Nozze gay: risposta a Bernard-Henri Lévy

Bernard-Henri LevySull’onda del “matrimonio per tutti”, voluto dal governo francese per legalizzare le nozze e l’adozione per persone dello stesso sesso, anche in Italia diversi media lasciano spazio alle riflessioni di noti intellettuali.

Mentre i “contrari” a questo snaturamento antropologico del matrimonio hanno numerosi argomenti (qui un piccolo dossier in continuo aggiornamento), chi è a “favore” non è ancora riuscito ad argomentare in modo serio la sua posizione, aldilà di concetti sul piano sentimentale. Si sentono ripetere infatti motivazioni banali, come ad esempio che “l’amore” dev’essere uguale per tutti, che tale legge non limita la libertà degli eterosessuali di sposarsi tra loro, che è meglio far adottare ad una coppia omosessuale piuttosto che lasciare i bambini a marcire in un orfanotrofio, e altre cose del genere a cui abbiamo risposto diverse volte.  Sorprende fortemente, dunque, che un intellettuale di prestigio, come il filosofo Bernard-Henri Lévy, abbia utilizzato lo stesso repertorio nel suo recente articolo pubblicato da Il Corriere della Sera. Lévy non è certo uno sprovveduto e ha mostrato più volte di saper andare contro corrente, ad esempio denunciando da agnostico il feroce anticattolicesimo presente in Europa, difendendo a spada tratta il pensiero di Benedetto XVI.

 

Il suo testo scritto sul matrimonio gay, diviso in tre punti, sembra realizzato da un altro da quanto è banale.
1) Primo punto: in merito al noto documento realizzato dal Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim con il quale sono stati confutati ad uno ad uno gli argomenti “a sostegno”, Bernard-Henri Lévy ha affermato: «Che le religioni debbano dire il loro parere su una vicenda che è sempre stata, e lo è ancora, al centro della loro dottrina, è normale. Ma che questo parere si faccia legge, che la voce del gran rabbino di Francia o quella dell’arcivescovo di Parigi sia più di una voce fra tante altre, che ci si nasconda dietro alla loro grande ed eminente autorità per chiudere la discussione e mettere a tacere una legittima domanda di diritti, non è compatibile con i principi di neutralità sui quali, da almeno un secolo, si suppone sia edificata la nostra società».

Davvero Bernard-Henri Lévy pensa che il rabbino Bernheim o l’arcivescovo di Parigi abbiano voluto “chiudere la discussione e mettere a tacere una legittima domanda di diritti” con la loro presa di posizione? Hanno per caso intimato che il loro punto di vista debba diventare immediatamente legge? Oppure hanno semplicemente voluto esplicitare pubblicamente e dettagliatamente e legittimamente la loro posizione per quanti ne siano interessati? La risposta è abbastanza scontata, passiamo dunque oltre.

 

2) Secondo punto: il filosofo si è scagliato contro gli psicoanalisti che parlano del complesso di Edipo, per spiegare l’inadeguatezza delle coppie gay alla crescita di un bambino. A suo sostegno ha invitato: «leggete la letteratura sull’argomento. Non ci sono indicazioni, per esempio, che suggeriscano una predisposizione all’omosessualità in caso di adozione da parte di una coppia gay».

Nessuna indicazione? Davvero? Peccato che nel 2011 uno studio pubblicato su Archives of Sexual Behavior ha mostrato che le figlie di madri lesbiche hanno più probabilità di impegnarsi in un comportamento dello stesso sesso e di definirsi bisessuali. Nel 2010 i risultati di uno studio pubblicato sul Journal of Biosocial Science hanno evidenziato che «l’ipotesi che i genitori gay e lesbiche abbiano più probabilità di avere figli e figlie gay, lesbiche, bisessuali o di incerto orientamento sessuale è stata confermata». Nel 2009 un altro studio in peer-review pubblicato su Psychological Reports ha concluso che «una revisione di 9 studi ha dimostrato che i bambini cresciuti con genitori omosessuali sono più predisposti ad adottare interessi ed attività omosessuali e segnalare confusione sessuale» (oltre a una serie di problematiche come l’essere socialmente disturbati, abusare di sostanze, meno inclini al matrimonio, difficoltà nelle relazioni d’amore ecc.). Nel 2007 sul Journal of Biosocial Science è stato dimostrato che l’orientamento omosessuale dei genitori influenza significativamente quello dei figli. Già nel 1995 si era a conoscenza di tale fenomeno, quando su Developmental Psychology è stato fatto notare che il 9,3% di un gruppo di 75 figli di 55 padri gay o bisessuali sono omosessuali a loro volta, dato che è notevolmente superiore alla prevalenza di maschi omosessuali nella popolazione generale.

Evidentemente il filosofo francese non è preparato su quello di cui vuol parlare. Come se non fosse abbastanza, anche Lévy ha riciclato il noto “argomento orfanotrofio”, dicendo: «Non ci sono effetti perversi particolari quando si strappa un bambino da un sordido orfanotrofio e lo si trasferisce in una famiglia con un solo genitore o con genitori omosessuali amorevoli». Non si capisce davvero questo accanimento dei difensori dell’adozione gay contro gli orfanotrofi, descritti per l’occasione con gli aggettivi più squallidi: “sordidi”, “violenti”, “squallidi”, “sporchi”, “anaffettivi” ecc. Sottolineiamo comunque la fallacia di questo argomento facendo notare che il numero di richieste di adozioni da parte di coppie eterosessuale (il luogo senza dubbio ideale per la crescita di un bambino, come mostra tutta la letteratura medico-scientifica) è fortunatamente elevato: in Italia, nel 2010, la crescita delle adozioni è stata del +7,9% rispetto all’anno precedente, lo si è visto anche nel recente caso del neonato abbandonato al McDonald’s di Roma o nell’ultimo caso di bimbo lasciato alla “Culla della vita” a Milano. Anzi, il vero problema è il numero esiguo di minori adottabili rispetto alle domande di adozione. In Francia la situazione è simile: –sempre nel 2010 il numero di adozioni è aumentato del 14%. Insomma, non si sente davvero il bisogno di coppie omosessuali ad ingolfare ulteriormente la lunga, e purtroppo, lentissima, coda di richieste di adozione.

