Libro del Papa: le fallaci critiche di Vito Mancuso

L'infanzia di Gesù 
 
di Stefano Biavaschi*
*teologo

 

Che un uomo, ordinatosi sacerdote, possa gettare la tonaca alle ortiche solo un anno dopo, sono fatti suoi (per modo di dire, perché ogni fatto è di tutti, specie se sei un uomo di chiesa). Ma che poi lo stesso uomo pretenda di dare lezioni al Papa, appare un po’ eccessivo. Eppure è quello che Vito Mancuso fa tutti i giorni con i suoi scritti.

E, si sa, appena qualche teologo eterodosso attacca il Papa o il Magistero, c’è sempre qualcuno pronto a fargli fare carriera, come fa (naturalmente) il quotidiano La Repubblica che dal 2009 gli concede una rubrica fissa (cosa che non avverrebbe mai per un teologo in linea con l’insegnamento della Chiesa). E quando Mancuso scrive, subito la grancassa mediatica fa riecheggiare i suoi articoli un po’ dappertutto.

Qua e là sta ancora comparendo, per esempio, il suo articolo del 21 novembre 2012 in cui contesta le affermazioni del Papa sul Natale, che nel suo ultimo libro L’Infanzia di Gesù aveva dimostrato la storicità dei racconti riguardanti la Natività. Ed ecco la replica sconclusionata di Vito Mancuso in quell’articolo: «Prima della nascita di Gesù, Maria e Giuseppe o risiedevano a Nazareth (Luca) o risiedevano a Betlemme (Matteo); il loro viaggio da Nazareth a Betlemme o ci fu (Lc) o non ci fu (Mt); Gesù nacque o in casa dei genitori (Mt) o in una mangiatoia (Lc); la strage dei bambini di Betlemme o accadde (Mt) o non accadde (Lc); i genitori o fuggirono in Egitto per salvare il bambino dai soldati di Erode (Mt) o andarono al tempio di Gerusalemme per la circoncisione senza che i soldati di Erode si curassero del bambino (Lc); la famiglia da Betlemme o tornò subito a casa a Nazareth di Galilea (Lc), oppure si recò a Nazaret solo dopo essere stata in Egitto e per la prima volta (Mt)… I dati stanno o come li presenta Matteo, o come li presenta Luca, oppure né in un modo né nell’altro, in ogni caso non sono armonizzabili. Quindi se fosse vero, come scrive Ratzinger, che Matteo e Luca “volevano scrivere storia, storia reale, avvenuta” (p. 26), ci troveremmo davvero in un bel guaio, perché uno dei due evangelisti sicuramente sarebbe in errore».

In sostanza, scrive Mancuso, gli evangelisti sono in errore, il Papa è in errore, mentre lui non sbaglia mai. Eppure prendendo in mano i passi citati, non si trova alcuna contraddizione tra i due evangelisti, come scrive Mancuso, né sono confermate le sue affermazioni azzardate. Vediamo perché:
1) Prima della nascita di Gesù, Maria e Giuseppe risiedevano a Nazareth, e non c’è nessun passo in Matteo che sostenga il contrario.
2) Il viaggio da Nazareth a Betlemme raccontato da Luca non è affatto negato da Matteo: semplicemente non viene da lui narrato.
3) Matteo non scrive affatto che Gesù nasce “in casa dei genitori”, come scrive Mancuso, anzi in Mt 2,1 l’evangelista dice chiaramente che “Gesù nacque in Betlemme di Giudea”, ove certamente non vivevano i genitori, che erano dimorati a Nazareth.
4) La strage dei bambini di Betlemme non è affatto negata da Luca: semplicemente non viene da lui riportata. Mancuso insiste con il pensare che se una notizia non è riportata da tutti allora non è autentica. Come se un fatto di oggi possa non essere veritiero se solo qualcuno non lo racconta. Anzi, potrebbe essere vero il contrario: che dei fatti non vengano raccontati in quanto già raccontati da altri.
5) Secondo Mancuso la circoncisione di Gesù al tempio, narrata da Luca, escluderebbe la fuga in Egitto narrata da Matteo. E perché mai? Sappiamo bene che la circoncisione narrata in Luca avvenne nell’ottavo giorno dalla nascita, ma Matteo, invece, non riporta affatto la data esatta in cui si sarebbe manifestato il pericolo dei soldati di Erode, che poteva benissimo essersi
manifestato dopo la circoncisione stessa.
6) Lo stesso ragionamento vale per l’apparente contrasto tra la fuga in Egitto ed il ritorno a Nazaret: di entrambi i fatti gli evangelisti non riportano le date, per cui i due fatti possono benissimo essere letti in successione. Del resto, al termine della fuga in Egitto, Matteo scrive che Giuseppe, preso con sé il bambino e la madre, “andò ad abitare in una città chiamata Nazareth” (Mt 2,23), ricongiungendosi col racconto di Luca che scrive “fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth” (Lc 2,39).

