Dalla Russia agli Usa: il risultato di due iniziative pro-life

NeonatoQuasi 3000 bambini salvati da fine certa. Questo, il risultato di due iniziative diverse, nei due antipodi geopolitici del mondo, ma con un fine comune: da una parte l’opera del prete ortodosso russo, padre Alexis Tarasov; dall’altra l’azione di un gruppo pro-life statunitense.

Dal 26 settembre, giorno in cui la campagna 40 Days for Life è iniziata, si sono dati certamente da fare gli attivisti che dopo due settimane avevano già salvato 341 bambini dall’infausta fine dell’interruzione volontaria di gravidanza e che a fine iniziativa (che durava, appunto, 40 giorni) sono arrivati a quota 789. LifeSiteNews.com che ha seguito l’iniziativa ha riportato alcune delle storie, che da una costa all’altra degli Stati Uniti, sono finite con un lieto fine. Nel Delaware, dove una giovane donna a cui la preghiera cantata dai volontari davanti alla clinica abortista si era fissata nella mente tanto da convincerla ad eseguire un ecografia, «ha realizzato che semplicemente non poteva procedere con l’aborto». In seguito a ciò, è uscita dalla clinica dichiarando di «non voler mai più vedere quel posto». Poco distante, in Maryland, la sola assistenza di un volontario ad un giovane uomo è stata sufficiente a scongiurare l’interruzione volontaria di gravidanza della partner. La giovane coppia, una volta consapevole delle strutture d’assistenza disponibili, ha immediatamente lasciato la clinica e con essa, l’idea d’abortire. Infine in Louisiana, come in molti altri casi, è bastato per i volontari informare riguardo ai punti d’aiuto ed i centri assistenza per evitare l’ennesimo aborto, quasi paradossalmente, nato dall’inconsapevolezza.

Contemporaneamente, come riportato sempre da LifeSiteNews.com, a Volgograd (conosciuta ai più per il suo nome in epoca sovietica, Stalingrad) nella nazione dove per la prima volta nella storia fu legalizzato l’aborto, padre Tarasov è stato encomiato dal Ministero della Salute russo «per il suo impegno nel ridurre il numero di aborti nel suo distretto». Lavoro il suo, che quantitativamente è stato definito come una diminuzione del 25% delle interruzioni volontarie di gravidanza. Da un semplice servizio di consulenza nella sua parrocchia a Voljsk, l’opera del prete ortodosso si è evoluta in un “Centro per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia” il cui obiettivo è «fornire alle donne volontari comprensivi e preparati che ascoltino le loro preoccupazioni e diano informazioni sulla procedura abortiva e su i suoi potenziali effetti sulla loro stessa salute, offrendo anche l’aiuto materiale di cui necessitano». Sempre secondo i dati del Dipartimento della Salute, dall’apertura del Centro, più di 2000 donne hanno rinunciato all’aborto. Due iniziative diverse, in luoghi diversi ma che condividono l’amore per la vita e le armi con cui combattono l’IVG: l’informazione e la consapevolezza della donna.

Nicola Z.

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Christof Koch: il volo mancato di un ‘riduzionista romantico’

Christof Koch neurologo di fama, allievo del premio Nobel Francis Crick, lo scopritore della molecola di DNA , si è definito un ‘riduzionista romantico’. Egli è indubbiamente una persona intelligente e un esperto nel suo campo, ma forse il suo limite principale è proprio il suo materialismo riduzionista. Lo spunto per interessarmi del suo pensiero mi è stato fornito da due interviste reperibili in rete, in cui fra le altre cose egli si chiede se per caso prima o poi la rete internet non possa diventare ‘cosciente’.

Pensavo che il computer che prende coscienza di sé fosse materia di film di fantascienza tipo ‘Matrix’ , o ‘Terminator’, oppure in maniera molto più divertente, come nel film tratto dal libro ‘Guida galattica per autostoppisti’, in cui ‘Pensiero Profondo’, il computer più sofisticato dell’Universo, alla domanda ‘Qual è la risposta fondamentale alla Vita, all’Universo e a tutto quanto’, dopo una elaborazione durata 7 milioni e mezzo di anni risponde con un lapidario e misterioso: ‘42’. E invece a quanto pare ci sono scienziati che pensano seriamente che i computer del futuro potranno avere una ‘coscienza’. Fra questi scienziati c’è Koch.

Questa previsione, deriva dal supporre che la realtà sia solo materiale e che non esista quindi una dimensione spirituale. Infatti questo assioma, enunciato come ipotesi di partenza, porta Koch a considerare la coscienza come il risultato emergente dal comportamento meccanicistico di un sistema ‘complesso’ che nel nostro caso, quello ‘umano’, risulta essere il cervello. Ed è quindi da ciò che deriva l’ipotesi che prima o poi la rete Internet, che sotto certi aspetti assomiglia a quella neuronale, possa diventare ‘cosciente’. Ma come si possa paragonare la rete Internet, pur fatta da computer collegati fra loro, con il cervello umano, che Koch stesso ha definito ‘l’apparato più complesso dell’universo conosciuto’, e del cui funzionamento solo ora si cominciano ad apprendere i rudimenti, non è dato di sapere.

Koch imposta il suo discorso ponendosi la domanda ‘qual è la differenza tra i due sistemi che fa la differenza?’ e ha scritto un libro – ‘La Coscienza: confessioni di un riduzionista romantico’ – per rispondere che forse la differenza è solamente il livello di complessità, perciò una volta che i computer o la rete Internet avranno raggiunto il numero di nodi e la complessità ‘organizzativa’ della rete neuronale non potranno che diventare ‘coscienti’. E come spiega la ‘coscienza,’ che fra l’altro lui assegna in diverso grado anche agli animali? Koch si basa sulla teoria della ‘informazione integrata’ del neurologo Giulio Tononi . In pratica secondo questa teoria, siccome è accertato che nel cervello vi sono miriadi di parti differenziate ognuna specializzata per un determinato compito, quando i risultati di questi ‘compiti’, le informazioni differenziate, vengono ‘integrati’ per mezzo di una interazione ‘creativa’ tra le diverse parti del sistema, allora nascerebbe una esperienza conscia.

Durante il passaggio dalla veglia cosciente al sonno, quando si ha una ‘sospensione’ dello stato di coscienza, si nota infatti la perdita di comunicazione tra le diverse parti, che comunque continuano a funzionare in maniera indipendente. In pratica paragonando le parti del cervello a dei coristi, è come se ognuno di essi cantasse in coro con gli altri durante la veglia, generando così un canto armonioso, che sarebbe lo stato di coscienza, mentre quando si è ‘incoscienti’ lo si è perché i diversi coristi cantano per conto proprio senza accordarsi con gli altri. La teoria di Giulio Tononi ripresa da Koch, introduce come una specie di ambiente ad un numero grandissimo di dimensioni, un cosiddetto spazio dei ‘qualia’, popolato dalle nostre rappresentazioni del reale, detti ‘cristalli’ o ‘politopi’ a sua volta generati da ‘interazioni causali tra parti rilevanti del cervello’ e fatti di ‘rapporti informativi’. Insomma il ‘cristallo’ sarebbe ‘il punto di vista dall’interno, la voce nella testa, la luce dentro il cranio, l’essenza dell’esperienza mentale soggettiva’, differenziata quindi dalla realtà fisica oggettiva. E in base a questa teoria Koch si spinge oltre ipotizzando addirittura la futura costruzione di un misuratore di coscienza. Esso analizzerebbe la rete in cui viaggiano le informazioni, leggendone il livello di attività e calcolandone l’informazione integrata traccerebbe così la forma del ‘cristallo’ dello stato conoscitivo che il sistema sta sperimentando in quel momento. Ecco perché quindi secondo Koch anche se un sistema è fatto solo di circuiti elettrici che si scambiano informazione potrebbe possedere una ‘coscienza’.

Trovo questo discorso senz’altro interessante e suggestivo tuttavia mi lascia insoddisfatto perché non esaurisce il vero problema che è quello di definire e descrivere oggettivamente cosa è la coscienza. Infatti tutto ciò che è stato detto si riferisce all’atto del conoscere e del rappresentarsi internamente il mondo esterno. Ma chi è l’agente di tutto ciò? Solo il cervello, come affermano i materialisti o anche un quid immateriale che costituisce il nucleo vero della coscienza di sé, quella parte che mi fa capire, al di là delle esperienze sensoriali e alle sue relative rappresentazioni, di essere sempre e unicamente ‘io’, una medesima persona che conosce, ha delle sensazioni, pensa ed esiste?+

Fra l’altro ci sono alcuni punti nel discorso di Koch che mi lasciano perplesso e uno di questi è quello relativo al fatto che alle volte saremmo solo illusoriamente ‘decisori’ delle nostre azioni, e che invece il nostro cervello, prima si attiverebbe per risolvere una situazione e poi ci darebbe l’impressione che saremmo stati noi decidere. Ciò ovviamente metterebbe in crisi il concetto di ‘libero arbitrio’. Questa convinzione deriva dal fatto che è stato effettivamente scoperto che i segnali nervosi, quali ad esempio quelli che servono per far muovere un braccio e afferrare qualcosa, nascerebbero qualche frazione di secondo prima che si diventi coscienti di voler compiere l’azione. Cioè, come dice Koch, in questi casi è come se ‘il cervello agisce prima che la mente decida’. In qualche maniera per Koch, il ‘libero arbitrio’ sarebbe alle volte perciò illusorio, in quanto quello che noi pensiamo che sia un ‘effetto’ della nostra decisione, conseguente alla voglia di operare tale azione, sarebbe in realtà esso la vera ‘causa’ che ci fornisce quella impressione. Ci sarebbe cioè in certi casi una inversione tra causa ed effetto, quindi anche i nostri comportamenti apparentemente liberi e voluti in realtà potrebbero essere solo effetti di cause precedenti e sconosciute. Con ciò dando ragione al determinismo Laplaciano più estremo.

Come interpretazione del fatto io proporrei invece una versione alternativa anche se un po’ ardita: visto che è stato accertato che il cervello ha fenomeni di premonizione, il tutto potrebbe essere determinato dal ‘rilascio’ verso il passato di ‘segnali di attivazione’, in modo che il cervello, vedendosi arrivare questi segnali dal futuro si attiverebbe ‘prima’ della nostra decisione futura, cioè ‘in tempo utile’, per avere così un vantaggio, come ad esempio nel caso che si debba scappare di fronte ad un pericolo. Non ci sarebbe in tal modo nessuna inversione causa – effetto: saremmo comunque noi a prendere ‘liberamente’ la decisione di compiere l’azione, ma nel contempo il nostro cervello inviando un segnale di ‘partenza’ verso il passato potrebbe attivarsi prima e così far compiere ai nostri muscoli l’azione in un tempo accettabile (forse in caso contrario saremmo troppo lenti, mettendo così in pericolo la nostra esistenza). In tal modo il libero arbitrio sarebbe salvo. E questa capacità di ricevere segnali dal futuro, se confermata, potrebbe anche significare che il nostro cervello è ben più complesso e sofisticato di quanto pensiamo.

A mio avviso il tentativo di Koch di spiegare in maniera esclusivamente materialistica e riduzionista la coscienza non riesce, e non per la sua poca bravura ma perché tale compito è forse inserito in un paradigma che non può esaurire l’oggetto che vuole esprimere. Ovviamente gli scienziati non credenti non saranno d’accordo, perché pensano che esista solo la fisica, e che tutto il resto, quello di cui da secoli trattano la filosofia e la teologia, sia solo fantasia consolatoria.

Ho notato che Koch non parla mai delle esperienze di pre-morte, le cosiddette NDE. E questo nonostante le riviste scientifiche di neurologia e psichiatria pubblichino da tempo ormai articoli di scienziati che analizzano questi fenomeni. Alcuni studiosi ne danno una spiegazione del tutto ‘meccanicistica’, nel senso che esse sarebbero il prodotto di un cervello che si sta spegnendo, altri, visto che pare accadano in condizioni in cui il cervello è in stato di ipossia e quindi non funzionante, sospettano che possa trattarsi di un indizio della possibilità che la mente possa in qualche modo sussistere anche staccata dal cervello. Koch non fa cenno dell’argomento. Ma se questo fatto fosse reale potrebbe mettere in crisi le sue affermazioni materialistiche e seminare il sospetto che il tutto non possa avere una risposta così semplicemente meccanicistica come quella che lui dà. Ironia della sorte, ultimamente il suo collega neurochirurgo Eben Alexander ha avuto una esperienza NDE che ha cambiato la sua visione della vita, facendo nascere in lui la certezza che esiste qualcosa oltre morte. Riporto solo questa frase di Alexander: ‘Non c’è una spiegazione scientifica a quello che mi è successo: mentre i neuroni della corteccia erano inattivi a causa dell’infezione, qualcosa come una coscienza slegata dalla mente è arrivata in un altro universo. Una dimensione di cui mai avrei immaginato l’esistenza’.

Koch si pone nella categoria di quelli che vedono Religione e Scienza in netta contrapposizione, anche se in maniera un po’ più ‘soft’ rispetto a come fa un Dawkins. Lo dichiara infatti apertamente quando sostiene che la Religione sbaglia nel dire che la coscienza non può essere spiegata solo in termini materiali perché sarebbe anche appartenente alla sfera ‘spirituale’.
Koch per criticare l’impostazione duale mente-corpo dice che “se la mente è ineffabile, come un fantasma o uno spirito, essa non può interagire con l’universo fisico”. Ma egli dimentica che perfino gli astrofisici conoscono così poco l’universo che hanno introdotto le cosiddette materia ed energia ‘oscure’, e che quindi non tutto sappiamo della materia e dell’energia , che potrebbero avere delle proprietà che ancora ignoriamo. Koch è uno dei pochi scienziati che hanno perso la fede dedicandosi alla ricerca scientifica. Di solito succede o la conversione oppure il mantenimento del credo che si ha. Forse l’ammirazione per il suo maestro e mentore Francis Crick lo ha portato inconsciamente ad accettarne l’atteggiamento ateistico, rinunciando, o sarebbe meglio dire trasformando, quella tiepida fede trasmessagli dai genitori e che ancora possedeva prima dell’incontro fatale. Egli infatti ammette di non credere in Dio, o meglio di credere in una specie di Dio vago e impersonale ‘più vicino a quello di Spinoza che a quello di Michelangelo della Cappella Sistina’, un concetto di Dio molto più vicino al Buddismo che al Cristianesimo.

C’è un punto in cui Koch parla di evento ‘Cigno Nero’, cioè del fatto strano e inaspettato che irrompe nella scena e mette in crisi convinzioni radicate. E questi eventi per la scienza attuale potrebbero essere proprio le NDE, i fenomeni di premonizione, i miracoli. Koch manifesta però la sua convinzione che i miracoli sarebbero in contraddizione con le leggi della fisica, ma evidentemente o non ha letto o ritiene poco credibile il fisico Frank Tipler che ha scritto un intero libro sull’argomento – ‘La fisica del cristianesimo’ – in cui ha sostenuto che molti miracoli sono compatibili con le leggi della natura.
Nell’affrontare certi discorsi, Koch mostra di fare gli errori di altri valenti suoi colleghi, che pur essendo specialisti nel loro campo, amano però avventurarsi in argomenti filosofici e teologici di cui sanno poco. Koch manifesta la sua totale fiducia nella scienza attuale. Ma la sola scienza non può dare tutte le risposte, soprattutto quelle di senso, come le grandi domande sull’esistenza che lo stesso Koch si pone, del perché esiste il tutto senziente, ragionante e capace di provare emozioni anziché il nulla. Egli esprime chiaramente la sua ‘tragica’ condizione di non credente di fronte alla morte. Parla della sua angoscia, ma manca di ammettere che sarebbe ben sfortunato l’essere umano se l’emergere della coscienza avesse portato ad una consapevolezza angosciosa, senza risposte e senza speranza. Si intravede in lui una nostalgia per il Paradiso perduto. Egli confessa di sentire che l’Universo è pieno di significato e di sperimentare continuamente una specie di ‘numinosità’ che però non specifica più di tanto.

Da credente, io penso che quello che è forse mancato nella vita di Koch è un evento improvviso, un segno, magari l’irruzione nel suo intimo di qualcosa di inaspettato e inspiegabile che, come per San Paolo sulla via di Damasco e come per una moltitudine di altri esseri umani a cui è successa la stessa cosa, ha portato a una radicale conversione e a una percezione interiore dell’amore di Dio, finalmente sentito come una Persona e non solo come una forza potente ma indifferenziata che permea tutto l’Universo.

Salvatore Canto

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La democrazia? Nasce nei monasteri medievali

Nel suo ultimo libro, da pochi giorni nelle librerie francese, il noto medievista Jacques Dalarun ha approfondito lo studio della vita monastica durante il Medioevo arrivando ad una conclusione molto interessante: «le comunità monastiche assunsero la forma di laboratori. A partire dall’assenza di un’eredità personale e dunque di una dominazione genetica, come definire chi è superiore? In molti casi cominciò così ciò che appare come un’invenzione progressiva di forme democratiche». Dalarun, storico e docente universitario francese,  già direttore dell’Istituto di ricerca per i testi e la storia (CNRS), Direttore di Studi Medievali presso la École française di Roma, di cui è attuale Presidente del Consiglio Scientifico.

Intervistato su Avvenire, ha spiegato che anche una comunità piccola e unica  come quella monastica «può divenire un motore della storia […]. Qui in un modo o nell’altro chi è superiore si definisce pure come inferiore. Oppure, è superiore perché è inferiore. Per san Benedetto, l’abate non deve presiedere o dominare, ma restare al servizio degli altri membri della comunità».  Il Medioevo fu un abbozzo di democrazia anche a livello civile, come le assemblee locali in Scandinavia o l’esperienza dei Comuni italiani, ma è sopratutto all’interno dei monasteri cattolici che non ci si rifaceva «al modello della democrazia ateniese, divenuto all’epoca molto astratto e ideale. Seguendo i primi passi di questa comunità, si scorge tutta la dimensione umana e in fondo la verità di una piccola società che inventa le proprie regole e le comprende, ad esempio che il tipo di elezione non riassume interamente una democrazia. In questo senso ci si avvicina non solo a ciò che la democrazia è poi divenuta, ma anche a ciò che ancor oggi dovrebbe essere: l’arte di governare senza che nessuno possa aggrapparsi al potere».  Nel tempo, poi, avvenne uno slittamento di tutto questo dall’universo religioso a quello civile, basti pensare che in Italia «l’assemblea comunale si teneva talvolta nel convento francescano», ha infine spiegato.

La tesi di Dalarun non è certo nuova, ne ha parlato anche l’editorialista de Il Corriere della Sera, Piero Ostellino, concludendo la sua “Difesa laica del Papa” del 2010: «Come se la stessa nostra democrazia liberale non fosse debitrice del messaggio cristiano che ha posto al centro la sacralità e l’inviolabilità della persona». Anche il sociologo Rodney Stark, docente presso la Baylor University (Texas), nel suo La Vittoria della Ragione (Lindau 2006), ha spiegato che la vera lotta alla discriminazione è stata fatta con l’introduzione dell’assunto dell’uguaglianza morale (unicità degli uomini davanti alla legge). Ma tale novità non è nata nell’Illuminismo e nemmeno grazie al mondo classico, laddove «se è vero che erano esistiti esempi di democrazia, questi non erano radicati in alcuna affermazione di parità che andasse oltre all’uguaglianza dell’élite». Non a caso le varie città-stato della Grecia e di Roma si fondavano su un numero smisurato di schiavi.

Invece «fu proprio il cristianesimo», ha continuato Stark, «a eliminare l’istituzione della schiavitù ereditata dalla Grecia e dalla Roma antiche. Allo stesso modo, la democrazia occidentale deve le sue origini intellettuali e la sua legittimità essenzialmente a ideali cristiani, e non a una eredità greco-romana. Tutto ebbe inizio con il Nuovo Testamento». Gesù Cristo, infatti, proclamò il concetto di uguaglianza morale sopratutto con i fatti, «ignorò ripetutamente le principali differenze tra le classi sociali e frequentò persone stigmatizzate, come samaritani, pubblicani, donne immorali, mendicanti e vari altri emarginati, dando così un sigillo divino all’uguaglianza spirituale». Su questo esempio che San Paolo ammonì: «non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».

Il modello venne così stabilito, ha quindi concluso il prestigioso sociologo delle religioni, e poi si abbracciò «un concetto universalistico d’umanità elaborato dal teologo cristiano del III secolo, Lucio Celio Firmiano Lattanzio, nella sua famosa opera “Divinae Institutiones”», dove ad esempio si afferma: “il secondo elemento della giustizia è l’equità. L’equità, dico, […] nel considerarsi uguali a tutti gli altri […]. Dio, infatti, che crea gli uomini e infonde in essi l’anima, volle che tutti fossero uguali […]. Ci chiamiamo vicendevolmente fratelli, perché riteniamo di essere uguali […], tra di noi non esistono servi; ma i servi noi li consideriamo e li denominiamo fratelli rispetto allo spirito, compagni di servizio rispetto alla religione” perché “la giustizia significa rendersi uguali anche agli inferiori”.

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I vescovi parlano di sesso e amore. E ne parlano bene

Siete delusi da sfumature di grigio che prima esaltano e poi, finito il libro, ti salutano? Volete pane per i vostri denti, voi assetati di esperienze che contano? Insomma, volete roba forte? Bene, allora leggetevi le 36 pagine degli Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia ad opera della Commissione Episcopale per la famiglia e per la vita. Fidatevi, non ci troverete la solita minestra ma dinamite. Roba forte, appunto. A partire dai passaggi rivolti ai giovani di oggi, agli «adolescenti, assediati da un clima generale fortemente erotizzato nella comunicazione, nella moda, nei modelli proposti, devono essere guidati ad acquisire un sano senso critico» (p.7).

Poche ma già dense parole che fotografano appieno la devianza di una sessualità che quando è continuamente indotta non può, nonostante i piaceri che procura, essere libera. E meno liberi ancora sono quanti, proprio perché «assediati da un clima generale fortemente erotizzato», non scelgono qualcuno per amore ma lo cercano per piacere; non del tutto consapevolmente magari, ma questo fanno. Attenzione però: non si vuole, dicendo questo, demonizzare proprio nulla. Al contrario, proprio perché la sessualità è fondamentale che deve essere vissuta come si deve.

E cioè secondo quel magnifico principio che, scomparso come termine dalla lingua parlata, di questo passo lascerà pure il vocabolario: il pudore. Che non è una prigione ma un mezzo, una via che «custodisce e tutela i valori intimi e profondi della persona; non limita la sessualità, ma la protegge e l’accompagna verso un amore integrale e autenticamente umano» (p. 8). Pudore e castità, quindi, da intendersi non come privazione del piacere durante il fidanzamento, ma come orientamento di quest’ultimo verso il piacere vero, da vivere pienamente nel matrimonio. Altro che Chiesa sessuofobica!

D’accordo, si obbietterà, ma così dicendo di fatto si suggerisce ad una coppia di sposarsi senza nemmeno un sano e raccomandabile collaudo dell’intesa sessuale. E come si fa, scusate, a sposarsi senza questo? E se poi uno scopre di avere sposato la famigerata “persona sbagliata”, che fa? Si spara? Ora, messa così l’obiezione ha effettivamente il sapore della critica intelligente, che inchioda la morale cattolica alle proprie contraddizioni con la realtà. Il punto è che proprio la realtà, se ci pensiamo bene, a dare ragione alla Chiesa.

Infatti nessuno può negare la diffusione, oggigiorno, dei rapporti prematrimoniali. Ebbene, al tempo stesso non si può negare neppure un’altra tendenza, ossia quella – piuttosto triste, diciamolo – per cui le coppie si sposano sempre meno e, anche quando convolano a nozze, si lasciano sempre prima, ognuno per la sua strada. Eppure si tratta di coppie che la famosa intesa sessuale l’avevano sperimentata a dovere, intensamente, prima a rate e poi tutta intera, senza limiti. Insomma, sulla carta si tratta di coppie – almeno in teoria -moderne, libere e felici. Ma poi, non di rado, arrivano là dove non avrebbero mai pensato e voluto: a lasciarsi.

Come mai? Vuoi vedere che forse è proprio vero che sessualità è sì importante, ma non sufficiente per la longevità di una storia? Per la stabilità di un rapporto, infatti, serve ben altro che la percezione di stare bene insieme: si deve sapere dove insieme si vuole andare. E occorre saperlo con chiarezza da subito, perché una relazione che inizia come passatempo, c’è poco da fare, difficilmente può tramutarsi in qualcosa di più serio. Sarà ricca e stimolante, ma dopo un po’ perderà il suo fascino iniziale. Come accade, appunto, per i passatempi.

A scanso di equivoci è comunque bene ribadire che la Chiesa – contrariamente a ciò che qualcuno pensa – non raccomanda di fidanzarsi o addirittura di sposarsi “a scatola chiusa”, senza conoscere minimamente il proprio partner. E’ una balla grande come una casa. La Chiesa non vuole affatto questo; ed oltretutto non potrebbe nemmeno volerlo: primo perché l’attrazione fisica fra due persone non ha bisogno di alcun “giro di prova” e non soggiace ad alcun divieto – o c’è o non c’è –, e secondo perché se due si sposassero senza desiderarsi sarebbe semplicemente folle.

La Chiesa e gli autori degli Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia questo lo sanno bene. Tanto è vero che alla fine, come prova definitiva delle proprie tesi, non ricorrono ad alcun argomento bensì alla testimonianza. A quella testimonianza che chiunque può incontrare. Infatti, se è «vero che non pochi dei fidanzati che richiedono il sacramento del matrimonio sono da tempo distanti dalla pratica religiosa e dalla partecipazione attiva alla vita della comunità cristiana, non possiamo dimenticare che vi sono giovani che scelgono di sposarsi in chiesa con una chiara coscienza di fede, magari dopo cammini pluriennali all’interno della comunità» (p. 19).

Una constatazione che lascia aperta una serie di domande: ma se davvero – anche se non è affatto così, come ogni buon cattolico sa – la vita è una e bisogna gustarne ogni esperienza, perché non provare anche la castità? Perché non osare? Il percorso è di quelli tosti, inutile raccontarsi storie. Eppure vale la pena tentarlo. Perché gettare le piastrelle del fidanzamento da subito nella direzione del matrimonio non significa a tutti i costi arrivarci, ma sapere che quando ci si arriverà non solo avremo davanti a noi la sospirata “persona giusta”, ma saremo a nostra volta la “persona giusta”. Perché avremo imparato ad amare; a rispettare davvero l’altro; a governare le passioni, pronti al meritato piacere di cui non saremo schiavi, ma principi.

Giuliano Guzzo

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Odifreddi chiude il blog: aveva scritto “Israele nazista”

Il matematico incontinente più famoso della televisione italiana ha deciso di chiudere il suo blog ospitato su “Repubblica.it”, intitolato in modo significativo “Il non senso della vita di Piergiorgio Odifreddi” (senza nessuna virgola, giustamente).

Da buon anticlericale che si rispetti, il tono delle offese prodotte è sempre stato molto alto e molto basso il livello dei ragionamenti. Questa volta però ha toccato qualcuno al di fuori del cattolicesimo, e quindi è stato censurato da Repubblica. Come ben sappiamo, lo abbiamo già fatto notare, la libertà di insulto vale soltanto nei confronti della Chiesa cattolica.

Nel suo ultimo post, intitolato “Dieci volte peggio dei nazisti” aveva scritto: «In questi giorni si sta compiendo in Israele l’ennesima replica della logica nazista», commentando il recente bombardamento della striscia di Gaza da parte del governo Netanyahu. Un ragionamento banale e un accostamento fuori luogo, come è stato fatto notare su Linkiesta, dove a proposito di Odifreddi e di queste sue immature “analisi” si è concluso così: «forse aiutano a farsi un po’ di pubblicità, magari a incrementare l’immagine di “Pierino”. Diventare adulti è sempre un processo difficile».

Il post di Odifreddi, come già detto, è stato comunque cancellato dopo poco e oggi è arrivata la notizia dell’addio di Odifreddi con questa motivazione: «se continuassi a tenere il blog, d’ora in poi dovrei ogni volta domandarmi se ciò che penso, e dunque scrivo, può non essere gradito a coloro che lo leggono».

All’interno dell’ultimo post, il fondamentalista ateo però ci ha voluto regalare una delle sue immancabili odifreddure, di questo gliene siamo grati. Ha infatti ringraziato il responsabile del sito web su cui era ospitato per aver «sempre sposato la massima di Voltaire: “detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”». Peccato che, come sanno anche i bambini ormai, Voltaire non ha mai pronunciato questa frase che è ampiamente conosciuta come una citazione bufala, attribuita a lui dopo la morte. Il finto tollerante Voltaire, ha invece invitato, questo si, a “écrasez l’Infâme”, a schiacciare l’infame, cioè i cattolici.

Tornando a Odifreddi, e mettendo da parte le odifreddure, il suo articolo di fatto non conteneva insulti antisemiti perché criticare il governo d’Israele non è certo tacciabile come antisemitismo, termine ormai abusato, come lo è l’accusa di “omofobia” per chiunque abbia un parere negativo su nozze e adozioni gay. Tuttavia accusare di “nazismo” qualcuno è troppo anche per un quotidiano che tenta di mostrarsi moderato.

Ricordiamo comunque che Odifreddi ha più volte rasentato comportamenti antisemiti. Si ricordi nel 2009 la restituzione per protesta del Premio Peano, vinto nel 2002, per l’assegnazione fatta al matematico ebreo Giorgio Israel. Da più parti è stato condannato come gesto di «intolleranza antisemita del superfluo matematico Pier Giorgio Odifreddi, ex docente baby pensionato e ora icona tv della sinistra salottiera». Allora il pensionato torinese giustificò la sua azione dicendo che non era dettata dalla nazionalità di Israel, tuttavia nel 2010 si è contraddetto insultando il matematico de La Sapienza proprio in chiave antisemitica: «Giorgio Israel è un virulento, un intellettuale di nicchia, una testa calda. In più esercita il vittimismo dell’ebreo». Da queste affermazioni, e in seguito al nostro interessamento, è nata una nota faccenda piuttosto imbarazzante per lui, qui ben approfondita.

Odifreddi è dunque ora in deficit della tanto agognata visibilità e ha promesso di «ritirarsi a coltivare il proprio giardino». Dubitiamo davvero che una persona tanto narcisista sappia scomparire così dalle scene mediatiche, il forte sospetto è che il suo blog sarà importato nel sito web de Il Fatto Quotidiano, sempre disponibile ad ospitare i più disparati animi fondamentalisti e anticattolici.

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L’8×1000 sostiene anche l’opera di carità di don Colmegna

Qualche giorno fa abbiamo parlato di una puntata de “Le Storie”, programma televisivo condotto da Corrado Augias, attraverso il quale il noto scrittore predica mediaticamente la sua dottrina anticlericale.

La politica è quella di invitare ospiti allineati al suo orientamento, dando precedenza a quella vasta schiera di preti mediatici che va da don Gallo a don Colmegna, passando per Vito Mancuso (quest’ultimo è spretato, lo sappiamo, ma è divenuto nel frattempo un  “prete del laicismo”, come direbbe Vittorio Sgarbi). Raramente ci sono stati anche due inviti diversi, uno rivolto a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, e l’altro ad Antonio Socci. Al primo è stato garbatamente impedito di parlare: continue interruzioni, continui cambi di argomento e una costante replica di Augias ad ogni ragionamento di Tarquinio, al secondo sappiamo già come è andata, visto che lo ha raccontato lui stesso.

Proprio don Virginio Colmegna è stato il protagonista di una recente puntata, durante la quale assieme ad Augias ha elogiato la vittoria di Barack Obama e mostrato apertura, ovviamente, alle coppie di fatto per gli omosessuali. Era appunto il motivo per cui è stato invitato dal furbissimo Augias: mostrare pubblicamente che esponenti della Chiesa sono contrari alla posizione cattolica. Anche questo fa parte del progetto ideologico del collaboratore di Repubblica.

Da notare, en passant, che tutti questi preti anticlericali amati e desiderati dal mondo laicista sono sempre violatori della laicità. Don Colmegna, ad esempio, è schierato pubblicamente a Milano in favore del centrosinistra (se fosse stato pro-centrodestra sarebbe stata la stessa cosa), ha partecipato attivamente alla campagna del sindaco Giuliano Pisapia ed era presente sotto il Pirellone alla manifestazione per le dimissioni del governatore lombardo Formigoni (PDL). Andrea Gallo (per pudore evitiamo il “don” per lui), è coinvolto in prima linea con la giunta del sindaco Doria a Genova (da leggere la sua ultima performance anticlericale), mentre il teologo Vito Mancuso è editorialista di uno dei quotidiani più schierati politicamente.

Occorre però dire che l’invito di Augias a don Colmegna si è rivelato un piccolo autogol. Il sacerdote ha lungamente elencato e iper-sottolineato tutto il suo impegno verso i poveri grazie alla “Casa della carità”opera senz’altro di grande valore. Certo, Gesù ha chiesto:  «quando tu fai limosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, affinché la tua limosina si faccia in segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa» (Matteo 6:3-13), ma comunque è opportuno far conoscere pubblicamente certe opere di carità, anche se con molta più modestia e umiltà di quanto fatto dal religioso milanese. Spezzando una lancia a suo favore, va detto che don Virginio durante la puntata ha voluto evitare tutti gli assist lanciati da Augias per aggredire direttamente la Chiesa.

L’autogol per Augias è arrivato quando don Virginio ha spiegato che la “Casa della Carità” è nata e può sussistere anche «grazie a parte dell’8×1000». Ma come, il così tanto vituperato e fraudolento 8×1000 sostiene l’opera di carità di un “prete di strada” modello d’ispirazione degli anticlericali? Ebbene si, questo il commento ironico di Gianni Gennari su Avvenire: «C’era da aspettarsi un Augias che salta sulla sedia e rimprovera il povero prete perché – per Bacco! – l’8 per mille è una “truffa”, inganno dei preti, marchingegno perverso che segna da sempre l’ipocrisia italiana e clericale che paralizza tutto… Invece no: sorriso e conclusione amichevole».

 

Qui sotto il video in cui don Colmegna parla dell’8×1000

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Il suicidio assistito aumenta il tasso di suicidi nella popolazione

La dottoressa Jacqueline Harvey del Lozier Institute e docente presso l’University of North Texas, ha analizzato la letteratura scientifica relativa al suicidio assistito negli ultimi 20 anni, laddove consentito dalla legge e particolarmente in Olanda e nord-ovest degli Stati Uniti: Oregon e Washington.

«Il suicidio può diffondersi per contagio, come una malattia infettiva» dice. «In realtà è stato dimostrato statisticamente che, dopo che il suicidio assistito è stato legalizzato in Oregon, il tasso di suicidio è aumentato, soprattutto per gli adolescenti. Lo stesso vale nello stato di Washington e, anche se i dati sono disponibili solo a partire dal 2009,  hanno evidenziato che la legalizzazione crea quella che alcuni chiamano una “cultura della morte”». La Harvey  ha anche rilevato che le persone votate a farsi assistere medicalmente nel suicidio sentivano generalmente che fosse loro “dovere” morire: erano motivati dal desiderio di non essere di peso agli altri e non da un  senso di libertà o di dignità.

La studiosa ha anche fatto notare che in Oregon ci sono stati casi in cui il programma di assistenza sanitaria statale ha offerto di pagare per il suicidio assistito, ma non le cure palliative di controllo del dolore, spingendo di fatto le persone verso il suicidio. Inoltre, molti suicidi potrebbero essere evitati in quanto attribuibili ad uno stato di depressione, che è curabile.

Parallelamente, il 31 ottobre 2012 l’American Nurses Association (ANA), un’associazione che  rappresenta tre milioni e centomila infermieri americani e partecipa alla definizione degli standard di pratiche di cura, ha pubblicato un documento di  presa di posizione “forte” contro la partecipazione degli infermieri alla eutanasia attiva e al suicidio assistito. All’associazione degli infermieri si è unita quella dei medici nel dire che la «partecipazione clinica al suicidio assistito è incompatibile con integrità del ruolo professionale» e che il suicidio assistito e l’eutanasia «violano il contratto che i professionisti sanitari hanno con la società». Entrambe le organizzazioni hanno  promesso di onorare la santità della vita e il loro dovere “primum non nocere”.

Il documento riconosce il “disagio” che gli infermieri soffrono quando vien chiesto loro di partecipare all’eutanasia attiva o al suicidio assistito, e afferma che esistono limiti al loro impegno nei confronti del diritto del paziente all’autodeterminazione. All’infermiere non è consentito «somministrare il farmaco che porterà alla fine della vita del paziente», dice la bozza del documento. Anche nei paesi in cui il suicidio assistito è legale – Oregon, Washington e Montana – l’ANA comanda agli infermieri di astenersene, in quanto sarebbe in contrasto con il loro Codice Etico.

Allo stesso tempo, Alex Schadenburg, uno dei principali attivisti anti-eutanasia ha espresso preoccupazione per il linguaggio ambiguo del documento per la sospensione di nutrizione e idratazione, che non distingue tra coloro che morirebbero comunque e coloro che muoiono proprio a causa della sospensione di cibo ed acqua.

Linda Gridelli

 

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Quando Joseph Stalin finanziava l’ateismo scientifico

Stalin e ateismo scientifico. Andrey Kuraev, ex direttore di una rivista atea nell’URSS di Stalin e laureatosi in “Teoria e storia dell’ateismo scientifico”, ha cambiato vita e oggi racconta i finanziamenti del dittatore sovietico ai nemici della fede.

 

Nel 2011 la scrittrice russa Ljudmila Ulitskaja, sceneggiatrice e genetista, ha tenuto una prolusione durante la serata inaugurale del 24° Salone Internazionale del Libro di Torino, descrivendo gli anni del potere sovietico ricordando l’elenco dei libri interdetti alla pubblicazione, nei quali configuravano tutti testi religiosi, specialmente la Bibbia.

Questo perché dal gennaio 1918 lo Stato divenne ufficialmente ateo, con la Costituzione sovietica del 1918 si iniziò a finanziare la propaganda anti-religiosa, le chiese che occupavano suolo pubblico vennero distrutte e le feste religiose vennero abolite, Natale e Pasqua compresi. Il dittatore Stalin stabilì, inoltre, che il condividere superstizioni religiose (processioni religiose, credere ai miracoli, ecc….) era punito con la prigione, o con la deportazione nei gulag (nel caso di reiterazione), o con la fucilazione se nei gulag il prigioniero opponeva resistenza. Ne ha parlato anche la poetessa russa Ol’ga Aleksandrovna Sedakova, docente dal 1991 presso la Facoltà di Filologia dell’Università di Mosca: «ottenere un diploma, senza dare gli esami delle materie ideologiche, tra cui l’ateismo scientifico, era impossibile».

In questi giorni è apparsa anche la testimonianza di Andrey Kuraev, nato a Mosca nel 1963 da genitori non credenti. A scuola è divenuto direttore di un giornale scolastico chiamato“The Atheist”, ha poi scelto la carriera universitaria, ottenendo la laurea in Teoria e storia dell’ateismo scientifico” . Fu in questo periodo che «mi resi conto», ha raccontato Kuraev, «che nei libri di studio c’era moltissime speculazioni e una forte incompetenza. Nessuno degli insegnanti conosceva l’ebraico o il greco, ma questo non impediva loro di avanzare una critica scientifica della Bibbia. Rimasi molto deluso». 

Kuraev ha anche raccontato che «noi gli studenti, specializzandi in ateismo scientifico, venivamo contattati dal Comitato dei Giovani comunisti di Mosca per condurre una ricerca sociologica sulla religiosità dei giovani. Ci mandavano nelle chiesa di Mosca ogni domenica in osservazione, per poi  farci compilare dei questionari nei quali indicare il nome del sacerdote, il contenuto del suo sermone (specificando se era indirizzato ai giovani, se ha solo citato la Bibbia e i Padri della Chiesa o anche la stampa e la letteratura contemporanea). Dovevamo indicare anche il numero di parrocchiani e se avevamo riconosciuto dei giovani che conoscevamo».

A motivo di questo avvicinamento con gli ambienti ortodossi e grazie alla lettura di Dostoevskij, Kuraev decise in seguito di battezzarsi, ovviamente in clandestinità. Ha ricordato le bugie che doveva dire ai suoi genitori per frequentare la chiesa, fino a quando lo hanno scoperto. Dopo alcune resistenze suo padre gli ha sorprendentemente detto: «Sai, alla fine sono contento che battezzato … ora hai nelle tue mani la chiave di tutta la cultura europea». Quando Kuraev decise infine di entrare in seminario, al padre -che lavorava presso l’Accademia delle Scienze- venne  bloccato l’accesso a un importante lavoro per l’UNESCO.

Fortunatamente, come ha commentato la Sedakova, «il comunismo non è riuscito a cancellare Dio dal cuore delle singole persone. Anche se costoro sono stati costretti a diventare – se non dei martiri – almeno dei confessori della fede all’interno dello Stato ateo. Sul cuore umano, in fin dei conti, nessuno può vantare pieni poteri, nessun regime può se Dio lo chiama a sé».

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Acta Pediatrica: legame tra aborto indotto e maltrattamento figli

Alcuni organi di stampa hanno riportato in questi giorni uno studio pubblicato qualche anno fa su Acta Pediatricaindagine condotta in USA su 518 madri povere che ricevevano denaro nell’ambito di un programma di aiuto all’infanzia. È risultato che fra esse, coloro che avevano in precedenza praticato almeno una volta l’aborto volontario, avevano una probabilità 2,5 volte maggiore di maltrattare o abbandonare i propri bambini. Tali abusi si verificavano assai più raramente nel gruppo di donne il cui precedente aborto era stato incidentale.

Secondo i pro-life dell’Istituto Elliot (un ente no-profit che si occupa di problemi conseguenti all’aborto) questi risultati dimostrano che l’interruzione di una gravidanza indesiderata è tutt’altro che la soluzione di un problema psicologico, ma anzi “ha un impatto grave e duraturo sulla vita delle donne e sulla costruzione del futuro delle loro famiglie” e propongono le loro consulenze come necessarie per l’equilibrio mentale di queste donne.

Una semplice  lettura del fenomeno “statistico” può indicare che la pratica dell’aborto volontario abbia sconvolto la mente di queste donne rendendole più aggressive verso la loro prole. Tuttavia, il fatto che le 518 donne fossero tutte economicamente limitate, non significa che fossero tutte moralmente povere e mi sembra naturale pensare che coloro che sono ricorse volontariamente all’aborto avessero già in partenza meno rispetto che le altre per la vita e per i bambini, tanto da arrivare più frequentemente a maltrattarli.

Linda Gridelli

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La psicoanalista Françoise Dolto e il Vangelo: «qualcosa di divino»

 Non è bastata la profonda spiritualità di Carl Gustav Jung per creare un’inimicizia tra psicologia e religione, la causa di tutto è sicuramente il pensiero di Sigmund Freud, il quale ha rinnegato la fede in Dio liquidando tutto come una proiezione della figura del padre.

Questa incomprensione è durata parecchio, oggi fortunatamente è ampiamente superata. Risulta comunque interessante l’intervista finora inedita in Italia, pubblicata da Avvenire, a Françoise Dolto, psicoanalista e figura emblematica in Francia e in Europa, allieva di Jacques Lacan è stata una delle figura di maggior spicco del movimento psicoanalitico del Novecento e un autorità riconosciuta a livello mondiale per lo studio della psicologia infantile. Cristiana, cattolica di formazione, ha scoperto attraverso il suo matrimonio l’ortodossia e più volte si è confrontata da psicoanalista con il messaggio del Vangelo. Un libro pubblicato di recente, I vangeli alla luce della psicoanalisi (Brossura 2012), ne ha raccolto le riflessioni.

In esso, ad esempio, vengono riportate frasi come queste: «I Vangeli hanno cominciato a interrogarmi e io ho reagito alla loro lettura. Mi stupiva il fatto che l’interesse si rinnovasse a mano a mano che facevo esperienza della vita e soprattutto della clinica psicoanalitica, grazie alla scoperta della dinamica dell’inconscio di cui, dopo Freud, stiamo sperimentando la portata e decodificando le leggi. Mi pare sempre più evidente che ciò che scopriamo dell’essere umano, questi testi lo contengono già e lo lasciano intendere. Nelle loro parole qualcosa parla».  Paragonando il contenuto dei Vangeli all’esperienza con i suoi pazienti, ha raccontato: «Vedevo l’educazione cosiddetta cristiana, che è quella di tanti nostri pazienti, come nemica della vita e della carità, in totale contraddizione con ciò che una volta mi era apparso nei Vangeli un messaggio di amore e di gioia. Allora li ho riletti ed è stato un shock (…) Nulla, nel messaggio di Cristo, era in contraddizione con le scoperte freudiane».

Nell’intervista, citata poco sopra, la Dolto approfondisce il feedback ricevuto: «Quando leggo i Vangeli, io incontro qualcuno. Attraverso i generi, le immagini, fantasmi letterari dei Vangeli, scopro un’umanità che si esprime, una personificazione così straordinaria, una carnalità così profonda che hanno del divino. I Vangeli producono in me delle onde d’urto, di cui cerco di rendermi conto […]. La psicoanalisi non spiega tutto. A un certo punto si ferma perché l’umano si ferma, non può andare oltre. Ma il desiderio ci trascina sempre oltre… Allora, è o il nonsenso e l’assurdo oppure è il senso che continua a interrogarci nel più profondo di noi stessi fin nel nostro inconoscibile; e questo, per me, è il campo di Dio».

La vita, dice, è una morte continua: la morte del feto quando nasce il bambino, la morte nel bambino quando si accorge che i genitori non sono onnipotenti, la morte nel momento della pubertà, la morte nel tradimento affettivo, insomma «facciamo continuamente l’esperienza della nostra immaginazione impotente sulla realtà. Questa vita, mi dica lei, non è forse una morte permanente? Siamo esseri che scoprono, un giorno dopo l’altro, la propria impotenza. Un’impotenza che è sempre una morte per il nostro desiderio che vorrebbe essere onnipotente». L’uomo ritrova in sé questo desiderio di infinito, eppure la vita è una costante delusione di questo desiderio, perché nulla lo soddisfa veramente. Per questo è fondamentale la figura di Gesù Cristo«Noi siamo esseri di carne, cerchiamo la soddisfazione del nostro desiderio, il godimento della carne. Ma mai questa carne e i piaceri che essa ci procura ci bastano né ci appagano», ha spiegato la Dolto. «Gesù risuscitato ci insegna che se cerchiamo in spirito e in verità, affrontando il dubbio e la sua prova, se superiamo la carne senza bandire i piaceri condivisi, senza fare l’economia dei rischi per il nostro corpo, oltre la morte troveremo la pienezza del nostro desiderio».

 

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