 

3) Terzo punto: il filosofo ha fatto notare l’esistenza di «molti modelli di famiglia, quasi omonimi, che si succedono dall’antichità ai nostri giorni, dai secoli classici ai secoli borghesi, dall’età delle grandi discipline», come le “unioni interrazziali”. Non si capisce lo scopo di questa sottolineatura: le caratteristiche della famiglia sono certamente mutate nella storia (prima, ad esempio, era vietato sposarsi con altre razze e oggi è permesso), un altro paio di maniche è invece voler cambiare l’identità strutturale e naturale (della natura) dei soggetti che formano e hanno formato -non “un” modello familiare, ma -“il” modello familiare: ovvero padre e madre. La famiglia elementare (o nucleare, o coniugale o biologica) è da sempre costituita «dall’unione duratura e socialmente riconosciuta di un uomo con una donna e dalla loro prole – che pure rappresenta il gruppo sociale più universalmente diffuso – l’unità veramente irriducibile che costituisce la cellula, il nucleo su cui le diverse società si fondano».

L’argomento finale di Bernard-Henri Lévy fa cadere letteralmente le braccia: «come se la banalizzazione del divorzio, la generalizzazione della contraccezione o dell’interruzione volontaria di gravidanza, la moltiplicazione delle adozioni e delle famiglie single, il fatto che oggi siano più numerosi i bambini nati fuori dal matrimonio che da coppie sposate, come se la disgiunzione, infine, del sessuale dal coniugale, non avessero fatto vacillare il modello tradizionale ben al di là di quello che mai farà una legge sul matrimonio gay che, per definizione, riguarderà solo una minoranza della società!». Piuttosto che dire: il modello tradizionale di famiglia, cioè il nucleo centrare della società, è sotto attacco e occorre difenderlo tramite politiche adeguate, il filosofo francese sostiene che una ulteriore spintarella ce la possiamo ancora permettere.

 

La chicca finale appare scontata per ogni sostenitore del matrimonio gay: «La verità è che gli avversari della legge sempre più difficilmente riescono a dissimulare il fondo di omofobia che governa i loro discorsi». Ecco dunque la denigrazione diretta a chi osa esprimere un parere contrario al mainstream omosessualista, accusato di soffrire di una patologia medica (“omo-fobia”) per essere messo immediatamente a tacere. Un’accusa ridicola, come ha recentemente spiegato il matematico Giorgio Israel.

Cosa è successo al prestigio filosofico di Bernard-Henri Lévy? Tutto quello che sa fare è pescare anche lui nel banale prontuario del militante pink? Oppure è davvero questo tutto quello che si può dire a sostengo del matrimonio e adozione per le coppie omosessuali?

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

European Institute of Bioethics: eutanasia pericolosa in Belgio

Eutanasia L’eutanasia è legale in Belgio dal 2002: in nove anni ci sono stati  5513  casi dichiarati di “dolce morte”, in costante e forte aumento, partendo dai  235 del 2003 per arrivare ai 1133 del 2011, confutando così la tesi secondo cui con la sua legalizzazione non avverrebbe alcun cambiamento sociale.

L’European Institute of Bioethics (EIB), con sede in Belgio, ha presentato di recente una relazione di controllo di questi anni in cui l’eutanasia è stata legalizzata, e il tema centrale è stato l’inefficacia e la parzialità della commissione di membri nominati dal governo per monitorare e controllare l’esecuzione dell’eutanasia. Dopo 10 anni e circa 5.500 casi, viene scritto, non un caso è mai stato riferito alla polizia, risulta illusorio -dicono- aspettarsi che i medici denuncino i loro fallimenti.

Inoltre, come riportato su BioEdge, il controllo sulla corretta applicazione della legge avviene a posteriori, quando il paziente è già stato ucciso, e 7 dei 16 membri della commissione sono di fatto attivisti pro-eutanasia. Questo è sufficiente a spiegare, secondo l’EIB, «l’assenza di qualsiasi controllo effettivo e la sempre più ampia interpretazione che la Commissione intende dare alla legge». Una legge che permette l’eutanasia è già abbastanza grave, suggeriscono, ma il governo non riesce nemmeno a far rispettare la sua applicazione. Così il controllo è sempre stato  effettuato in modo volutamente permissivo: l’interpretazione “allargata” della legge ha fatto sì che mai la Commissione abbia contestato un caso, benché nell’8% dei pazienti uccisi non si verificasse l’imminenza della morte naturale  e la prevista richiesta scritta del paziente mancasse nel 94% dei casi.

Recentemente l’eutanasia è stata dichiarata applicabile anche a chi soffre di artrosi; inoltre i pazienti possono rifiutare la terapia del dolore e preferirle la morte. Già si propone di estendere la legge ai pazienti le cui sofferenze sono di natura psichica e ai pazienti impossibilitati a dare il consenso quali i  neonati.  Parallelamente a quanto avvenuto in Italia per l’interruzione volontaria di gravidanza, ad una legge formulata in modo restrittivo è seguita un’applicazione molto estensiva e libera tanto che, praticamente, abortisce chiunque lo voglia e per qualsiasi motivo. La tendenza belga è arrivare pian piano ad una situazione di fatto in cui chiunque lo voglia ha il “diritto” di farsi assistere medicalmente nella dolce morte.

Questa nefasta e voluta tendenza a presentare all’opinione pubblica il suicidio assistito come un fatto normale avviene non solo in Belgio, ma ovunque l’eutanasia sia legale, come in Olanda, Svizzera, Oregon. Purtroppo si teme che anche la Francia si stia avviando lungo questa china, poiché il Governo ha rifiutato di prendere in considerazione il giudizio negativo del Comitato di Bioetica sulle  questioni relative al fine vita e all’eutanasia.

In Italia c’è, a parte la già citata questione dell’aborto, una più diffusa  osservanza dei valori non negoziabili, sul cui rispetto occorre vigilare affinché non vengano varate leggi che ci portino sul medesimo “piano inclinato” dei paesi nordici  e ritrovarci quasi in modo inconsapevole a concedere il suicidio assistito a chiunque o altre situazioni in violazione dei diritti universali e naturali.

