Sesso prematrimoniale: la posizione della Chiesa (e della scienza)

Nella odierna società pansessualista, figlia della rivoluzione sessuale del ’68, ogni momento della giornata è stimolato da pubblicità, articoli, notizie e intrattenimento a base sessuale. E’ molto difficile offrire un punto di vista differente, se non fosse per la ragionevolezza della posizione della Chiesa, sarebbe quasi impossibile.

In particolare vorremmo parlare del sesso prematrimoniale, in occasione dell’uscita di uno studio scientifico  –pubblicato su APS Psychological Science e realizzato da ricercatori del dipartimento di psicologia dell’University of Texas- che ne sottolinea le controversie. Gli studiosi, attraverso un campione di 1.659 di fratelli dello stesso sesso seguiti dall’adolescenza (età media = 16 anni) all’età adulta, hanno rilevato che le coppie sposate o conviventi che avevano atteso a fare sesso avevano «significativamente ridotti i livelli di insoddisfazione nella relazione». Inoltre, coloro che hanno fatto sesso precoce nella vita, erano portati alla convivenza più che al matrimonio.

Prima di proseguire con studi scientifici precedenti che confermano questi risultati, è bene chiarire la posizione della Chiesa cattolica in merito (qui la visione sull’argomento presente nella Bibbia). Ne ha parlato con autorevolezza padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale e ordinario di bioetica presso la Accademia Alfonsiana in Roma: «In prospettiva cristiana», ha spiegato, «la sessualità non è un bene di consumo o una fonte di gratificazione fine a se stessa» ma «si colloca nella luce della verità quando l’unione dei corpi simboleggia e compie l’unione delle esistenze e, quindi, esprime una relazione di totale coinvolgimento, di reciproca conoscenza, di corresponsabilità, di condivisione. Unirsi fisicamente al di fuori di questo contesto umano denso e impegnativo banalizza la sessualità, la appiattisce sulla genitalità e la svuota del suo significato più autentico, rendendola una “parola” vuota e superficiale, anche se momentaneamente esaltante». Il cristianesimo chiede all’uomo di essere uomo, di prendere sul serio anche il sesso, dono di Dio.

Ha proseguito il teologo: «L’unione sessuale trova il suo contesto appropriato soltanto nel matrimonio perché solo nel matrimonio, inteso come progetto globale di vita, la sessualità può esprimere le due dimensioni fondamentali dell’amore coniugale, la comunione e la fecondità». Dopo aver fatto una corretta distinzione tra i “rapporti occasionali” e i “rapporti prematuri”, padre Faggioni ha quindi concluso: «nella morale cattolica, i rapporti prematrimoniali non sono solo sconsigliati, ma sono proprio esclusi. La proposta pastorale per due fidanzati è di accordarsi con i tempi e le dinamiche della loro preparazione al matrimonio, crescendo nella giusta intimità e riservando alla vita coniugale l’espressione fisicamente ed emotivamente più completa del loro amore». Davvero interessante, per chi volesse approfondire ulteriormente, questo documento in cui oltre alla dettagliata spiegazione della posizione cattolica sono presenti diverse risposte alle più frequenti obiezioni.

La cosa fondamentale da capire, lo ha spiegato benissimo Mario Palmaro, è che la posizione della Chiesa non nasce per una impuntatura moralistica, né per una voglia di proporre dei sacrifici agli uomini, né per una prescrizione formalistica. Ogni insegnamento della Chiesa «ha un profondo significato antropologico: è proposta perché “fa bene” all’uomo, rispetta e promuove la sua più intima natura, lo aiuta a comprendere in profondità l’essenza del matrimonio».

Che la castità prematrimoniale venga insegnata per il bene per l’uomo (come tutte le verità morali), e non per qualche fissazione sessuofobica, lo rende chiaro l’indagine scientifica. Oltre allo studio citato inizialmente,  nel luglio scorso un team di ricerca presso la Cornell University ha scoperto che «il sesso prematrimoniale può avere degli effetti negativi sulla qualità della relazione». Nel 2010 uno studio pubblicato su Journal of Family Psychology e realizzato dalla Brigham Young University (Utah), ha intervistato 2.035 persone sposate, verificando che il sesso realizzato solo dopo il matrimonio permette di godere di un rapporto più forte e stabile nella vita di coppia. Nell’ottobre 2002 i ricercatori W. Sigle-Rushton e S. McLanahan hanno espresso, su Center for Research on Child Wellbeing della Princeton University, “preoccupazione” per l’aumento del tasso di sesso prematrimoniale (oltre ad altri fattori), il quale contribuisce ad un «impatto deleterio sui bambini, le famiglie e la società nel suo complesso». In questo articolo altri studi sulle conseguenze della convivenza prematrimoniale (e dunque presumibilmente anche del sesso prematrimoniale).

