Ecco perché il feto umano è da considerarsi persona

Feto 11 settimane
 
 
di Stefano Bruni*
*pediatra
 
 

“Essere o non essere, questo è il problema”. Contesto, quello della tragedia shakespeariana, completamente diverso da quello in cui mi appresto ad addentrarmi. Ma domanda centrata: “Essere o non essere: questo è il nocciolo della questione!”: il feto è o non è un essere umano vivente, unico ed irripetibile, con coscienza di sé e dunque in quanto tale persona e perciò soggetto di diritti, in primis quello alla vita?

Sembra che di questi tempi tutti tranne che il feto abbiano diritti, e che ciascuno sempre di più ne reclami per se stesso (salvo poi dimenticarsi dei doveri che da questi diritti discendono e che dovrebbero essere la condizione per meritarsi i diritti stessi). Anche tra i più illuminati ben pensanti, un qualche generico diritto anche del feto viene accettato, ma questo è pur sempre subordinato, in second’ordine rispetto a quello della madre. Come dire: un diritto “parziale”, che c’è e non c’è ed è comunque limitato. Limitato dal fatto che il feto non è persona, si dice, e se non è persona non può essere soggetto di diritti.

Ma cosa vuole dire essere una “persona”? E perché il feto non sarebbe una persona? Non sono un filosofo né un teologo e nemmeno un giurista. Quello che voglio proporre è un’opinione che trae spunto da solide evidenze scientifiche.

Ormai anche gli abortisti più convinti (almeno quelli con un minimo di cultura e senso logico), hanno dovuto inchinarsi all’evidenza biologica-genetica-tassonomica che feto ed embrione umani sono un “essere umano vivente unico e irripetibile”. Dal punto di vista genetico l’uomo è diverso da qualsiasi scimmia, gorilla o macaco che sia (se si esclude una certa somiglianza tra questi primati e coloro che si ostinano a negare la suddetta evidenza scientifica!) e ogni uomo è diverso da qualsiasi altro uomo, gemelli inclusi. Un uomo non è il suo patrimonio genetico ma certamente il suo DNA lo caratterizza e lo distingue da tutti gli altri esseri viventi. Su queste evidenze dunque non mi soffermerò, avendolo tra l’altro già fatto in articoli e commenti precedentemente postati su questo sito.

Se dunque ogni embrione e ogni feto è un essere umano vivente unico e irripetibile, come si può giustificarne la soppressione senza che ciò configuri un omicidio e dunque un vero e proprio atto criminoso? Pare che la giustificazione risieda nel fatto che embrione e feto non sarebbero “persona” in senso giuridico e per questa loro condizione dunque non possano essere considerati titolari, soggetti di diritti, ivi incluso quello alla vita.

Ho letto molto spesso ed ho sentito dire altrettante volte che un pre-requisito essenziale della “personalità” è la “coscienza di sé”. E siccome, si sottolinea, il feto non ha coscienza di sé allora non può essere considerato persona e dunque soggetto di diritti. Una difesa del feto nei confronti dell’aborto non può prescindere quindi dalla soluzione di questo primo, originale (nel senso di: “che sta alle origini”) problema, cioè cosa sia la coscienza e se il feto sia cosciente o no. “Essere o non essere”, il dilemma ritorna.

Trovo che per definire la “coscienza” possa essere interessante leggerne la definizione che ne dà il CICAP, ente certamente non confessionale. È una delle più interessanti che ho trovato: “… uno stato soggettivo di consapevolezza sulle sensazioni psicologiche (pensieri, sentimenti, emozioni) e fisiche (tatto, udito, vista) proprie di un essere umano e su tutto ciò che accade intorno ad esso. La soggettività della coscienza è data dal fatto che ogni persona ha una propria modalità di rapportarsi alle esperienze e tale modalità dipende in gran parte da un determinato stile culturale di appartenenza. … In un individuo la consapevolezza di se stessi e dell’ambiente si struttura grazie ad un insieme di funzioni psico-fisiologiche come la percezione, la memoria, l’attenzione, l’immagazzinamento e l’elaborazione delle informazioni, tutte dipendenti l’una dall’altra e controllate dal cervello. Tutte le informazioni, sia esterne che interne, passano attraverso i nostri organi recettori (occhi, naso, recettori muscolari) e, dopo aver raggiunto il sistema nervoso, vengono da quest’ultimo elaborate.”

Un’interessante review di autori francesi pubblicata nel 2009 su Pediatric Research tenta di sostenere come tutte le reazioni identificabili nel feto con le moderne tecnologie siano in realtà probabilmente pre-programmate e con un’origine sottocorticale inconscia. Questi autori sostengono che il feto dorme per la maggior parte del tempo e si trova quindi in stato di incoscienza, in parte anche a causa dell’effetto di una sedazione endogena legata al basso livello di ossigeno del sangue fetale, all’effetto del pregnanolone e della prostaglandina D2 prodotta dalla placenta. Nello stesso articolo però gli autori citano due elementi che dal mio punto di vista indeboliscono la loro posizione. L’evidenza sperimentale che tentare di svegliare un feto con uno stimolo doloroso provoca un aumento della sedazione anziché il risveglio mi fa pensare che lo stato di sedazione, di abbassamento dello stato di coscienza abbia un effetto protettivo nei confronti del feto. Ma, mi chiedo, da cosa dovrebbe essere protetto il feto se non proprio da dolore e sensazioni spiacevoli che, se non avesse un qualche livello di coscienza non significherebbero nulla per lui? Dunque se la natura ha fatto in modo di proteggere il feto dal dolore significa che il feto può esserne cosciente.

In altre parole si tratta di uno stato di “ridotta coscienza” artificiale, esattamente come quella che mettiamo in atto con la sedazione palliativa nei malati terminali o più semplicemente nelle persone che devono sottoporsi ad un intervento chirurgico. Non è che queste persone non abbiano una coscienza; semplicemente l’abbiamo ridotta per evitare loro la sensazione spiacevole del dolore, fisico o psichico. L’altro elemento che trovo contraddittorio di questo articolo è che da una parte gli autori ammettono che il neonato ha un cervello in una fase di sviluppo “transizionale” che progressivamente evolve verso quello dell’adulto, mentre sembrano dimenticare che questo “continuum” di sviluppo ha in realtà origine molto prima della nascita del bambino. Se dunque, come gli autori ammettono, un neonato ha una propria coscienza, ancorché minima ed in evoluzione, perché mai questo non dovrebbe essere altrettanto vero anche per il feto?

In realtà, sempre più lavori originali stanno apparendo in letteratura riguardo l’esperienza sensoriale-intellettiva che un feto è in grado di costruirsi già in epoca molto precoce. Quell’esperienza che a nulla varrebbe se non potesse essere elaborata a livello cosciente e che invece è in grado di strutturargli addirittura una “memoria” propedeutica allo sviluppo successivo, durante la fase post-natale. Posso di seguito citare per brevità, a titolo meramente esemplificativo, solo alcune di queste evidenze scientifiche.