In conclusione non è affatto vero che i racconti dei due evangelisti non siano armonizzabili tra loro, come scrive Mancuso; e del resto un teologo dovrebbe sapere che il compito degli evangelisti, pur raccontando fatti veri, non era quello di tracciare biografie nella concezione moderna del termine. Ci rimane dunque l’amara impressione che si voglia generare confusione tra i credenti. Anche perché questo non è l’unico caso, né l’unico autore, in cui ci s’imbatte nella tesi delle finte contraddizioni. Tesi che però inganna molti, perché poi sono pochi quelli che vanno a verificare davvero le fonti.

La lettura dei Vangeli non è certo facile, e spesso occorre una valida esegesi, fondata sulla testimonianza dei Padri e sulla Tradizione, illuminata all’insegnamento del Magistero; ma ci sembra che l’andare a costruirsi delle difficoltà inesistenti (magari solo per fare notizia) faccia il gioco di quei demolitori della verità sempre pronti a dare spazio a chi suona la loro stessa musica.

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Suicidio: protestanti più dei cattolici

DepressioneIl suicidio, al di là dell’evidente valutazione negativa morale e religiosa, è uno degli indici di benessere più significativi e facilmente accertabile in maniera oggettiva e statistica. Già dalla classica ricerca di Durkheim (1897), che viene considerato il primo studio scientifico sociologico, è noto che tra le persone credenti, rispetto alle non credenti, si riscontra un minore tasso di suicidi. E nello specifico si riscontrano minori suicidi tra i cattolici rispetto ai protestanti.

L’interpretazione del fenomeno fornita dal padre della sociologia verteva sul concetto di “anomia“: le persone senza leggi (a-nomos), o meglio senza forti relazioni e condizionamenti sociali, si sentono di fatto più sole, dunque con meno risorse utili a disposizione per affrontare le piccole e grandi fatiche che la vita quotidianamente riserva. Le persone credenti hanno però degli ideali a cui aggrapparsi e dai quali trovare consolazione. E i cattolici, più che i protestanti, sono inseriti in comunità e relazioni sociali (con meno anomia) che li possono eventualmente aiutare con sostegno emotivo, informazioni e mezzi.

A più di un secolo dalla ricerca apripista di Durkheim, può essere utile segnalare la recente (agosto 2012) ricerca su tema divulgata da ricercatori universitari, compiuta esaminando i suicidi avvenuti tra 1981 e 2001 in Svizzera, dove convivono la fede cattolica e quella protestante nelle sue varie denominazioni. Si tratta di un elemento particolarmente prezioso, perché relativo a un campione complessivamente conforme quanto a struttura politica e situazione socio-economica. Il risultato non desta sorprese: rispetto ai cattolici, ancora i protestanti sono più propensi al suicidio. Nello specifico: a parità di fattori socioeconomici (p.es. reddito, stato famigliare…) più è alta la quota di cattolici in un cantone, minore è il tasso di suicidi.

Chissà se Martin Lutero, ovunque si trovi ora, ha mai ripensato a quello che ha causato con i suoi scritti alla Chiesa e alla società. Personalmente non ho dubbi che, se potesse tornare a quel 31 ottobre 1517, si guarderebbe bene dall’appendere quel manifesto al portone della chiesa…

Roberto Reggi

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Castità prematrimoniale: le convincenti ragioni in un video

Jason e Crystalina EvertDurante la sua visita pastorale negli USA  del 15-21 aprile 2008, Benedetto XVI ha descritto come “evidente” l’indebolimento nella società americana dell’istituzione del matrimonio e il «diffuso rifiuto di una responsabile e matura etica sessuale, fondata sulla pratica della castità, che ha portato a gravi problemi sociali con immensi costi umani ed economici».

Gli studi, infatti, mostrano chiaramente come chi convive prima del matrimonio percepisce una minore qualità del rapporto sentimentale e sopratutto presenta maggiori tassi di separazione coniugale e di divorzio, confutando la vulgata sulla convivenza come migliore preparazione al matrimonio (qui altri studi sul tema).

La posizione della Chiesa cattolica, come sempre lungimirante, chiede ai fidanzati di «vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un l’altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità». Questa posizione, come spiegato bene dal sociologo Giuliano Guzzo, non è contraria alla sessualità in quanto essa è ben più ampia di quella che si può consumare tra le lenzuola. Il rapporto sessuale unitivo non è la sola manifestazione di sessualità.

Ma quali sono le ragioni per cui la Chiesa chiede la castità pre-matrimoniale? Lo spiegano in modo bellissimo e convincente i due fidanzati Jason & Crystalina Evert durante una delle loro tante conferenze nei licei americani. La castità, come spiegata da loro, diventa avvincente, sensata e alla portata da tutti perché basata su ragioni laiche, e non soltanto religiose. Ammiriamo questi ragazzi per il loro coraggio ad andare controcorrente, così come recentemente ha detto Benedetto XVI: «Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”». Buona visione!