Linda Gridelli

 

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Nuovo studio: diffusione contraccettiva non riduce i tassi di aborto

Contraccettivi 

di Renzo Puccetti*
*bioeticista e specialista in medicina interna

 

Sera del 25 ottobre 1917: i ministri russi sono arrestati durante l’assalto al Palazzo d’inverno. 25 dicembre 1991 ore 18,35: la bandiera sovietica che sventolava da 74 anni sul Cremino viene ammainata. Sono le due date in cui si inscrive la vita del settantennale regime comunista in Unione Sovietica.

L’8 novembre 1920 è il giorno in cui il regime comunista, primo Stato nel mondo, legalizza l’aborto, una misura volta alla operaizzazione femminile e all’indebolimento della famiglia, istituzione considerata dal regime come elemento di aggregazione sociale indipendente dall’onnipotente apparato statale. Il 27 giugno 1936 Stalin, preoccupato della situazione demografica, proibisce l’aborto e condanna a  uno o due anni di prigione i medici responsabili con l’eccezione di una serie di condizioni sanitarie previste dalla legge o di motivazioni eugenetiche. A partire dal 1955 l’aborto diventerà nuovamente legale e gratuito e l’Unione Sovietica per decenni sarà il paese con i più alti livelli di abortività al mondo.

È stato da poco pubblicato uno studio sulla prestigiosa rivista scientifica PLOS ONE volto ad indagare i motivi per cui, partendo da livelli omogenei, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la proclamazione d’indipendenza dei vari Stati, la riduzione dell’aborto sia avvenuta con maggiore ampiezza in Ucraina ed in Belarus rispetto alla Russia post-sovietica. I ricercatori hanno analizzato dati di abortività e contraccezione provenienti sia dalle banche dati nazionali che da rilevazioni campionarie dei tre stati. Secondo le statistiche ufficiali l’impiego della contraccezione è complessivamente lievemente maggiore in Russia rispetto agli altri due paesi esaminati. Per quanto riguarda invece pillola e spirale, soprattutto per il minore uso di quest’ultima, la Russia mostra tassi d’impiego lievemente inferiori. A questo proposito è bene ricordare il meccanismo microabortivo della spirale, per cui un tasso di aborti inferiori associato al maggior uso della spirale non necessariamente significa un minore numero di esseri umani soppressi.

Secondo invece i dati ottenuti dalle rilevazioni a campione nella Russia l’uso della contraccezione moderna è più elevato del 16% rispetto al Belarus e del 41% rispetto all’Ucraina; parallelamente le coppie che esprimono una richiesta di metodi per il controllo delle nascite non soddisfatta è risultata del 13% in Russia, del 16% in Belarus e del 18% in Ucraina. Si tratta di risultati che gli stessi ricercatori hanno connotato come “un paradosso”; “insieme con il più alto livello di aborti, la Russia non mostra il più alto bisogno di pianificazione familiare insoddisfatto”, hanno scritto. Ciò non è risultato sufficiente comunque a convincere gli autori che hanno confermato la loro visione secondo cui per quanto riguarda i tassi di abortività tra i tre paesi “le maggiori discrepanze poggiano sui comportamenti contraccettivi”, più ostacolati in Russia, a loro dire, dal parlamento e dalla Chiesa ortodossa.

Come leggere correttamente questi risultati? Mi pare si possa affermare che essi forniscono un’ulteriore, ennesima conferma della grande mole di dati già a disposizione che indicano come la diffusione contraccettiva sia un debolissimo, se non in molti casi inesistente elemento volto ad ottenere una riduzione dei livelli di abortività. Se questo lo si vuole considerare come un paradosso, allora i lettori devono essere informati che il paradosso riguarda Italia, Francia, Inghilterra, Scozia, Spagna, Svezia, nazioni oggetto di valutazioni numeriche che smentiscono l’assunto che vorrebbe nella diffusione dei contraccettivi la strada per sconfiggere l’aborto. Più che un’eccezione alla regola, il paradosso contraccettivo sembra essere esso stesso la regola.

Elizabeth Ansombe, la più importante allieva di Ludwig Wittgenstein, considerata tra le più influenti menti femminili della filosofia del XX secolo, ha scritto nel 1972: “La cristianità ha insegnato che gli uomini devono essere casti così come i pagani pensavano dovessero esserlo le donne, la moralità contraccettiva insegna che le donne siano così poco caste come i pagani pensavano dovessero esserlo gli uomini”. Io non so se le cose siano andate seguendo in modo diretto questa strada indicata dalla filosofa di Oxford, ma vedo la realtà che ci circonda, e qualunque sia stato il tragitto seguito dalla morale negli ultimi cinquant’anni, l’approdo cui si è giunti nell’occidente secolarizzato, vecchio, impoverito e impregnato di barriere contro la vita umana è proprio quello che Miss Anscombe aveva previsto.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Le ombre di Lutero: antisemita, intollerante e contraddittorio

Martin LuteroLa prof.essa Angela Pellicciari è nota per i suoi libri sul Risorgimento e la Massoneria, entrambi sostenuti da ideali fortemente anticristiani. Nel 2006 è stata oggetto di un attacco calunnioso da parte di Repubblica (e altri quotidiani), accusata di idee filonaziste per aver proposto ai suoi studenti la lettura di alcuni brani di Hitler. In sua difesa è intervenuta una sua studentessa ebrea, la famiglia della studentessa e altri suoi alunni. A livello mediatico è stata difesa da Giuliano Ferrara, Pierluigi Battista, Ernesto Galli della Loggia, Nicoletta Tiliacos, Lucetta Scaraffia, Giorgio Rumi, Giorgio Israel e Rocco Buttiglione.