Oggi siamo in grado di  studiare la risposta del feto alla voce della sua mamma con metodiche funzionali non invasive e sappiamo che già dalla 19° settimana di gestazione è possibile osservare una risposta fetale come conseguenza di una stimolazione sonora. Il cuoricino del feto batte in maniera diversa quando ascolta la voce della sua mamma e questo accade già dalla 29° settimana di gestazione. Ma la cosa più bella è che questa sua capacità, con il progredire continuo delle competenze fetali, che segue la maturazione funzionale delle strutture cerebrali a ciò deputate, permette al feto di memorizzare e riconoscere, una volta che sarà nato, la voce della madre tra le tante voci che ascolterà, di provare interesse particolare nei confronti di canzoni o musica che gli siano state fatte ascoltare nel periodo prenatale, addirittura di dimostrarsi più attento e più incline ad imparare fonemi ascoltati in utero anziché espressioni linguistiche non proprie della sua mamma. È ormai assodato che il feto impara ad ascoltare e riconoscere, cioè elabora le sensazioni sonore che lo raggiungono e ne immagazzina nella memoria gli elementi essenziali che poi gli torneranno utili per il successivo sviluppo delle proprie competenze dopo la nascita. Questi ed altri studi suggeriscono una capacità di memorizzare esperienze e di imparare attraverso queste esperienze che, già nel feto, evidentemente devono fare riferimento ad un livello più alto di controllo (sottocorticale/corticale), rispetto a quello rudimentale del tronco encefalico.

Il feto presenta le papille gustative già alla 7° settimana di gestazione ed è dimostrato che l’esposizione in utero a sapori diversi (il feto deglutisce numerose volte nelle 24 ore il liquido amniotico e ne percepisce dunque il sapore che varia al variare dell’alimentazione materna) fa sì che il neonato ricordi e preferisca quei sapori che ha conosciuto in epoca molto precoce durante il suo sviluppo. I gusti del bambino perciò si formano anche grazie all’esperienza maturata nell’ambiente uterino. Anche l’olfatto fetale è già strutturalmente maturo entro il terzo trimestre di vita prenatale e alla nascita il bambino è in grado di riconoscere odori percepiti in utero attraverso il contatto del liquido amniotico con i suoi recettori olfattivi.

Sappiamo oggi (anche qui) che il feto prova dolore già in epoca molto precoce del suo sviluppo. Perché ci sia dolore occorre non solo che siano funzionanti i recettori che distinguono e raccolgono le sensazioni perifericamente, ma anche che ci sia una struttura centrale in grado di elaborare le varie sensazioni determinando una reazione emozionale. Studi su neonati anche gravemente prematuri dimostrano ampiamente come stimoli tattili o dolorosi evochino una robusta attività corticale e dunque una percezione cosciente del dolore. Così come prova dolore, il feto è capace di elaborare e ricordare anche le sensazioni piacevoli. Tra gli altri studi, molto interessanti sono quelli compiuti osservando le risposte alle coccole materne di neonati molto prematuri (dei feti, in pratica, che vivono e proseguono il loro sviluppo nell’utero surrogato che è l’incubatrice). La kangaroo-care, ad esempio, cioè tenere il piccolo prematuro a contatto della pelle della mamma, tra i suoi seni, sappiamo che tranquillizza il bimbo. È stato anche osservato come un prematuro riesca a concentrarsi sulle parole e le coccole della mamma tanto da essere distratto dal dolore provocato ad esempio da un prelievo venoso. In un bell’articolo pubblicato lo scorso anno gli autori sottolineano come lo sviluppo del feto sia una progressione di eventi all’interno dei quali si può individuare anche un’attività, ancorché rudimentale, di tipo cognitivo, correlata all’apprendimento.

Dunque non mi pare possano esserci dubbi su cosa, chi siano embrione e feto. Salvo voler negare le evidenze scientifiche, alla domanda se “sia o non sia” una persona umana vivente in formazione, unica e irripetibile, con una propria “esperienza” razionale di sé e dell’ambiente che lo circonda e quindi con un qualche livello di seppur minima “coscienza”, genetica, biologia, neurologia, neurobiologia, neuroradiologia, fisiologia, ricerca scientifica e medica e il semplice buon senso danno una risposta inequivocabilmente positiva. Una bella review scritta da un neonatologo intensivista italiano riassume così, nel titolo del suo articolo, l’evidenza: “Il feto è una persona? Un’evidenza clinica”.

Se dunque il Codice Civile Italiano recita che “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita (462, 687, 715, 784).” mi verrebbe da dire che alla luce delle scoperte scientifiche che, in maniera incrementale, stanno spostando sempre più precocemente l’evidenza di una “personalità” del feto, il Codice Civile dovrebbe essere rivisto. Fissare al momento della nascita il godimento di diritti relativi alla personalità dell’individuo umano è arbitrario, così come lo è fissarlo in un momento specifico dello sviluppo fetale. Limiti fissati sulla base delle conoscenze di ieri sono abbondantemente stati anticipati dalle evidenze disponibili oggi e probabilmente saranno ulteriormente anticipati col progredire della scienza medica e la conoscenza del feto.

Leibniz lo aveva detto, anche se riferendosi ad altro tema: “Natura non facit saltus”. Lo sviluppo dell’uomo è un continuum che inizia al momento del concepimento e continua per tutta la vita, prima intrauterina e poi alla luce del sole. E in questo sviluppo non si può individuare un “salto di qualità” che trasforma completamente una realtà in un’altra. Il feto è uno di noi, una persona; anche se debole e per certi versi “mancante” di alcuni attributi della maturità e del pieno vigore intellettivo (questo non vale forse anche per il prematuro? e per l’ammalato? e per l’anziano? eppure nessuna persona sensata si sognerebbe di dire che prematuro, malato e anziano non sono persone). In altre parole l’essere-uomo coincide con l’essere-persona. E questo non solo guardando la realtà dal punto di vista scientifico.

Ma se il feto è una persona, può essere legittimo un diritto della donna a sopprimere quello che certamente É un INDIVIDUO umano con una propria, ancorché preliminare, “esperienza razionale”? Ed ecco che ancora una volta torna l’amletico dubbio: “Essere o non essere: questo é il punto”. Cioé se sia o non sia un diritto per la donna sopprimere quell’essere umano capace di sentire suoni, gusti e odori, di vedere, di provare piacere e dolore, in altre parole di “assaporare” la vita nell’ambiente che dovrebbe proteggerlo e supportarne lo sviluppo e di crearsi un’esperienza propedeutica al suo adattamento alla vita extrauterina; se sia o non sia un diritto della donna interrompere, negare il diritto di nascere, “abortire” questo meraviglioso continuum che conduce ad un nuovo uomo o a una nuova donna. E, non volendo essere politicamente corretti, la risposta mi é molto chiara: non può esistere un diritto del più forte di sopprimere il più debole, non quando parliamo di uomo.