 

Qui sotto il video-testimonianza di Jason & Crystalina Evert

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La redazione

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La Consulta di Bioetica: «legittimo uccidere un neonato»

Consulta di BioeticaMolti ricorderanno le  dichiarazioni pro-infaticidio di Alberto Giubilini e Francesca Minerva, due responsabili della Consulta di Bioetica Onlus -ovvero l’avanguardia per la visione laicista della bioetica (Englaro e Flamigni come presidenti onorari)-, guidata da Maurizio Mori, pubblicate sul “Journal of Medical Ethics”.

I due ricercatori hanno sostenuto che ««uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile». Essi ritengono lecito l’aborto post-partum finché il soggetto non è «in grado di effettuare degli scopi e apprezzare la propria vita». E’ questo che, secondo loro, significa diventare «persone nel senso di ‘soggetti di un diritto morale alla vita’». Tuttavia «i feti ed i neonati non sono persone, sono ‘possibili persone’ perché possono sviluppare, grazie ai loro meccanismi biologici, le proprietà che li rendono ‘Persone’». E’ lecito ucciderli perché «affinché si verifichi un danno, è necessario che qualcuno sia nella condizione di sperimentare tale danno».

L’indignazione è stata internazionale, anche se nel nostro articolo abbiamo sottolineato come tale pronunciamento da parte dei maggiori esponenti della bioetica laica, ovvero quella che si oppone legittimamente alla visione cattolica, dimostrano a loro volta l’aberrazione dell’aborto, dato che non vi è alcuna differenza di status morale tra un bambino il giorno prima della nascita e un giorno dopo: «Se pensiamo che l’aborto è moralmente permesso perché i feti non hanno ancora le caratteristiche che conferiscono il diritto alla vita, visto che anche i neonati mancano delle stesse caratteristiche, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post-nascita», scrivono i due ricercatori. Il presidente della Consulta di Bioetica Onlus, Maurizio Mori, non ha voluto prendere le distanze da Giubilini e Minerva, sostenendo che «non si può, tuttavia, dire»ha affermato«che la tesi sia di per sé tanto assurda e balzana da essere scartata a priori solo perché scuote sentimenti profondi o tocca corde molto sensibili».

Ebbene, l’11 gennaio scorso all’Università di Torino, i due responsabili della Consulta di Bioetica hanno ribadito la loro posizione. Hanno ringraziato Maurizio Mori, direttore del master di Bioetica all’ateneo di Torino, per aver organizzato il dibattito e il loro maestro, il laicissimo Peter Singer, secondo il quale: «Nè un neonato nè un pesce sono persone, uccidere questi esseri non è moralmente così negativo come uccidere una persona […]. I feti, i bambini appena nati e i disabili sono non-persone, meno coscienti e razionali di certi animali non umani. E’ legittimo ucciderli». 

Tuttavia Giubilini e Minerva si sono spinti anche oltre: «noi abbiamo aggiunto solo un pezzetto: il fatto che non occorra che il neonato sia disabile per poterlo uccidere».  Inoltre, «non basta per esempio provare piacere o dolore, perché ciò avviene anche a un feto, serve uno sviluppo neurologico superiore, cioè avere degli scopi, delle aspettative verso il futuro, provare un interesse per la vita. E un neonato non li ha»Maurizio Mori, presente alla conferenza, ha aggiunto che la loro tesi è un  argomento degno di serio dibattito: «Siete troppo modesti. Non avete aggiunto solo un pezzetto, avete anche inventato un nome: aborto post-nascita».

In una situazione “paradossale” si è detto Giovanni Fornero, storico della filosofia e dichiaratamente laico: «la bioetica laica reagisca: come dice Bobbio, non lasciamo ai soli cattolici la prerogativa di combattere affinché il precetto di non uccidere sia rispettato». Presenti all’evento anche i cattolici Assuntina Morresi e Adriano Pessina, che ovviamente hanno smontato le assurde e criminali tesi della bioetica laica.

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Omosessuali contro le nozze gay: «la famiglia è una sola»

Signorini e BindelAnche in Inghilterra è aperto il dibattito sui matrimoni omosessuali dato che David Cameron ha deciso che non basta più il “Civil Partnership Act”, il quale garantisce dal 2005 una forma di unione civile alle coppie dello stesso sesso con diritti equiparabili a quelle sposate, ma formalizzata in un registro a sé.