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La bimba Down dev’essere risarcita perché è nata

http://1.bp.blogspot.com/-0Wtmf8piuYA/TfYEJzvE_NI/AAAAAAAAAJs/_0DUxfzQ53M/s1600/cassazione2.jpgNon ha mancato di creare scalpore la recente sentenza della Corte di Cassazione, per la quale, la bambina nata affetta dalla sindrome di Down, ha diritto ad essere risarcita. Non poteva d’altronde essere diversamente, considerando tutte le implicazioni, sia morali che giuridiche, che investono il pronunciamento dell’Alta corte.

Se infatti la disabilità è un ‘danno’, tale che per la corte sarebbe stata un’opzione viabile, se non proprio auspicabile, l’aborto, quella che è posta in essere è una «grave discriminazione nei confronti dei disabili», commenta il professor Filippo Vari, docente di Diritto costituzionale all’Università Europea di Roma. Gli effetti dell’affermarsi di una giurisprudenza di questo stampo sarebbero chiari ed agghiaccianti. Se si ammette che la vita di un disabile non vale la pena d’esser vissuta, il passo per teorizzare un fantomatico diritto di non nascere se non sano’ è breve – e da lì, al ‘diritto’ di non nascere, se non con determinate caratteristiche la distanza è ancora minore. Inquietanti scenari vagamente eugenetici salutano da lontano. Se nascere diventa un “danno” fonte di responsabilità civile di terzi (nella fattispecie del medico, condannato al risarcimento), cos’è che impedirebbe in generale, al malato di rivalersi anche sulla madre, rea di dolo e negligenza nel non aver «esercitato il suo diritto di autodeterminazione nell’interesse del figlio», come sottolineato da Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita.

Anche dal punto più squisitamente giuridico, la sentenza ha sollevato dubbi. Il pronunciamento, -nota il prof. Vari- oltre a smentire nettamente, per alcuni aspetti, altri giudizi della Cassazione stessa, si pone «in contrasto anche con la giurisprudenza costituzionale». Se infatti opinabilmente, la Corte costituzionale ebbe a definire il concepito come “uomo” e non come “persona”, la Suprema corte lo declassa ulteriormente a mero “oggetto di tutela”. Neanche la sentenza numero 27 del 1975, che fece d’apripista all’aborto, «arrivò a dire che il figlio non è un essere umano», commenta Casini. E per quanto sia evidente la naturale legittimità dell’aspirazione «ad alleviare le sofferenze causate dalla nascita di un figlio disabile», è altrettanto evidente che questa non possa essere messa in negazione della dignità, della vita, ed in ultima analisi, dell’umanità di chi ne sarebbe soggetto.

Nicola Z.

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Il vuoto di senso percepito dal mondo e la risposta cristiana

 

di Costantino Esposito, docente di filosofia all’Università di Bari
da Avvenire, 19/10/12


 

La grande ipotesi di lavoro che Benedetto XVI ha lanciato alla Chiesa e al mondo intero, aprendo l’Anno della fede, è come uno sguardo inedito sul nulla. Il nulla che pervade la cultura contemporanea e che si annida nelle pieghe della nostra esistenza, tutte le volte che avvertiamo il venir meno del significato, il vuoto di senso che si nasconde dietro la grande “scena” del mondo. Già avere questa percezione non è affatto scontato: essa è possibile solo a chi avverte tutto il bisogno di senso e tutta l’esigenza del vero che costituiscono la nostra ragione. E l’avverte proprio perché è stato “preso” dal significato, ha visto la presenza del Logos, ha ascoltato la sua voce.

Il deserto avanza, affermava Friedrich Nietzsche già a fine Ottocento, indicando l’inarrestabile tendenza della storia «metafisica» dell’Occidente all’esaurimento dei suoi valori e battendo con il suo «martello» sugli idoli per auscultare il vuoto che si nasconde dentro i simulacri. Ma è possibile riconoscere e attraversare davvero questo vuoto, e coglierne tutta la drammaticità, senza stare in qualche modo su un “pieno”? È possibile guardare questo deserto, e riconoscerlo come tale, senza vederlo da un luogo che deserto non è? Torna alla mente ciò che ha scritto Emanuele Severino: «Lo sguardo che vede crescere il deserto non appartiene al deserto. Sta “dall’altra parte”. E in esso è riposta ogni possibilità di salvezza» (da Téchne, 1979). Ma questo non appartenere al deserto, che permette di vedere che cosa sia veramente il deserto, nella riflessione del Papa significa che il deserto diventa una formidabile occasione per avvertire il bisogno di essere che ci segna come enti finiti, e l’esigenza dell’essere come apertura a un significato più grande di noi stessi e del mondo. Come ci siamo sentiti dire l’11 ottobre in Piazza san Pietro, «è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere».

La fede cristiana, qui, non è proposta come una fuga spirituale dal deserto, e nemmeno come il mero distacco o la dura rinuncia alle “tentazioni” del mondo (come pure alcune volte si è tentati di sublimare il deserto), ma come l’impegno più semplice e diretto con la sete di vita che ci muove: «Così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza». Ogni qual volta questa sete vien fuori, è come se il nulla fosse squarciato, e la voce afona di chi cerca il significato di sé e del mondo si facesse udire.