Spero di avere spiegato il mio pensiero e di avere fornito sufficienti elementi scientifici a supporto della mia opinione. Ho citato solo una piccolissima parte dei lavori presenti nella letteratura scientifica internazionale sull’argomento; chi volesse può approfondire il tema con una semplice ricerca su PubMed.

Il monologo di Amleto continua, dopo il celeberrimo incipit: “…se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli … Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le ingiustizie del tiranno, il disprezzo dell’uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? … Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l’incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso: e dell’azione smarriscono anche il nome…”. Quasi un involontario monito per chi, come me, crede fortemente nel valore della vita umana in ogni suo istante di sviluppo, a non schierarsi, per quieto vivere, dalla parte del “politicamente corretto” ma ad impegnarsi, per amore della vita, nella battaglia in sua difesa.

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“Uno di noi”, firma per il riconoscimento giuridico dell’embrione

Uno di noi“Uno di noi”. È il titolo della campagna europea di raccolta firme per il riconoscimento giuridico dell’embrione, con il fine di tutelarne la dignità, il diritto a vivere e l’integrità, rendendo così possibile l’introduzione di regole che “pongano fine al finanziamento di attività presupponenti la distruzione di embrioni umani”.

Il titolo “Uno di noi” dell’iniziativa ricalca la definizione presente nell’introduzione del documento del 1996 “Identità e statuto dell’embrione umano”, redatto dall’autorevole Comitato nazionale di bioetica (durante il governo dell’Ulivo): L’embrione è uno di noi: questa frase, talmente semplice da suonare per alcuni irritante, esplicita bene l’atteggiamento bioetico fondamentale che emerge dal nostro testo: il senso del limite al nostro possibile operare tecnologico“. La raccolta di firme è già iniziata e prosegue fino a novembre 2013, ed ha l’obiettivo di raggiungere 20 milioni di adesioni in tutta Europa e almeno 1 milione in Italia. Il sito internet in cui si può firmare l’appello è http://www.oneofus.eu/it/

Bisognerebbe creare una massiccia mobilitazione della rete per fare conoscere e promuovere questa iniziativa. I tempi lo richiedono. E contemporaneamente fornire sempre più capillarmente informazioni per aiutare a comprendere la verità dello slogan. “Uno di noi” è il claim che definisce l’embrione nello spazio comunicativo e meglio funziona quanto più si capisce che fotografa davvero la realtà. Il riferimento all’ottava arte non è casuale, in quanto proprio la fotografia offre uno spunto interessante per comprendere l’umanità dell’embrione.

In particolare aiuta a comprenderlo l’uso della Polaroid che ha qualcosa di meraviglioso. Si scatta la foto, dalla macchina esce un foglio, si prende in mano e si guarda con stupore divertito l’affiorare e il lento formarsi dell’immagine dal fondo chiaro del supporto. Questo piccolo prodigio è secondo me perfetto per illustrare quell’evento ancora più geniale che è la nascita e lo sviluppo di un essere umano. Quando inizia la vita umana? In quale momento del suo sviluppo possiamo dire convintamente “questo è un essere umano come noi”? L’iniziale e normale difficoltà di vedere nel pallino di cellule del concepito una vita integralmente umana, da rispettare e tutelare, può essere superata pensando a quel che accade con una fotografia Polaroid, il cui fascino non dipende solo dal formato quadrato della cornice rispetto al più diffuso 2/3 della pellicola 35 mm. Le ragioni vere della sua seduzione risiedono nel fatto che lo sviluppo avviene in diretta e che la foto è senza negativo. Ciò rende ogni immagine un pezzo unico e un piccolo evento. Se si perde una foto Polaroid, che documenta un momento prezioso, si perde tutto. Niente più possibilità di ristamparla. Come ogni essere umano, essa è unica e irripetibile. Ma anche il lento apparire dell’immagine dal fondo chiaro ha qualcosa di magico, che incanta. Nel foglio bianco c’è già tutta l’immagine che deve “svilupparsi”, come nell’embrione c’è già l’essenza della persona che reclama solo un po’ di tempo per crescere e – con stessa parola – svilupparsi. Se si mettesse la foto Polaroid in un congelatore per arrestarne il processo chimico, l’immagine resterebbe presente nel tempo pur non visibile, e dopo la disibernazione potrebbe riaffiorare. Così un embrione confinato nel cryotank ha latente l’umanità ricevuta dalla fecondazione e, rimesso in una condizione favorevole, può riprendere l’espressione di ciò che era ė stato impresso. L’analogia tra i due processi si spinge lontano: anche il fatto che in entrambi i casi lo sviluppo si realizza mediante un dinamismo interno (autosviluppo) è degno di nota. A differenza delle altre fotografie che necessitano di un intervento esterno per essere stampate, la Polaroid è autonoma. In modo simile lo sviluppo dell’embrione è self made. La madre ospita davvero un altro, autonomo quanto a principio dinamico che è ciò che caratterizza e qualifica i sistemi viventi. Tuttavia riconoscere l’umanità dell’embrione è un passo fondamentale ma non sufficiente.

Dire che l’embrione umano è un essere umano non basta. Come messo in rilievo anche da questo articolo, chi nega tutela alla vita nascente può passare rapidamente dal non guardare nel microscopio (comportandosi come chi non voleva guardare nel telescopio di Galileo) per non accettare la verità empirica (sempre più incontestabile) dell’appartenenza alla specie umana di embrione e feto, al riconoscere che sì, si tratta di vita umana, ma che tuttavia quell’organismo umano non è ancora persona umana, questa sì degna di rispetto e tutela. Diventa perciò importante chiarire alcuni passaggi: la scienza induce sempre di più a riconoscere che l’embrione umano è vivo ed è vita umana; la filosofia ne deduce che è persona da subito; la teologia conduce nel dibattito la convinzione che quella pur piccola vita ha dignità umana inviolabile e quindi diritti da tutelare, tra cui quelli primari alla vita e all’integrità fisica.

Vita umana: Edoardo Boncinelli, genetista, afferma: “Non c’è dubbio che la vita di un organismo specifico – ranocchio, gatto o uomo – inizia con la fecondazione, cioè con la congiunzione di un gamete maschile, lo spermatozoo, e uno femminile, la cellula-uovo o ovocita maturo” E ancora: “Dal punto di vista biologico non c’è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita e oltre”.  Documento di Carlo Flamigni e soci sull’ootide (neologismo parascientifico per aggirare la definizione di embrione): “La transizione oocita-embrione risulta da una successione di eventi che si susseguono nel tempo con larghe sovrapposizioni funzionali e temporali. In tale transizione un evento peculiare sul quale basare la criticità del passaggio generazionale e quindi l’inizio di un nuovo essere umano, è rappresentato dalla costituzione del nuovo assetto cromosomico diploide e dal successivo inizio della segmentazione”. Lo considero un piccolo autogol. Perfino chi come Flamigni critica la legge 40 e il suo definire soggetto l’embrione umano, constata che dopo sole 24-36 ore dalla fecondazione, con l’inizio della fase embrionale, c’è la presenza di un “nuovo essere umano”. Poi lui, per convenienza, non gli riconosce lo statuto di persona, ma qui siamo già nel campo della filosofia e non più della biologia. Biologicamente parlando è un individuo della specie uomo.