La regolamentazione delle coppie di fatto, infatti, servono solo come trampolino di lancio verso il matrimonio e l’adozione gay. Lo ha dichiarato recentemente Livia Turco, parlamentare PD: «se andremo al governo come ha detto Bersani, faremo subito una legge per riconoscere le coppie di fatto. Una volta accettato questo poi sarà difficile negare a queste famiglie la possibilità in futuro dell’affidamento e dell’adozione»

La maggioranza del partito di Cameron, tuttavia, sembra essere contraria, come anche il 70% dei cittadini inglesi.  Eppure secondo il premier conservatore, gli omosessuali hanno bisogno del matrimonio vero e proprio. A contraddirlo apertamente, c’è un articolo pubblicato nell’ultimo numero del settimanale Spectator. L’autrice è Julie Bindel: cinquant’anni, scrittrice, giornalista e famosa attivista per i diritti degli omosessuali, firma del Guardian e fondatrice del gruppo femminista Justice For Women, la quale ricorda gli anni ’70 e ’80: «Quelli tra noi che hanno vissuto quell’epoca sentivano di partecipare a un’insurrezione culturale: il rifiuto dell’eterosessualità obbligatoria e dello stile di vita che essa implicava».

Ora, invece, il premier Cameron invita «gli omosessuali a conformarsi a quella che considerano a giusto titolo un’istituzione profondamente conservatrice: il matrimonio». Il paradosso, sostiene Julie Bindel, è che gli attuali leader del movimento per i diritti gay «prendono la via della ribellione per conformarsi meglio. Per loro, l’omosessualità non è davvero qualcosa di cui essere orgogliosi. Ai loro occhi è sufficiente che sia tollerata, mentre condurre battaglie più ambiziose, come la lotta contro l’omofobia, sembra un compito troppo complicato». I vari Paola Concia e Franco Grilli, ovvero i leader politici omosessuali, sono i «nuovi conservatori gay ultramoderati», i quali hanno rinunciato «alle tattiche radicali dei loro predecessori», accontentandosi «di rivendicare per gli omosessuali il diritto di integrarsi nel decoro», con l’unico scopo di «imitare la struttura famigliare eterosessuale».

In un batter d’occhio le rivendicazioni sono diventate «entrare nell’esercito, sposarsi in chiesa e allevare bambini adottati», stiamo assistendo -continua la Bindel- ad una «isteria pro-matrimonio», al punto che «oggi, le coppie etero non sposate si confrontano probabilmente con una minore riprovazione rispetto alle coppie omosessuali che rifiutano di sposarsi». Anche lei, come tanti altri, spiega infine che è «solo una parte non maggioritaria del mondo omosessuale» ad essere «davvero convinta che “sia importante estendere i diritti del matrimonio a coppie dello stesso sesso” e che solo un’infima minoranza (uno su quattro) “sarebbe pronta a sposare il suo/la sua partner se la legge lo consentisse”?».

In un modo speculare la pensa anche Alfonso Signorini, direttore di Chi e omosessuale mediatico di “casa nostra”, il quale spiega: «prima di batterci per il matrimonio omosessuale o l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso ci sono urgenze maggiori […]. Io sono contrario al matrimonio gay o etero che sia. E lo dico da omosessuale. Sono contrario alle adozioni da parte di coppie gay. La famiglia è una sola. Un maschio e una femmina. E’ nella natura delle cose da sempre».

Come Julie Bindel e Alfonso Signorini, anche altri numerosi omosessuali hanno criticato questa “isteria pro-matrimonio” (in realtà sostenuta più da eterosessuali devoti alla causa, che omosessuali): Jean-Pierre Delaume-Myard, Richard WaghorneAndrew PierceDavid BlankenhornRupert Everett e Doug Mainwaring.

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Libertà religiosa in Europa, tra alti e bassi

Nadia EweidaSu quattro casi di cristiani britannici che avevano fatto ricorso adducendo di essere vittime di discriminazioni religiose, la Corte europea per i diritti umani (che nulla ha a che vedere con l’Ue), solo la cristiana copta Nadia Eweida, dipendente della British Airways che l’aveva sospesa dal servizio per aver voluto indossare una piccola croce al collo, ha visto riconoscersi la discriminazione subita.

Secondo la Corte di Strasburgo i tribunali nazionali britannici avevano «dato troppo peso» all’esigenza di tutelare l’immagine della società a scapito del diritto di manifestare la propria religione. Soprattutto, però, Eweida aveva dalla sua il fatto che la stessa compagnia, mentre le vietava di esporre un simbolo cristiano, aveva fatto eccezioni per veli islamici e turbanti sikh. Il governo britannico dovrà versarle un indennizzo di 32mila euro.

Niente da fare invece per Shirley Chaplin, infermiera cristiana in una clinica, che era stata prima rimossa dal servizio attivo e poi aveva perso il posto, per aver rifiutato di togliersi una catenina con croce, come invece chiesto dalla direzione per ragioni di sicurezza e igiene nei rapporti con i pazienti. La Corte ha sostenuto che «la protezione della salute e della sicurezza in ambito ospedaliero è di importanza molto maggiore» rispetto al diritto di manifestare il proprio credo. La decisione della Corte appare corretta perché oltre al diritto della libertà religiosa occorre al tempo stesso tenere conto dell’esistenza di altri diritti che possono essere messi in gioco, come ha spiegato Monica Lugato professore ordinario di Diritto internazionale alla Lumsa

Più controverso il caso degli altri due ricorrenti, Lillian Ladele e Gary McFarlane, che hanno dovuto affrontare problemi sul posto di lavoro per la loro contrarietà ai matrimoni omosessuali. Ladele, impiegata dell’Anagrafe a Londra dal 1992, si è trovata sotto procedura disciplinare per aver rifiutato di applicare la nuova normativa britannica del 2005 che introduce l’unione civile per le coppie gay, nonostante fossero disponibili anche altri impiegati. McFarlane è stato invece licenziato dall’incarico di consulente per coppie per le sue idee sulle civil partnership omosessuali, pur avendo assicurato che avrebbe rispettato le linee guida della sua istituzione. Riteniamo un errore l’inesistenza della possibilità dell’obiezione di coscienza anche in casi come questi, oltre che per l’aborto, così come stanno chiedendo da mesi numerosi sindaci francesi preoccupati dell’introduzione del “matrimonio per tutti” voluto dal governo Hollande.

Due giudici della Corte di Strasburgo – Vincent de Gaetano (Malta) e Nebojša Vucinic (Montenegro) – si sono infatti dissociati dalla sentenza, in particolare nel caso di Ladele, ricordando che in gioco ci sia la libertà non tanto di religione quanto di coscienza: «Nessuno dovrebbe essere obbligato ad agire contro la propria coscienza o esser punito per aver rifiutato di farlo», e oltretutto quando la donna fu assunta non esisteva la possibilità di unione civile tra omosessuali. Queste due persone «sono state sacrificate sull’altare dell’ossessione per il politically correct».

Secondo la prof.essa Lucato, in generale tuttavia «il messaggio che viene dalla sentenza è che c’è una grande attenzione al diritto alla libertà religiosa». Forse è troppo ottimista, non a caso la Stanford Law School ha preso una particolare decisione, ovvero permettere agli studenti, sotto la supervisione del professore, di rappresentare clienti che stanno lottando per vincere battaglie legali sulla libertà religiosa in America. Evidentemente il vento che soffia anche negli USA non è poi così positivo.

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L’inutilità del testamento biologico e dei registri comunali

biotestamentoL’istituzione del registro dei testamenti biologici nei Comuni? Un vero fallimento come dimostrano i casi in cui è stato approvato, ma sopratutto un’operazione completamente inutile.

Soffermandoci su quest’ultimo aspetto, su Il Punto viene ottimamente spiegato che non esiste alcun fondamento né costituzionale, né normativo che giustifichi l’adozione di un provvedimento di questo tipo da parte dei Consigli comunali. E’ noto, infatti, che la Pubblica Amministrazione può esercitare i propri poteri solo fondandosi sul principio di legalità. E’ vero che la registrazione da parte del Comune del luogo e del soggetto presso il quale è conservata la DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento) si può ricondurre allo svolgimento delle funzioni istituzionali proprie del Comune nei settori dei servizi alla persona ed alla comunità, ma anche in questa evenienza, il registro assume solo un effetto di pubblicità ai fini e agli scopi che l’ente locale territoriale ritiene meritevole di tutela, i quali non possono mai pervenire fino al punto di considerare la dichiarazione anticipata di trattamento quale diritto all’autodeterminazione terapeutica vincolante nei confronti del medico.

Il testamento biologico, battaglia politica dei Radicali, dunque «non determina e non può determinare sul piano normativo quegli effetti che invece si vorrebbe, almeno in termini politici, assumesse». Ma anche se non fosse così, «la Costituzione difficilmente potrà tollerare, qualora sarà adottata dal Parlamento una legge organica in materia, una regolamentazione differenziata e trattamenti diversi a seconda della localizzazione della residenza». I registri comunali dei biotestamenti dunque  «non potranno mai assumere valore costitutivo». Lo ha spiegato anche Lorenza Violini, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Milano, definendo tali registri “una farsa”.

In linea generale inoltre, seppur ognuno ha il diritto a rifiutare le cure che non desidera, il testamento biologico -lo ha spiegato Massimo Reichlin, docente di Filosofia Morale presso l’Università San Raffaele di Milano- risulta inutile anche perché le informazioni in esso contenute sono necessariamente generiche, insufficienti a determinare la vera volontà del paziente (Etica e neuroscienze, Mondadori 2012, pp. 46,47).

Oriana Fallaci ha chiaramente espresso perché il testamento biologico «è una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte. Inutile dichiarare che in un caso simile a quello di Terri Schiavo vorrai staccare la spina, morire stoicamente come Socrate che beve la cicuta. L’istinto di sopravvivenza è incontenibile, incontrollabile (…). E se nel testamento biologico scrivi che in caso di grave infermità vuoi morire ma al momento di guardare la Morte in faccia cambi idea? Se a quel punto t’accorgi che la vita è bella anche quando è brutta, e piuttosto che rinunciarvi preferisci vivere col tubo infilato nell’ombelico ma non sei più in grado di dirlo?».

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Vaticano: progressi positivi nell’antiriciclaggio

Banca VaticanaNonostante le quotidiane disinformazioni provenienti dalla redazione del Fatto Quotidiano, ovvero “coloro che odiano il Papa” come ha giustamente sostenuto Paolo Gambi sull’Huffington Postil Vaticano continua a fare (meglio tardi che mai dopo i controversi anni ’90) passi avanti nell’antiriciclaggio.

Lo ha riconosciuto la Banca d’Italia, pur rilevando la strada ancora da compiere. Recentemente essa ha negato il rilascio alla Deutsche Bank dell’autorizzazione a sanatoria per i circa 80 bancomat installati all’interno del Vaticano, ovvero è stato bloccato il pagamento con le carte di credito provocando seri disagi ai Musei, la farmacia e all’Obolo di San Pietro, ma in seguito a questo –come si spiega su Milano e Finanza«vengono in rilievo non solo la normativa antiriciclaggio, ma anche l’esistenza e l’adeguatezza di una normativa bancaria conforme a quella europea in materia di operatività di una banca di un Paese della Comunità (nel caso, la Deutsche) con un Paese extracomunitario».

Su Il Messaggero viene anche spiegato che di fronte alla negazione della Banca d’Italia, «le autorità d’Oltretevere replicano elencando punto per punto tutti i passaggi normativi finora effettuati per raggiungere gli standard richiesti a livello internazionale». Ad esempio, dopo il cambiamento voluto da Benedetto XVI, sono stati affidati più poteri all’Autorità di informazione finanziaria (Aif) che ora può stipulare, se lo ritiene necessario, protocolli di intesa direttamente con i vari Stati, senza avere prima l’autorizzazione della Segreteria di Stato che verrà informata solo in un secondo tempo.

Oltre al Fatto Quotidiano, anche la giornalista d’assalto Milena Gabanelli ha pensato di giocare sulla disinformazione, sostenendo che, per quanto riguarda l’antiriciclaggio, «non è vero che il Moneyval abbia promosso il Vaticano». Il Moneyval è l’organo del Consiglio d’Europa che si occupa di anti-riciclaggio. E’ la stessa falsità divulgata da Marco Politi, in realtà la valutazione complessiva sull’antiriciclaggio «è stata superata», come spiegato da Il Sole 24 Ore dopo la pubblicazione del rapporto di Moneyval (qui un approfondimento).

Alla mistificazione di Politi e Gabanelli ha risposto direttamente la Banca d’Italia con un comunicato, nel quale ha spiegato che il Vaticano non è un sorvegliato speciale, ma sta seguendo la normale procedura di valutazione prevista per tutti i Paesi. Come riporta il Corriere della Sera, «non c’è stata nessuna bocciatura da parte del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa». Il rapporto che il Vaticano dovrà presentare il prossimo luglio non è un esame di riparazione a settembre, «e non è una procedura sanzionatoria», ma la prassi «standard» usata per tutti i 29 Paesi sottoposti al cosiddetto Terzo round di valutazione.  D’altra parte, il Vaticano «non è monitorato da nessun altro organismo internazionale», come ad esempio il Gafi. Cosa che -si prosegue sul quotidiano di via Solferino- sarebbe accaduta se la Santa Sede avesse ottenuto 10 voti negativi o parzialmente negativi sulle 16 questioni «cruciali» per l’antiriciclaggio.

In realtà -per la disperazione della Gabanelli- la Santa Sede ha ottenuto una maggioranza di voti positivi (9 contro 7 su 16). Jaime Rodríguez, un portavoce del Consiglio d’Europa, ha spiegato che «la Città del Vaticano è stata sottoposta al normale sistema di rapporto in progress del cosiddetto Terzo round, che richiede che ogni Paese presenti un “progress report”, un anno dopo l’adozione del suo primo Rapporto di valutazione». Il Vaticano non è all’interno del circuito delle “procedure di accrescimento di conformità” del Moneyval, vi sarebbe entrato nel caso avesse «mancato l’implementazione dei documenti di riferimento o per non aver messo in atto le raccomandazioni contenute nei rapporti di valutazione», così come ogni altro Paese.

Certamente il blocco del servizio di pagamenti con Bancomat all’interno del Vaticano sembra un inciampo nel cammino positivo intrapreso, speriamo sia soltanto una sospensione temporanea.

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Adozioni gay, risposta a Roberto Saviano

Roberto SavianoE dopo la banale presa di posizione del filosofo Bernard-Henri Lévy, a cui abbiamo già risposto, ecco che per sostenere le adozioni da parte di persone delle persone dello stesso sesso scende in campo anche lo scrittore Roberto Saviano.

Un suo articolo è infatti comparso sull’Espresso il 17 gennaio ed ha avuto il grande merito di mostrare ancora una volta quanto inconsistenti siano le ragioni addotte a sostegno della genitorialità omosessuale, così come aveva già fatto notare l’intervento del prestigioso (ma non in quel caso) filosofo francese Lévy. Innanzitutto Saviano ha usato la classica strategia di ridurre coloro che dicono “no” alle adozioni gay alla sola Chiesa cattolica: avere come nemici i cattolici serve per accaparrare consensi, indipendentemente da quel che si dice. E’ evidente a tutti, tuttavia, che assieme alla Chiesa condividono tale posizione anche  leader di altre religioni (di recente anche il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni), laici e non credenti (citiamo l’esempio recente di Galli della Loggia), scienziati e intellettuali (importante il recente pronunciamento del presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi) e diversi omosessuali e militanti pink, i quali basandosi sulla ragione naturale riconoscono che il matrimonio è formato da uomo e donna, ed è con queste due figure che i bambini hanno il diritto di crescere.

Concentrandoci su Saviano, si nota che anche lui ha scelto di usare i due tipici argomenti che scattano come riflesso pavloviano appena si affronta questa tematica, ovvero “l’argomento orfanotrofio” e “l’argomento in nome dell’amore”.

 

1) “Argomento orfanotrofio”: scrive Saviano: «preferiamo davvero che ci siano bambini che vivano in situazioni di abbandono o in strutture di accoglienza piuttosto che dare possibilità a nuove forme di famiglia?».  In queste affermazioni si nasconde uno scorretto ricatto sentimentale (“chi è contro l’adozione gay vuole che i bambini stiano in orfanotrofio!!”) , ma fallace perché nessuno preferisce una condizione di abbandono, tuttavia non si capisce perché ovviare a questa situazione aprendo all’adozione gay piuttosto che promuovere culturalmente l’adozione tra le coppie eterosessuali.

La cosa curiosa è che vogliono farci credere che il sostengo alle adozioni per gli omosessuali serva, non tanto per estendere alle coppie dello stesso sesso altri presunti diritti (nessuno ha diritto all’adozione), ma solo per diminuire il numero di bambini orfani. Scrive infatti Saviano: «le coppie etero spesso seguono iter lunghi e complicati. L’obiettivo dovrebbe essere snellire le pratiche e permettere che nuove famiglie possano nascere». Vogliamo dunque tranquillizzare Saviano e gli omosessualisti, così tanto preoccupati per gli orfanelli: la fila di coppie eterosessuali interessate ad adottare è sufficentemente lunga, nel 2010 -ad esempio-, la crescita delle adozioni è stata del +7,9% rispetto all’anno precedente, lo si è visto anche nel recente caso del neonato abbandonato al McDonald’s di Roma o nell’ultimo caso di bimbo lasciato alla “Culla della vita” a Milano. Anzi, in certi casi il vero problema è il numero esiguo di minori adottabili rispetto alle domande di adozione. E’ vero tuttavia che nel 2012 in Italia, anche a causa della crisi, si è assistito ad una crisi delle adozioni, ma il problema sembra essere l’eccessiva rigidità degli operatori sociali che devono certificare l’idoneità delle coppie e il sempre più frequente ricorso alla provetta.

 

2) “Argomento in nome dell’amore”: scrive Saviano: «è raro trovare coppie stabili. Spesso ci si separa e si cresce in famiglie allargate […]. Esiste l’essere cresciuti bene e l’essere cresciuti male […]. Sono convinto che le coppie gay e i single che chiedono di poter adottare dovrebbero avere il diritto di farlo perché la loro è una richiesta in nome dell’amore». Innanzitutto pare poco attinente il riferimento alla frequente instabilità delle famiglie, anche perché c’è una fortissima differenza tra il crescere con un genitore single piuttosto che con un doppione, due padri o due madri. Inoltre, come ha spiegato il filosofo Adriano Pessina, «ci sono bambini equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono cresciuti in orfanotrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona?». Nessuno mette in dubbio la capacità genitoriale degli omosessuali, ma non è questo il punto decisivo: una coppia omosessuale, pur con tutta la sua buona volontà, nega la differenza fra maschile e femminile e questa è una violenza alla natura, come spiegano gli psicologi e come mostrano gli studi scientifici.

Infine, la richiesta di genitorialità da parte di omosessuali è senza dubbio fatta in nome dell’amore, a questo ha però risposto Claude Halmos, psicanalista e una dei massimi esperti riconosciuti in età infantile: «ignorando un secolo di ricerche, i sostenitori dell’adozione si basano su un discorso basato sull”amore”, concepito come l’alfa e l’omega di ciò che un bambino avrebbe bisogno». Ma queste affermazioni, ha continuato la psicanalista, «colpiscono per la loro mancanza di rigore» perché «un bambino è in fase di costruzione e, come per qualsiasi architettura, ci sono delle regole da seguire se si tratta di “stare in piedi”. Quindi, la differenza tra i sessi è un elemento essenziale della sua costruzione»Inoltre, ha proseguito  Anne-Marie Le Pourhiet, docente di diritto pubblico presso l’Università di Rennes, «l’amore non ha nulla a che fare con il codice civile. Questo argomento è sciocco, ma anche pericoloso»perché se l’amore è il criterio che viene usato per legittimare l’adozione a coppie dello stesso sesso, allora per coerenza non si potrebbero escludere tutte le altre relazioni sentimentali umane in cui tale richiesta viene fatta “in nome dell’amore”, come ad esempio possono essere quelle incestuose, poligamiche e addirittura -estremizziamo- quelle tra due pedofili aspiranti genitori. Il vero criterio, invece, è identificare quale sia la condizione ideale per crescere un bambino ed è ovviamente quella naturale (decisa dalla natura) formata dal padre e dalla madre biologica, anche perché, come ha spiegato Pierre Lévy-Soussan, psichiatra specialista in adozione, «anche se sa che i suoi genitori adottivi non sono i suoi genitori biologici, il bambino deve essere in grado di immaginare che “potrebbero” esserlo, deve fantasticare una scena di nascita possibile […] e credibile. Tuttavia, una coppia dello stesso sesso, non offrirà mai una genitorialità credibile».

 

Roberto Saviano non ha chiuso l’articolo definendo i cattolici dei “retrogadi” o degli “omofobi”, tuttavia anche lui ha mostrato quanto intollerante sia il laicismo. Ha affermato infatti: «La Chiesa non ha alcun diritto di condizionare le leggi e le istituzioni dei paesi laici. I cattolici possono dire la loro, ma non influenzare o boicottare nuove leggi. Questo è profondamente ingiusto». Secondo Saviano dunque, come si è ironizzato su Tempi.it, i cattolici possono esprimere la loro opinione a patto che nessuno li ascolti. Non possono quindi impegnarsi in politica perché così facendo influenzano senza dubbio le leggi e le decisioni e anche la loro presenza pubblica o mediatica (blog, siti web ecc.) è “ingiusta” perché rischiano di convincere o condizionare chi li ascolta. Per evitare di influenzare la scena mediatica e politica, i cattolici dovrebbero stare rinchiusi nelle loro case?

Ancora una volta constatiamo che gli argomenti a sostegno dell’agenda LGBT sono decisamente carenti di ragioni adeguate, stupisce sempre più quindi la loro popolarità.

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Guttmacher Institute ha gonfiato i numeri sugli aborti clandestini

Planned Parenthood Quali sono i due argomenti chiave degli abortisti per giustificare la legalizzazione dell’aborto? Ovviamente il riferimento all’aborto clandestino e il pericolo verso la salute della madre, che poi sono questioni strettamente legate tra loro.

Quest’ultimo argomento, in particolare, è stato confutato con una serie di studi. Basta osservare la situazione in Irlanda dove l’aborto è vietato (tranne in rarissimi casi) e tuttavia vi sono bassi tassi di mortalità materna (oltre ad avere un profilo demografico più giovane e con meno dipendenza in materia di immigrazione). Sulla rivista scientifica PLoS One è stato inoltre dimostrato che anche in Cile, l’aborto illegale non è associato alla mortalità materna.  Al contrario uno studio condotto studiando le cartelle cliniche di quasi mezzo milione di donne in Danimarca, ha mostrato che a fronte di un aborto indotto si registrano tassi di mortalità materna più elevati.

Il riferimento dell’aborto clandestino è più insidioso, essendo clandestino nessuno conosce i numeri esatti e chiunque può strumentalizzare tale argomento. Tuttavia è stato recentemente dimostrato che il Guttmacher Institute, ovvero il braccio di ricerca di Planned Parenthood -l’ente abortista di cliniche per l’interruzione di gravidanza più importante del mondo- ha mentito e appositamente gonfiato i numeri degli aborti clandestini nei Paesi in via di sviluppo al fine di creare una pressione lobbystica occidentale verso di essi al fine di obbligarli a legalizzare l’interruzione di gravidanza. E’ la nuova forma di pressione colonialista.

Tuttavia il Washington Post ha dato notizia di questo nuovo studio, il quale ha rivelato che il Guttmacher Institute «ha generato per anni numeri gonfiati sugli aborti clandestini nei paesi in via di sviluppo». Lo scopo dell’ente abortista è ovviamente stato quello di «far sembrare che vi fosse una chiara necessità di rendere l’aborto legale per proteggere le donne sottoposte a tutti quegli aborti».

La conclusione dell’articolo è perentoria: «con Internet non è più così facile ingannare la gente, anche nei paesi in via di sviluppo. Con i numeri del Guttmacher Institute messi in discussione e l’esposizione delle dubbie pratiche di Planned Parenthood che rivelano le crepe nella sua facciata di pubbliche relazioni, il gigante dell’aborto potrebbe finalmente ottenere la sua giusta punizione».

I ricercatori hanno a loro volta concluso: «I nostri studi in Cile e Messico mostrano che lo status giuridico dell’aborto [illegale, nda] non è associato a valori globali di mortalità materna. In altre parole, non vi è alcuna relazione causa-effetto tra lo status giuridico dell’aborto e la mortalità materna».

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