La Pellicciari concorda sostanzialmente con il pensiero di Pio XII nel vedere un filo rosso a legare la Rivoluzione Protestante, quella Francese e quella Comunista. Nel suo ultimo libro, Martin Lutero (Cantagalli 2012), cita infatti la famosa frase di Pacelli: «Si è partiti col dire Cristo sì, Chiesa no (protestantesimo ndr). Poi Dio sì e Cristo no (illuminismo ndr). Finalmente il grido empio: Dio è morto, anzi, Dio non è mai esistito (comunismo ndr)».  In particolare, si legge sulla recensione apparsa su Ancora online, si è occupata di smontare la favola raccontata dalla vulgata, sul fatto che Martin Lutero si levò come un paladino della libertà contro la Chiesa cattolica brutta e cattiva.

Lutero in realtà ha negato che la volontà umana sia libera: secondo lui la vita dell’uomo, scrive la Pellicciari, dipende dalla lotta che Dio e Satana combattono per aggiudicarsi la sua anima. Dio crea gli uomini per mandarli o all’inferno o al paradiso senza che questi possano minimamente incidere sulla loro sorte. Secondo Lutero le opere non contano perché, essendo la volontà schiava, le persone non sono responsabili delle proprie azioni.

Negli scritti di Lutero, inoltre, troviamo molto odio: per Roma, per il Papa e per gli ebrei. Nel testo Su gli Ebrei e le loro menzogne, Lutero auspica la distruzione di tutte le sinagoghe e delle stesse case private degli ebrei. «Sia imposta – scrive – la fatica ai Giudei giovani e robusti, uomini e donne, affinché si guadagnino il pane col sudore della fronte». Non fa meraviglia che nel 1936 sia Hitler a ristampare il testo scritto nel 1543 dal padre spirituale della Germania, apostrofato con gli appellativi di Hercules Germanicus e Propheta Germaniae. Certamente il cammino del Führer fu facilitato dalla filosofia tedesca inaugurata da Lutero, non a caso nella Prussia protestante il consenso per Hitler arrivò all’80%, nella Baviera cattolica, invece, non superò il 19%.

Studiando gli scritti dello stesso Lutero, la Pellicciari ha notato inoltre che il suo pensiero è pieno di contraddizioni. In particolare l’autrice ha mostrato l’approccio ideologico alla Scrittura da parte di Lutero: egli infatti sostiene che può essere oggetto di fede solo ciò che è fondato nella Sacra Scrittura, ma non esita a definire una “ lettera di paglia” la Lettera di Giacomo che esalta il valore delle opere a scapito del principio della “sola fede”, come invece da lui sostenuto. Ovvero, egli non fa parlare la Sacra Pagina, ma espunge da essa i versetti che più si confanno al suo pensiero religioso. Un altro esempio: Lutero sostiene che ogni fedele deve leggere la Sacra Scrittura da solo senza la mediazione della Chiesa, ma nella stessa Bibbia  si legge: «Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu mai creata una profezia, ma mossa da Dio» (Pt 1,20-21). Contrariamente al messaggio cristiano, Lutero prova un odio profondo per il Papato e per Roma, disprezzo esplicitato anche attraverso l’immediatezza di caricature oscene e dissacranti che ritraggono il pontefice come capra, asino, drago infernale o l’anticristo.

Lutero si accorge anche staccandosi dall’autorità del Pontefice si moltiplicano inevitabilmente le scissioni dal luteranesimo, e nel 1531 reagisce dicendo: «Non è permesso che un Tizio qualunque venga fuori di sua testa, crei una sua propria dottrina, si spacci per un maestro Pallottola e voglia farla da maestro e biasimar chi gli piaccia». Già, peccato che pochi anni prima lui stesso si era opposto all’autorità papale vestendo i panni di quel Tizio che ora biasima.  La sua intolleranza diventa anche fisica: per placare la rivolta dei contadini di Munster, che avevano dato vita ad una chiesa separata da quella luterana, Lutero infiamma l’animo dei principi tedeschi che reprimeranno i dissidenti con la forza provocando la morte di circa 100.000 di essi.

Proprio i principi tedeschi diventeranno le nuove guide della cristianità riformata da Lutero, alla faccia della laicità. In questo stà la genesi dello statalismo, quella forma di comunità politica che si pone sopra ogni uomo e sopra ogni altra istituzione senza alcun vincolo. Con Lutero la fede da pubblica diventa fatto privato, intimistico, che riguarda solo ed esclusivamente la coscienza.

In precedenti articoli, informando della pubblicazione dei volumi di Gianfranco Amato e Bad Gregory, abbiamo mostrato come la Riforma protestante sia all’origine del nichilismo moderno e della secolarizzazione occidentale.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Chiesa anglicana: metà delle donne contro le donne vescovo

Benedetto XVI incontra donna preteChi ha affossato la riforma della Chiesa d’Inghilterra sull’ordinazione episcopale femminile? Ha votato contro la metà del sesso femminile, dimostrando che l’ossessione per la presunta discriminazione della donna, a causa della sacerdozio esclusivamente maschile, è in gran parte mediatica. L’utopia dell’uniformità assoluta, la fobia per la diversità è un prodotto fortemente negativo della modernità, bene fa anche la Chiesa cattolica a rimanerne impermeabile.

Susie Leafe, una delle 2.200 donne che ha votato contro la riforma, ha spiegato: «Non si tratta di una questione di sessismo E’ una questione di convinzione teologica, e attraversa tutti i generi. La Sacra Scrittura è chiara, dice che uomini e donne sono uguali ma anche diversi. Ognuno deve stare al proprio posto». Recentemente in Italia anche suor Viviana Ballarin, presidente dell’organismo dal quale dipendono tutti gli ordini religiosi femminili italiani (USMI), ha affermato«Non sono smaniosa di rivendicazioni per quanto riguarda le questioni teologiche aperte. Come donna mi sento pienamente realizzata sia nella mia identità che nella mia missione. Se un giorno il sacerdozio e il diaconato verranno dati alle donne ben venga, mi pare però che ciò che conta veramente per ogni donna sia vivere quella diaconia e quel sacerdozio che sono stati impressi nella sua carne come fuoco il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio».