Persona umanaBasterebbe la domanda posta da Giovanni Paolo II: “Come può un individuo umano non essere una persona umana?” Se una vita umana non fosse una persona umana da subito, cioè dalla sua apparizione come essere della specie uomo, quando lo sarebbe? E cosa gli fornirebbe questo statuto? Quale evento lo costituirebbe? Le azioni che dimostrano il mio essere persona vengono dopo il mio esserlo. Il fare segue l’essere. Dissociare l’essere persona umana dall’avere un vita umana, porta a ricostituire caste sociali in cui alcuni soggetti umani non sono ancora, o non sono più, o non sono abbastanza, persone. Peter Singer ritiene coerentemente che nemmeno i neonati siano persone. Non hanno ancora sviluppate le caratteristiche che rendono tali le persone: coscienza, volontà, relazionalità. Pertanto alcuni individui o non sono ancora persone (feti, neonati, infanti, matti) o non lo sono più (chi è in stato vegetativo, chi è afflitto da gravi malattie degenerative del cervello). Io dico, allora, anche i dormienti! Se essere persona è avere in atto coscienza e volontà, un dormiente non le ha. Occorre che si svegli per essere pienamente persona. Quindi se un omicida dimostrasse che la sua vittima stava dormendo mentre la uccideva, per la logica assurda  che consegue a questi ragionamenti dovrebbe essere assolto. Serve a poco ribattere che il dormiente appena si sveglia riacquisterà coscienza e volontà. Anche un feto le espliciterà non appena sarà cresciuto. Il dormiente e il feto sono in situazione di potenzialità rispetto all’avere espresse e attive la coscienza e la libertà. Perché chiudere un occhio su una forma di potenzialità rispetto all’altra?

Dignità umanaQui il nocciolo. Riconosciuto che un embrione è un essere umano, e quindi persona umana, cosa farsene? È così piccolo e insignificante… La teologia, o meglio, una visione religiosa della vita, nomina la dignità come spirito, anima, e l’ebraismo e il cristianesimo come “imago Dei”. Una filosofia materialista è in grado di nominarla con tanta profondità? Può dire dignità universale e inviolabile? Attenzione che non sto parlando di comportamento concreto del dichiarante. So che ci sono persone credenti che hanno contravvenuto alla “teoria”. A me, e secondo me alla società attuale, preme però sapere se la dignità sia un illusione, un effetto ottico, oppure una realtà vera. Questo perché cerco una coerenza (fin quando posso applicarla) tra la prassi e la teoria. Credo ancora che siano le idee a muovere le gambe.   La campagna nobilmente politica “Uno di noi” ha dentro di sé tutto questo.

Per qualcuno è già ben chiaro e distinto, mentre per molti altri sono ancora ragionamenti impliciti e latenti, come in una foto Polaroid appena scattata, che ha bisogno solo di tempo e di condizioni giuste (una giusta cultura) per svilupparsi. Intanto, se tu condividi quanto detto, hai già firmato (serve un documento)?

Massimo Zambelli

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Adozioni gay, risposta a Dacia Maraini

Dacia MarainiDopo Roberto Saviano, ritorna in scena un’altra storica avversaria del diritto naturale, la tuttologa 75enne Dacia Maraini. Anche lei ha tentato in modo maldestro un endorsment all’agenda LGBT, anche lei -come Saviano- sprovvista di un argomento serio e razionale a sostegno, tanto che è arrivata perfino a prendere in giro, inconsapevolmente, la Costituzione italiana, che per il laicismo dovrebbe invece rappresentare una sorta di regolamento divino.

La Maraini, anticlericale di lungo corso, ha sempre voluto assumere posizioni in contrasto con i cattolici, arrivando puntualmente ad affermare un’infinità di sciocchezze. Ad esempio nel suo libro Un clandestino a bordo (Rizzoli, Milano 1996, p. 14), difendendo l’aborto è arrivata a sostenere che il bambino non ancora nato sarebbe un «intruso che vuole accampare diritti», un «prepotente che pretende di vivere» a spese della madre.

Nel suo nuovo articolo sul Corriere della Sera  ha affermato che «due uomini o due donne che abbiano fra loro rapporti omosessuali, sono capaci di nutrire, curare e fare crescere un bambino o una bambina senza portarli alla depravazione e al suicidio, come teorizza qualcuno». Ancora una volta si vorrebbe convincere sull’adozione gay basando il ragionamento sul sentimento, come se bastasse essere capaci di crescere un bambino senza portarlo alla depravazione e al suicidio per essere genitori adottivi. Questo è il livello degli argomenti della società colta italiana?

Occorre sottolineare ancora una volta che «non è qui in discussione la capacità di cura che possono avere le coppie omogenitoriali», come ha spiegato lo psicoterapeuta Domenico Simeone«Di fatto», ha continuato il filosofo Adriano Pessina, «ci sono bambini equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono cresciuti in orfanotrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona?». Senza contare che decine di studi scientifici contraddicono l’opinione della Maraini sulla presunta bontà nel crescere con due genitori, di cui uno finge di fare quello che non è. Anzi, attualmente non ve n’è nessuno valido scientificamente che sostenga il contrario, come ha dimostrato quest’estate Loren Marks, della Louisiana State University.

 

“Argomento nuove famiglie”: la Maraini ha fortunatamente evitato di usare a suo sostegno “l’argomento dell’orfanotrofio”, usato invece incautamente da Saviano, optando per sottolineare come il concetto di famiglia sarebbe cambiato nel corso della storia, nuove tipologie si sono succedute: dalla famiglia contadina a quella industriale, e così via. Per questo dovremmo accettare i nuovi cambiamenti, e dunque le famiglie gay. E’ un altro argomento chiave dei militanti LGBT, ma anch’esso difettoso: nessuna di queste tipologie di famiglie ha mai preteso di stravolgere la struttura naturale della famiglia, sempre fondata da uomo e donna con la prole (anche se contadina o industriale), al contrario di quello che pretendono fare le unioni omosessuali. Come ha spiegato la storica Lucetta Scaraffia, professore ordinario presso La Sapienza di Roma, «il matrimonio non è solo un contratto come tanti altri che può funzionare o meno, ma è il legame istituzionale alla base di una famiglia, è l’istituzione nata per proteggere e garantire la filiazione, stabilita in modo da determinare i diritti e i doveri che passano fra le generazioni. Dal momento che una coppia omosessuale non prevede la filiazione, è una realtà diversa». 

