La foto del giovane Ratzinger con Hitler? Nuova bufala anticlericale

Bufala contro papa2Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Gerhard Ludwig Müller, dalle colonne del quotidiano tedesco Die Welt, si è lamentato di «campagne per screditare la Chiesa cattolica in America del Nord e anche qui da noi in Europa», tanto che «già adesso in alcuni settori i religiosi vengano insultati pubblicamente in modo volgare. Monta una rabbia provocata artificialmente, che di tanto in tanto ricorda già oggi un clima da pogrom».

L’ultimo attacco ricevuto dalla Chiesa da parte della cultura anticlericale (che usa gli stessi metodi mediatici di denigrazione della religione dell’Unione Sovietica) è stato realizzato dalle prodigiose menti anticlericali italiane, facendo circolare una foto (in alto a sinistra) su Facebook in cui durante una manifestazione nazista, davanti al Führer c’è un giovane in divisa che si vorrebbe far passare per Joseph Ratzinger. Non è mancata la frase tattica di demoralizzazione verso il cattolico: «guardate chi abbiamo come papa gia quando aveva 14 anni vergognati a pregare condividetelo prima che lo levino» (ricopiata con errori compresi, l’ignoranza è una delle caratteristiche distintive dell’anticlericalismo militante).

L’immagine ha avuto discreta diffusione e dunque occorre occuparsene. E’ ovviamente una falsa attribuzione, basta semplicemente risalire alla data della foto, 3 settembre 1932 (Adolf Hitler saluting at the sports palace in Berlin. To the left is Prince August Wilhelm. Credit: Keystone Pictures, Usa, 1932) e conoscere la data di nascita di Ratzinger: 1927. Quando è stata scattata il futuro Pontefice aveva dunque cinque anni e il ragazzotto nella foto non pare proprio un bimbo di questa età. Inoltre è sufficiente osservare la ben poca somiglianza tra il soggetto nella foto e il giovane Ratzinger, molto più magro.

Il tentativo ha voluto ritentare il successo avuto da un’altra foto, quella di un giovane Ratzinger mentre celebra una messa che, tagliata a dovere, è stata fatta passare per un saluto nazista. Abbiamo smontato anche questa, come quelle che compaiono sul nostro sito web nell’archivio di notizie sulle cosiddette “bufale anticlericali”, ovvero le menzogne che la cultura laicista produce sistematicamente per tentare di screditare il cattolicesimo, non avendo alcun argomento razionale da proporre.

Ringraziamo la pagina FB della Polizia Postale web site fan che ha contribuito a screditare la nuova bufala anticlericale. Ci stupiamo invece che Il Fatto Quotidiano e il vaticanista Marco Politi non abbiamo divulgato tale fotografia, dato che il livello di argomenti anticlericali è più o meno simile.

Ricordiamo che Benedetto XVI, come ha spiegato il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi, non ha mai fatto parte della “Hitlerjugend” (la Gioventù hitleriana) e tuttavia tale informazione falsa si può ancora  leggerla su Wikipedia. Padre Lombardi ha invece sottolineato che il Papa quando «era un seminarista che studiava teologia, all’età di 16 anni, è stato coscritto nei corpi ausiliari della contraerea, come tutte le persone della sua età. Nulla a che vedere con la Hitlerjugend e l’ideologia nazista». Lo ha confermato lo storico del nazismo tedesco Joachim Fest, «il giovane Joseph Ratzinger fu arruolato a forza dai nazisti, e solo come ausiliario nella contraerea». In quell’occasione a tirare fuori la bufala pubblicamente era stata un’altra anticlericale doc italiana, Franca Rame.

Come diceva Mark Twain, «una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe». Noi speriamo che, attraverso articoli come questo e confidando nella divulgazione immediata fornita dai social network, oggi la verità possa perlomeno cominciare la sua corsa.

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La presenza di scuole private migliora il profitto degli alunni

Scuola«La presenza di scuole gestite da operatori privati produce un effetto significativamente positivo sul profitto degli studenti in Matematica, Scienze e Letteratura» e dunque «la concorrenza scolastica genera benefici reali per tutti». Un vero e proprio pugno allo stomaco per statalisti e rimasugli comunisti che combattono la presenza di scuole private e paritarie nel nostro Paese all’urlo “più Stato meno società”.

L’affermazione arriva dallo studio “The Learning curve” presentato ufficialmente a Londra nei giorni scorsi e commissionato da Pearson, il colosso mondiale dell’editoria didattica, il quale ha messo a confronto 50 paesi in base a 60 diversi parametri: dai risultati dei test OCSE-Pisa e TIMSS agli investimenti governativi, passando per gli stipendi del personale docente e il rapporto alunni-professori, senza tralasciare indicatori economici come il tasso di occupazione dei diplomati/laureati, il reddito percepito e il benessere generale di ogni paese.