La questione è stata affrontata in maniera molto interessante da don Matteo Graziola, il quale ha spiegato: «nella Chiesa la maternità accogliente e la paternità inviante sono essenziali. Non si dà Chiesa senza queste due dimensioni: una Chiesa che fosse accoglienza, ma non fosse missione, o una Chiesa che fosse missione ma non fosse accoglienza, sarebbe sfigurata, ridotta, incompleta, squilibrata. Ora, storicamente Cristo ha legato il sacerdozio alla dimensione paterna, maschile. Cioè alla missione. Non a caso esso è stato conferito agli Apostoli, cioè agli ‘inviati’. Significa forse che la donna è stata mortificata, esclusa, emarginata? Sarebbe assurdo pensare una cosa simile. Niente di più estraneo alla logica di Cristo. La donna ha un ruolo essenziale nella Chiesa, che è appunto quello della dimensione materna, affettiva, accogliente […]. Non è lecito mettere in discussione la scelta di Cristo circa il sacerdozio maschile: essa va obbedita anche se non si capiscono tutte le sue ragioni. La Chiesa non può modificarla. Accettarla è anzitutto un atto di obbedienza e di amore a Cristo. Del resto la ragione fondamentale è ben chiara: il sacerdote deve agire in persona Christi, cioè rappresentando Cristo, e come tale gli deve essere conforme anche nell’identità maschile».

Ricordiamo un articolo di approfondimento che abbiamo scritto qualche tempo fa, riprendendo la visione di Benedetto XVI, di Vittorio Messori e di padre Angelo Bellon.

Mentre la Chiesa anglicana è in grave crisi d’identità a causa del cedimento progressista di molti suoi membri (dal 1992 sono ammesse le donne prete), spaventati dalla società laicista, la Chiesa cattolica è anche su questa tematica salda con le sue ragioni sulla roccia della tradizione (fortunatamente indietro di ben 2013 anni, e non di solo 200 come diceva il card. Martini), per nulla sessista, tant’è che nel mese scorso altre undici suore anglicane hanno deciso di entrare nella Chiesa cattolica,  aumentando così il numero degli ex anglicani che hanno scelto di far ritorno a casa.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il giovane Andrea non si è suicidato per omofobia o bullismo

Fiaccolata per AndreaAppena si è diffusa nel novembre scorso la notizia del suicidio del giovane Andrea, studente 15enne di Roma, i leader della cosiddetta lobby omosessuale hanno tentato di strumentalizzare questo tragico gesto per tirare acqua al loro mulino. Gay Center, ad esempio, attraverso il portavoce  Fabrizio Marrazzo, ha subito divulgato un comunicato dicendo: «si è ucciso perché veniva vessato in quanto omosessuale».

Il portavoce di Gay Center si è anche inventato che Andrea non facesse mistero della sua omosessualità davanti ai compagni e che una pagina Facebook lo avrebbe preso in giro per questo. Ma gli stessi compagni hanno scritto una lettera «per smentire ciò che è stato pubblicato nell’edizione dei quotidiani nel giorno 22/11/2012 riguardo al suicidio di un nostro compagno di classe. Noi, gli amici, abbiamo sempre rispettato e stimato la personalità e l’originalità che erano il suo punto di forza. Non era omosessuale, tanto meno dichiarato, innamorato di una ragazza dall’inizio del liceo». La pagina Facebook, invece«era una pagina costruita con lui», come ha stranamente riconosciuto anche Paola Concia, citata nell’editoriale de Il FoglioAnche i genitori di Andrea hanno negato l’omosessualità del figlio, sottolineando il suo innamoramento verso una sua coetanea.

Dopo che tutti i media hanno riportato la notizia, compresa la falsa informazione (inducendo anche a marce in alcune città contro l’omofobia), alcuni hanno finalmente riconosciuto che l’omofobia non c’entrava nulla, sostenendo però che il ragazzo fosse effeminato e questo avrebbe comunque causato episodi di bullismo. Tuttavia la Procura di Roma ha abbandonato anche questa pista (oltre a quella dell’omofobia) perché nessun elemento a sostegno di tale teoria è stato rilevato. Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il pm Pantaleo Polifemo ritengono che si tratti di un fatto “intimo”.

Ma perché gli strateghi “pink” (così come alcuni organi di stampa) hanno interesse a presentare gli omosessuali come vittime del feroce popolo eterosessuale, anche quando le cose non stanno così? A che scopo architettare le numerose finte aggressioni omofobiche? Forse pensano che martellando sull’equazione “omosessuale=vittima” riescano più facilmente e velocemente a far cambiare idea alla società sulla moralità del comportamento omosessuale, le nozze e l’adozione per le coppie dello stesso sesso? Lo scopo di queste continue strumentalizzazioni è dunque meramente politico? La risposta è probabilmente affermativa.

Attenzione: l’omofobia purtroppo esiste e va condannata e prevenuta sempre, senza alcuna eccezione, così come vanno condannati tutti i tipi di discriminazione, ma la realtà è differente da quella raccontata dagli omosessuali militanti, e questo tragico episodio lo dimostra. In ogni caso, occorre ribadire che «la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La miglior prevenzione contro la droga è la famiglia

Famiglia Sarà pure in crisi e in declino rispetto a qualche decennio fa; sarà pure – come sostengono alcuni – un modello di vita arcaico e superato, ma oltre a garantire stabilità affettiva fra i partner ed essere il luogo privilegiato per l’educazione e la crescita dei figli, la cara vecchia famiglia è anche alla base, più di qualsivoglia programma scolastico o di sensibilizzazione, della più efficace prevenzione del consumo di droghe fra i giovani. Una banalità, si potrebbe dire.

E invece no, perché i risultati di una recente ricerca pubblicata sul Journal of Drug Issues non sono stati raggiunti confrontando “buone famiglie” con situazioni familiari più critiche, bensì raffrontando – sulla base di uno studio longitudinale con informazioni su oltre 10.000 studenti – il “capitale sociale familiare” , ossia come il legame tra genitori e figli (specie in termini di comunicazione e fiducia) col “capitale sociale scolastico”, ossia la capacità di una scuola di essere un ambiente positivo per crescita ed approfondimento.