In ogni caso a questo classico argomento ha risposto perfettamente Marta Cartabia, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Milano Bicocca, confutandone le fondamenta: «Qualcuno potrebbe obiettare che non esiste un concetto universale di famiglia, perché l’istituto familiare è cambiato nel corso della storia: la famiglia patriarcale, la famiglia matriarcale, la famiglia allargata e così via. In questa obiezione c’è del vero: vi sono aspetti della famiglia che sono stati profondamente influenzati da fattori culturali, economici, sociali. Tuttavia non è difficile individuare un nucleo invariabile nel concetto di famiglia, dato dall’unione di un uomo e di una donna in vista della procreazione. Possono cambiare le forme e le dimensioni, i rapporti interni, il ruolo dei coniugi e molti altri aspetti ancora. Ma vi è un dato costante nel tempo e nello spazio che ci permette di ricondurre all’idea di famiglia esperienze pur molto diverse fra loro. È a questo nucleo costante nel tempo e nello spazio che la Costituzione rinvia quando usa l’espressione società naturale».

 

Proprio sulla Costituzione è caduta la Maraini, la quale ha affermato: «qualcuno si acciglia e ripete testardamente che la famiglia è fatta “per natura” di un padre, una madre, un marito e dei  figli». Questo “qualcuno”, occorre ricordarlo alla nostra amica laicista, è proprio la Costituzione italiana, quando parla di «società naturale fondata sul matrimonio». Ha spiegato infatti la prof.ssa Cartabia: la Costituzione riconosce «un dato che precede logicamente e storicamente il diritto, a un concetto generalmente condiviso di famiglia, che fa riferimento all’unione di un uomo e di una donna in vista della nascita dei figli. Non è un caso che nel testo della Costituzione italiana subito dopo l’articolo 29 vengano gli articoli 30 e 31 che immediatamente ricollegano la famiglia alla procreazione e alla educazione dei figli […] È a questo nucleo costante nel tempo e nello spazio che la Costituzione rinvia quando usa l’espressione società naturale. Invocare un’interpretazione evolutiva della Costituzione per far rientrare nella tutela dell’art. 29 nuove forme di convivenza non mi pare corretto. Il valore più importante del richiamo alla famiglia come società “naturale” è che esso indica che la famiglia non è creata artificialmente dallo Stato o dall’ordinamento giuridico. Il diritto e la legge ci offrono una disciplina per regolare i rapporti familiari, ma non è loro compito creare la famiglia. La Costituzione non crea la famiglia, ma la riconosce, la tutela, la sostiene, la regola, la disciplina. La famiglia preesiste allo Stato, al diritto e alla Costituzione, perciò si dice che è una società naturale»

La Maraini, infine, si è dimostrata anche incompetente sulla famiglia naturale, oltre che sulla Costituzione, sostenendo una vulgata purtroppo radicata la quale ritiene che «proprio da quando la stabilità viene imposta come un dovere, la famiglia tradizionale è diventata un luogo pericoloso per donne e bambini». Quante volte abbiamo sentito questa affermazione? Peccato che gli studi mostrano proprio l’opposto, ovviamente, cioè che le donne sposate subiscono minor violenze di quelle conviventi o single. Le persone sposate stabilmente, inoltre, presentano una migliore salute mentale e fisica dei loro coetanei non sposati e hanno meno probabilità di sviluppare malattie croniche rispetto alle persone vedove o divorziate, secondo un recentissimo studio pubblicato sul Journal of Family Psychology.

L’editorialista de Il Corriere si lamentava in un’intervista di non essere riuscita ad essere «considerata un modello delle nuove generazioni». Vorremmo tranquillizzarla: riusciremo comunque a sopravvivere!

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Nascono i “Mendel day”, armonia tra scienza e fede

Mendel Day 
di Mario Iannaccone
da Avvenire, 19/02/13

 

L’idea che la Chiesa sia nemica della scienza e del sapere è una falsa leggenda nera, nata tra Sei e Settecento dalla propaganda protestante, e non difficile da confutare a livello storiografico come, del resto, è stato fatto molte volte. Basta elencare fatti, nomi e scoperte. Tuttavia certe disinformazioni, a furia di essere ripetute sulle pagine di periodici e riviste di divulgazione scientifica (divenute ultimamente veicoli ideologici), negli studi televisivi o nelle aule scolastiche, finiscono per influenzare giovani e meno giovani.

Per questo motivo, a pochi giorni dalla conclusione del “Darwin Day”, celebrato con iniziative caratterizzate dalla lettura della scienza come movimento di conoscenza che si è sviluppato contro e nonostante la Chiesa è stato, per la prima volta,  organizzato un “Mendel Day”.

Contro ogni lettura unilaterale e ideologica della scienza, l’iniziativa si tiene domani, mercoledì 20 febbraio, a Verona  all’Istituto “Alle Stimate” (www.mendelday.org). Si tratta di un convegno e una giornata di studi, organizzati da un biologo, un naturalista e uno storico (Umberto Fasol, Enzo Pennetta, Francesco Agnoli), pensati con l’obiettivo di riaffermare al pubblico la semplice evidenza che la Chiesa e gli uomini di fede sono sempre stati protagonisti nello sviluppo della scienza e dello studio della natura sin dalle origini; e che la contrapposizione, ovvero l’”inimicizia” radicale, fra scienza e fede è una creazione ideologica.

La giornata è così chiamata in onore del frate agostiniano di nazionalità ceca Gregor Mendel, che fu biologo e matematico insigne, vissuto tra il 1822 e il 1884. Le sue intuizioni furono messe alla prova in una serie di intelligenti esperimenti condotti  su piantine di pisello, nell’orto del suo convento, che gli consentirono di scoprire le leggi fondamentali dell’ereditarietà. Le sue ricerche, pubblicate nel 1865 nel testo “Esperimenti sull’ibridazione delle piante”, e poi a lungo cadute nell’oblio, sarebbero divenute in seguito fondamentali per istituire il campo di studi della genetica. Lui, come Lazzaro Spallanzani o Nicolò Copernico, era un sacerdote. E lo stesso si può dire di Renè Just Haüty, padre della mineralogia o Benedetto Castelli, padre dell’idraulica moderna, o Georges Lemaître, teorico del Big Bang, e moltissimi altri, nei campi più vari.

Il “Mendel Day”, insomma, non è un’iniziativa “contro qualcuno” ma a favore dell’equilibrio, della completezza e della verità. La scienza non fu, è necessario chiarire, la conquista esclusiva di “alcuni illuminati” che dovettero lottare contro istituzioni religiose oppressive, ma anzi di persone intelligenti di varia estrazione tra i quali si contavano moltissimi uomini di fede e di Chiesa, mossi alla conoscenza e allo studio della Natura, con rispetto e meraviglia. Per rammentare che la vita e l’universo obbediscono a leggi che possono essere studiate ma poggiano su un mistero che sfugge a ogni riduzionismo materialista.

