Il nuovo libro del Papa già in cima alle classifiche, delusi i critici

 Il nuovo libro di Benedetto XVI,  L’infanzia di Gesù  (Rizzoli 2012), è già in testa alle classifiche dei libri più venduti dopo solo pochi giorni dalla pubblicazione, a completamento della trilogia dedicata dal Papa alla biografia di Cristo.

Non c’è dunque pace per l’antipapista de Il Fatto QuotidianoMarco Politi, che aveva cercato con tutte le forze di screditare il volume del Papa, riciclando vecchie accuse e dipingendo un Pontefice disinteressato del mondo e attento solo a pubblicare libri inutili (aiutandosi con le sue classiche fonti anonime, in questo caso «un cardinale straniero»). La cosa più curiosa è che il cattolico adulto Politi, pur di tentare di smantellare il libro di Benedetto XVI, è arrivato a mettere in dubbio la storicità di Cristo e l’attendibilità dei Vangeli, sostenendo che essi avrebbero lo stesso valore degli scritti di Omero.

Il vati-laicista è stato comunque aiutato anche dal teologo gnostico Vito Mancuso, al quale Repubblica ha affidato il compito di smontare L’Infanzia di Gesù. Mancuso è stato categorico e previdibilissimo: «il tentativo di Benedetto XVI è destinato al fallimento», sostenendo che presentare «il Gesù dei Vangeli come il Gesù storico […] è una mission impossible». La vera missione impossibile, in realtà, è a carico di Mancuso, il quale deve sostenere queste fesserie laiciste e al contempo continuare a professarsi cattolico. Come ha spiegato benissimo Gennari su Avvenire, la posizione del teologo mediatico rende «inutile non solo l’intera Sacra Scrittura, ma addirittura l’Incarnazione, vale a dire proprio la discesa di Dio nella storia, e quindi la Salvezza annunciata dai Vangeli». In poche parole, ancora una volta il teologo del San Raffaele si è dato la zappa sui piedi.

Ovviamente a nessuno interessano le noiose prediche del prete spretato Mancuso, per non parlare del borbottio quotidiano di Marco Politi , e infatti i dati delle vendite del volume lo dimostrano. Ma non è certo la prima volta: ad esempio il secondo libro della trilogia, uscito nel 2011, ha venduto in un solo giorno 300 mila copie, diventando presto un best-seller anche negli Stati Uniti.

 

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Roma: il ragazzo suicida non era gay, strumentalizzata la tragedia

Una tragedia è accaduta recentemente a Roma: un ragazzo 15enne si è suicidato impiccandosi a casa sua. Alcuni quotidiani hanno approfittato della vicenda per diffondere la notizia che sarebbe stato indotto al suicidio a causa degli insulti che riceveva dai suoi compagni di scuola, che lo prendevano in giro per la sua omosessualità.

Notiamo il titolo de Il Messaggero, di Lettera43di Repubblica e la noiosa predica di Michela Marzano. Immediatamente l’associazione omosessuale Gay Center, attraverso il portavoce  Fabrizio Marrazzo, ha affermato: «si è ucciso perché veniva vessato in quanto omosessuale». Addirittura a Milano è subito partita una fiaccolata per «ricordare il ragazzino romano morto suicida a causa delle vessazioni “perchè omosessuale”».

Peccato che il ragazzo non fosse affatto omosessuale. Lo scrivono i compagni ai direttori dei giornali: «Scriviamo questa lettera di formale protesta per smentire ciò che è stato pubblicato nell’edizione dei quotidiani nel giorno 22/11/2012 riguardo al suicidio di un nostro compagno di classe. Noi, gli amici, abbiamo sempre rispettato e stimato la personalità e l’originalità che erano il suo punto di forza. Non era omosessuale, tanto meno dichiarato, innamorato di una ragazza dall’inizio del liceo».

Anche alcuni insegnanti e genitori hanno preso posizione: «vogliamo dire che, all’irreparabile dolore per la sua morte tragica, si unisce un ulteriore motivo di sofferenza, legato al modo in cui la tragedia viene ricostruita, stravolgendo l’immagine di A. A. era un ragazzo molto più complesso e sfaccettato del profilo che ne viene dipinto: era ironico e autoironico, quindi capace di dare le giuste dimensioni anche alle prese in giro alle quali lo esponeva il suo carattere estroso e originale (e anche il suo gusto per il paradosso e il travestimento, che nelle ricostruzioni giornalistiche è stato confuso con una inesistente omosessualità). Per questo crediamo che il modo migliore e più rispettoso per ricordarlo e continuare a volergli bene sia quello di lasciare la sua morte al silenzio, alla riflessione e all’affetto di chi gli è stato vicino». Oltretutto, il famoso profilo Facebook tanto citato dai quotidiani da cui sarebbero arrivati gli insulti al ragazzo, «era una pagina costruita con lui», come ha detto Paola Concia, citata nell’editoriale de Il Foglio.

Rimane la tragedia di questo suicidio e la vergogna per un’ennesima strumentalizzazione da parte della lobby LGBT per mistificare la realtà per potersi mettere al centro dell’attenzione, così come è stato fatto per le numerose finte aggressioni omofobiche inscenate. Un plauso invece ad alcuni portali omosessuali, come Queerblog, che hanno correttamente subito rettificato la notizia, sottolineando che il ragazzo «non era gay», riportando le due lettere sopra citate.

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Amnesty si inventa il diritto di aborto e discrimina i suoi dipendenti

L’organizzazione per i diritti umani Amnesty International sta vivendo in questo periodo una profondissima crisi che minaccia la sua stessa esistenza. Il personale di Amnesty di tutto il mondo sta proclamando giornate di sciopero e il consiglio dei membri a Londra ha votato la sfiducia alla propria leadership, accusata di aver “perso di vista gli obiettivi” dell’organizzazione.

Amnesty ha anche deciso brutalmente di tagliare una ventina di dipendenti dei 700 esistenti, scatenando così una rivolta interna poiché accusata di non rispettare l’accordo sulle condizioni di licenziamento. Diversi responsabili internazionali si sono dimessi per protesta. Altre accuse sostengono che la dirigenza sacrifichi le battaglie per i diritti umani per costruire il marchio Amnesty, reclutando nuovi membri e raccogliendo più fondi.