Ebbene, esaminando separatamente l’uso di alcol e di marijuana, in entrambi i casi i ricercatori hanno rilevato come gli studenti con alti livelli di “capitale sociale familiare” e bassi livelli di “capitale sociale scolastico” abbiano meno probabilità di fumare o bere rispetto a quelli con alti livelli di “capitale sociale scolastico” ma bassi livelli di “capitale sociale familiare”. Secondo gli autori, nonostante l’elevato valore dei programmi scolastici contro l’uso di droghe, i genitori rivestono un ruolo decisivo nel plasmare le decisioni dei loro figli riguardanti il consumo di alcol e marijuana. I risultati di questo studio suggeriscono nuovi potenziali elementi da considerare nella progettazione di interventi di prevenzione.

Morale: una società ed uno Stato che, anziché ostacolarla o non considerarla, decidessero – rispetto agli strumenti economici e di politiche sociali a disposizione – di investire sulla famiglia e sulla sua stabilità, contribuirebbero non poco alla riduzione del consumo di stupefacenti e, conseguentemente, alla prevenzione di fenomeni criminali. Perché allora non aprire gli occhi e, accanto alle pur apprezzabili campagne di sensibilizzazione,  procedere in questa strada?

Giuliano Guzzo

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Ernesto Galli della Loggia: «da laico, il mio no alle nozze gay»

galli della loggia corriereErnesto Galli della Loggia, editorialista de Il Corriere della Sera, interviene nel dibattito sul matrimonio tra persone dello stesso sesso manifestando il suo dissenso laico e non confessionale.

 

Siamo contenti di dare atto al Corriere della Sera di aver iniziato con il 2013, o almeno tentato di iniziare, a trattare l’argomento omosessualità in modo oggettivo e comunque al di sopra delle parti, limitando le marchette alla lobby gay che caratterizzavano i suoi articoli fino a poco tempo fa.

Certo, la voce isolata di Beppe Severgnini è sempre stata pubblicata (anche qui), ma non si era mai visto un editorialista prendere una decisa posizione contro alle nozze o all’adozione per le coppie dello stesso sesso. E’ accaduto invece il 30 dicembre scorso, quando Ernesto Galli della Loggia, noto intellettuale italiano nonché ordinario di Storia contemporanea presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) e direttore del corso di dottorato di ricerca in Filosofia della storia, ha scritto un articolo commentando l’imminente modifica antropologica del matrimonio in Francia, aprendolo anche agli omosessuali.

 

Galli della Loggia contro Hollande e dalla parte del Gran Rabbino di Francia.

Galli della Loggia ha ripreso l’importante testo diffuso per l’occasione dal Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, con il quale ha criticato la decisione del governo Hollande. L’editorialista del Corriere ha spiegato che «quando da noi si parla di temi che in qualche modo coinvolgono la fede religiosa l‘ebraismo tenda a non avervi e/o prendervi alcuna parte. E quindi a non essere mai menzionato. Basta porre mente a tutta la discussione sulla liceità dell’ingegneria genetica, dell’eutanasia o del matrimonio tra omosessuali. Dibattendosi di queste cose è come se l’ebraismo fosse disceso nelle catacombe tanto la sua voce è tenue o assente. Con il risultato che la voce della Chiesa cattolica, invece, è facilmente presentata come la sola che in nome di una visione religiosa arcaica sia impegnata a difendere posizioni che la vulgata democratica qualifica come “reazionarie”». Il Gran Rabbino francese, invece, ha mostrato quanto siano «assai profondi i legami teologici e dottrinari tra l’ebraismo e il cattolicesimo (e il cristianesimo in generale, direi)».

 

Nozze gay e il criterio dell'”amore e del consenso reciproco”.

La modalità con cui Bernehim si è posto contro al matrimonio omosessuale, l’omoparentalità e l’adozione, ha continuato Ernesto Galli della Loggia, «a me sembra condivisibile anche dal punto di vista di un non credente», infatti, «egli smonta uno ad uno gli argomenti abitualmente usati a favore del matrimonio omosessuale: dall’esigenza della protezione giuridica del potenziale congiunto, all’importanza del volersi bene (“non si può riconoscere il diritto al matrimonio a tutti coloro che si amano per il solo fatto che si amano”: per esempio a una donna che ami due uomini); alle ragioni affettive che giustificherebbero l’adozione di un bambino da parte di una coppia omosessuale». Se infatti il criterio per riconoscere una relazione affettiva si basa sulla mera presenza dell’amore e del consenso reciproco, come abbiamo già discusso in passato, perché accettare le relazioni omosessuali e non quelle incestuose o poligamiche? O si riconosce e si equipara al matrimonio ogni relazione sentimentale per non discriminare nessuno, oppure il criterio utilizzato è sbagliato.

 

“Gli psicoanalisti non abbiano paura, anche se non conformi al mainstream”.

L’ebraismo e il cattolicesimo, ha concluso Galli della Loggia, difendendo «le basi stesse della società in cui vogliamo vivere, l’esistenza ontologica di due sessi distinti, l’alleanza dell’uomo e della donna nell’istituzione chiamata a regolare la successione delle generazioni, nonché il rischio di cancellare in modo irreversibile tale successione nel momento in cui fanno ciò, sembrano confermare quanto sostenuto a suo tempo da Jurgen Habermas circa l’importanza che ha e deve avere il punto di vista della religione nel discorso pubblico delle nostre società. Tale punto di vista, infatti, è spesso prezioso per comprendere da parte di tutti, credenti e non credenti, di ogni persona libera ciò che queste società hanno oggi il potere di fare. E dunque, per misurare la rottura che le loro decisioni possono rappresentare rispetto alle radici più profonde e vitali della nostra antropologia e della nostra cultura».  E’ importante, infine,  che «personalità autorevoli (per esempio gli psicanalisti) non abbiano paura di far sentire la loro opinione: anche quando questa non è conforme a quello che appare il mainstream delle idee dominanti», altrimenti «non manca di farsi puntualmente sentire il pregiudizio che tende a fare del cattolicesimo la testa di turco più adatta per essere additato alla pubblica esecrazione dalle vestali dell’illuminismo e per vedersi piovere addosso tutti i colpi (e tutte le presunte colpe) del caso».

 

Le Famiglie Arcobaleno rispondono a Galli della Loggia.