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Dimissioni del Papa: testimonianza di certezza e libertà

Benedetto XVI in preghieraTra tutti i commenti finora letti sull’abdicazione di Papa Benedetto XVI, quello che pubblichiamo riteniamo sia uno dei più lucidi e interessanti. L’autore è Julian Carron, responsabile del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione e il grande pregio di questa sua riflessione è quello di staccarsi dalle dietrologie, dalle conseguenze politiche, dalle conseguenze per la Chiesa, dallo smarrimento dei fedeli, per intuire perfettamente quel che il grande atto di libertà del Papa ha da dire ad ognuno di noi. La rinuncia del Pontefice è una testimonianza al mondo di cosa voglia dire essere certi del cammino e dunque veramente liberi.

 
di Julián Carrón
da Repubblica, 15/02/13

 

Caro direttore,
il suo editoriale sull’annuncio di Benedetto XVI descrive la situazione in cui tutti ci siamo venuti a trovare lunedì mattina. «È una notizia universale, che fa il giro del mondo e lo stupisce. (…) Guai a far finta di niente». Per un istante il mondo si è fermato. Tutti, dovunque fossimo, abbiamo sostato in silenzio, specchiandoci nei volti altrettanto stupiti di chi avevamo accanto.

In quel minuto di silenzio c’era tutto. Nessuna strategia di comunicazione avrebbe potuto provocare un simile contraccolpo: eravamo davanti a un fatto tanto incredibile quanto reale, che si è imposto con una tale evidenza da trascinare tutti, facendoci alzare lo sguardo dalle cose solite. Che cosa è stato in grado di riempire il mondo intero di silenzio, all’improvviso?

Quel minuto stupefatto ha bruciato d’un colpo tutte le immagini che di solito ci facciamo del cristianesimo: un evento del passato, una organizzazione mondana, un insieme di ruoli, una morale circa le cose da fare o da non fare. No, tutto questo non riesce a dare ragione adeguata di ciò che è accaduto l’11 febbraio. La spiegazione va cercata altrove.

Perciò, davanti al gesto papale mi sono detto: qualcuno si sarà domandato chi è mai Cristo per Joseph Ratzinger, se il legame con Lui lo ha indotto a compiere un atto di libertà così sorprendente, che tutti – credenti e non credenti – hanno riconosciuto come eccezionale e profondamente umano? Evitare questa domanda lascerebbe senza spiegazione l’accaduto e, quel che è peggio, perderemmo ciò che di più prezioso ci testimonia. Esso grida, infatti, quanto è reale nella vita del Papa la persona di Cristo, quanto Cristo deve essergli contemporaneo e potentemente presente per generare un gesto di libertà da tutto e da tutti, una novità inaudita, così impossibile all’uomo. Pieno di stupore, sono allora stato costretto a spostare lo sguardo su ciò che lo rendeva possibile: chi sei Tu, che affascini un uomo fino a renderlo così libero da suscitare anche in noi il desiderio di quella stessa libertà? «Cristo me trae tutto, tanto è bello», esclamava un altro appassionato di Cristo, Jacopone da Todi: non ho trovato altra spiegazione.

Con la sua iniziativa il Papa ha dato una tale testimonianza a Cristo da far trasparire con potenza tutta la Sua attrattiva, a tal punto che essa in qualche modo ci ha afferrati tutti: eravamo davanti a un mistero che catturava l’attenzione. Dobbiamo ammettere quanto sia raro trovare una testimonianza che costringa il mondo, almeno per un istante, a tacere. Anche se, subito dopo, la distrazione ci stava già trascinando altrove, facendoci scivolare – l’abbiamo visto in tante reazioni – negli inferi delle interpretazioni e dei calcoli di “politica ecclesiastica”, impedendoci di vedere che cosa ci ha realmente avvinto nell’accaduto, nessuno potrà più cancellare da ogni fibra del proprio essere quell’interminabile istante di silenzio. Non solo la libertà, ma anche la capacità del Papa di leggere il reale, di cogliere i segni dei tempi, grida la presenza di Cristo.

Parlando di Zaccheo, il pubblicano salito sul sicomoro per vedere passare Gesù, sant’Agostino dice: «E il Signore guardò proprio Zaccheo. Egli fu guardato e allora vide. Se non fosse stato guardato, non avrebbe visto». Il Papa ci ha mostrato che solo l’esperienza presente di Cristo permette di “vedere”, cioè di usare la ragione con lucidità, fino ad arrivare a un giudizio assolutamente pertinente sul momento storico e a immaginare un gesto come quello che lui ha compiuto: «Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza che esso richiede». Un realismo inaudito! Ma dove ha origine?

«Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura» (Udienza generale del mercoledì, 13 febbraio 2013). L’ultimo atto di questo pontificato mi appare come l’estremo gesto di un padre che mostra a tutti, dentro e fuori della Chiesa, dove trovare quella certezza che ci renda veramente liberi dalle paure che ci attanagliano. E lo fa con un gesto simbolico, come gli antichi profeti di Israele che, per comunicare al popolo la certezza del ritorno dall’esilio  facevano la cosa più apparentemente assurda: comperare un campo. Anche lui è così certo che Cristo non farà mancare la Sua guida e la Sua cura alla Chiesa che per gridarlo a tutti fa un gesto che a tanti è sembrato assurdo: mettersi da parte per lasciare a Cristo lo spazio di provvedere alla Chiesa una nuova guida con le forze necessarie per assolvere il compito. Ma questo non riduce il valore del gesto alla sola Chiesa. Attraverso la cura della Chiesa, secondo il Suo misterioso disegno, Cristo pone nel mondo un segno nel quale tutti possono vedere che non sono da soli con la loro impotenza.

Così «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza», che spesso provocano confusione e smarrimento, il Papa offre a ogni uomo una roccia dove ancorare la speranza che non teme le burrasche quotidiane permettendogli di guardare al futuro con fiducia.

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Madri indiane ‘surrogate’, una storia di schiavismo post-moderno

http://doculinks.files.wordpress.com/2011/08/stephanie-sinclair-womb-india.jpg?w=812Non diversamente da molte altre indiane, Premila Vaghela era incinta. E non diversamente da moltre altre, aveva il suo utero in ‘affitto’. Ma contrariamente alle altre, Premila non ce l’ha fatta. Era una ‘biological coolie’, una schiava biologica, tra le migliaia che in India, spinte dalla povertà decidono di mettere in affitto il loro apparato produttivo a facoltosi stranieri, che se ne servono per impiantare, a prezzo ridotto, il loro ovulo fecondato. Qualcosa però è andato storto: arrivata dinanzi al Pulse Women’s Hospital per un controllo di routine, è stata stroncata da un malore che le ha portato via la vita poco dopo. Non prima però di poter portare a termine il suo compito. La clinica privata del Gujarat si è infatti adoperata immediatamente per salvare il frutto del suo lavoro, estrando il bambino con un cesareo, per poi inviare la donna in un ospedale terzo, dove l’unica cosa che hanno potuto fare è prendere atto della condizione disperata di Premila e constatarne il successivo decesso.