Il dramma del nichilismo contemporaneo è quello di non riconoscere più e non avvertire la mancanza da cui pure esso era nato. L’ipotesi di Benedetto XVI è che solo una risposta presente può far riconoscere questa attesa: la fede non è la mera “credenza” in qualcosa che non si vede, ma è la possibilità di vedere quello che c’è e di cui spesso non ci accorgiamo nemmeno. Perciò l’Anno della fede è stato proposto come «un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale», cioè il fatto sorprendente che il «Senso ultimo» si è reso carne, ha parlato – parla – e chiede di essere ascoltato e riconosciuto dal nostro bisogno. Solo per questo l’uomo che vive la fede può portare in sé e con sé, in una lieta drammaticità, tutta l’inquietudine del mondo.

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La bioetica “laica” non è in imbarazzo?

Probabilmente la bioetica “laica”, ovvero quella posizione culturale per la quale bisogna dire “si” a tutto quanto è scientificamente possibile, sta entrando in una fase di imbarazzo.

Lo si capisce leggendo certe prese di posizione, ad esempio contro le famiglie formate da un uomo e una donna in favore di quelle costituite da un genitore solo o da due genitori dello stesso sesso. I bambini cresciuti con un genitore single, dicono, sarebbero avvantaggiati rispetto a quelli con due genitori perché si eviterebbe loro di assistere a litigate furibonde e ai maltrattamenti fisici reciproci dei genitori (ogni famiglia formata da un uomo e una donna si comporterebbe così secondo i fautori di questa tesi). I bambini cresciuti con due genitori omosessuali, invece, sperimenterebbero maggior benessere perché riceverebbero una qualità d’amore superiore a quelli cresciuti con due genitori eterosessuali. Sostenitore di questa tesi, lo sappiamo, è l’oncologo Umberto Veronesi, secondo cui «l’amore omosessuale è più puro. In quello etero una persona direbbe “ti amo non perché amo te, ma perché in te ho trovato la persona con cui fare un figlio”. Nell’amore omosessuale invece non accade, è più evoluto e consapevole: si dicono ti amo perché “il tuo pensiero, la tua sensibilità, i tuoi sentimenti sono più vicini ai miei”».

Ma se quello che conta per la crescita di un bambino non è il percepire l’equilibrio della bilateralità genitoriale ma soltanto una buona dose di amore, allora perché vietare di avere cinque mamme, al posto che due? Ci sarebbe così un’espressione quantitativamente maggiore rispetto alle sole due genitrici. Chi l’ha detto che i genitori devono essere due? Ovviamente è una posizione provocatoria per sottolineare come a furia di dire “si” a tutto quello che viene in mente, la bioetica “laica” entra facilmente in contraddizione, perdendo di vista il significato antropologico che caratterizza l’attività umana.

Un mese fa, altro esempio, pur di promuovere la fecondazione artificiale il quotidiano inglese Guardian ha attaccato la riproduzione sessuale “normale” tra l’uomo e la donna, spiegando che esiste ormai una nuovissima tecnica di laboratorio per ottenere figli più sani, migliori. Invece, la “normale” riproduzione sessuale è «un’attività davvero pericolosa, spesso descritta come una “lotteria genetica”. La riproduzione umana implica una spericolata combinazione di geni “al buio”, che porta a imprevedibili conseguenze per i figli che ne usciranno e per le generazioni future», essa, si legge, «non sarebbe mai stata approvata da un ente regolatore se fosse stata inventata come tecnologia riproduttiva». Peccato che invece «semplicemente ce la “troviamo” come parte della nostra biologia».

Se si va a leggere Repubblica si capiscono, ancora, quali siano i problemi che la società dovrà sempre più frequentemente affrontare: dire o non dire al proprio figlio che è nato in provetta? Come comunicargli che non è nato dall’amore dei suoi genitori ma è stato prodotto in un freddo laboratorio sotto la guida del microscopio? Di questo si è parlato durante il convegno “Comunicare l’infertilità” svoltosi a Firenze. Il pediatra Paolo Sarti ha trovato la soluzione: «non ha senso dire la verità a tutti i costi», molto meglio mentire secondo lui. Anche perché si rischiano grossi problemi, come ha raccontato un 18enne nato in provetta intervistato qualche tempo fa dal New York Times«A volte mi sento soffocare dal tormento per le infinite possibilità date dal fatto che mio padre potrebbe essere ovunque: in mezzo al traffico di punta di un venerdì sera, dietro di me al bancone della farmacia, oppure lì a cambiarmi l’olio della macchina dopo settimane di scarsa manutenzione. A volte vivo una mancanza di sentimenti e parole tale che rimango semplicemente stordito pensando che lui potrebbe essere ovunque». Meglio la menzogna o la squallida realtà? Questo il dilemma che tiene occupata la bioetica “laica”, distraendola dal comunicare che la fecondazione artificiale non è l’unica alternativa all’infertilità, esiste la prevenzione e sopratutto l’adozione.