Fino al 2007, come riportato da Independent, Amnesty ha portato avanti il suo operato con grande onore, tanto che la Chiesa cattolica era uno dei suoi sostenitori più forti. Tuttavia il 25 marzo 2007, alla Conferenza di Edimburgo, 400 membri di AI hanno votato per «esercitare la depenalizzazione dell’aborto , e la promozione di programmi di sostegno dei servizi per il controllo della popolazione , tra cui la legalizzazione e il libero accesso all’aborto»Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha ritirato il sostegno finanziario e invitato i cattolici a «difendere il diritto alla vita del nascituro», da allora Amnesty si è trasformata in una lobby di pressione per la legalizzazione dell’aborto e la promozione del riconoscimento delle coppie omosessuali.

Ha promesso che «non svolgerà campagne generali in favore dell’aborto o di una sua generale legalizzazione», contraddicendosi ad ogni intervento in materia, quando ha puntualmente chiesto di legalizzare l’aborto per sostenere il presunto diritto della madre a sopprimere l’essere umano che ha chiamato alla vita dentro di sé (si vedano i casi di Nicaragua, Perù, Messico, Polonia, ecc.).

Contrariamente alle sue dichiarazioni di neutralità, nel 2011 ha partecipato al Gay Pride di Belfast, contribuendo a dileggiare la Chiesa cattolica divulgando dal suo sito web immagini satiriche verso leader religiosi contrari al matrimonio omosessuale. Recentemente si è espressa contro «la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere nell’accesso al matrimonio civile», chiedendo «agli stati che riconoscano diritti anche alle famiglie di fatto e alle unioni formate all’estero sulla base delle leggi locali», facendo pressione perché anche in Italia venga riconosciuto il matrimonio gay.

Mentre Amnesty, dunque, si inventa un presunto “diritto ad abortire” e un presunto “diritto al matrimonio”, un importante leader sindacale ha descritto Amnesty International come «una delle organizzazioni più ingannevoli mai conosciute. AI non può essere un difensore dei diritti umani credibile o efficace se non rispetta i diritti dei suoi lavoratori».

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Ancora attacchi laicisti in Spagna: cattolici paragonati ai nazisti

Secondo un recente rapporto, i cattolici in Scozia sono vittime di crimini d’odio religioso più di qualsiasi altro gruppo nel paese. Un esempio di questo è chiaramente osservabile in Spagna, dove gruppi laicisti della facoltà di Economia dell’Università di Barcellona hanno paragonato i cattolici ai nazisti.

La vicenda nasce nel 2010 quando una piccola cappella all’interno dell’ateneo è stata vandalizzata dall’organizzazione studentesca di studenti atei, i cui membri hanno fatto irruzione durante la celebrazione della messa, bestemmiando, lanciando insulti verso il mondo cattolico, denudandosi e avendo rapporti omosessuali sull’altare  Prima di questa data si erano “limitati” ad impedire l’ingresso nella Cappella. Il rettore, i docenti e numerosi gruppi studenteschi hanno condannato prontamente queste azioni, la cappella ha dovuto comunque trasferirsi in un altro spazio e gli studenti cattolici hanno subito una seconda campagna di delegittimazione, nonostante un sondaggio che indicava l’80% di favorevoli alla presenza della cappella nell’ateneo.

In questi giorni è partito il terzo attacco laicista: sulle pareti della facoltà sono apparse delle scritte di intimidazione verso gli studenti che liberamente esercitano il loro diritto costituzionale alla libertà di religione. I graffiti, di notevoli dimensioni, accusano i cattolici di essere nazisti, invitandoli ad andarsene dall’università.

Si capiscono sempre di più le accuse del non credente Michael Ruse rivolte al moderno laicismo, il quale è imbevuto di «un isterico ripudio della religione».  Secondo le recenti riflessioni di Chris Stedman, responsabile del Journal of Inter-Religious Dialogue, «l’ateismo reazionario che si fissa sul fare proclami antireligiosi, che individua le vite religiose degli altri come il suo nemico numero 1, è tossico, mal diretto, e dispendioso».

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Il fisico Ugo Amaldi, amore per la scienza e amore per la fede

Il 16 novembre scorso è stato consegnato al noto fisico Ugo Amaldi il Premio internazionale Cultura cattolica al Museo civico di Bassano del Grappa (Vi), con la seguente motivazione: «Amore per la scienza e amore per la fede».

Amaldi lavora presso il Cern di Ginevra dal 1960, e dal 1982 è docente presso l’Università di Milano, già direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, membro delle maggiori accademie scientifiche, è tra i maggiori studiosi delle particelle elementari. Il suo ultimo libro, appena pubblicato, si chiama “Sempre più veloci” (Zanichelli 2012)

Intervistato per l’occasione da Avvenire, ha spiegato: «Le scienze studiano i fenomeni naturali e nei fatti non hanno nulla da dire alla fede. Però gli scienziati credenti e quelli che si pongono la domanda sulla fede sentono la necessità di integrare in maniera coerente la fede e la visione fisica del mondo. Così facendo devono affrontare questioni che si collocano alla frontiera fra alcune affermazioni del cristianesimo e ciò che loro sanno del mondo naturale. Difficoltà che talvolta possono essere illuminanti anche per coloro che non sono scienziati […]. D’altra parte non si può non restare meravigliati dalla complessità e dalla logica sottese alla maggior parte dei fenomeni naturali e questo è per uno scienziato credente un’apertura al trascendente»». 

Quest’ultima riflessione ricorda quella di un altro celebre fisico italiano, il premio Nobel Carlo Rubbia, il quale pochi mesi fa ha affermato: «L’uomo di scienza non può non sentirsi umile, commosso ed affascinato di fronte a questo immenso atto creativo, così perfetto e così immenso e generato nella sua integralità a tempi così brevi dall’inizio dello spazio e del tempo […]. L’universo si è evoluto in maniera unitaria e coerente, come se fosse un unico tutto. Ricordiamo a questo proposito le parole della Genesi, dove si dice: “Dio pose le costellazioni nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona”».