La storia di Premila, riportata nel dettaglio da ‘La nuova bussola quotidiana‘, è la storia di molte altre donne indiane ‘surrogate’. Maternità surrogata o più semplicemente ‘surrogacy’, per gli anglofoni, il termine con cui questa pratica viene definita. Un giro d’affari di quasi due miliardi di euro tra cliniche, ‘recruiters’, avvocati e hotel, che produce qualcosa come 25000 bambini all’anno. Offerta che va a soddisfare la domanda sempre crescente di clienti perlopiù americani e della classe agiata indiana, ma anche di europei, australiani, taiwanesi e del numeroso gruppo di omosessuali occidentali. Questi ultimi che nella possibilità della surrogacy vedevano nell’India una sorta di El Dorado, rappresentavano una delle fasce di acquirenti in più forte crescita. Anche per questo, forse, da Nuova Delhi sono state recentemente approvate delle norme volte a porre dei paletti in una materia fino a prima sotto anarchia giuridica.

Il giro di vite prevede, come riporta ‘Avvenire’, che «solo le coppie straniere composte da un uomo e una donna sposati da almeno due anni potranno utilizzare una donna indiana per avere un figlio», escludendo dunque, gay e single. I richiedenti dovranno inoltre dotarsi di «un visto per ragioni mediche» e dei documenti rilasciati dall’ambasciata che attesti che il paese del ‘cliente’ riconosca la maternità surrogata. Precauzione d’obbligo visto l’esperienza indiana che ha alle spalle un piccolo incidente diplomatico con la Norvegia, che si rifiutò di riconoscere la maternità di due gemelli nati da un ‘utero in affitto’ indiano. Invero, più di qualche incoveniente giuridico, come riporta ‘Tempi‘, è sorto con quei paesi che si rifiutano di digerire la «finzione giuridica» sulla quale si basa l’intero sistema. Ad ogni modo, mentre viene regolamentata quella che è stata definita come la cosa «più simile alla schiavitù che il mondo postmoderno abbia prodotto», il ‘Times of India‘ riporta che il business della surrogacy si sta già spostando dal Gujarat nella più povera regione del Punjab, dove la pratica è ancora più economica.

Nicola Z.

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La necessità di quote rosa smentisce le teorie LGBT

Quote rosaDall’Europa piove una direttiva sull’imposizione agli stati membri di quote rosa nei consigli di amministrazione delle imprese e nei luoghi decisionali della politica. Il 40% devono essere donne, o meglio del “sesso sottorappresentato” che attualmente è, ampiamente, il genere femminile.

Vivo in un paesino che ha avuto il suo momento di notorietà nazionale perché l’amministrazione composta da sindaco e giunta è tutta al femminile. Unico caso sembra in Italia. Se questa situazione era esibita come un fiore all’occhiello, ora dovrà essere vista come un’operazione sessista. A parte la discutibilità di provvedimenti che impongono burocraticamente e non meritocraticamente la suddivisione dei posti di comando, trovo interessante e applicabile anche alla famiglia questa logica spartitoria.

Tantopiù quando qualche mese prima della direttiva era stata votata una risoluzione chiamata “Risoluzione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea”, presentata dalla radicale di sinistra olandese Sophie in’t Veld, in cui, insieme alla richiesta di quote rosa nei Cda, si invitava il Parlamento europeo, la Commissione e gli Stati membri a “elaborare proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni civili e delle famiglie omosessuali a livello europeo tra i Paesi in cui già vige una legislazione in materia, al fine di garantire un trattamento equo per quanto concerne il lavoro, la libera circolazione, l’imposizione fiscale e la previdenza sociale, la protezione dei redditi dei nuclei familiari e la tutela dei bambini”.

Mossa furba. Mentre si parla di frutta e verdura piazziamoci anche un bel articolo sugli hamburger. Così votando punti condivisibili si costringe l’assemblea a mandare giù il rospo. È vero che nel testo si parla di matrimonio e non di adozione ma il riferimento velato alla “tutela dei bambini” apre lo scenario a “famiglie” composte da gay e bambini. Ora, qual è il presupposto per questa nuova tipologia di convivenza umana? Il fatto che non è fondamentale la presenza di un padre e una madre per la crescita identitaria del figlio, ma che l’assenza programmata di uno dei due generi è perfettamente surrogata dello stesso sesso. Ogni sesso può fare benissimo le veci dell’altro.

Allora, mi chiedo, perché tutto questo indaffararsi per avere le quote rosa nei Cda e in politica se l’uomo può sopperire benissimo alla mancanza della donna visto che in ognuno dei sessi c’è parte dell’altro? Se l’operazione quote rosa è fatta solo per distribuire il potere tra generi diversi, allora per non creare altre pesanti discriminazioni dovrebbero esserci anche quote color, per distribuire il potere agli immigrati, poi le quote young e le quote senior, quote Buddha, Islam, Cristo, No God… All’infinito. Ci si potrebbe domandare chi pagherà tutti questi consiglieri. Se invece si vogliono introdurre quote rosa per dare visibilità fisica, concreta, alla donna, in quanto solo lei può offrire qualcosa che l’uomo non può fare e pienamente rappresentare, allora non si capisce perché questa preziosità complementare dei due generi non viene reclamata anche all’interno della famiglia. Una Famiglia sarebbe meno importante di un Cda o di un Parlamento?

Massimo Zambelli

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Aggiornamenti sulle staminali adulte ed altre nuove cure

Cellule staminaliLo scienziato inglese Colin McGuckin, che svolge ricerche a Lione in Francia, ha realizzato da cellule di cordone ombelicale, un mini-fegato da utilizzare per test farmacologici, evitando così sperimentazioni di tipo non etico, vale a dire evitando l’impiego di cellule staminali embrionali che, come sappiamo, comportano il sacrificio di un essere umano nelle primissime fasi della sua vita.

Per McGuckin e per il suo staff non è stata una decisione facile, in quanto la ricerca etica è più difficile e genera profitti molto inferiori. Nonostante la crisi finanziaria globale, hanno rinunciato ai finanziamenti legati all’uso delle cellule staminali embrionali per rimanere fedeli ai propri principi. Nel corso degli ultimi quattro anni hanno addestrato una nuova generazione di scienziati, farmacisti e medici nel settore delle cellule staminali adulte, non solo in Europa, ma anche in altre parti del mondo; per creare il mini-fegato tridimensionale hanno persino collaborato con bioingegneri della NASA!

La grande stampa trascura di pubblicare i loro lavori perché, non essendo controversi, non fanno notizia, ma intanto il gruppo del professor McGuckin partecipa alla sperimentazione clinica nel trattamento di bambini affetti da ipossia alla nascita (cui può conseguire paralisi cerebrale infantile), e sviluppa trattamenti ossei per la riparazione della palatoschisi e di altre malformazioni. Il professore lamenta che la recessione globale e la crisi finanziaria hanno reso molti aspetti della ricerca medica più difficile. Le banche sono state rifinanziate dai governi, mentre gli ospedali e le università, anche in Francia, sono stati lasciati a soffrire e certamente ci sono meno soldi per la ricerca e le sperimentazioni cliniche, Tuttavia Le IPS (cellule staminali pluripotenti indotte forzatamente a svilupparsi in una direzione) e altri tipi di cellule staminali adulte sembrano essere molto promettenti e quindi la sperimentazione deve essere comunque portata avanti.