Evidente che in questa carrellata di esempi sulla credibilità della proposta laica in bioetica non poteva mancare il noto pronunciamento di due responsabili della “Consulta di Bioetica Laica”, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, secondo i quali  «se una persona potenziale, come un feto e un neonato, non diventa una persona reale, come voi e noi, allora non c’è qualcuno che può essere danneggiato, il che significa che non vi è nulla di male. Quindi, se si chiede se uno di noi avrebbe potuto essere danneggiato, se i nostri genitori avrebbero deciso di ucciderci quando eravamo feti o neonati, la nostra risposta è ‘no’». Di conseguenza, hanno affermato i due ricercatori, «uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile».

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Nuovo studio: il suicidio assistito genera gravi traumi nei parenti

Il governo federale canadese si è recentemente pronunciato sul suicidio assistito affermando che la sua legalizzazione sminuisce il valore della vita e potrebbe portare le persone più vulnerabili a prendere provvedimenti drastici nei “momenti di debolezza”. Nel giugno 2012, invece, il Canadian Medical Association Journal ha pubblicato un editoriale chiedendo un ampio dialogo nazionale per discutere di ciò che ha descritto come “omicidio terapeutico” (interessante l’inquientate richiamo alla morte come terapia), sostenendo che il destino della legge sul suicidio assistito dovrebbe essere decisa attraverso il processo democratico, e non attraverso i giudici.

Quella del governo canadese è una presa di posizione che condividiamo, non soltanto per le motivazioni espresse ma anche per le conseguenze negative sui familiari e amici del suicida. Un’esperienza traumatica che può lasciare profondi segni nella psiche, come ha affermato uno studio dell’Università di Zurigo pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica European Psychiatry.

Stando alla ricerca un familiare su quattro dopo una simile esperienza è caduto in depressione o ha sviluppato un disturbo post-traumatico da stress, per cui si è resa necessaria una terapia medica. Questi disturbi, ha spiegato la psicologa Birgit Wagner responsabile dello studio, appaiono con maggior frequenza in relazione ai suicidi assistiti rispetto ai casi di morte naturale, nei quali soltanto il 5% dei familiari sviluppano un disturbo posttraumatico e soltanto lo 0,7% una depressione.

Secondo un altro studio, pubblicato qualche anno fa sul Journal of the Royal Society of Medicine, la depressione gioca un ampio ruolo anche nella decisione ad intraprendere la strada del suicidio assistito, confermando così le preoccupazioni del governo canadese. Il desiderio di morte precoce, è stato attestato, si correla infatti con disturbi depressivi. Riconoscere e trattare la depressione, si conclude nello studio, potrebbe migliorare la vita delle persone affette dalla malattia terminale e così ridurre il desiderio di morte precoce, per via naturale o per suicidio.

Infine, una serie di filosofi si sono espressi su “Avvenire” nel settembre scorso sul suicido assistito. Particolare l’intervento di Silvano Petrosino, docente di semiotica all’Università Cattolica, il quale ha ricordato il pensiero dell’agnostico sociologo e antropologo Emile Durkheim, per il quale la società è lesa dall’atto del suicidio, e poiché «la persona umana è e deve essere considerata come cosa sacra, qualsiasi attentato contro di essa deve essere proscritto».

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I lettori de “L’illusione di Dio” di Dawkins? Chi si converte e chi si suicida

Nel novembre 2008 lo scrittore e giornalista cattolico Antonio Socci ha commentato un’intervista a Richard Dawkins (il noto fondamentalista ateo, come lo ha definito il fondatore di The Independent), al Guardian, ripresa da Il Corriere della Sera, in cui Dawkins annunciava l’inizio del suo pensionamento con queste parole: «ho fallito», vedendo «una maggiore influenza della religione». Aveva scritto un libro, “L’illusione di Dio”, con «lo scopo dichiarato di ‘convertire’ i lettori all’ ateismo», ma il progetto è naufragato. Socci ha commentato: «Qualcuno ritiene addirittura che abbia finito per portare acqua al mulino dei “nemici”».

Effettivamente così è stato, come ha spiegato recentemente Alister McGrath, pure lui convertito, filosofo e teologo anglicano, tra i più apprezzati al mondo e autore di libri davvero molto interessanti (L’ illusione di Dawkins , il fondamentalismo ateo e la negazione del divino – Galiero 2007;  Scienza e fede in dialogo. I fondamenti – Claudiana 2002).