L’argomento si sposta poi su una questione originale, ovvero l’assenza della figura di Cristo nel dibattito tra scienza e fede, infatti «si preferisce parlare del Dio Creatore, del Dio che mantiene l’universo in essere e non si connette mai la figura del Cristo con le conoscenze degli scienziati, né queste vengono mai connesse con lo Spirito Santo che, in quanto scienza e sapienza sarebbe perfettamente a tema». Il motivo potrebbe risiedere, ha continuato Amaldi, «nel fatto che il rapporto personale che il credente ha con Cristo è completamente diverso dal rapporto impersonale che lo scienziato ha con i fenomeni naturali che studia. Viaggiano su piani diversi. Invece il Dio Creatore è strettamente connesso con la natura che è l’oggetto di studio dello scienziato».

Nell’intervista per Ilsussidiario.net ha invece affermato: «Io sono uno scienziato credente», ma anch’io «come ogni scienziato  devo essere un “agnostico metodologico”: l’essere credente non deve influenzare il modo di procedere […]. Penso che si possa integrare la razionalità scientifica con la fede che è poi quella che io chiamo la ragionevolezza sapienziale e trova le sue radici nei libri sacri, nell’esperienza di vita dei santi, nella rivelazione. Sono due aspetti diversi del nostro stesso intelletto, che si coniugano con la ragione filosofica portandoci a guardare il mondo in modo unitario. In tal modo si può costruire una visione della realtà tale che il problema scienza-fede non si pone».

Secondo recenti sondaggi (anche tra studenti universitari), sono una netta minoranza oggi gli scienziati che insistono nel ribadire una dicotomia tra scienza e fede, anche se -giustamente- Amaldi fa notare che «questo dibattito è considerato interessante solo da coloro che a priori si pongono, anche se non credenti, il problema della fede. Gli agnostici, gli atei continuano a considerare con fastidio questa relazione fra scienza e fede, la vedono come inutile».

 

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Chiesa e cristianesimo favorevoli alla schiavitù? Smontiamo la bufala

La redazione UCCR ha preparato un nuovo dossier concentrandosi sulla storia della schiavitù all’interno del pensiero cristiano.

L’esigenza è nata a causa delle numerose accuse, rivolte alla Chiesa cattolica, di aver fallito nella diffusione del messaggio cristiano sull’uguaglianza tra gli uomini, addirittura secondo alcuni anticlericali essa avrebbe perfino teorizzato la diseguaglianza tra le razze, legittimando così l’istituzione della schiavitù. La storia tuttavia è sempre molto più complessa di chi vuole usarla per le proprie battaglie ideologiche, e occorre anche dire che comunque ogni bufala anticlericale di qualità -come lo è quella sulla schiavitù- prende sempre spunto da un minimo di verità, non avrebbe altrimenti nessuna forza per essere tanto propagandata. Ma occorre valutare con attenzione questa base d’appoggio che, se correttamente interpretata, porta sempre a conclusioni opposte.

Chi sostiene queste accuse cita volentieri il presunto comportamento indifferente di Gesù, le lettere di San Paolo che sembrerebbero legittimare il possesso di schiavi, la situazione del primo cristianesimo, la servitù della gleba durante il Medioevo, la situazione controversa nel periodo colonialista (di cui ci siamo già specificatamente occupati) e infine un documento estrapolato e male tradotto di Pio IX.

Abbiamo così analizzato ognuna di queste accuse, dimostrando (attraverso citazioni adeguate e ragionamenti storici) che il noto filosofo tedesco, di origini ebraiche, Karl Lowith, non si è affatto sbagliato quando ha affermato: «il mondo storico in cui si è potuto formare il “pregiudizio” che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la “dignità” e il “destino” di essere uomo, non è originariamente il mondo, oggi in riflusso, della semplice umanità, avente le sue origini nell'”uomo universale” e anche “terribile” del Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo» (K. Lowith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Einaudi 1949).

Infatti, è stato proprio il rivoluzionario e radicale messaggio cristiano a sferrare il colpo fatale all’istituzione della schiavitù. Mentre tutto il mondo era favorevole, soltanto la Chiesa cattolica ha cercato inizialmente di umanizzare la condizione degli schiavi e successivamente di eliminare tale aberrante condizione, come d’altra parte riconosciuto ormai da quasi tutti gli storici.

 

Cristianesimo, Chiesa cattolica e la schiavitù

 

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Platone, Seneca e Freud contro il delirio di Aldo Busi

Lo scrittore omosessuale-militante Aldo Busi è tornato sulla scena mediatica, lo ha fatto con un libro dopo dieci anni dall’ultimo. Non si sa chi glielo abbia chiesto e chi ne sentisse la mancanza, sta di fatto che è tornato. Per qualcuno sarebbe sufficientemente bastata la sua triste partecipazione a L’Isola dei Famosi del 2010, dopo la quale è stato cacciato dalla Rai per comportamento gravemente offensivo e schizofrenico (è ancora valido verso di lui il divieto a partecipare ad una trasmissione Rai) .

Ancora non abbiamo avuto modo di leggere il nuovo “capolavoro” di Busi, non crediamo però di aver perso poi molto anche perché la stessa giornalista di Oggi che lo ha intervistato -dunque possiamo dire “pagata per leggerlo”- ha ammesso: «confesso di non essere riuscita a finirlo». Non bastavano le sparate di Cecchi Paone sulla sua ossessione dei gay in Nazionale, non bastava il delirio di Umberto Veronesi sulla miglior qualità dell’amore omosessuale, ora è tornato pure Busi a sostenere che «la sessualità tra due persone consenzienti e adulte dello stesso sesso risponde agli stessi parametri del diritto; l’eterosessualità è criminale, si fa bella sulla pelle altrui se respinge di essere paritaria all’omosessualità».

Se si guarda anche soltanto dal mero punto di vista naturale, è evidente che Busi è in errore. La Natura umana (e animale) ha deciso che non è affatto identica la situazione, non a caso Essa sussiste nel tempo soltanto grazie alla eterosessualità, della omosessualità invece potrebbe fare benissimo a meno. Quest’ultima certamente esiste in natura, ma questo non le fa acquisire una utilità e dunque una parità rispetto all’eterosessualità, oltretutto in natura (nell’uomo e nell’animale) è altresì presente la condizione di ex omosessualità, cioè ritorno alla eterosessualità, aspetto tuttavia fortemente rifiutato dai militanti omosessualisti. Chiunque nascesse in questo momento nell’organismo e nella mente in cui è ora, guardando l’anatomia e la fisiologia del proprio corpo capirebbe immediatamente che il suo obiettivo sessuale è l’incontro con un organismo anatomicamente e fisiologicamente complementare, come è quello dell’uomo per la donna e viceversa. Al contrario, la sessualità omosessuale è ostacolata dalla stessa conformazione naturale, anatomica e fisiologica (evitiamo di descrivere i particolari, ben compresi da tutti). In altre parole, la corporeità dell’uomo omosessuale non è affatto complementare a quella dell’altro uomo omosessuale, ma è opposta. Dunque si capisce bene che, sotto diversi punti di vista, l’omosessualità esiste come esistono numerosi altri comportamenti sessuali,  ma non è affatto paritaria all’eterosessualità.

Contro Busi la pensa anche Platone, quando nelle Leggi, afferma: «come [in uno Stato] si potrebbe garantirci dagli amori precoci di fanciulli e fanciulle, dall’omosessualità maschile e femminile, da queste perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società?». Più avanti considera «indecente l’amplesso tra maschi e l’unione con adolescenti» (cfr. 836 A-C). Un altro celebre pensatore, Aristotele, nell’Etica Nicomachea (1148b 24-30) dice che «fare all’amore tra maschi» è uno dei «comportamenti bestiali». Seneca invece loda l’amore sponsale contrapponendolo ad altre unioni che considera contro natura (Epistulae ad Lucillium, 116, 5; 123, 15). E nel De matrimonio insiste proprio sulla liceità delle sole unioni sponsali finalizzate alla generazione. Un altro celebre dello stoicismo, Epitteto, analogamente biasima le unioni non matrimoniali ed approva solo quelle dirette alla procreazione (Diatribe, III 7, 21; II 18, 15-18; III 21, 13).  Se ci spostiamo a colui che viene ritenuto (con ragione o torto) il più importante neurologo e psicoanalista di tutti i tempi, Sigmund Freud, notiamo che il giudizio forte non cambia. Come sintetizzato dall’insospettabile Caroline Thompson, «l’omosessualità era considerata come una perversione da Freud, in un senso più medico, certo, della perversione come la si può intendere oggi quando si dice di un individuo: “È un perverso”. Ma è comunque per lui una devianza, nel senso etimologico del termine, cioè che la sessualità “normale” – perché per Freud c’è una sessualità normale – è deviata dal suo oggetto e si dirige verso lo stesso sesso, cioè un oggetto diverso dall’oggetto “normale”, che dovrebbe essere la persona di sesso opposto. Per Freud, l’omosessualità è una devianza di uno sviluppo normale». E infine: «Freud ritiene che l’omosessualità crea delle personalità più infantili o più narcisistiche». Con tutto il rispetto per Busi, ma effettivamente questa sua performance televisiva e questa lettera a Il Fatto Quotidiano non possono che illuminare questo ultimo giudizio del fondatore della psicoanalisi. Insomma pare evidente che i riferimenti più citati del pensiero umano siano profondamente in disaccordo con lo scrittore gay Aldo Busi.

Nell’intervista di quest’ultimo, citata poco sopra, egli parla a lungo anche dei bambini. Come ricordato sopra Busi è stato cacciato due anni fa dalla Rai, anche a causa delle forti pressioni dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, il quale attraverso il presidente Antonio Marziale ha fatto sentire la sua voce contro Busi, autore di pesanti dichiarazioni pro-pedofiliaCome riportato dalla stampa, infatti, durante una trasmissione del Costanzo show del 1996, Aldo Busi -allora anche collaboratore della rivista omosessuale “Babilonia”-, ha spiegato che ci sarebbero due tipi di “pedofilia”, quella buona e quella cattiva: «Non vedo nulla di scandaloso se un ragazzino compie atti sessuali con una persona più grande», rivelando anche di aver fatto lui stesso delle marchette in alcune latrine e di essere stato più volte contattato da alcuni genitori che gli avrebbero “affidato” i loro figli giovanissimi. Per lui la pedofilia “buona” è quella in cui i ragazzini superano la soglia dei 14 anni, mentre la cattiva è quella “criminale organizzata”. Da buona anticlericale ha attaccato infine la Chiesa, condannandola, affinché i suoi dogmi morali non facciano da intralcio per la libertà sessuale. Sempre nel 1996, il 13 dicembre, in diretta al TG4 di Mediaset, Busi disse:  «Io sono per la sessualità del bambino» e «si, i bambini sono sanamente perversi», specificando che secondo lui la pedofilia non è reato. Ovviamente le repliche non si fecero attendere, Pietro Zucconi, presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi, disse: «È stucchevole come in questo Paese chi produce trash o nefandezze venga arruolato per alzare gli indici di ascolto. Ha detto che la pedofilia non è un reato e deve assumersi le proprie responsabilità». Lo stesso Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori, aggiunse: «La società gode di una coscienza critica che non dimentica e che fa quadrato intorno alla difesa dei bambini rispetto a un reato che Busi ha inequivocabilmente assolto. Non è accettabile che un apologeta diventi modello di riferimento di una produzione televisiva di successo».