Il ricco documento approntato mostra chiaramente, numeri alla mano, come nei Paesi in cui viene offerta alle famiglie la possibilità di scegliere quale tipo di scuola far frequentare ai loro ragazzi, questi riportino risultati mediamente migliori nelle diverse materie. In particolare, dalla possibilità concreta di scelta della scuola, scaturisce un beneficio che è maggiore proprio per gli studenti di estrazione socio-economica svantaggiata. È il caso, ad esempio, di Belgio e Paesi Bassi, dove le scuole private (spesso confessionali, tra l’altro) sono finanziate direttamente e integralmente dallo Stato: «Se sono presenti più istituti non statali», viene spiegato dai ricercatori, «in modo che il settore scolastico non sia amministrato secondo il modello unico di una sorta di “monopolio di Stato”, i Paesi hanno performance migliori».

Le ragioni sono molto semplici: un sistema in cui vige una concorrenza reale determina una competizione in termini di efficacia ed efficienza da parte dei diversi soggetti operanti nel settore. Insomma, meno Stato e più libertà di scelta uguale migliore qualità scolastica e maggiore equità sociale, alla faccia degli statalisti del “Nuovo Comitato art.33”, che vorrebbero eliminare il sostegno economico che l’Amministrazione Comunale della città di Bologna destina alle scuole dell’infanzia paritarie della città.

Ricordiamo quello che nessuno vuole mai dire: le scuole paritarie fanno risparmiare 6 miliardi all’anno. In particolare molti sono stati convinti che il Governo tolga risorse alla scuola statale per darle alla scuola privata. In realtà, come abbiamo mostrato in passato, è l’esatto opposto, cioè lo Stato, con le risorse date alla scuola privata, risparmia su quanto dovrebbe spendere per le risorse che dovrebbe dare in più a quella pubblica. Nel 2010 la rivista specializzata di settore Tuttoscuola ha calcolato che lo Stato risparmierebbe oltre 500 milioni di euro l’anno se aumentasse di 100 milioni i contributi alla scuola paritaria, consentendo a più famiglie di sceglierla (ogni euro investito nella paritaria renderebbe allo Stato 5 euro di risparmio).

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Medici abortisti hanno più disturbi e minor gioia di vivere

MediciTutti sanno bene che tra i più strenui oppositori dell’aborto ci sono proprio coloro che sono costretti per il lavoro che fanno -dunque ginecologi, ostetriche e medici-, ad accorgersi che l’embrione e il feto sono esseri umani ai quali è profondamente ingiusto e criminale togliere la vita, sopratutto con motivazioni banali e facilmente affrontabili come quelle economiche e di impreparazione personale all’essere madre (ovvero, come abbiamo mostrato, il 95% dei casi per cui si pratica un aborto).

Lo dimostrano tutti coloro, per ultima la Cgil, che ogni giorno attaccano e insultano l’esercito di medici obiettori di coscienza, in Italia vicino all’80% e negli USA l’86% dei medici (secondo i dati della Federation of State Medical Board, invece, solo lo 0,2% dei medici è disposto a sopprimere un essere umano indesiderato) .

L’aborto non è solo l’uccisione di una vita umana innocente, non è soltanto pericoloso per la donna, ma lo è anche per chi deve fisicamente praticarlo. Lo ha dimostrato un recente studio dell’Università di Kanazawa, pubblicato su Nursing Ethics, evidenziando come infermieri e ostetrici abortisti giapponesi (in Giappone l’aborto è permesso fino alla 21° settimana) mostrano frequentemente «stanchezza cronica, irritabilità, paura di andare a lavorare, aggravamento di disturbi fisici e mancanza di gioia di vivere». Per molti la motivazione riscontrata è stata la convinzione che «il feto abortito meritava di vivere», oppure il dover «toccare il feto abortito per verificare che sia davvero morto».

Tra gli altri fattori di stress, spiegano i ricercatori, c’è stato quello di «aver fornito assistenza per un aborto nonostante la personale avversità ad esso», e «l’incapacità di accettare il praticare aborti come un lavoro o una cura». «Questi risultati», hanno concluso, «indicano che la fornitura dei servizi per l’aborto è un’esperienza altamente stressante per gli infermieri e le ostetriche»

 

Questo video mostra cos’è un feto umano alla 10°-14° settimana (in Italia l’aborto è previsto fino alla 22°)

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Il Forum della Famiglia e la prevenzione da divorzio e separazioni

Famiglia Dal 12 al 20 gennaio scorsi, a Napoli, un appuntamento importante ha coinvolto le coppie di fidanzati in procinto di matrimonio; si è trattato di una serie di incontri prematrimoniali dedicati a materie come la sociologia, la filosofia, la pedagogia, la medicina e la pediatria, targati Forum della Famiglia.