Parlando del folkloristico movimento dei “new atheist”, ha affermato: «non c’è dubbio che la nascita del nuovo ateismo ha creato un interesse culturale su Dio. Nelle mie conversazioni e dibattiti con questi nuovi atei li ho spesso ringraziati per aver suscitato una nuova curiosità sulle tematiche della religione, di Dio e del senso della vita. D’altra parte attualmente il nuovo ateismo sta perdendo il suo carattere di novità. Si tratta di semplici slogan che oggi vengono visti come semplicisti, e non come asserzioni accurate di sintesi intellettuale». Su questo non avevamo nessun dubbio, più volte anche noi abbiamo denunciato la mancanza di una proposta culturalmente interessante da parte dei vari Sam Harris, Daniel Dennett e Richard Dawkins, i quali fondano la loro presenza attraverso la banale ed effimera derisione del cristianesimo. Alla lunga non può che annoiare.

La cosa più interessante rivelata da McGrath è stata la sua scoperta che «molti di quelli che una volta pensavano che il nuovo ateismo offrisse delle buone risposte alle grandi domande della vita oggi stanno capendo che esso offre semplici frasi fatte che non soddisfano gli interrogativi profondi. Di recente ho parlato con un collega che mi ha raccontato di un progetto molto interessante di cui si sta occupando: sta studiando il caso di quelle persone che si sono convertite al cristianesimo come risultato della loro lettura dei libri del neoateo Richard Dawkins! Questo collega ha scoperto come ci sia gente che ha letto Dawkins con l’aspettativa di trovarvi sofisticate risposte alle grandi questioni della vita. Invece hanno riscontrato qualcosa di inadeguato e superficiale. Ma hanno mantenuto aperta questa loro sete di domanda e hanno trovato la risposta nel cristianesimo».

Leggere “L’illusione di Dio” di Dawkins (definito da Odifreddi “il grande manifesto laico di una delle più acute menti scientifiche”) e convertirsi. Certamente un esito migliore di quanti hanno letto i ragionamenti masochisti del sacerdote ateo, lo hanno preso sul serio e coerentemente si sono suicidati. E’ il triste caso di Jesse Kilgore, ventiduenne di New York. Il suo professore lo ha invitato a leggere questo libro, dove la fede viene definita come “un delirio”, una malattia contagiosa. Jess si è suicidato pochi mesi dopo. Dopo la sua morte, il padre Keith ha appreso della cessione del libro da due amici del figlio, lo ha cercato nella sua stanza trovandolo sotto il materasso con il segnalibro inserito nell’ultima pagina.

Un amico del figlio gli ha poi confidato che Jesse «era in lacrime ed era molto turbato da questo libro», lo aveva sentito un’ora prima del suicidio e Jess aveva raccontato «la sua perdita di fiducia in tutto. Era molto più che un ateo, senza alcuna credenza nell’esistenza di Dio (in qualsiasi forma) o una vita dopo la morte o anche nel concetto di giusto o sbagliato». Jesse aveva «menzionato il libro di Dawkins che stava leggendo». Se si prende davvero sul serio il violento nichilismo di Dawkins, il suicidio non sembra poi così irragionevole: a quale scopo infatti prolungare l’agonia e “l’accanimento terapeutico” restando in vita in questa inutile, sadica e ingiusta “valle di lacrime”? Fortunatamente tante altre persone, come ha spiegato McGrath, lo hanno talmente preso sul serio che si sono avvicinate alla risposta cristiana.

Interessante notare anche che, oltre ad aver fallito dal punto di vista ideologico-religioso, Dawkins ha fallito anche dal punto di vista scientifico. E’ infatti conosciuto soltanto per la sua visione dell’evoluzione basata sulla nozione dell’“egoismo del gene”, una tesi recentemente definita “sciocchezza ideologica e  arrogante” su Science 2.0. Il biologo Gerald Edelman, premio Nobel,  ha a sua volta respinto completamente il concetto del “meme” e lo stesso ha fatto David Sloan Wilson, biologo e docente presso la Binghamton University, il quale ha spiegato che Dawkins «non riesce a qualificarsi come evoluzionista proprio sui due argomenti per i quali è universalmente ben noto: la religione e la teoria del “gene egoista”». 

 

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Il fondatore di Zara dona 20 milioni alla Caritas

La Chiesa cattolica può portare avanti le sue opere anche grazie a continue donazioni private, da parte di persone religiose o non religiose. Il Duomo di Milano, ad esempio, secondo una recente ricerca è stato realizzato per l’84% grazie alle libere donazioni del popolo, tra cui prostitute e mercenari (qui l’articolo dell’autrice della scoperta).

La stima non è diminuita nel tempo, nell’aprile scorso, ad esempio, il patron della multinazionale Faac ha lasciato la sua proprietà in eredità alla curia di Bologna. Nel 2010 un milionario ateo americano, Robert W. Wilsonha invece donato 5,6 milioni dollari all’Arcidiocesi cattolica di New York (con richiesta di vederli investiti nelle scuole cattoliche), mentre la 68° persona più ricca del mondo, Albert Gubay ha lasciato tutto il suo patrimonio.