A questo articolo di Galli della Loggia, il Corriere ha dato la possibilità di rispondere ad un genitore omosessuale, Tommaso Giartosio, delle cosiddette Famiglie Arcobaleno, il quale -come di consueto- ha parlato a nome di sua figlia di sette anni, dicendo che lei è tanto contenta e vorrebbe addirittura vedere sposati i suoi genitori, e altri argomenti basati sul piano sentimentale. Facciamo notare che anche i figli di due genitori incestuosi o poligamici potrebbero avere lo stesso desiderio di vedere i genitori sposati, ma questo difficilmente sarebbe un argomento decisivo a favore del riconoscimento dell’incesto o della poligamia, dunque ancora una volta l’argomento usato non è adeguato. Inoltre, quando questi figli crescono e maturano,  il loro giudizio cambia notevolmente, lo ha dimostrato pubblicamente Robert Lopez, docente di lingua inglese presso la California State University di Northridge, affermando: «sono cresciuto con genitori omosessuali, è stata una disgrazia». Anatemi contro Galli della Loggia sono puntualmente arrivati dai Radicali e da Gad Lerner, ma le reazioni sono meno interessanti e non le prenderemo in considerazione.

 

La replica dell’intellettuale: “stigmatizzano opinioni, non smentiscono gli argomenti”.

Al rappresentante delle Famiglie arcobaleno  ha comunque replicato lo stesso Galli della Loggia, spiegando che quanto dice non «confuta nella sostanza – ripeto: nella sostanza, cioè con argomenti inerenti alla natura delle cose in questione – le affermazioni che intende contrastare. Si limita a stigmatizzare le opinioni che non condivide mediante analogie improprie e definizioni negative: entrambe prive di qualunque reale valore argomentativo. Egualmente deplorevole, a mio avviso, è il vezzo di considerare ciarlatani o delinquenti tutti gli studiosi che non condividono il pensiero gay in base al semplice fatto (peraltro da accertare) che un paio di costoro sono stati colpiti da sanzioni o scoperti a mentire. Come dire che siccome sono stati scoperti due dentisti che imbrogliavano le carte sostenendo l’esistenza di carie dove non c’erano, allora l’intera odontotecnica è priva di fondamenta. Se mi è permesso, consiglierei l’associazione delle Famiglie Arcobaleno di discutere in modo più adeguato all’importanza dei problemi in questione».

L’opposizione alle nozze e all’adozione gay è una difesa della ragione naturale, non è una posizione religiosa. Lo dimostra il fatto che che tale contrarietà è condivisa anche da non credenti come Galli della Loggia o Corrado Augias, o omosessuali stessi come Xavier Bongibault (gay non credente), Jean-Pierre Delaume-Myard,  Richard WaghorneAndrew PierceDavid BlankenhornRupert Everett e Doug Mainwaring.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

I principi non negoziabili e i cattolici “adulti”

Benedetto XVI scriveDesideriamo pubblicare su questo sito l’articolo del giurista Francesco D’Agostino, ordinario di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica, di cui è membro fondatore, sui cosiddetti “principi non negoziabili”. La maggior opposizione alla Chiesa in Occidente non arriva oggi dalle componenti laiciste e anticlericali (deboli di numero e di argomenti), ma dall’incoerenza e illusoria emancipazione di numerosi cattolici (laici e sacerdoti) dal Magistero della Chiesa, al quale però, liberamente auto-definendosi cattolici, hanno in realtà accettato come riferimento morale.

Il cattolico che cede alla grande tentazione di decidere lui cosa sia e dove stia la Verità, perde l’umiltà richiesta da Gesù: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 1-5). Qual’è la caratteristica dei bambini? E’ l’umiltà, per l’appunto, cioè il riconoscere di aver bisogno di un altro per diventare pienamente se stessi, il bambino rappresenta l’umiltà dell’uomo davanti alla Chiesa, che accetta di mettere da parte il suo progetto per ascoltare, capire (domandare e pregare Dio di capire) e accettare quel che Essa, fondata sulla successione apostolica, ha da insegnare. L’adulto è colui che riconosce di aver bisogno, non chi pensa di essere autosufficiente (o, meglio, si illude di essere tale).

 

di Francesco D’Agostino, giurista
da Avvenire 07/12/12

 

La categoria della “non negoziabilità” è emersa per la prima volta nel Magistero della Chiesa nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica emanata il 24 novembre del 2002 dalla Congregazione per la dottrina della fede. La Nota era firmata dal cardinale Joseph Ratzinger, nella qualità di Prefetto della Congregazione e venne approvata da Papa Giovanni Paolo II.

Nel paragrafo 3 della Nota si ribadisce che «non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete – e meno ancora soluzioni uniche – per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno». Se però, aggiunge la Nota, il cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali», egli è ugualmente chiamato «a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili».

Nel prosieguo della Nota, e in particolare nel paragrafo 4, si procede a una esemplificazione di questi principi, dopo aver ribadito che «la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona». Le esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, nelle quali è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona, sono quelle che emergono nelle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia, quelle che concernono la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso, protetta nella sua unità e stabilità e alla quale non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza; quelle che garantiscono la libertà di educazione ai genitori per i propri figli.

L’esemplificazione ovviamente non è esaustiva. La Nota infatti continua richiamando la tutela sociale dei minori e la liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (come la droga e lo sfruttamento della prostituzione), includendo in questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà. E infine si richiama come essenziale in questa esemplificazione il grande tema della pace. Non deve destare meraviglia il fatto che l’espressione principi non negoziabili, elaborata da Joseph Ratzinger Cardinale, sia stata da allora ripresa molte volte da Joseph Ratzinger come Papa Benedetto XVI e, naturalmente, in altri documenti del Magistero, fino al punto che tale espressione è ormai divenuta frequente ogni qual volta si discuta sulle posizioni in merito alle quali la Chiesa e i cattolici non possono e non devono transigere.