L’invito al seminario, diffuso all’interno della manifestazione TuttoSposi, ha mirato alla diffusione di argomenti delicati ruotanti intorno alla vita della coppia. Un format prematrimoniale civile, che non sostituisce quello religioso per chi sceglie il  rito cattolico, destinato all’esportazione in tutte le regioni d’Italia. L’idea è una risposta agli allarmanti dati registrati dall’Eurispes, concernenti il crescente numero di separazioni e divorzi. Un dramma sociale, con ripercussioni psicologiche soprattutto nei figli.

A questo studio, si è affiancato quello sottolineante una maggiore propensione al suicidio, agli attacchi di panico, ad anoressia e bulimia, nei figli dei separati. La separazione va a toccare l’identità, la crescita, le tappe evolutive della persona. Inevitabilmente.

Capillare il dato emerso  da un’indagine effettuata dall’Istat negli anni 1987-91 (la rilevazione rientra tra quelle comprese nel Programma statistico nazionale codd. IST 02067 e IST 02153 che raccoglie l’insieme delle rilevazioni statistiche necessarie al Paese) sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari; il tasso di morbilità cronica per disturbi nervosi dei divorziati è il doppio di quello dei coniugati, con un valore del 62,2 per cento.  I divorziati, inoltre, fanno maggiore ricorso a farmaci antidolorifici e antinevralgici rispetto ai coniugati. Altre ricerche, eseguite sempre in Italia, hanno messo in luce una differenza consistente anche per quanto riguarda i ricoveri classificati come disturbi psichici.

I dati diventano ancor più drammatici rapportati ai bambini che crescono con un solo genitore hanno il triplo di probabilità, rispetto agli altri, di andare male a scuola, e il doppio di soffrire di disturbi psichici («International Journal of Law, Policy and the Family», 1998). Il senso dell’iniziativa promossa dal Forum non vuole certamente scoraggiare i promessi sposi ma affrontare una serie di argomentazioni, nell’immaginario collettivo inesistenti, per rendere i matrimoni più consapevoli ; un modo per “ostacolare” i matrimoni per qualcuno. Per altri un tentativo di evitare quelli tempo determinato, e relative conseguenze.

Livia Carandente

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Nozze e adozioni gay: il Corriere non convince i suoi lettori

Corriere della seraNonostante la evidente mancanza di imparzialità nel trattare la tematica del matrimonio e adozione da parte di coppie dello stesso sesso, il Corriere della Sera, principale quotidiano italiano, e il suo editorialista maggiormente schierato Pierluigi Battista, pare non siano riusciti a convincere i propri lettori.

Più volte abbiamo sottolineato come i giornalisti del quotidiano di via Solferino, sopratutto coloro che lavorano sul sito web del giornale, abbiano in maggior parte abbandonato qualsiasi necessaria presa di distanza dalle notizie su questa controversa tematica, così come ci si aspetterebbe da professionisti del mestiere. Quotidianamente (almeno fino a dicembre 2012, la situazione sembra leggermente cambiata oggi) hanno proposto storielle, spesso sciocche e frivole, a sfondo omosessuale. Titoli sparati e contenuti miseri, offensivi a nostro avviso, innanzitutto per gli stessi omosessuali che si vedono citati solo per banalità da giornaletto di gossip. Secondo l’omosessuale Walter Siti, si tratta dell’opera di “gayzzazione dell’Occidente”, ovvero il tentativo mediatico di modificare con la ripetizione ossessiva il giudizio morale di chi legge. Quest’opera di convincimento, poco adatta ad un quotidiano che vorrebbe essere sopra le parti, non sembra però  essere stata efficace verso i lettori, come mostrano alcuni sondaggi.

 

Il 15 dicembre il Corriere ha chiesto ai suoi elettori, banalizzando un pensiero di Benedetto XVI molto più complesso: «Il Papa contro le nozze gay: sono “un’offesa contro la verità della persona umana”. Siete d’accordo?». Su circa 7800 votanti, il 67,5% ha risposto “si”, contro il 32,5% di “no”.

Sondaggio adozioni3

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Un altro sondaggio, questa volta del 12 gennaio 2012, si è concentrato sulle adozioni omosessuali, chiedendo ai lettori se un bambino secondo loro può vivere bene in una coppia formata da due padre o due madri. L’esito è stato abbastanza schiacciante: il 74% ha risposto “no”, mentre il 26% ha risposto “si”. I votanti sono stati numerosi: oltre 40.000.

Sondaggio adozioni

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Il 14 gennaio, invece, è stato domandato se fosse condivisibile l’opposizione al matrimonio omosessuale, condividendo le ragioni delle migliaia di manifestanti del noto corteo a Parigi che hanno sfilato contro il progetto di legge voluto dal governo, svoltosi il giorno prima. Il 63,3% dei votanti ha risposto “si” contro il 36,7% dei “no”. In totale hanno votato 3028 persone.