In questi giorni è accaduta nuovamente una cosa simile: la Fondazione Amancio Ortega del presidente del gruppo tessile Inditex, quello del marchio Zara, ha donato 20 milioni di euro alla Caritas spagnola. Il denaro impegnato dal magnate galiziano, il quinto uomo più ricco al mondo secondo Forbes, equivale quasi al totale dei fondi destinati l’anno scorso dalle imprese spagnole alla Caritas, 24,5 mln di euro.

Inutile citare tutti i progetti realizzati dalla Caritas International, interessante invece ricordare che, come ha pubblicato qualche tempo fa il quotidiano spagnolo La Razón, la presenza della Chiesa cattolica in Spagna permette un  risparmio sociale di oltre 20 miliardi di euro. Secondo dati recenti, inoltre, nonostante la stretta della crisi economica, le donazioni private alla Caritas (e altre organizzazioni cattoliche) in Spagna sono aumentate del 37% dal 2007 (quando ha potuto aiutare 994.000 persone, mentre nel 2011 sono state 1,8 milioni). E’ anche vero che dal 2010 la Chiesa spagnola, proprio per far fronte alla crisi, ha voluto aumentare il suo impegno sociale del 56,5%.

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Il “laicismo di stato” è un punto debole del sistema francese

Se ancora non è chiara la differenza tra laicità, assenza di laicità e laicismo è utile guardare la situazione politica in Italia, in Inghilterra e in Francia. La “laicità”, ha spiegato bene il card. Ravasi, risponde al «rendete a Cesare ciò che è di Cesare», mentre il “laicismo” elide o reprime il «rendete a Dio ciò che è di Dio», vocaboli che non sono sinonimi, la cui stessa distinzione vale tra “religiosità” e “teocrazia”. L’editorialista de “Il Corriere della Sera”, Piero Ostellino, nella sua “difesa laica del Papa” ha scritto a sua volta: «la cultura laica non è negazione della religione, ma cavourriana separazione tra le leggi e i comandamenti, tra lo Stato e le istituzioni ecclesiastiche».

Ecco che dunque l’Italia è un paese laico, religione e stato sono due enti distinti ed indipendenti. Questo è l’unico criterio valido per parlare di laicità, il fatto che poi lo stato scelga di preferire/favorire una delle varie espressioni religiose (quella cattolica, nella nostra penisola) è nei legittimi poteri di uno stato laico. Nel Regno Unito manca invece il criterio fondamentale per ritenerlo uno stato laico: la regina Elisabetta II, infatti, è sia il capo dello stato che governatrice suprema della Chiesa Anglicana. Altra situazione in Francia dove vige il laicismo di stato (o “laicità negativa”), ovvero l’esclusione di ogni espressione religiosa dallo spazio pubblico, relegandola unicamente a forme private. E’ il riferimento politico di ogni individuo affetto da “religiofobia”, i responsabili della Chiesa –ha spiegato Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux- non posso esprimersi su tantissimi temi altrimenti si sentono affermazioni come: «Questo esula dalle vostre competenze. La laicità vi vieta d’intervenire in questi ambiti. Contravvenite alla laicità esprimendovi così».

Gian Carlo Blangiardo,  già Direttore del Dipartimento di Statistica dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e attuale docente di Demografia nella stessa università, ha dato recentemente un giudizio sulla forma etica del governo francese affermando: «Per i francesi la laicità è un punto d’orgoglio e la considerano la loro peculiarità, che hanno ereditato da una tradizione formatasi ai tempi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese. E’ quindi una storia che ostentano orgogliosamente. Così facendo, non si tiene conto però di quello che rappresenta un elemento importante nella vita di tutte le persone, e cioè il fatto di avere comunque degli ideali di carattere religioso e di volere che siano rispettati anche dalla società in cui si vive. Ciò può creare dei conflitti, perché non si può prescindere da un sistema di valori che le persone vivono con impegno e convinzione. Una società laica vive una forma di difficoltà nel conciliare le due realtà».

Buona parte dei cittadini francese è discriminato, poiché «da un lato si deve fare l’interesse dei cittadini, dall’altra questi ultimi hanno delle aspirazioni e lo Stato in nome della laicità non le rispetta. C’è poi anche chi non ha una religione, e lo Stato laico è proprio la scelta di favorire questi ultimi, danneggiando chi invece ha un riferimento trascendente. E’ un punto debole del sistema francese, anche se loro lo considerano un punto di forza, perché non tiene conto di valori che sono all’origine della società. Avere una religione, degli ideali, un’etica, è anche un motivo per rispettare le norme del vivere sociale. Nel momento in cui ciò viene meno, può scattare un principio di individualismo e di convenienza personale, per cui ognuno fa quello che vuole in quanto pensa che tanto non c’è una morale che lo guida».