È chiaro, in base ai testi che abbiamo citato, che l’ammonimento del Papa a difendere fino i fondo questi principi è rivolto in primo luogo ai cattolici che partecipano alla vita politica. Ma è lecito interrogarsi se i giuristi non debbano sentirsi anche loro destinatari di un invito così autorevole. La risposta, ovviamente, è positiva. I giuristi non solo possono, ma devono assumere i principi indicati da Benedetto XVI (la promozione del bene comune, l’impegno per la pace, la difesa della vita e della famiglia, il pieno riconoscimento della libertà di educazione) come giuridicamente non negoziabilie assimilarli a quei principi che, nel loro lessico tradizionale, costituiscono l’ossatura del diritto naturale. Ai giuristi è infatti sufficiente rilevare che, se non si assumono questi principi come non negoziabili, la costruzione di un qualsivoglia sistema giuridico diviene impossibile. Facciamo alcuni esempi. Un potere rescisso dal bene comune può pure imporsi sulla faccia della terra (e storicamente si è imposto innumerevoli volte), ma non come ordinante e pacificante (secondo quella che è la vocazione del diritto), bensì nella sua dimensione di forza bruta e cieca.

Se la vita non è tutelata giuridicamente dal suo inizio fino alla sua fine naturale, l’esistenza dell’individuo cade inevitabilmente nelle mani di poteri biopolitici, governati dalla logica glaciale della funzionalità riproduttiva. Se la famiglia non viene riconosciuta come l’ordine antropologico primario, antecedente a qualsivoglia ordine politico, perché, a differenza di questo, è dotato di una naturalità non convenzionale, l’identità personale di ogni essere umano diviene evanescente e cade nella disponibilità delle forze occasionalmente prevalenti. Se si nega ai genitori la libertà di educare ai propri valori i figli per affidarla unicamente allo Stato, la formazione delle nuove generazioni verrà inevitabilmente modellata sui paradigmi impersonali della politica e non su quelli personali dell’unico luogo, cioè il contesto familiare, nel quale l’individuo può farsi riconoscere e riconoscere l’altro in una logica di comunicazione totale.

Negoziare su tali principi implica mettere in discussione non opzioni individuali per il bene (cosa che è sempre, in linea di principio, lecita), ma l’esistenza stessa di un bene umano universale, al quale tutte le persone hanno il diritto di attingere. Se è diverso l’orientamento al bene umano proprio dei politici, rispetto a quello proprio dei giuristi, non può essere diverso l’impegno di testimonianza che nei confronti del bene devono assumere gli uni e gli altri. La coerenza eucaristica, che il Papa cita come ammonimento ai credenti, va tradotta e professata dai giuristi cattolici come una vera e propria coerenza antropologica o, se si vuole, di servizio limpido e infaticabile al bene dell’uomo.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

I limiti del naturalismo e la rinascita della filosofia cristiana

William Lane Craig e Alvin PlantingaDavvero interessante l’articolo del filosofo e teologo William Lane Craig apparso recentemente sul Washington Post. L’argomento è una critica al naturalismo, prendendo spunto dall’iniziativa dell’American Humanist Association di promuovere un sito web per bambini, fornendo un punto di vista naturalistico (o ateo) sulla scienza, la sessualità, e altri argomenti. 

Il naturalismo è fortemente sostenuto dal movimento dei “New Atheist”, che Lane Craig definisce «un fenomeno pop culturale privo intellettualmente di muscoli e beatamente ignorante della rivoluzione che ha avuto luogo nella filosofia accademica. Nei miei dibattiti con filosofi e scienziati naturalistici sono stato francamente sbalordito dalla loro incapacità di confutare i vari argomenti su Dio e fornire argomenti convincenti per il naturalismo»

Inoltre, ha continuato, il naturalismo deve affrontare gravi problemi di esistenza. Il filosofo Alvin Plantinga ha infatti sostenuto in modo convincente che il naturalismo non può nemmeno essere razionalmente affermato perché se è vero il naturalismo, allora la probabilità che le nostre facoltà conoscitive siano affidabili è piuttosto bassa (la questione è stata affrontata anche sul nostro sito web). In brevi parole: se il naturalismo fosse vero, non potremmo avere alcuna fiducia sulla verità delle nostre facoltà conoscitive, dunque anche la credenza del naturalismo in sé. Così, il naturalismo sembra avere una falla che lo rende incapace di essere razionalmente affermato.

Ma l‘umanista, prosegue il filosofo, ha problemi ancora maggiori. Secondo lui i valori morali oggettivi sono fondati sugli esseri umani e questo è in contraddizione sia con il teismo -il quale sostiene che i valori morali oggettivi sono fondati in Dio-, sia con il nichilismo, -il quale sostiene che i valori morali sono infondati e quindi in ultima analisi soggettivi e illusori-. «L’umanista», ha quindi concluso, «è impegnato in una lotta su due fronti: da una parte contro i teisti e dall’altra parte contro i nichilisti. In particolare, egli deve dimostrare che, anche in assenza di Dio, il nichilismo non sarebbe vero». 

William Lane Craig ha anche citato uno studio di Quentin Smith, docente presso il Dipartimento di Filosofia della Western Michigan University, intitolato La metafilosofia del Naturalismo, nel quale si spiega come la comunità filosofica oggi -al contrario del secolo scorso- sia in maggioranza formata da teisti cristiani, «con più di cinque riviste dedicate al teismo filosofico o alla filosofia della religione». La maggioranza dei filosofi naturalisti «ha reagito ignorando l’aumento di desecolarizzazione della filosofia, procedendo a lavorare nella propria area di specializzazione». Ha dunque riconosciuto Smith: «Dio non è “morto” in ambito universitario, è tornato in vita alla fine del 1960 ed ora è vivo e vegeto nella sua roccaforte accademica: il dipartimento di filosofia».

Lo stesso Lane Craig ha a sua volta confermato: «La rinascita della filosofia cristiana è stata accompagnata da una rinascita di interesse per gli argomenti dell’esistenza di Dio, basati sulla ragione e sulle sole prove, senza la risorsa della rivelazione divina. Tutti gli argomenti tradizionali per l’esistenza di Dio, come quelli cosmologici, gli argomenti teleologici, morali e ontologici, e nuovi argomenti, trovano intelligenti difensori nell’articolato panorama filosofico contemporaneo».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace