Rita Levi Montalcini e l’ammirazione per papa Benedetto XVI

Rita Levi MontalciniCome molti sapranno il premio Nobel per la medicina italiano, Rita Levi Montalcini, ha concluso il suo cammino terreno il 30 dicembre scorso.

Celebre neurologa, ha scoperto e identificato il fattore di accrescimento della fibra nervosa, grazie al quale venne dimostrato che il cervello può “rigenerarsi” ed inoltre la scoperta ebbe un ruolo chiave nel prevenire l’insorgenza dell’Alzheimer. Gli studi della Montalcini mostrarono anche che il sistema nervoso, immunitario ed endocrino non sono unità separate ma un solo grande network strettamente interconnesso e interdipendente.

La scienziata italiana è entrata a far parte della Pontificia Accademia delle Scienze il 24 giugno 1974. Tutti ricorderanno che nel 2008 alcuni di docenti dell’università La Sapienza di Roma (definiti «70 cretini» dall’attuale rettore Luigi Frati), attraverso una lettera impedirono a Benedetto XVI di partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico. Qualche quotidiano inserì il nome della Montalcini tra i firmatari.

Il premio Nobel non gradì per nulla questa invenzione, e replicò: «Un’affermazione questa non veritiera; infatti dopo aver contattato diversi giornalisti che hanno scritto gli articoli è stato da loro riconosciuto di “aver dedotto” dalle comunicazioni di Agenzia la frase suddetta senza che questa fosse stata da me pronunciata». Ha quindi proseguito: «In qualità di membro della Pontificia Accademia delle Scienze e dell’ammirazione che nutro verso il Pontefice non avrei mai espresso quanto attribuitomi». Ed infine: «Preciso che sono stata discorde, sin dall’inizio, dai commenti che si sono sollevati attorno a questa incresciosa vicenda e ben lontana dall’assumere una posizione contro il Sommo Pontefice».

I funerali della scienziata si svolgeranno oggi a Torino con rito ebraico e, in forma privata.

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Il Natale: l’umile nascita della Verità

Natività di GiottoLa redazione UCCR desidera augurare a tutti un felice e santo Natale!

Desideriamo congedarci da voi con due riflessioni di Benedetto XVI. La prima pone l’accento sul Natale come memoria del momento in cui la Verità è entrata fisicamente nel mondo: «chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata? Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso. Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. […] Dio ci è diventato così vicino che Egli stesso è un uomo: questo ci deve sconcertare e sorprendere sempre di nuovo! Egli è così vicino che è uno di noi».

La seconda riflessione ci indica con quale umiltà occorre vivere questo tempo di festa: «La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino. L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell’amore. La fede ci dice, allora, che l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo».

Un caloroso abbraccio a tutti, grazie per la vostra attenzione in questo 2012. L’aggiornamento quotidiano del nostro sito web riprenderà mercoledì 2 gennaio 2013, ricordiamo che anche nel 2013 sarà possibile seguire la nostra attività, oltre che da qui, anche sulla nostra pagina ufficiale di Facebook (abbiamo anche un gruppo UCCR); sul nostro account Twitter e sul nostro canale Youtube.

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Il Natale ha origini pagane? No, non è così

Da molto tempo si ritiene che il 25 dicembre sia una data convenzionale, scelta dai cristiani come nascita di Gesù Cristo per contrastare la festa pagane del Sol invictus.

A sostegno di questa tesi ci sono validi argomenti, come ce ne sono a sostegno di una seconda tesi, secondo la quale si accetta che la scelta del 25 dicembre sia stata convenzionale, ma con motivi indipendenti e slegati da piani politico-ideologici legati al contrasto del paganesimo. Una terza tesi, sostenuta da ben più validi e decisivi argomenti, si basa invece sull’archeologia e sostiene che il 25 dicembre sia effettivamente la data storica della nascita di Gesù Cristo.

La redazione UCCR ha approfondito le tre tesi in un nuovo dossier, valutandone a fondo gli argomenti e giungendo ad una conclusione ben precisa: ad un’analisi oggettiva risulta più attendibile la tesi basata sugli studi di Annie Jaubert e sopratutto dello studioso ebreo Shemarjahu Talmon, i quali hanno sostenuto che la data del 25 dicembre è storicamente accertata, e di conseguenza anche tutte le date stabilite dalla tradizione cristiana che vanno perfettamente a collimare con le scoperte di Qumran: l’annuncio di Gabriele a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista (23 settembre), la nascita di Giovanni Battista avvenuta nove mesi dopo (24 giugno), l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria (e il concepimento verginale di Gesù) avvenuta sei mesi dopo (25 marzo) e, infine, la nascita di Gesù avvenuta nove mesi dopo (25 dicembre).

Abbiamo tuttavia fatto notare che, anche se si volesse sostenere la tesi della vulgata sul tentativo di “cristianizzare” la festa pagana del Sol Invictus, non ci sarebbe nessun imbarazzo per i cristiani: l’inculturazione è un fenomeno assolutamente lecito, diffuso ogni volta che una cultura si è sovrapposta ad un’altra. Così il cristianesimo -sempre che si sostenga tale tesi- ha valorizzato una festa pagana dandole un significato nuovo, senza ovviamente nessun tipo di sincretismo: la festività cristiana del Natale non ha nulla a che vedere con le festività pagane.

A conferma di tutto questo abbiamo citato la posizione personale di Benedetto XVI, il quale aderisce senza alcun problema a tale tesi, affermando: «Molto presto i cristiani rivendicarono per loro il 25 dicembre il giorno natale della luce invitta, e lo celebrarono come natale di Cristo, come giorno in cui essi avevano trovato la vera luce del mondo» (J. Ratzinger, Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uomo, Queriniana 2006, pagg. 97-103). Tuttavia, come abbiamo già detto, riteniamo -assieme a tanti altri studiosi e pensatori cattolici (Antonio Socci, Vittorio Messori,  Michele Loconsole, Tommaso Federici ecc.)- molto più attendibile la tesi che vede la data del 25 dicembre storicamente accertata.

 

La festa del 25 dicembre è storicamente accertata, non è pagana

 

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Il filosofo Mazzarella: meglio la laicità di Scola che quella di Rodotà

Eugenio MazzarellaAd inizio dicembre 2012 il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha tenuto un magistrale discorso in occasione della solennità dell’ordinazione di sant’Ambrogio vescovo e dottore della Chiesa. Un testo sul rapporto tra libertà religiosa e laicità dello Stato, in cui critica la presunta neutralità dello stato che di fatto spesso si traduce in «un modello maldisposto verso il fenomeno religioso», il quale ha prevedibilmente fatto inviperire numerosi esponenti del laicismo italico, come ad esempio il giurista Stefano Rodotà.

Il filosofo Eugenio Mazzarella, docente di Filosofia teoretica nell’Università Federico II di Napoli, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di questa università e parlamentare del PD, ha voluto replicare in modo molto intelligente, definendo il testo di Rodotà pubblicato su Repubblica un «animoso commento». Ha criticato il reazionismo del giurista, per il quale nelle parole del card. Scola vi sarebbe «la negazione della libertà della coscienza e l’affermazione che la definizione dell’antropologia del genere umano è prerogativa della religione». Secondo lui sarebbe «il pensiero laico, invece, a forgiare gli strumenti perché non ci si arrenda ad una deriva tecnologica, con la sua capacità di garantire l’umano attraverso i principi di eguaglianza e dignità, di autodeterminazione della persona».

Il prof. Mazzarella ha risposto sottolineando che Rodotà appronta alla riflessione etica «l’ideologia propria dello scientismo insito ad “visione scientifica del mondo” che si presume eticamente autoconsistente a reggere e “leggere” nel suo senso ogni ambito della vita, finendo per perdere anche l’eticità della scienza come sorveglianza non solo delle sue procedure, ma dei suoi limiti intrinseci. Non so se Rodotà si renda conto che parlare di “una nuova antropologia” prodotta dalla rivoluzione della scienza e della tecnica equivale a dire che esse produrrebbero un “nuovo uomo”, radicato nella sua autoproduttività tecnica, nell’artificio che è capace di fare se stesso, e tolto alle sue basi ontologico-naturali tradizionali, e fin qui conosciute. Questo significa l’attacco alla “natura” umana difesa nell’impianto argomentativo di Scola come reperto concettuale fondamentalmente archeologico per capire e orientare la modernità; ma questo significa anche che la riflessione etico-giuridica di Rodotà, lo voglia o no, e la sua antropologia, virano verso un post-umanismo programmatico; un post-umanismo che si congeda dalla vichiana consapevolezza che l’identità umana come scienza e coscienza di sé (singola e collettiva; consapevolezza antropologica) si costituisce attorno a “nozze, sepolture e are”, fino ad oggi domande fondative della vita, del suo “senso”, risolte lungo il filo di un’universale natura umana riconoscibile in tutte le culture e in tutti i tempi».

Contro il card. Scola si è levata anche al prevedibile replica del teologo gnostico Vito Mancuso, ma che tuttavia il filosofo della Federico II ha velocemente liquidato definendola: «storiografia da quotidiano», senza perderci altro tempo.

Tornando a Rodotà, certamente di maggior interesse rispetto ai noiosi sermoni del prete spretato Mancuso, Mazzarella ha anche contestato la indebita valorizzazione del giurista della rivoluzione francese come alveo per la nascita dello Stato laico: «a parte che anche per il rinascimento “filologico” il miracolo dell’uomo è “miracolo” di Dio – vi si mira la sua immagine: ennesima variazione dell’imago dei scoperta nel volto dell’uomo dal cristianesimo –, se citando Pico della Mirandola in definitiva si vuol dire (contro Pico invero, dove quel miracolo porta ancor più vividamente a Dio) che si è miracolo di se stessi, che l’uomo è miracolo di se stesso, si può certamente dire. Ma con ciò si attribuisce a ieri (via facilior della contemporaneità della storia) quel che ci interessa oggi: ma questo non è rinascimento, è scientismo; un elogio non della dignità dell’uomo, ma un’apologia della tecnica e delle sue possibilità, tutte pretese, di “produrre” un “nuovo uomo” e una nuova “ontologia”, a base autopoietica, dell’essere sociale degli uomini».

Chiudendo il suo interessante intervento, il filosofo ha quindi affermato: «Con la sua celebrazione dell’Editto di Milano, Scola non ha nascosto la polvere dei problemi della libertà oggi, anche di quella religiosa, sotto il tappeto delle belle parole sempre politicamente corrette. Perché i contenuti della libertà – eguaglianza, dignità, autodeterminazione della persona – nascono dal “cuore” dell’uomo, e lì possono essere negati, non dalle sue “mani” (la positività, anche giuridica, delle sue azioni), che pure possono aiutare o uccidere; quei “contenuti” sono una credenza antropologica, se si vuole, e per qualcuno una verità di fede, ma certo non un prodotto della scienza e della tecnica. Mi sembra che ci sia di che discutere, senza anatemi, e con un po’ di fiducia anche senza patemi».

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Inglesi: meno credenti e più infelici

Uso di psicofarmaci nel regno unitoQualche giorno fa è uscita la notizia circa un calo nel cristianesimo inglese: in base ai dati dei censimenti nazionali, la quota di coloro che si dichiarano cristiani in Inghilterra e Galles è scesa dal 72% nel 2001 al 59% nel 2011. La notizia è riportata da Radio Vaticana.

Certo, è vero che nell’ultima fotografia i cristiani sono ancora la maggioranza assoluta, che sono più del doppio dei “no religion” (25%), e che coloro che si dichiarano cristiani lo fanno con una certa autoconsapevolezza, come precisa (guardando il bicchiere mezzo pieno) Radio Vaticana. E’ vero anche che il cristianesimo inglese (anglicanesimo) è un cristianesimo particolare, che si prepara tra l’altro ad avere come capo della Chiesa e massimo riferimento spirituale il non proprio amatissimo principe Carlo.

Ma è anche vero che il calo in sè può far riflettere. Bisogna però arrivare a gioire, a salutare il risultato “con particolare soddisfazione”, come vogliono gli atei agnostici razionalisti? Dati alla mano, e sulla base di considerazioni veramente scientifiche, razionali e non ideologiche, la risposta è netta: no di certo.

Gli studi scientifici che si occupano del comportamento umano (psicologia, medicina, sociologia…) ci dicono chiaramente che essere credenti, e nello specifico essere cristiani, significa essere più felici e vivere una vita migliore. La dimostrazione evidente la fornisce il recente Manuale di religione e salute (2012), di cui ci siamo già occupati. Tra i vari fattori di benessere esaminati dal Manuale, si può notare in particolare come la depressione sia inversamente correlata alla fede religiosa: più sei religioso, meno sei depresso. Ed è quello che si può riscontrare anche nel Regno Unito: la religiosità è in calo? Sì. E dunque è in aumento l’infelicità e la depressione.

Questo appare – purtroppo – in maniera evidente dai grafici circa il numero di prescrizioni di farmaci antidepressivi (di tipo SSRI, Inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, e SNRI, Inibitore della ricaptazione della serotonina e della norepinefrina) nel Regno Unito (UK) negli ultimi anni. Secondo il servizio sanitario nazionale, dal 1998 al 2008, si è passati da un totale di 8 milioni di prescrizioni a 24 milioni di prescrizioni di antidepressivi: un aumento del triplo.

 Ora, stanti così le cose, cosa è veramente sensato e razionale: gioire del fatto che le persone tendono a non aderire alla religione, non trovando un senso alla vita? Oppure preoccuparsi del rischio di una dilagante a-religiosità e infelicità, e cercare di favorire la riflessione esistenziale e religiosa, per una vita e una società migliore?

Roberto Reggi

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Femministe e paladine della Chiesa cattolica

Presentazione del libro Breaking ThroughOsservando i casi delle Pussy Riot e delle Femen sembra difficile pensare oggi all’esistenza di un femminismo non sguaiato, non violento e rispettoso della fede cattolica e dell’altrui pensiero. Ma a quanto pare si è in errore a sostenere questo.

Per grazia, delle “buone” femministe sembra ancora che esistano: una professoressa americana, Helen M. Alvaré, membro del Pontificio Consiglio per i laici, ha pubblicato recentemente Breaking Through. Catholic Women Speak for Themselves, di cui è curatrice. In questo testo nove donne dimostrano la conciliabilità, anzi  “la vitalità e la forza di essere nella Chiesa cattolica e di vivere al contempo il proprio femminismo.

Queste nove autrici, tra cui troviamo donne sposate, single, lavoratrici ecc. raccontano come la riscoperta della loro fede abbia dato un vero significato alla loro vita, nel lavoro, nella famiglia; non manca chi anche negli abusi e scandali che hanno macchiato la Chiesa individua una speranza da cui poter ripartire. E’ segno di ignoranza, a mio avviso, affermare che la Chiesa cattolica reputi le donne come persone di seconda classe, non degne di considerazione; non solo per riguardo alla Madonna, alla quale la Chiesa ha sempre tributato un onore mai concesso a nessun essere umano, ma anche riguardo a quei modelli di santità che sono le grandi martiri dei primi secoli. Pochi sanno che nel vecchio rito della messa oltre agli apostoli, ai primi papi e confessori della fede, si ricordavano e pregavano quelle sette martiri con grande devozione e stima.

La vera questione non è l’emancipazione delle donne, come viene presentata oggi, ma una riscoperta del “cuore”, del leitmotiv della vita, che, come nel caso di queste donne, passa nella valorizzazione di ogni meandro della loro esistenza; ogni “vena scoperta” del cuore dell’essere umano urla, esige risposta e questo, è quello che queste donne hanno riscoperto nell’alveo della Chiesa cattolica. Questo è l’obbiettivo di questo volume, e credo che possa interessare a chiunque le risposte che queste donne hanno “trovato”.

Un altro esempio di questo buon femminismo lo vediamo in Dorothy Day, fin dal 2000 Serva di Dio. Devo confessare che anche per me lei rimaneva una personalità ignota fino alla lettura di questo bell’articolo de Il Foglio. In esso si fa riferimento alla sua causa di beatificazione, ma non si può non raccontare un minimo chi era e cosa fece questa donna.

Prima di convertirsi al cattolicesimo, nel 1927, andò in prigione a diciassette anni perché chiedeva il voto per le donne, anarchica e femminista, un connubio di tutti gli estremismi dell’epoca. Ma dopo la sua conversione e grazie al rapporto con il francese Peter Maurin, tutta la sua vitalità, forza e passione passarono al servizio di Cristo e della Chiesa nelle frange più dimenticate della società americana. Divenne la massima icona del cattolicesimo di sinistra in America, senza però mai fare combutta con chi facesse del male alla Chiesa. Evitò sempre con cura di affiancarsi coi comunisti e con gli atei.

Con la sua opera giornalistica nel Catholic Worker Movement non solo diffuse negli Stati Uniti i principi evangelici di pace, proprio negli anni tra le due guerre mondiali, ma si prodigò per anche per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa, difendendo e sostenendo finanziariamente i senzatetto e, soprattutto, dato i suoi trascorsi da femminista, grandissima oppositrice dell’aborto. “Non c’è soltanto il genocidio degli ebrei. C’è anche un intero programma di controllo delle nascite e aborto, che è un altro genocidio.” Altro che i cattolici adulti di oggi, i quali mai difendono questi sacrosanti e benedetti principi non negoziabili che il nostro Santo Padre Benedetto XVI sempre mette come primo bastione contro il relativismo etico. Nascessero altri cattolici come la Day; che possa presto salire all’onore degli altari e possa essere ispiratrice di altri grandi cattolici non timorosi della loro fede!

Luca Bernardi

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I leader del fanatismo laicista nel presepe a Firenze

Presepe laicistaL’iniziativa ci è parsa subito significativa: nella chiesa di San Felice in Piazza a Firenze, don Gianfranco Rolfi ha attaccato dietro al presepe le foto di Margherita Hack, Piergiorgio Odifreddi, Corrado Augias e il teologo Vito Mancuso. Più sopra la foto di Stalin, Hitler e Mao con la frase di Voltaire, il cosiddetto “padre della tolleranza”, “Schiacciate l’infame”, riferita ai cattolici e alla Chiesa.

Con questo gesto don Gianfranco ha voluto denunciare “il fanatismo laico”, pervicacemente rappresentato dagli pseudointellettuali italiani sopra citati. Il campanello d’allarme lanciato dal sacerdote è davvero interessante, ci sembra giusto sottolineare quanto il pregiudizio anticattolico sia ormai l’ultima forma di razzismo socialmente accettata, come dice il sociologo Philip Jenkins. Forse il luogo scelto, un presepe, non è propriamente idoneo: la questione andrebbe posta in termini culturali.

Margherita Hack, sempre molto garbata e femminile nei suoi interventi, ha reagito così: «non me ne frega nulla di questa iniziativa», peccato che abbia dimostrato proprio il contrario: contraddicendosi ha aggiunto infatti di sentirsi offesa perché la sua foto è stata accostata a quella di Hitler, il quale era «un pazzo feroce». Facciamo notare che l’astrofisica anticattolica ha evitato di citare -tra i pazzi feroci- anche Stalin e Mao, anch’essi presenti di fianco alla sua foto, e -come lei- orgogliosamente atei, nonché promotori dell’ateismo di stato (al contrario di Hitler). Permane dunque l’imbarazzo nei rimasugli comunisti, come lo sono la Hack, Augias e Odifreddi, a prendere posizione contro questi dittatori, atei e comunisti.

Probabilmente con questo accostamento don Rolfi ha voluto segnalare una sorta di continuità tra il passato e il presente: mentre ieri chi voleva “schiacciare la chiesa” era un avversario fisico, come i dittatori citati, oggi l’avversione è un’ossessione che resta solo psicologica, ma comunque permane. «Sono uno storico, e ho insegnato per anni Storia della Chiesa», ha spiegato il sacerdote fiorentino, «dobbiamo prepararci  ad essere schiacciati, umiliati e offesi» da persone che «sono coloro che dominano la cultura, l’economia, la finanza». 

Quando l’opera sarà finita, ha aggiunto, verrà spiegato il senso ai fedeli. Intanto quelli di Repubblica, inviperiti, hanno già fatto partire la loro crociata contro il sacerdote, d’altraparte Mancuso è l’editorialista di questo quotidiano, come sono collaboratori fissi la Hack, Augias e Odifreddi. Soltanto per questo dobbiamo fare i complimenti a don Rolfi per aver lanciato questo giusto segnale d’avvertimento ai cattolici, anche se utilizzando a nostro avviso un luogo poco idoneo.

 
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La pena di morte per gli omosessuali? La Chiesa dice no

Rebecca Kadaga 
di Paolo Rodari
da Il Foglio, 18 dicembre 2012

 

Non sono stati due giorni facili per il Vaticano. Prima i giornali italiani che, sintetizzando un passaggio del messaggio del Papa per la Giornata della pace nel quale ritorna sulla visione del matrimonio fra un uomo e una donna come profondamente differente da tutte le altre forme di unione, sintetizzano che Benedetto XVI non vuole “le nozze gay”.

E poi quelli ugandesi, che si scatenano ancora contro Benedetto XVI colpevole di aver ammesso al baciamano, durante la scorsa udienza generale, la presidente del Parlamento ugandese, Rebecca Kadaga, presente a Roma per la settima assemblea dei parlamentari per la Corte penale internazionale e lo stato di diritto. Kadaga, infatti, nella sua qualità di speaker del Parlamento di Kampala, ha sostenuto pubblicamente il disegno di legge “anti omosessualità” (“Kill the Gay Bill”) che, nella sua versione originale, presentata nel 2009 dal deputato David Bahati, prevedeva la pena di morte per chi fosse riconosciuto colpevole di “omosessualità aggravata”, ad esempio in caso di relazione con un minorenne o di infezione da Aids. Un provvedimento ancora in discussione e che nella sua versione attuale prevede non più la pena di morte ma l’ergastolo, mantenendo il quadro generale di inasprimento delle pene per le relazioni tra lo stesso sesso.

Seppure il baciamano papale non significhi in nessun modo l’approvazione delle politiche di coloro che compongono una delegazione, a scagionare – se mai ve ne fosse bisogno – il Papa è perfino Wikileaks. Uno dei cable di Wikileaks, infatti, aveva già mostrato come nel 2009 gli Stati Uniti si erano impegnati attivamente per sensibilizzare i diplomatici della Santa Sede. Nel dicembre 2009, quando la discussione sul “Kill the Gay Bill” era all’apice, l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, Celestino Migliore, respinse ogni forma di “violenza e ingiusta discriminazione” nei confronti degli omosessuali, mentre poche settimane dopo l’arcivescovo di Kampala, Cyprian. K. Lwanga, condannò il disegno di legge perché prendeva di mira “il peccatore e non il peccato” e non rispecchiava un “approccio cristiano” alla questione dell’omosessualità.

In una nota della Conferenza episcopale ugandese, inoltre, si legge: “Apprezziamo lo sforzo del governo di proteggere la famiglia tradizionale e i suoi valori. L’insegnamento della chiesa resta fermo sul fatto che gli atti omosessuali siano immorali. Ma la chiesa insegna il messaggio cristiano di rispetto, compassione e sensibilità. Le persone omosessuali hanno bisogno di aiuto, comprensione e amore come tutti coloro che si sforzano di diventare membri del Regno di Dio” (anche qui). E sulla normativa specifica i vescovi, rifacendosi al Vangelo, affermano: “L’uccisione non può essere presa a modello in un approccio cristiano alla questione. L’introduzione della pena di morte e dell’imprigionamento per atti omosessuali colpisce le persone invece di cercare di aiutarle”.

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Tra sport e fede: Falcao, Mario Ancic e le origini religiose del Celtic

FalcaoL’ultima volta che si era parlato, in questa sede, di Fede e Sport lo si era fatto a proposito delle Olimpiadi di Londra 2012, durante le quali abbiamo avuto testimonianza di una “ribellione” di un buon numero di sportivi al divieto britannico di esporre simboli religiosi durante i giochi.

Ci giunge ora la notizia di un sondaggio, condotto da “Grey Matter Research and Consulting secondo cui gli americani sarebbero di opinioni molto diverse rispetto a quelle del governo inglese: risulta che il 49% di essi, infatti, vede favorevolmente la pubblica espressione di fede degli atleti, mentre il 32% dichiara di non curarsene e solo il restante 19% afferma di averne una visione negativa.

Il sondaggio ha preso in esame l’opinione di più di 1000 americani adulti e l’uso degli atleti di pregare dopo i giochi, parlare di fede durante le interviste, fare segni religiosi (come il segno della croce prima di entrare in campo, per intendersi). Una percentuale ancora maggiore (il 55%), inoltre, vede positivamente la condivisione di momenti di preghiera da parte di squadre diverse alla fine delle partite, mentre meno approvati sono gli atteggiamenti che suggerirebbero il supporto della divinità nella vittoria del singolo o della squadra.

Tali dati possono aiutarci a rilevare come anche nel mondo dello sport, come tutti i contesti culturali, ci sono dei legami con la sfera religiosa, e non solo a livello esteriore: a questo fine segnaliamo episodi pubblicati recentemente, quali la conversione di Grant Desme, ora frate Matteo, noto giocatore di baseball che nel 2010 decise di abbandonare la carriera per la vita monastica o quella del giocatore di tennis Mario Ancic, o ancora le origini religiose del Celtic di Glasgow, fondato da frate Walfrid nel 1887 per scopi caritativi a favore dei bambini poveri, ancora oggi legato alla fede cattolica e agli intenti caritativi del fondatore (perseguiti oggi attraverso il “fondo di carità del Celtic”). Pochi giorni fa il fuoriclasse dell’Atletico Madrid, l’attaccante Falcao, ha dedicato pubblicamente a Dio la sua incredibile prestazione, avendo segnato cinque gol sui sei contro il Deportivo La Coruna.

Lunedì scorso Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il presidente del Coni Petrucci e gli atleti che hanno conquistato una medaglia a Londra 2012, dicendo: «Lo sport incide sull’educazione e la spiritualità e deve essere a servizio dell’uomo. Penso a voi, cari atleti, come a dei campioni-testimoni, con una missione da compiere: possiate essere, per quanti vi ammirano, validi modelli da imitare».

Michele Silvi

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Genitori anziani e fecondazione assistita: problemi per il figlio

Fecondazione artificiale Sul periodico americano The New Republic è recentemente comparso un lungo articolo di Judith Shulevitz che esamina un fenomeno che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, è poco studiato, ovvero il graduale innalzamento, a partire dagli anni ’70,  dell’età delle persone, e delle donne particolarmente, quando nascono i loro figli.

In USA questa posticipazione del primo figlio è stata mediamente di quattro anni, con grandi differenze legate all’etnia, alla scolarità, allo stato socioeconomico, alla regione. In Italia l’età media al primo parto è di 5 anni maggiore rispetto agli USA: 31 anni invece di 25,4.

L’autrice racconta come ella stessa, all’età di 37 anni e con un marito di 45, si sia ritrovata nello studio di un medico specializzato in infertilità. È  iniziato un iter fatto di esami dello sperma, iniezioni di ormoni follicolo-stimolanti e luteinizzanti che  stremarono la donna e la resero ancor più miope, alla fine rimase incinta tramite la fecondazione assistita. All’età di tre anni al bambino venne diagnosticato un disturbo border-line dell’integrazione sensoriale e dovette frequentare una palestra specializzata, nella cui sala d’aspetto si notavano parecchie mamme di mezza età.

In seguito il bimbo stette bene e nacque in modo naturale anche una bambina sana; tuttavia la giornalista continuò a studiare il fenomeno ed appurò che, da coppie in là con l’età, nascevano spesso bimbi con problemi neurologici di varie gravità: sindrome di Asperger, autismo, disturbo ossessivo-compulsivo, deficit dell’attenzione. Questi bambini sono aumentati di circa il 17 per cento tra il 1997 e il 2008 (certo anche per la maggiore e forse eccessiva attenzione del mondo medico e socio-scolastico) ed un bambino americano su sei  ha oggi una di queste disabilità, fortunatamente spesso in forma lievissima sovrapponibile alla normalità.

Parallelamente, uno studio recentemente pubblicato sul New England Journal of  Medicine asserisce che, mentre la percentuale di bambini nati con anomalie è del 5,8% sul totale, nel caso di nascite a seguito di tecniche di procreazione assistita sale all’8,3%. Il motivo? Probabilmente, una somma di più fattori negativi: l’età mediamente più avanzata di entrambi i genitori, una loro generica difficoltà a procreare, i farmaci somministrati alla madre per stimolare le ovaie, i trattamenti all’embrione in provetta. Come spesso avviene, il tentativo di forzare la natura e di deviarne il corso lascia un prezzo da pagare.

Linda Gridelli

 

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