Blangiardo è anche intervenuto sulla questione delle nozze e adozioni gay, argomento caldo in Francia, spiegando che «l’essere uomo e l’essere donna non sono la stessa cosa, e il bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Necessita cioè della vicinanza di una donna con tutte le sue caratteristiche di donna, e di un uomo con tutte le sue caratteristiche di uomo. Nel momento in cui ci sono altre forme di unione, le quali non riproducono la coppia naturale, il bambino si può trovare del tutto disorientato. Anche se ci sono l’affetto e tutto ciò che ci deve essere, i modelli di riferimento non sono infatti di tipo naturale. C’è quindi un forte rischio che insorgano dei disturbi, proprio perché il bambino non ha avuto la possibilità di crescere con due genitori di sesso opposto». E anche su questo «lo Stato laico deve prendere una posizione, in quanto deve a sua volta rendersi conto che questa situazione può poi creare dei cittadini con dei problemi. Se quindi ha veramente a cuore l’interesse dei suoi cittadini, dovrebbe fare in modo che ciò non si possa realizzare. Anche se poi ci sono i desideri dei membri delle coppie gay, finalizzati a una loro soddisfazione, non è detto che si debba inseguire l’interesse di tutti, se ci sono degli interessi superiori come quello di formare i cittadini cui lo Stato dovrebbe rispondere».

Tornando alla laicità, ne ha spesso parlato anche Claudio Magris sempre su Il Corriere della Sera, come quando ne ha spiegato il significato vero, gli ignoranti, che con«con buona pace detinuano a usare scorrettamente questo termine come se significasse l’ opposto di fede e come sinonimo di ateismo o di agnosticismo». E aggiungendo: «L’ intolleranza e la spocchia laicista – ad esempio nelle discussioni sull’ aborto – si sono rivelate aggressive, una supponenza che mette all’Indice di una pretesa arretratezza ogni voce dissenziente».

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Piergiorgio Odifreddi in difficoltà di fronte ai miracoli di Lourdes

E’ quasi un dispiacere questa volta fare un articolo su Piergiorgio Odifreddi.

Molti suoi fan sul suo blog dicono che siamo ormai siamo le sue “guardie del corpo”. Effettivamente lo abbiamo criticato, lo abbiamo messo in imbarazzo prendendo sul serio le sue tesi (si veda la vicenda del libro “Perché Dio non esiste”) e continueremo a farlo.

Ma più passa il tempo e più diventa chiaro che l’ex matematico non crede più nemmeno lui al personaggio iper-positivista che ha scelto di interpretare.

Qualcosa di diverso è avvenuto durante la puntata di Porta a Porta del 18/10/12, durante la quale si è parlato del 68° miracolo di Lourdes riconosciuto dalla Chiesa, dopo anni e anni di studi medici.

In studio, oltre al conduttore Bruno Vespa, c’erano Vittorio Messori, Piergiorgio Odifreddi, Claudia Koll, Massimo Giletti, Andrea Tornielli e la signora Elisa Aloi, una delle miracolate italiane. La sua storia è stata già raccontata in un nostro precedente articolo.

Affetta da una forma gravissima di tubercolosi ossea multipla fistolosa, la signora Aloi ha passato 17 anni a letto totalmente paralizzata, per 11 anni quasi interamente ingessata (tranne la testa e altre piccole parti del corpo) e ha subìto 33 interventi chirurgici. Al ritorno da Lourdes, nel 1958, si è scoperta la ricrescita dell’osso femorale e la donna è tornata tranquillamente a camminare senza nessun aiuto di tipo medico-fisioterapico.

Dopo che la donna ha raccontato quanto le è accaduto, Odifreddi è sembrato subito in difficoltà.

Il conduttore, Bruno Vespa, ha tuttavia spostato la questione su un particolare secondario, evitando di “sferrare” al matematico un colpo basso invitandolo a spiegare, attraverso le sempre utili da citare “guarigioni spontanee”, la ricrescita dell’osso del bacino, soprattutto dopo una malattia durata 17 anni.

Vespa ha preferito porre una seconda domanda, cioè il particolare del ritrovamento delle bende che avvolgevano la donna pulite e piegate. Da essa Odifreddi ha potuto facilmente salvarsi accennando (giustamente) al fatto che i ricordi possono essere reinterpretati nel tempo.

Il matematico sedicente impertinente ha quindi approfittato per citare l’altro suo cavallo di battaglia in tema di miracoli, e cioè l’affermazione dello scrittore scettico Émile Zola secondo cui «A Lourdes si vedono tante stampelle ma nessuna gamba di legno» (ovvero non si vedono arti ricrescere).

Mentre accennava a questo, essendo presente Messori davanti a lui, si è evidentemente ricordato che proprio lo scrittore cattolico ha documentato perfettamente proprio il cosiddetto “miracolo della gamba ricresciuta“, ovvero il prodigio di Calanda, avvenuto nella Spagna del XVII secolo, la cui veridicità è testimoniata dai numerosi documenti d’epoca: ad un giovane contadino, Miguel Juan Pellicer, è ricomparsa la gamba che gli era stata amputata due anni e mezzo prima.

