle testimonianze scritte che sono riuscito a studiare, mi ha sorpreso che molte persone si rifugiarono nelle chiese. Naturalmente non mi ha sorpreso che lo facessero coloro che avevano profondi sentimenti religiosi, era normale, ma che lo facevano persone, come nel caso di Helga, prive di questi principi. Credo che all’interno di quelle chiese molti di loro hanno trovato una foto del vecchio mondo, il mondo prima di Adolf Hitler, lo desideravano».

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Il misterioso rapporto tra i mattoni dell’aritmetica e quelli del mondo

 

di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Il periodo tra gli anni ’30 e ’70 del secolo scorso si può considerare l’epoca d’oro della fisica del neutrone, per l’impiego via via crescente di questa particella, scoperta da James Chadwick nel 1932. Il neutrone fu determinante nella teoria a capire la struttura del nucleo atomico e nelle applicazioni a raccogliere i dati necessari alla progettazione di reattori ed ordigni nucleari. Con impatti rilevanti (e terribili) sulla tecnica, l’economia e la politica globali.

Dopo la scoperta della fissione (anni ‘30-‘40), il risultato maggiore fu forse ottenuto a metà degli anni ’50: si trovò che, colpendo con un fascio di neutroni di bassa energia i nuclei pesanti (quelli aventi almeno un centinaio tra protoni e neutroni), questi si dispongono a livelli energetici discreti, più o meno stabili. Dunque, come la nube elettronica intorno al nucleo ha configurazioni quantizzate, così anche il sistema dinamico del nucleo consiste di righe nitidamente osservabili. A dipanare la matassa della fenomenologia accumulata nei laboratori fu un fisico eclettico, Eugene Wigner, che ad una conferenza sul neutrone (Gatlimburg, 1956) presentò un modello matematico capace di predire gli spettri nucleari. Wigner, sulla base dell’osservazione dei livelli dell’uranio 239 (dove la distribuzione in apparenza casuale è contemperata da un effetto d’ordine che ne vieta l’assembramento sotto una certa soglia), propose uno schema teorico soddisfacente, per la semplicità delle assunzioni e l’efficacia delle predizioni. 15 anni dopo, il modello fu perfezionato da Freeman Dyson: questi, giovandosi di una mole di dati molto maggiore di quella di Wigner (per il solo erbio 166 erano state misurate 109 risonanze del nucleo) e studiando gli oggetti matematici chiamati “autovalori di un operatore GUE”, stabilì che la funzione di correlazione (che conta quante righe sono separate da un dato dislivello energetico) è:

y = 1 – (sinπxx)2.

Sulla strana proprietà della matematica di descrivere i fenomeni naturali, e di farlo in sembianze belle e succinte, mi sono soffermato in diversi articoli. Oggi mi basti aggiungere che Wigner pubblicò in quegli anni anche un saggio, destinato a diventare un classico di filosofia della matematica e della fisica, intitolato “L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali”: in esso, trattando della sinergia tra matematica e fisica, Wigner opina si tratti di una relazione inspiegabile. Ma su questo mistero incombe forse un mistero ancora più grande…

Cambiamo ambiente: saltiamo dal mondo materiale degli atomi a quello etereo dei numeri. Senza dubbio la più importante questione aperta della matematica è l’Ipotesi di Riemann. Essa resiste da 150 anni ad ogni tentativo di dimostrazione ed è connessa alla possibilità che nell’infinita successione dei numeri primi

2   3   5   7  11  13  17  19  23  29  31  37 41  43  47  53  59  61  67  71  73  79  83  89  97 101 …,

che sembra dispiegarsi caoticamente, ci sia della musica sopra il rumore di fondo: sia contenuta cioè una qualche regolarità ancora da scoprire. Il Clay Institute ha inserito la questione nella lista dei “7 problemi del Millennio” promettendo un milione di dollari al suo risolutore. Oltreché avere un’importanza fondamentale in aritmetica (dove i numeri primi fanno la parte degli atomi, perché ogni intero si può scrivere in modo univoco come prodotto di numeri primi), il problema ha anche impatto sui servizi internet, la cui sicurezza si basa in buona misura sull’inesistenza di software capace di scomporre in tempi ragionevoli un numero prodotto di due numeri primi di alcune centinaia di cifre (v. un mio articolo del luglio scorso): se l’Ipotesi di Riemann si dimostrasse vera, la legge matematica con cui i numeri primi si succedono potrebbe disvelarsi e la dea Isis apparire nel suo splendore al baciato dalla serendipity…, minacciando la crittografia usata nelle transazioni finanziarie, nelle infrastrutture strategiche, nelle informazioni industriali e militari sensibili, ecc.

La comprensione dell’Ipotesi di Riemann richiede conoscenze di matematica superiore e non entrerò nei dettagli: dirò soltanto, ai fini di poter trasmettere a tutti i lettori la fragranza del miracolo narrato in questo articolo, che se essa è vera – come i teoremi parziali e le simulazioni al computer fanno ritenere –, allora la distribuzione dei numeri primi è correlata a quella d’un infinito insieme di punti (gli “zeri non banali della funzione Zeta di Riemann”), che verrebbero a trovarsi tutti allineati lungo una certa retta. Già l’autore della congettura, Bernhard Riemann, aveva trovato nel 1859 la posizione dei primi 3 “zeri”, trovandoli allineati sulla retta prevista; nel 1903 Jørgen Gram calcolò i primi 15, pure ivi allineati; nel 1935 Edward Titchmarsh giunse alla determinazione dei primi 1.041, ancora tutti allineati. Con l’entrata in campo dei calcolatori questo genere di ricerche ha subito un’accelerazione: ai nostri giorni il network internazionale di computer cooperativi ZetaGrid ha verificato l’Ipotesi di Riemann per i primi 385 miliardi di punti. Tra il 1987 ed il 2001 Andrew Odlyzko si è dedicato a studiare le proprietà statistiche della distribuzione degli zeri di Riemann, esaminandone una decina di miliardi nell’intervallo compreso tra i posti 1020 e 1022. Poté così calcolare con precisione in un largo intervallo che la funzione di correlazione (che ora conta quanti zeri sono separati da una data distanza) è rappresentabile da una funzione identica a quella dei nuclei pesanti:

y = 1 – (sinπxx)2.

I calcoli di Odlyzko rivelano quindi un’incredibile coincidenza, oggi nota come legge di Montgomery-Odlyzko: “La distribuzione dei livelli energetici dei nuclei atomici pesanti è empiricamente uguale a quella degli zeri non banali della funzione Zeta di Riemann”!

Conclusione. Già è un compito improbo, risolvibile solo approssimativamente, prevedere come si muovono 3 o più corpi sotto l’effetto della gravitazione: lo sa ogni studente di meccanica classica. Il fatto che se ne possa calcolare solo una soluzione approssimativa non è di poco conto, perché coincide – come ha dimostrato definitivamente il matematico Qiudong Wang una ventina di anni fa – con l’impossibilità di sapere se un sistema con più di 2 corpi è stabile sotto l’azione del campo gravitazionale, confermando così l’esistenza nei fenomeni fisici di quel caos deterministico, già intuito da Henri Poincaré un secolo prima. Nel caso del sistema solare, con circa 150 corpi tra Sole, pianeti e satelliti (senza contare asteroidi e comete), nessuno pertanto saprà mai la soluzione esatta: sappiamo che una soluzione dinamica abbastanza  stabile c’è, perché altrimenti la vita non sarebbe comparsa né sopravvivrebbe nella Terra, ma nessuno al mondo può dire, per es., per quanti anni Plutone resterà agganciato al Sole.

Desta quindi stupore una formula matematica in grado di descrivere statisticamente le “orbite” nucleari dei 94 protoni e 145 neutroni del plutonio 239 (complicate di spin e parità), ad energie di milioni di elettronvolt; e dei nuclei degli altri atomi pesanti… Wigner non poteva non meravigliarsi dell’efficacia del suo modello! Tutto ciò appartiene però all’“irragionevole efficacia della matematica”, un fatto che i fisici danno per scontato: come potrebbero altrimenti guadagnarsi da vivere? Ciò che Wigner non avrebbe mai immaginato quando propose la sua formula a Gatlimburg è che essa potesse descrivere anche un’altra specie di atomi, fuori dello spazio-tempo e privi di massa ed energia, un tipo di “particelle” non appartenenti al mondo fisico: i numeri primi! È questa una coincidenza cosmica? O l’esistenza dell’operatore GUE, che sembra governare insieme l’Universo fisico e l’Iperuranio logico-matematico, rivela un rapporto platonico tra i 2 mondi?

L’unica risposta dotata di senso sta per me nella Bibbia: “Hai disposto ogni cosa, [Signore], in misura, numero e peso” (“Sapienza” 11, 21), come dire con la geometria, l’aritmetica e l’algebra. La sentenza della “Sapienza” spiega anche perché la matematizzazione del mondo propugnata da Galileo si è rivelata il giusto programma della scienza moderna. E a questo punto, anche il mistero dell’”irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali” è svelato.

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Il filosofo Spaemann: «solo chi ha fede difende le capacità della ragione»

Come sappiamo “L’Anno della Fede”, voluto da Benedetto XVI, si è aperto giovedì 11 ottobre in Piazza San Pietro a 50 anni esatti dall’inizio del Concilio Vaticano II. A conclusione della celebrazione eucaristica, il Papa ha affidato dei messaggi ai governanti, agli uomini di scienza e pensiero, di sport e a diversi artisti.

Tra questi Fabiola Giannotti (fisico), James MacMillan (compositore), Arnaldo Pomodoro (scultore), Ermanno Olmi (regista), Annalisa Minetti (atleta) e Jocelyne Khoueiry (attivista per le donne).

A rappresentare gli intellettuali e scienziati, tra gli altri, c’era anche il prestigioso filosofo e teologo tedesco Robert Spaemann, professore emerito di filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Intervistato da Radio Vaticana, il filosofo ha sottolineato:

«L’Anno della fede è anche un anno della ragione. Una persona deve essere, in ultima analisi, coerente con la sua ragione, e se la sua ragione e la sua fede gli dicono qualcosa di opposto, questo significa che c’è qualcosa che non va. Non può costringersi ad una alternativa al ribasso: “o la fede o la ragione”, ma deve cercare di trovare una unità. L’apostolo Paolo definisce la fede “rationabile obsequium”, ovvero un’obbedienza ragionevole».

Oggi lo scientismo, ha continuato Spaemann,

«indebolisce la ragione fino a dire che non è capace di raggiungere la verità. Così oggi l’ultima parola dovrebbe essere quella del relativismo che in realtà è incapace di vedere la verità. Ora, paradossalmente, è chi ha fede che oggi difende le capacità della ragione. Se oggi trovate qualcuno che afferma con forza la capacità della ragione di raggiungere la verità, allora si può quasi essere certi che si tratti di un cattolico».

E in conclusione, ha affermato che la fede è amica della ragione «perché dove Dio è negato, alla fine anche la ragione è negata».

La redazione

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