Sondaggio adozioni

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Il responso non è cambiato molto da quello di due anni fa, quando ad un sondaggio simile realizzato sempre tra i lettori del quotidiano di Ferruccio De Bortoli, chi si è detto contrario ad una equiparazione tra unioni omosessuali ed eterosessuali è stato il 73,8% dei votanti, contro il 26,2% dei “si”. Tuttavia in quel caso avevano votato 34.356 lettori.

E’ giusto informare che i sondaggi online di Corriere.it non hanno un valore statistico, si tratta di rilevazioni non basate su un campione elaborato scientificamente. Sono utili tuttavia per conoscere indicativamente le opinioni dei lettori, sopratutto se votano nell’ordine delle migliaia. In particolare dovrebbero servire come utile feedback per i gestori del sito del quotidiano, forse anche per questo nelle ultime settimane c’è stata una leggera ripresa dell’imparzialità su queste tematiche da parte del Corriere.

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“Nati per credere”, le banalità ateologiche di Pievani e Vallortigara

Telmo Pievani e Giorgio Vallortigara 
di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

 
 

In Italia i più celebri ateologi sono Piergiorgio Odifreddi e Margherita Hack, ma sarebbe un torto non riconoscere l’intensa attività, nella stessa  direzione, di altre personalità minori, come Telmo Pievani, filosofo, e Giorgio Vallortigara, neuroscienziato.

Costoro sono coautori, con Vittorio Girotto, di “Nati per credere” (Codice 2008), un testo che sposa un assoluto naturalismo, che negherebbe per via razional-scientifica Dio, l’unicità dell’uomo, l’esistenza di una morale oggettiva…

Riguardo a quest’ultima, mentre se ne nega l’esistenza, si dedica un intero capitolo (“Dio, morali e giustizie”) a spiegare che varie ricerche individuerebbero nei credenti un minor e non ben definito “senso civico” (per intenderci, i mali del sud deriverebbero dall’alto tasso di frequenza in chiesa ecc., non da circostanze storiche che gli storici conoscono). Scrivono per esempio –citandolo come studio assai significativo, ma negando furbescamente che non sia “conclusivo” – che tale Gregory Paul “ha potuto documentare un’impressionante serie di correlazioni positive tra tassi di omicidio, suicidio, aborto e gravidanze di minorenni e tasso di diffusione delle credenze religiose”.

Dunque: si nega l’esistenza di una morale naturale, e poi si vuole far passare l’idea che i credenti siano degli immorali; si contraddice l’idea che l’opposizione della chiesa ad aborto, suicidio assistito ecc. abbia un fondamento oggettivo nella natura dell’uomo e nel bene, e poi si accusano i credenti di compiere ciò che, se fatto da loro, diverrebbe, improvvisamente, male oggettivo. Si priva l’uomo della coscienza e del libero arbitrio, riducendolo a un oggetto determinato, e poi si incolpa qualcuno perché agisce in un determinato modo (quasi fosse creatura libera e perciò imputabile). Sarebbe come incolpare il sasso, lanciato da una mano, di cadere verso terra.

Quanto a Dio, il problema è semplice: sarebbe stata l’evoluzione ad aver creato Dio, e non viceversa. Come, quando e perché? Non è chiaro: E’ probabile che le credenze nel soprannaturale siano la conseguenza indiretta (forse priva di qualsiasi vantaggio biologico) di certi adattamenti che sono, questi sì, di importante valore biologico. Adattamenti che hanno tra le loro conseguenze inattese anche un’inclinazione al fraintendimento del darwinismo”. Bastano il “probabile” e il “forse” per far capire che di scientifico, in questo discorso, non vi è nulla. E non vi è nulla di logico nel negare, come fanno gli autori, la differenza ontologica, di qualità e non di grado, tra l’intelligenza simbolica e la coscienza umana e vagamente analoghe facoltà animali. Dovrebbero bastare a dimostrarlo l’esistenza di facoltà unicamente umane, che non sono collegabili a un fine puramente biologico: dall’idea stessa di Dio, alle sue facoltà morali, artistiche, musicali, poetiche.

Per Vallortigara e Pievani Dio è una creazione dell’evoluzione e non viceversa: non ne era sicuro Darwin, che alla fine dell’“Origine delle specie” parla di un Dio Creatore, e che mai si definì ateo, ma semmai agnostico; non ne erano certi neppure la gran parte dei primi evoluzionisti, per lo più teisti. Non ne sono convinti Francis Collins, autore della mappatura del genoma umano, e uno dei più insigni evoluzionisti viventi, il credente Francisco Ayala, il quale in un  capitolo del suo “L’evoluzione”, intitolato “L’unicità umana”, nota come le cose che contano di più rimangano a tutt’oggi “circondate da un’aura di mistero”: “Come i fenomeni fisici diventino esperienze mentali, come emerga dalla diversità delle esperienze la mente, realtà con proprietà unitarie come il libero arbitrio e la coscienza di sé”.

Non sarebbe persuaso dalle tesi di Vallortigara e Pievani neppure il premio Nobel per la Fisica Sir Nevill Mott, secondo il quale esiste un “gap per cui non ci sarà mai una spiegazione scientifica, e questo gap è la coscienza umana”, o il premio Nobel per la Medicina Sir J. Eccles, per il quale l’anima è “creazione diretta di Dio” ed è impossibile “spiegare le funzioni superiori del cervello… facendo riferimento soltanto all’attività del cervello”. Non concorderebbero il neurochirurgo Gandolfini, di Scienza e Vita, per il quale è utopico pensare di poter “definire i ‘correlati dell’essere’, cioè dell’essenza propria, intrinseca, profonda che fa di ciascun uomo, un uomo irripetibile”, o molti linguisti e neuroscienziati che considerano la parola il Rubicone invalicabile tra uomo e animale. Tra questi, Andrea Moro, per il quale il linguaggio umano, che non si può “essere sviluppato per una pressione  evolutiva sul piano della comunicazione”, manda in frantumi le visioni riduzioniste, ed è “il vero scandalo della natura”: con esso “siamo di fronte alla prima porta verso il mistero… Lo stupore che la struttura del linguaggio umano e la sua aderenza alla realtà ci provocano non è in questo differente da quello che prova il fisico quando si accorge che una funzione matematica è in grado di descrivere un fatto del mondo”.

Da Il Foglio, 31/01/13

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UCCR compie due anni, auguri!!

Logo UCCE + scrittaOggi è il nostro compleanno, ringraziamo tutti i nostri carissimi collaboratori, il webmaster e gli amministratori che vi lavorano gratuitamente, e sopratutto i sempre più numerosi lettori che ogni giorno scelgono di leggerci e commentare, anche nonostante gli errori e le imprecisioni che a volte sono presenti nei nostri articoli. Anche noi abbiamo l’onore di avere dei “nemici” diretti (sui social network in particolare) e ringraziamo anche loro per il prezioso aiuto che ci offrono a migliorarci costantemente. Ricordiamo che chiunque desideri collaborare con noi può inviare un’e-mail a redazione@uccronline.it.

 
 
di Marco Tosatti
da La Stampa, 15/01/13

 

Nei prossimi giorni compie due anni un sito web molto particolare: si chiama Unione Cristiani Cattolici Razionali. Un sito particolare, perché, come ci spiega Luca Pavani, uno dei fondatori, È “frutto dell’iniziativa di un gruppo di amici universitari stanchi di osservare impassibili la continua aggressione mediatica subita dalla Chiesa e dai cattolici (o dai credenti, in generale). Non pensavamo certo di risolvere le cose in questo modo, ma perlomeno tentare di offrire a chi serviva una fonte di informazione in continuo aggiornamento che potesse aiutare a replicare alle varie e note accuse rivolte al cristianesimo”.

E in effetti, scherzando, l’acronimo potrebbe essere sciolto come Unione Contro CoRrente, perché nel sito ci si preoccupa si riportare alla realtà inganni e strumentalizzazioni di vario tipo, e sono solo relative alla religione. Secondo uno studioso americano molto noto, Jenkins 2004, l’anticristianesimo “si autogenera e diffonde prevalentemente sulla base di false informazioni e percezioni distorte”. Benedetto XVI ha recentemente parlato di “intolleranza” dell’agnosticismo, ci ricordano i fondatori, “ed è proprio a questa cultura che ci siamo particolarmente rivolti intendendo mostrare la razionalità della posizione generale della Chiesa e di noi credenti”.

Il sito web è polemico sin dalla nascita: “Il bruttissimo titolo che abbiamo dato a questo sito web è dunque esclusivamente provocatorio poiché non esistono cattolici ‘razionali’ e altri che non lo sono. Esiste l’uomo, che è un essere dotato di razionalità, e le scelte che prende sono ragionevoli se si basano su un ragionamento logico, su motivazioni fattuali, su un’esperienza incontrata e a cui si è aderito. Oppure sono scelte irrazionali, e quindi frutto esclusivamente dell’emotività e di condizionamenti psicologici”.

Un altro importante obiettivo “è quello di rispondere serenamente all’aggressione dell’ateismo militante, laicismo che non ha nulla a che spartire con la sana laicità e il cosiddetto ateismo teorico e drammatico, posizione di cui abbiamo pieno rispetto e stima. Diamo dunque ampio spazio alle disquisizioni che la cultura anti-teista considera di “primo piano”, proponendo su di esse un punto di vista opposto e diverso”.

Dice ancora Luca Pavani: “A volte pecchiamo di eccessiva polemica commettendo gli stessi errori di coloro che critichiamo e frequenti sono le imprecisioni nei nostri articoli, cerchiamo tuttavia di crescere e migliorare anche grazie all’attenzione davvero considerevole dei nostri lettori”. Infatti – ed è per questo che ne parliamo – al progetto hanno risposto tantissime persone: molti sono diventati collaboratori, anche di alto rilievo culturale; e sono migliaia e migliaia i lettori affezionati -a favore o critici-, che ogni giorno seguono, scrivono, criticano, commentano.

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Italia e Usa: l’aborto legalizzato attraverso la menzogna

Aborto sevesoSi è sostenuto e si sostiene che l’aborto legale servirebbe per preservare la salute della donna, tuttavia studi recenti hanno mostrato che nei Paesi in cui l’aborto è vietato -come Irlanda e Cile-  non esiste alcun aumento della mortalità materna. Al contrario, studi condotti studiando le cartelle cliniche di quasi mezzo milione di donne in Danimarca e in Finlandia, hanno mostrato che a fronte di un aborto indotto si registrano tassi di mortalità materna più elevati.

Si è sostenuto, inoltre, che l’aborto illegale aumenterebbe il tasso di aborti clandestini (i sottoscala, le mammane e cucchiai d’oro, termini che ogni buon abortista ha imparato a ripetere a memoria), ma in realtà un’indagine recente ha mostrato che il Guttmacher Institute, ovvero il braccio di ricerca di Planned Parenthood -l’ente abortista di cliniche per l’interruzione di gravidanza più importante del mondo- ha mentito e appositamente gonfiato per anni i numeri degli aborti clandestini nei Paesi in via di sviluppo al fine di creare una giustificazione per legalizzare l’interruzione di gravidanza. Se ha dovuto comportarsi in questo modo è evidente che il numero di aborti clandestini non era alto.

In Italia con quale argomento è stato legalizzato l’aborto? Attraverso un’altra menzogna di cui sono stati protagonisti i Radicali, i quali hanno sfruttato nel 1976 la fuoriuscita di diossina nella cittadina di Seveso (MB) a causa di un’esplosione del reattore dell’industria chimica Icmesa. Ci sono ancora oggi fotografie che mostrano femministe e radicali arrivati da fuori Seveso a terrorizzare le donne incinte, dicendo loro che avrebbero partorito dei mostri. Seguirono 33 aborti, ma due diversi studi, uno dell’Università di Lubecca e uno della Commissione bicamerale di inchiesta nominata dal Parlamento italiano (il primo presentato il 25 febbraio ’77, il secondo il 25 luglio ’78), hanno dimostrato che nessuno dei feti abortiti presentava malformazioni. Tuttavia i fatti di Seveso, ben orchestrati dai Radicali, giustificarono la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza nel 1978 (un approfondimento qui, qui e qui).

Negli USA è andata in un modo molto simile. Quarant’anni fa la Corte Suprema degli Stati Uniti fu chiamata ad esprimersi su due casi, quello di Jane Doe e di Mary Roe, le cui sentenze legalizzarono l’aborto. Il caso Roe vs Wade tolse ogni ostacolo alla possibilità di accedere all’aborto, il caso Doe vs Bolton aprì alla possibilità di abortire durante tutti i nove mesi di gravidanza.  Entrambi i casi sono falsi, lo hanno testimoniante le due donne protagoniste Norma McCorvey (Roe) e Sandra Cano (Doe), le quali nel frattempo sono divenute entrambe attiviste pro-life ed entrambe hanno provato inutilmente a far riesaminare le sentenze che le hanno rese celebri.

Da sempre, Sandra Cano (Doe) ha sostenuto che l’intero fondamento su cui si era basata la Doe vs Bolton era una bugia, che lei non aveva mai davvero voluto né richiesto un aborto e che era stata portata con l’imbroglio a firmare una dichiarazione scritta sull’aborto al processo in cui doveva semplicemente definire il divorzio da suo marito e cercare di ottenere  nuovamente la custodia degli altri bambini. Nel 2003, Cano ha lanciato un procedimento legale per cercare di sovvertire il caso che porta il suo nome. Ha fallito. E allora, tenace, ha cominciato a lavorare per ribaltare il giudizio in altro modo. Nel suo ultimo comunicato, Cano ha sottolineato di essere stata «fraudolentemente usata dal sistema della Corte per portare l’aborto in America».

Anche Norma McCorvey (Roe) ha dichiarato: «Sono stata persuasa da avvocati femministi a mentire a dire che ero stata stuprata, e che avevo bisogno di un aborto. Ma era tutta una bugia. E da allora oltre 50 milioni di bambini sono stati uccisi. Mi porterò questo peso nella tomba». Anche lei, nel 2003, ha chiesto di riaprire il suo caso, ma la sua petizione è stata respinta. E anche lei, come Sandra Cano, ha continuato la sua battaglia nel dibattito pubblico. Nessuna delle due donne i cui processi hanno aperto le porte della legalità all’aborto negli Usa ha mai compiuto un aborto ed entrambe erano giovani, quasi del tutto prive di educazione, povere: quanto serviva perché fossero sfruttate per un caso a livello nazionale.

È attraverso la menzogna che l’aborto è entrato nel sistema legale italiano e americano ed allo stesso modo continua ancora oggi ad essere giustificato.

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Tra Scienza e Fede, incredibile nascita dell’Io

Michele Di FrancescoMichele Di Francesco, filosofo della scienza, ospite al Meeting filosofico di Rimini dello scorso agosto, asserisce che l’Infinito concretamente esiste, dato che, pur noi non vedendolo, la nostra mente sempre ne va alla ricerca.

Il Meeting parlava dell’Io che è in rapporto con l’Infinito, e del fatto che, attraverso il contributo delle neuroscienze, possono essere aperti nuovi spazi di pensiero sul rapporto mente-Infinito. Che sia proprio l’Io l’anello di congiunzione tra la nostra mente finita e l’Infinito? E com’è possibile che la nostra mente, grazie al fatto di esprimersi con un Io definito, concepisca qualcosa come l’Infinito e lo ricerchi?

La mente contiene l’Infinito, e lo manifesta attraverso l’arte e la scienza principalmente. Ma, aggiunge Di Francesco riferendosi a chi ha la fede, anche attraverso la carne, di per sé finita. Dio, infinito, si esprime e si contiene (“si svuota” direbbe San Paolo) facendosi uomo, in Cristo. Di certo, la mente non può parlare dell’Infinito con un unico discorso, che sia artistico, scientifico o religioso: nessuno di questi ambiti è sufficiente, né può escludere gli altri. Devono integrarsi insieme. Ma conciliare l’empirico con il razionale, l’esperienza con la verità, la teologia con la scienza, non è facile.

Se il punto d’arrivo dell’Io è l’Infinito, allora – si chiede Di Francesco – il punto di partenza dell’Io qual è? Bisogna vedere i costituenti dell’Io, e quindi della nostra mente e della nostra intelligenza – risponde. Ma sorgono altre domande. L’intelligenza è frutto solo dei suoi costituenti minimi? Non si perde, ritenendo così, l’unità della persona? Se una persona rimane la stessa nel tempo nonostante i suoi cambiamenti fisici e psicologici, si può mai teorizzare che l’unità della nostra mente sia un’illusione?

I dati della scienza possono essere usati per fare riduzionismo, o peggio ancora eliminativismo (forme di pensiero che ritengono che gli enti, le metodologie e i concetti di qualunque scienza debbano essere ridotti al minimo sufficiente a spiegare i fatti e le teorie di tale scienza), quando invece bisogna conciliarli con una concezione ontologica dell’unità della persona. La mente è una – ci dice Di Francesco – ma può essere studiata a diversi livelli, ognuno solido e valido tanto quanto gli altri. E’ “cooperazione” – assicura – la parola-chiave per comprendere la complessità dell’Io nei suoi aspetti, quella complessità che ci fa aspirare all’Infinito. C’è cooperazione tra un “sé” e i diversi fattori biologici, nell’interazione tra diversi livelli (fisico, psicologico, spirituale), e tutto ciò avviene nell’unità ontologica di un “Io”.

Come fa il cervello biologico, limitato e limitante, attraverso estensioni quali la matematica e l’arte, la filosofia e il linguaggio, a pensare l’infinito? In questo le neuroscienze danno un contributo enorme, che teologi e filosofi non possono e non devono ignorare, se non vogliono commettere lo stesso errore dei riduzionisti e dei loro epigoni estremisti, gli eliminatisti. La filosofia non può arrivare a dare conclusioni a queste tematiche, che però non devono essere messe da parte. E qua entra in gioco la fede, che non è in conflitto ma interagisce con la razionalità. Il concetto di anima, e di divino, può spiegare l’unità dell’Io tra tutti questi elementi, senza però eliminare i contributi delle neuroscienze e delle altre discipline. Da Freud in poi nessuno ha più creduto che noi siamo in pieno possesso del nostro Io, o che il nostro Io sia perfettamente trasparente: questo induce a riflettere sulla nostra fallibilità e sul mistero che ancora si cela in noi.

Tra la fede e la ragione, Di Francesco vede un punto d’incontro molto semplice, essenziale: noi siamo persone tutte intere. Questi diversi territori sono gli spazi nei quali noi ci troviamo a vivere, spazi che ci spingono a guardare oltre l’orizzonte, verso l’Infinito. Un uomo razionale può anche essere di profonda fede, così come un matematico può essere pure un artista. La chiave del mistero sta nell’accettare gli uni le prerogative degli altri, consci dei nostri propri limiti, fiduciosi che la risposta c’è, esiste, ed è già dentro noi.

La redazione

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Il biologo Rupert Sheldrake: «chi nega la coscienza si contraddice»

L'illusione della scienzaA difendere l’irriducibilità dell’uomo e la teleologia dell’evoluzione biologica dalle pretese dell’idelogia scientista e materialista, in voga dall’Illuminismo in avanti, si sono aggiunti negli anni numerosi ricercatori mossi, non tanto da ideali metafisici, ma semplicemente dalla stanchezza di dover sopportare i dogmatismi che tengono in scacco la ricerca.

Recentemente ci ha pensato Thomas Nagel, docente di filosofia presso la New York University, con il suo libro Mente  e cosmo: Perché la concezione materialistica Neo-Darwiniana della natura è quasi certamente falsa” (Oxford University Press 2012) con il quale ha condannato il riduzionismo fisico-chimico in biologia e l’evidente inadeguatezza del «racconto materialista di come noi e gli altri organismi esistiamo, inclusa la versione standard di come funzionino i processi evolutivi».

In questi giorni è uscito (in Italia) un secondo volume, questa volta scritto dal biologo britannico, Rupert Sheldrake, celebre per gli studi sull’invecchiamento cellulare e la teoria dei «campi morfici», intitolato “Le illusioni della scienza. 10 dogmi della scienza moderna posti sotto esame” (Urra 2013).  Il quotidiano La Stampa lo ha intervistato per l’occasione, presentandolo come uno degli evoluzionisti più brillanti della sua generazione, autore di 80 «papers» e vincitore del prestigioso «University Botany Prize» .

Sheldrake sostiene che la scienza del XXI secolo è diventata una cattedrale del dogmatismo, sempre meno adatta a indagare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, il dogma materialista (e dunque filosoficamente ateista) è una prigione per gli scienziati: «Penso che di talloni d’Achille il materialismo ne abbia proprio 10! Non uno solo. Ma il più ovvio è il fallimento nel capire la coscienza. L’assunto-base è che la materia sia l’unica realtà. Perciò la coscienza dev’essere un suo prodotto o un suo aspetto. Significa che la mente non è altro che l’attività del cervello. I filosofi della mente del XX secolo hanno fatto sforzi enormi per provare che la coscienza non esiste e che è un’illusione o un epifenomeno. Ma sono approcci poco convincenti», ha spiegato.

Con un fine ragionamento ha mostrato la contraddizione di chi sostiene che la coscienza sia un epifenomeno del cervello, proprio come aveva già fatto il prof. Giorgio Masiero su questo sito web qualche tempo fa. Risponde Sheldrake: «Definire la coscienza come un’illusione non la spiega, ma la presuppone, dato che l’illusione è una forma della coscienza stessa. E sostenere che sia nient’altro che il risultato di cause fisiche e chimiche, insieme con eventi casuali, fa del sistema di pensiero dei materialisti il prodotto della loro stessa attività cerebrale, su cui non hanno controllo cosciente. In altre parole devono credere nel materialismo, visto che il cervello li obbliga a farlo. Ecco perché un simile sistema di pensiero è auto-contradditorio: chiunque ci creda deve anche credere che la sua convinzione sia l’inevitabile conseguenza dell’attività del cervello e non una questione di scelta».

Il prestigioso biologo ha poi citato proprio il libro di Thomas Nagel di cui abbiamo parlato sopra, spiegando che esso «dimostra che la concezione materialistica è incompatibile con l’esistenza di una mente consapevole e che conduce a una comprensione distorta dell’evoluzione. Invoca quindi il ritorno alla teleologia nel pensiero scientifico, in particolare l’accettazione del ruolo del fine e dello scopo, tutti elementi che sono stati banditi dalla ricerca già a partire dal XVII secolo. Considero questo saggio complementare al mio libro, che discute non solo concetti filosofici, ma anche i passi concreti e gli esperimenti che potrebbero condurre le scienze verso nuove direzioni».

Questa posizione di apertura è molto difficile da mantenere nel contesto scientifico attuale perché molti suoi colleghi, conclude, «sono prigionieri delle pressioni sociali e dell’inerzia istituzionale. In pubblico, per loro, è difficile esprimere idee non convenzionali. In privato, però, sono spesso più aperti. Ecco perché ho rapporti di amicizia con molti scienziati, i quali dimostrano un interesse crescente per le mie idee. Ma considerano più sicuro parlarne in privato piuttosto che in pubblico».

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