Questa volta è stato Vittorio Messori a cambiare argomento, evitando di approfondire il miracolo di Calanda, probabilmente perché poco attinente a Lourdes, preferendo portare il discorso sulla truffa di Zola nella creazione del suo libro-inchiesta su Lourdes.

Una volta tornati sul miracolo accaduto alla signora Elisa Aloi, Odifreddi ha lealmente ammesso che «il caso è molto interessante se effettivamente le ipotesi sono queste allora certamente questo fatto ci metterebbe in difficoltà, il problema vero però sono le ipotesi» (“ci metterebbe”, forse pensava di parlare a nome della comunità scientifica?).

Oltre al fatto che il dossier medico della signora Aloi è studiato da anni da medici internazionali, credenti e non (è quindi difficile dubitare sulle ipotesi), la miracolata è intervenuta ricordando: «Ma qui davanti a lei ci sono io, in carne e ossa, non glielo sta raccontato qualcun altro».

Odifreddi ha soltanto potuto accennare al fatto che dall’immersione nella piscina alla ripresa dell’uso delle gambe sono passati alcuni giorni, come se l’esistenza di questa frazione di tempo (dopo 17 anni!) potesse giustificare l’ipotesi della coincidenza, piuttosto che ammettere l’evidente relazione con il pellegrinaggio.

 

Verso la fine della puntata, Vittorio Messori, con la proverbiale eleganza che lo contraddistingue, ha scoccato una freccia avvelenata a Odifreddi, dalla quale il matematico non si è più ripreso.

Lo scrittore cattolico lo ha infatti definito “ideologo”, cioè colui che predilige lo schema ai fatti, invitandolo a non insistere con ipotesi fantasiose per evitare di inciampare nuovamente in una gaffe, come quella accadutagli quando in passato ha scritto che la veggente Bernardette sarebbe stata “imbeccata dal suo parroco”.

Peccato che, come lo corresse a suo tempo Messori, documenti storici dimostrano inequivocabilmente che la veggente conobbe il parroco, Peyramale, solo il 2 marzo, dopo la tredicesima apparizione, e venne (inizialmente) da lui non creduta, la minacciò addirittura di negarle la comunione.

Odifreddi, di fronte all’evidenza, ha chiesto lealmente “venia” per quanto aveva scritto.

Una bella puntata, un Odifreddi auto ironico e rispettoso, a tratti anche davvero divertente (ha parlato lui dei premi Nobel che credono a Lourdes e della conversione di Alexis Carrel, anche se ha sbagliato il nome chiamandolo “Cassel”).

Simpatico ma in evidente difficoltà di fronte al miracolo certificato della signora Aloi, la quale si è anche rivolta a lui dicendo: «Vorrei dirle qualcosa, visto che si dichiara così scettico. Secondo me, lei dentro di sé ha più fede di me».

La redazione

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Nasce il sito web italiano (più rivista) “Pro Life News”

Nel dicembre 2010 davamo l’annuncio della nascita del portale web “La Bussola Quotidiana” , che purtroppo dopo averci regalato articoli interessantissimi, da qualche mese ha dovuto chiudere i battenti a causa della crisi economica.

Uno scopo del nostro sito è anche questo: unire e far conoscere le più interessanti realtà cattoliche presenti sul  web, consapevoli e contenti anche di  “regalare” loro qualche lettore. Sopratutto non interessandoci di ricevere o meno un eventuale ricambio di simpatia.

Oggi siamo lieti di annunciare la nascita di un nuovo portale italiano: www.prolifenews.it (attivo da lunedì 22 ottobre),  abbinato alla rivista mensile Notizie Pro Vita. L’obiettivo è quello di dare ancora più voce ad un movimento in crescita, sulla scia del modello americano .

Tutto è nato dalla bellissima testimonianza, di cui abbiamo già raccontato, di Chiara Corbella, morta il 13 giugno scorso dopo aver dato alla luce il terzogenito. A lei è stato dedicata questa iniziativa, nata da un amico di famiglia, Antonio Brandi, presidente di Laogai Research Foundation, aiutato da alcuni giornalisti. Con la rivista e il sito web si «vuole coinvolgere cristiani, credenti di altre religioni e non credenti che riconoscono l’aborto per quello che è: un omicidio», spiegano i curatori. «Vogliamo informare e sensibilizzare l’opinione pubblica per risvegliare le coscienze: la gente, spesso, non comprende cosa sia effettivamente l’aborto perché è male informata». Si parlerà di aborto, ma anche di eutanasia e di tutte le tematiche bioetiche affrontate oggi.

La rivista è stata presentata ieri, mercoledì 24 ottobre 2012 a Roma nella sala Placido Martini di Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma. Alla presentazione sono intervenuti Federico Iadicicco, vice presidente della  Commissione Cultura della Provincia, Antonio Brandi, editore e Francesca Romana  Poleggi, direttore editoriale.

Tantissimi auguri e complimenti per l’iniziativa da tutta la nostra redazione: www.prolifenews.it

 

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