Aldo Busi è anche autore dell’altro “capolavoro”, intitolato “Cazzi e canguri, pochissimi i canguri” (2002), dove nel capitolo intitolato “Scusi mi dà una caramella” ed originalmente pubblicato nella rivista di cultura omosessuale “Babilonia”, scrive: «ci sono Paesi in cui le bambine e i bambini o vengono sfruttati nella prostituzione o vengono ammazzati (Brasile, Cina , India.). Allora, cos’è meglio per questi bambini, una scopata o una coltellata? E non mi si venga a dire che entrambe le soluzioni sono aberranti . E allora che sarà mai se un ragazzino di 5 o 10 o 12 anni fa una sega a uno più in là negli anni o se la fa fare? Io direi questo di veramente rispettoso nei confronti di tutti i bambini di entrambi i sessi: 1. l’adulto responsabile non si deve lasciar intimorire dall’offerta sessuale del bambino, poiché un bambino senza curiosità sessuali è un bambino già subnormale. 2. all’offerta sessuale del bambino bisogna che l’adulto responsabile dia una risposta sensuale e non una risposta astratta a base di rimproveri, ammonizioni e di sfiducia verso al propria sessualità e di orrore verso quella degli altri, tutti potenziali mostri dietro l’angolo. Se per fare questo gli si prende in mano il pisello o le si accarezza la passerina – gesti che io non ho mai fatto comunque con nessuno: sarà per questo che tutti i bambini e le bambine della mai vita mi hanno girato le spalle per sempre – che sarà mai? […]. E adesso dopo questa campagna scriteriata contro al pedofilia confusa con al criminalità e l’aberrazione umana, che accadrà?».

Aldo Busi non ha mai rinnegato quanto detto e scritto pochi anni fa, e nonostante siano passati pochi anni da queste intollerabili affermazioni, è oggi invitato da Lilli Gruber nel suo programma televisivo “Otto e Mezzo”, nonché intervistato e celebrato dalle più importanti testate giornalistiche.

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Studiose cattoliche: «la Chiesa ha valorizzato la donna prima della società laica»

Un libro scritto da donne cattoliche per altre donne, col messaggio di offrire la verità su questioni importanti, è stato lanciato lo scorso 16 ottobre presso il National Press Club di Washington. «Mi piacerebbe molto mostrare al pubblico che vi è libertà nel contenuto di ciò che noi rappresentiamo in primo luogo», ha asseritof Helen Alvar, professore di diritto presso la George Mason Law e co-autrice del libro.

Breaking Through: Catholic Women Speak for Themselves è il titolo del lavoro che narra le storie personali di nove donne cattoliche alle prese con le esigenze della loro fede e della libertà che ritrovano poi negli insegnamenti della Chiesa. Il concepimento del discusso testo è partito in concomitanza al dibattito sorto tra i funzionari del governo federale circa l’insegnamento cattolico giudicato inospitale per la libertà delle donne. 

«La mia esperienza nella Chiesa è stata molto diversa da ciò che è stato presentato dai media», ha detto invece Mary Hallan-FioRito, assistente esecutivo del card. Francis George di Chicago. Ha poi aggiunto di trovare «particolarmente preoccupante» che nel dibattito politico attuale «tanto di ciò che la Chiesa fa per le donne viene sminuito o ignorato del tutto». Nel corso della storia, la Chiesa cattolica è stata «una voce coerente per la dignità e l’uguaglianza di tutte le donne», ha proseguito, aprendo molti ruoli di «autorità e influenza» per le donne molto prima che fossero aperte alle donne nella società laica, come presidenti di ospedali e università, ha detto. E in molti paesi, la Chiesa è ancora «l’educatore principale delle donne». Nella sua vita professionale, ha aggiunto, «la Chiesa comprende che la mia vocazione di madre è tanto importante quanto la mia vocazione come lavoratrice della Chiesa».

La dottoressa Marie Anderson, direttore medico del Centro Famiglia Tepeyac a Fairfax, in Virginia, ha spiegato che vi è la necessità di interpretare diversamente «la definizione della cultura della libertà», oggi considerata come licenza di fare ciò che si vuole. Nella sua pratica, Anderson ha visto le «conseguenze non intenzionali» ad esempio di una mentalità contraccettiva che «prende l’attività sessuale come un dato, sia dentro che fuori del matrimonio». Malattie, oltre all’infertilità, sessualmente trasmesse, hanno contribuito a relazioni rotte e cuori infranti. «Le donne per sentirsi libere stavano rompendo i loro cuori, i sogni, i valori», ha detto la studiosa, in riferimento ad una cultura che protendeva ad un a sessualità “libera”.

Quando la presa di coscienza relativa alla contraccezione non ha conseguito risultati di appagamento, le donne hanno fatto un passo indietro come è spiegato nel testo ed hanno ri-abbracciato la fede cattolica, da cui si erano allontanate. Nella fede e nei suoi insegnamenti hanno riconosciuto la vera libertà inseguita e trovato la pace.

Livia Carandente

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Le balle degli abortisti: sfruttano la morte di Savita per forzare l’Irlanda

Come abbiamo più volte sottolineato, l’Irlanda è uno dei Paesi con il più basso tasso di mortalità materna (dati 2005), dato molto interessante in quanto è anche uno dei Paesi in cui l’aborto è illegale (ammesso solamente in rari casi di pericolo della vita della donna). Mentre in Irlanda 6 su 100.000 donne muoiono per complicazioni legate alla gravidanza, nel Regno Unito la cifra è di 12 e negli Stati Uniti è di 21, entrambi luoghi in cui l’aborto è legale. La questione è molto similare nel Cile, altro Paese con bassissima mortalità materna e aborto illegale.

Ovviamente la situazione è imbarazzante per la lobby abortista, che vede così cadere il suo argomento migliore che accusa all’aborto illegale di essere nocivo alla salute della donna. Inoltre, secondo un sondaggio del febbraio 2011 il 70% dei cittadini irlandesi approva tale divieto e dati divulgati nell’aprile 2011 mostrano anche una decrescita del numero di donne irlandesi che si recano in Gran Bretagna per abortire. Infine, il Simposio Internazionale sulla Salute materna svoltosi nel settembre scorso a Dublino, ha concluso affermando che «l’aborto non è medicalmente necessario per salvare la vita di una madre».

Qual’è stata la reazione a tutto questo? Ovviamente nessun sostenitore dell’uccisione deliberata dell’essere umano nella prima fase della sua esistenza ha voluto prendere atto della situazione, preferendo sfruttare e attaccarsi alla recente morte di Savita Halappanavar, trentunenne indiana residente in Irlanda deceduta nei giorni scorsi per setticemia dopo che un ospedale di Galway ha rifiutato di praticarle l’aborto terapeutico giustificato da un grave problema fetale.  O, almeno questa è la storia divulgata da fonti poco attendibili come Il Fatto Quotidiano. Eppure, se la questione fosse vera, sarebbe già chiusa in quanto come tutti riportano, la linee guida etiche per i medici irlandesi, al capitolo 21.4, prevedono già la possibilità di abortire in caso di pericolo di vita della madre. E infatti, come riporta il Daily Mail, tale procedura è stata eseguita su Savita, ma soltanto tre giorni dopo essere stata ricoverata e che il feto era morto.

Tuttavia, si stanno comunque moltiplicando le pressioni affinché il governo irlandese ponga mano alla legge in senso permissivo, e quest’ultimo ha avviato un’indagine interna per accertare precisamente i fatti. Avvenire riporta la notizia sospetta di un’email che annunciava una storia importante in termini di aborto fatta circolare tra le associazioni abortiste prima che la notizia della morte di Savita, avvenuta il 28 ottobre, venisse resa nota dai media. La questione, dunque, comincia ad assumere i colori del giallo. Ma, come ha spiegato il dottor Sam Coulter-Smith, direttore del Rotunda Hospital di Dublino e consulente in ostetricia e ginecologia presso il Royal College of Surgeons di Dublino, «questo caso probabilmente non ha molto a che fare con leggi sull’aborto». Il genetista J. Clair Cloghroe ha invece detto che la donna è morta probabilmente a causa del ceppo infettivo di ESBL, batterio che si sta rapidamente diffondendo nella popolazione irlandese e che il problema «è un’infezione imprevista di ESBL, piuttosto che un problema di cattiva gestione ostetrica».

Non sono mancati gli attacchi all’identità cattolica dell’Irlanda: stando al marito di Savita, anche lui indiano (di nazionalità e di fede) i medici si sarebbero rifiutati di praticare l’aborto adducendo il motivo che l’Irlanda è una «nazione cattolica». Tuttavia il personale medico e gli utenti dell’University Hospital di Galway hanno smentito il marito, negando che le decisioni di trattamento medico siano ispirate dall’ethos cattolico. Intanto i vescovi irlandesi hanno ricordato in una nota che la Chiesa afferma come la vita di un bimbo e quella della madre siano parimenti sacre e che la Chiesa cattolica non ha mai insegnato che la vita di un bambino nel grembo materno dovrebbe essere preferita a quello di una madre, ma che entrambi hanno lo stesso diritto alla vita. È giudicato moralmente lecito un intervento che per salvare la donna metta a repentaglio la sopravvivenza del figlio, a patto che si tratti di un effetto collaterale non voluto e che si faccia comunque il possibile per salvarli entrambi. Un abisso tra chi difende realmente la vita e chi invece sfrutta una morte tragica per aggiungere altra morte legalizzando l’aborto.

La portavoce di Pro-Life Campaign, Dr. Ruth Cullen ha detto: «Estendiamo le nostre più sentite condoglianze al marito e alla famiglia della signora Savita Halappanavar. E’ deplorevole che coloro che vogliono vedere l’aborto disponibile stanno sfruttando la tragica morte della signora Halappanavar, quando le direttive mediche del Consiglio dicono chiaramente che tutte le cure mediche necessarie devono essere somministrate a donne in gravidanza. E’ di vitale importanza riconoscere che in questo momento che l’Irlanda, senza l’aborto indotto, è riconosciuta dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come leader mondiale nella protezione delle donne in gravidanza ed è un luogo più sicuro per le donne della Gran Bretagna e dell’Olanda, dove l’aborto è ampiamente disponibile».

 

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Il matrimonio omosessuale condannato nella Grecia classica

Lo spunto è tratto dalla recente pubblicazione de II matrimonio nella Grecia classica, saggio del filologo e grecista Francesco Colafemmina, intervistato da Valerio Pece per Tempi. Nello scritto si stigmatizza la convinzione di una generalizzata diffusione dell’omosessualità nella Grecia classicafra, da parte di chi, deformando la realtà storica a vantaggio della moderna ideologia omosessualista, reclama diritti al matrimonio omosessuale, ascrivendone spesso la nascita alla più alta cultura del mondo precristiano. Ciò è falso.

Il paganesimo greco sin dagli inizi (Omero chiama gli uomini i mortali – oi brotoi, per contrapporli agli dèi), infatti, ha una visione profondamente religiosa del mondo e della vita, che subordina sempre il piano umano al piano divino (ricordiamo il tempio eretto al Dio Ignoto in Atene). La rilettura laica che ne è stata fatta è ideologica: questo discorso si applica anche alla sfera della sessualità, che oggi pare afflitta da una sorta di pansessualismo ideologico. Per quanto l’argomento sia complesso e generatore di divisioni nel mondo laico, è il caso di fare alcune precisazioni, ad esempio ricordare che il fenomeno dell’omosessualità nell’antica Grecia è diverso da quello odierno, è soprattutto il fenomeno della pederastia ad essere diffuso ed in certo qual modo tollerato (cosa abominevole per i cristiani, ma anche per i latini) come parte dell’educazione dei giovani. Eppure, la norma, o consuetudine, non dovette essere di questo tipo, ma sincera e premurosa cura ed amicizia: l’affetto, ed anche la tenerezza che si accompagna alle migliori speranze, che spesso intercorrono fra maestro (o allenatore) ed allievo non devono essere male interpretate, come oggi anche allora; dato che la natura dell’uomo è sempre la stessa. D’altra parte dobbiamo ammettere che è difficile negare che i primi contatti omofili in tutti i tempi siano nella stragrande maggioranza dei casi fra un adulto ed un adolescente od un giovane.

Dice il Colafemmina: «Secondo il dogma ormai imperante, nell’antica Grecia la pedofilia (o efebofilia) sarebbe stata al centro di un vero e proprio rito di iniziazione: l’uomo adulto, l’erastés, aveva rapporti sessuali con l’adolescente, l’eròmenos, e così facendo lo formava anche spiritualmente. […] Di qui si è poi passati a definire il dogma dell’assenza di una “morale sessuale” nell’antichità classica attraverso la proclamazione dell’omosessualità come qualcosa di naturale. […] Attenzione però: quello dell’amore puro e spirituale non è altro che ciò che anche i gay del tempo affermavano per giustificare le loro pratiche, in un contesto sociale che invece le condannava risolutamente. L’errore madornale è che chi ripete oggi queste tesi non fa altro che ripetere ciò che dicevano gli autori omosessuali della Grecia classica. Oppure non fa altro che ridire ciò che Platone fa dichiarare ad alcuni suoi personaggi già noti come omosessuali nell’antichità (come Pausania nel Simposio) per arrivare però a smontare le loro tesi e a sostenere l’esatto contrario».

Oltretutto quando si parla di Grecia spesso ci si riferisce involontariamente ad Atene, come in sineddoche: in questo caso è da notare che i costumi delle varie poleis, le città-stato, potevano essere differenti, la pederastia era tollerata a Tebe e prevista prima del matrimonio dalla legge di Sparta (cfr. Suida), in ogni città c’erano prostituti. Mezza eccezione è Atene, dove viene ritenuta contro natura, per fare due esempi, da Platone e da Eschine. «Nelle Leggi (636, c) di Platoneprosegue Colafemmina,  «ad esempio, si legge testualmente: “II piacere di uomini con uomini e donne con donne è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere». Più chiaro di così! La verità è che nella Grecia classica l’omosessualità non era affatto così diffusa come si crede, e soprattutto, cosa che conta ancora di più, non era istituzionalizzata». Infatti gli antichi Greci mai si sognarono di rivendicare il matrimonio omosessuale!

Intendiamoci: la pederastia nella Grecia antica c’è ed è praticata. Ma resta un fatto sessuale che addirittura l’uomo comune, l’uomo della strada ritiene perverso e ridicolo, ne sono testimonianza le commedie di Aristofane: «Celebre è il repertorio, che oggi si direbbe omofobico, che il commediografo greco dedica ad Agàtone, noto gay del suo tempo. Parliamo di epiteti come lakkoproktos, katapygon, euryproktos, parole assolutamente intraducibili». Il linguaggio è di bassa lega: euryproktos, per esempio, può tranquillamente tradursi con “culaperto”.

Per quanto riguarda la teoria dell’amore platonico, l’amore è legato al bello ed al bene. Poiché per il Greco il Bello coincide con il Bene, si capisce come Platone si spinga oltre precisando che Eros rappresenta ogni forma di attività umana che tenda al Bene. Solo a causa di una sorta restrizione di carattere linguistico, viene chiamato “Eros” unicamente la tendenza al Bene nella dimensione del Bello. In particolare, Eros realizza questa tensione verso il Bene soprattutto nella dimensione del Bello, per procreare nel Bello. Dato il fatto che la bellezza è epifania del bene, Eros si realizza certamente, prima di tutto, nella dimensione del fisico: qui, tramite la bellezza e la ricerca di essa ha luogo la procreazione, mediante la quale il mortale, rigenerandosi in altri esseri, cerca di farsi immortale. Da ciò si deduce anche l’avversione di Platone per l’amore omosessuale. Ne troviamo riscontro in alcuni passi poco conosciuti:

«- E l’amore veramente giusto non è quello che con moderazione ed equilibrio ha una naturale attrazione per ciò che è armonioso e bello? – Certamente, ammise. – Sicché all’onesto amore non si dovrà aggiungere alcun elemento di follia, né qualcosa che abbia a che fare con l’intemperanza. – Allora non si dovrà aggiungergli questo piacere: di esso, insomma, non dovranno avere parte l’amante e l’amato che siano oggetto e soggetto di questo amore buono. – E lui: no per Zeus, caro Socrate, una tale aggiunta non s’ha da fare. – E così mi pare ovvio che nello Stato che andiamo istituendo tu istituirai per legge che all’amante sia bensì lecito trattare con effusione d’affetto e accarezzare il fanciullo che ama come un figlio, in grazia di sentimenti elevati, e previo il suo consenso; ma che, per il resto, egli debba frequentare l’oggetto del suo amore in modo da non dare l’impressione di volere spingersi oltre nel rapporto; in caso contrario offrirebbe il destro all’accusa di scarsa sensibilità e rozzezza». (Repubblica, III 403 a-c)

Mentre in due passi, nel Fedro e nelle Leggi, Platone si spinge ad affermare che la sessualità omofila è contro natura:

«Chi non è di recente iniziato, o è già corrotto, non si innalza prontamente di qui a lassù, versola Bellezzain sé, quando contempla ciò che quaggiù porta lo stesso nome. Di conseguenza, guardandola, non la onora, ma, dandosi al piacere come un quadrupede che cerca solo di montare e generare figli, e, abbandonandosi a eccessi, non prova timore e non si vergogna nel correre dietro a un piacere contro natura» (Fedro, 250e-251a).

«Da un lato avremo, dunque, chi è amante del corpo ed è affamato dalla sua fiorente giovinezza come di un frutto di stagione; costui si farà forza per saziarsene senza dare alcun valore allo stato d’animo dell’amato. Dall’altro lato avremo, invece, chi non dà soverchio valore alla brama del corpo e per questo, pur ammirandolo, piuttosto che amandolo, con la sua anima desidera sinceramente un’altra anima, così da ritenere un mero atto di violenza il godimento che segue al rapporto fra due corpi, e, invece, così da onorare e insieme rispettare la temperanza, il coraggio, la magnanimità e l’assennatezza, tanto che il suo ideale sarebbe quello di vivere sempre in castità con un amico casto». (Leggi, VIII 837 c-d)

Inoltre, il riferimento esplicito al giusto amore, alla temperanza ed al rapporto casto non fa che confermare la spinta anagogica insita nell’amore platonico; infatti, la stessa tendenza si realizza anche nella dimensione spirituale dell’anima, in quanto è proprio il Bello, suscitatore dell’Eros, che fa generare all’anima le sue migliori virtù e le sue opere più grandi. Quindi, Eros, nella dimensione del Bello e pur senza mai rifiutare l’amore fisico, cerca di salire sempre più in alto, percorrendo come una scala che lo conduce al vertice del Bello assoluto.

Possiamo cogliere questo concetto (ed ulteriore riprova del rifiuto dell’amore omoerotico da parte di Socrate) in estrema sintesi nelle parole di Socrate nelle pagine finali del Simposio, fra le più toccanti della letteratura mondiale, la bellezza fisica e quella spirituale sono su piani incomunicabili ed è impossibile un paragone, scambiarle sarebbe come “scambiare armi di bronzo con armi d’oro”, come maldestramente vorrebbe fare Alcibiade: «E Socrate, dopo che mi ebbe ascoltato, con molta della sua ironia e com’è solito, rispose: “Caro Alcibiade, si dà il caso che tu sia veramente un uomo non da poco, se ciò che dici di me è proprio vero, e se in me c’è una forza per la quale potresti diventare migliore. Tu vedresti in me una bellezza straordinaria, molto diversa dalla tua avvenenza fisica. E se, contemplandola, cerchi di averne parte con me, e di scambiare bellezza con bellezza, pensi di trarre non poco vantaggio ai miei danni: in cambio dell’apparenza del bello, tu cerchi di guadagnarti la verità del bello, e veramente pensi di scambiare armi d’oro con armi di bronzo» (Simposio, 217e-219a

Lo Jaeger giustamente rileva: «Per il modo di sentire greco è proprio il colmo del paradosso che il giovinetto [Alcibiade] bellissimo, oggetto dell’ammirazione di tutti, si metta ad amare quell’uomo di grottesca bruttezza [Socrate]; ma si esprime potentemente nel discorso di Alcibiade il nuovo senso, proclamato nel Simposio, per il valore della bellezza interiore, quando egli paragona Socrate con le statuette dei Sileni che gli scultori tengono nelle loro botteghe, che quando uno le apre, sono piene di belle immagini di dèi»  (W. Jaeger, Paideia, cit., Vol. II, p. 235-236).

L’altro autore citato ad esempio è Eschine, famoso politico ed oratore ateniese del IV secolo avanti Cristo, il quale – continua il grecista – “nell’orazione Contro Timarco scrive che ad Atene era vietato aprire scuole e palestre col buio affinchè i ragazzi fossero sempre sorvegliati; e che, anche se col consenso del familiare, era vietato dare un giovane a un amante omosessuale per ottenerne in cambio denaro o altri benefici. Eschine scrive che era addirittura vietato agli adulti essere apertamente omosessuali praticanti. È interessante notare che gli omosessuali erano chiamati con un appellativo decisamente forte: cinedi (kinaidos al singolare), etimologicamente “colui che smuove la vergogna” o, per altri, e in un senso ancor più realistico, “le vergogne”.

Dunque, per i classici l’amore lecito e normalmente diffuso era quello eterosessuale ed il matrimonio era scontatamente fra un uomo ed una donna, poi il Cristianesimo lo renderà indissolubile, prima non lo è nemmeno per gli ebrei – famoso il rimbrotto di Gesù: “Per la durezza dei vostri cuori…” (Mt, 19:8-18) – ed il suo fine è la procreazione. Per questo discorso “ci aiuta molto l’Economico di Senofonte. Come per il cattolicesimo, anche per la Grecia classica il fine principale del matrimonio era la procreazione. L’ateniese del IV secolo avanti Cristo considerava i figli “una grazia di Dio”. Sempre da Senofonte sappiamo che l’altro fine del matrimonio era l’educazione della prole. Per cui quanto a scopi principali siamo perfettamente in linea con quanto insegna la dottrina cattolica nella Gaudium et Spes. Non solo, nel matrimonio greco c’è anche la meta della castità coniugale. Oltre che in Senofonte, la sophrosyne, un concetto assolutamente analogo a quello di castità, lo troviamo in Plutarco e in autori come Cantone d’Afrodisia.

La virtù dei filosofi greci è la conoscenza del bene (e il Bene), che si rivela poi nell’applicazione della giusta misura nella pratica di vita, ergo anche nella castità matrimoniale. Per certi versi si può trovare nell’indissolubilità, elemento che il cristianesimo ha portato a pienezza e purificato.

”Eppure – conclude Colafemmina – anche su questo tema quello che solitamente non si legge è che il rapporto monogamico è in qualche modo insito nella cultura greca. Basterebbe leggere l’Andromaca (vv. 11-179), in cui Euripide si lancia in un nobilissimo elogio della fedeltà monogamica, come del resto fa anche nell’Alcesti”. Inoltre, per finire, “I Precetti coniugali (Gamikà Paranghélmate) sono una lettura strabiliante se pensiamo che provengono da una fonte pagana. Furono composti da Plutarco in occasione del matrimonio di due suoi allievi, Polliano ed Euridice, nel I secolo dopo Cristo. È un’opera agile e godibilissima, un trattatello sulla vita coniugale ricco di massime, amorevoli consigli pratici e racconti esemplari, quasi un libro sapienziale se non fosse per l’allegria che lo pervade. Un’opera che personalmente farei leggere nei corsi prematrimoniali, spesso così scialbi. Di certo i Precetti coniugali rappresentano bene quella che era l’etica matrimoniale per gli antichi greci, nutrita da valori saldi, da rapporti fondamentalmente monogamici propri di una solida civiltà contadina, valori poi trasferitisi nella società cristiana e nobilitati dalla sua etica. Non è certo un caso se l’opera plutarchea sarà poi ripresa da autori cristiani come Ugo da San Vittore (De amore sponsi ad sponsam) e san Girolamo (Adversus lovinianum)”.

Lo scopo di questo saggio, a detta dello stesso autore, “in realtà è un augurio. Che una sintesi alta tra una ritrovata morale ellenica e l’etica cattolica possa offrire uno specchio in cui riflettere l’eredità inestimabile che abbiamo ricevuto dal mondo classico. E in cui vedere anche il rischio che comporta l’incamminarsi a passo svelto nella direzione opposta, quella del baratro”.

Matteo Donadoni

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