Anche in Italia si studia l’impiego delle cellule IPS e la dottoressa Stefania Corti dell’Università di Milano, sperimentando sui topi, ha ottenuto cellule staminali neurali da cellule IPS e le ha iniettate in topi affetti da sclerosi laterale amiotrofica (una degenerazione neuronale progressiva e mortale) ottenendone l’allungamento della vita ed un sensibile miglioramento neuromuscolare.

Mini-fegati finti e topi longevi sono promettenti, ma non sembrano molto vicini alla concretezza clinica; lo è invece la bimba Emily Whitehead i cui linfociti B erano degenerati in senso maligno causandole una leucemia linfoblastica acuta resistente alla chemioterapia che l’ha portata a un passo dalla morte. I medici del Children’s Hospital di Philadelphia le hanno prelevato linfociti T che, tramite virus HIV disattivato, sono stati “addestrati” in vitro ad attaccare le cellule B tumorali. Reiniettati alla bambina, questi linfociti hanno funzionato e dopo sei mesi nella piccola non ci sono tracce di recidiva! Se questa terapia risulterà applicabile a tutti o a molti potrà sostituire il trapianto di midollo osseo, più problematico in quanto richiede un donatore compatibile.

Anche il centro Sclerosi multipla di Genova sta partecipando ad una ricerca internazionale che utilizza cellule staminali adulte (prelevate dal midollo osseo). La sclerosi multipla è una malattia autoimmune in cui i linfociti T producono autoanticorpi che attaccano la mielina, una guaina che ricopre le cellule nervose e rende veloce la trasmissione di impulsi. Le cellule staminali appositamente prodotte in questo Centro bloccano l’azione dei linfociti T, ma sono utili a prevenire il danno, non a curarlo, per il momento. L’obiettivo è la realizzazione di cellule staminali che rilascino sostanze capaci di “risvegliare” le staminali endogene, presenti in tutti i tessuti incluso il cervello, inducendole a produrre nuova mielina; questo obiettivo potrebbe essere realizzato entro il 2015 e sarebbe un grosso passo in avanti rispetto alle cure palliative antiinfiammatorie che attualmente si applicano alla sclerosi multipla.

Linda Gridelli

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La Bibbia rimane il libro più venduto al mondo

BibbiaRecentemente pubblicata, la classifica dei 10 libri più venduti al mondo.

James Chapman, autore della catalogazione si è basato sui milioni di copie vendute negli ultimi 50 anni. Il primato di 3,9 miliardi di copie vendute nell’ultimo mezzo secolo va alla Sacra Bibbia; segue al secondo posto Citazioni del presidente Mao Tse-Tung, con 800 milioni di copie vendute; medaglia di bronzo per Harry Potter, di J. K. Rowling, con 400 milioni.

A cascata poi arrivano: Il Signore degli anelli, di J.R.R. Tolkien, con 103 milioni; L’alchimista, di Paulo Coelho, con 65 milioni e Il Codice da Vinci, di Dan. Brown, con 57 milioni. 43 milioni invece per The Twilight saga, di Sthepanie Meyer.

Al terz’ultimo posto Via col vento, di Margaret Mitchell, con 3.3 milioni. In penultima postazione c’è Pensa e arricchisci te stesso, di Napoleon Hill, con 30 milioni. Con 27 milioni anche Il diario di Anna Frank, di Anna Frank, rientra nella top ten. La ricerca non presentando le fonti di studio adoperate nella classificazione non può avere valore statistico ma suscita comunque un certo interesse ed induce a riflessioni serie circa la copiosa vendita di taluni generi letterari.

L’Uelci (Unione editori e librai cattolici italiani) ha presentato recentemente i risultati di un’indagine affidata all’Ipsos sugli italiani e la lettura di libri religiosi. Su un campione di 2.000 persone è risultato che il 13,7% della popolazione italiana  legge almeno un libro religioso all’anno (di cui il 15% sono giovani, 18-30 anni).

Livia Carandente

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L’odifreddura della settimana: Roberto Saviano o Gianni Vattimo?

Saviano e VattimoL’annuncio dell’abdicazione del Pontefice ha portato a moltissime prese di posizioni sul suo pontificato, diversi attestati di stima, anche da persone lontane dalla fede -alcuni davvero inaspettati-, e nel contempo ha scatenato le fantasie più perverse dell’imbarazzante mondo laicista.

Come esempi fortemente positivi segnaliamo certamente il commento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha confessato che «una delle esperienze più belle che hanno caratterizzato il mio settennato è stato proprio il rapporto con Benedetto XVI». Profondo il commento del direttore de Il Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, che da attento osservatore ha sottolineato: «Al papato che si concluderà a fine mese la Storia assegnerà un posto di rilievo. Di straordinaria levatura è stato l’insegnamento teologico; di grande autorevolezza la difesa dell’identità cattolica; di infinita profondità culturale e umana la testimonianza pastorale. La Chiesa ha avviato con Benedetto XVI un’essenziale opera di trasparenza e pulizia». La linguista e psicoanalista Julia Kristeva, non credente, ha invece affermato che dal suo punto di vista il Pontefice «con la sua opera ha dato speranza a un’Europa in crisi. Poiché l’Europa resta essenziale al mondo, è soprattutto attraverso la riunificazione filosofica dell’Europa che il Papa ha aiutato il mondo a orientarsi verso la pace».

Molti altri gli interventi interessanti, come quello del prof. Mario Morcellini, sociologo de “La Sapienza” di Roma, quello del filosofo francese Fabrice Hadjadjdel direttore de La Stampa, Mario Calabresi, del direttore de Il Giornale Vittorio Feltri, quello del filosofo Massimo Cacciari, quello dello storico Ernesto Galli della Loggia. Secondo il filosofo Marcello Pera la scelta della rinuncia da parte del Papa è «un grande gesto di fede, una grande testimonianza che lascia i laici più poveri, più soli, più sgomenti». Tanti altri ce ne sono e tanti altri si accoderanno in questi giorni, fino al 28 febbraio.

L’editorialista de Il Corriere, Claudio Magris, ha giustamente affermato che Benedetto XVI «è divenuto, ingiustamente, bersaglio di tanti stolti e supponenti dileggi, un bersaglio obbligato del tiro a segno nel grande circo in cui viviamo». E in questo circo, due saltimbanco in particolare si sono fatti notare questa settimana: Roberto Saviano e Gianni Vattimo.

Roberto Saviano ha sparato una tale cretinata su Facebook che è riuscito a fare impallidire perfino il maggior esperto di questo genere di bombe: Corrado Augias. Ha scritto l’autore di Gomorra: «Mi dispiacerebbe se queste dimissioni, rese pubbliche ora e non dopo la formazione di un governo, fossero strategiche per la campagna elettorale: mostrare la fragilità della Chiesa per chiedere compattezza al voto cattolico. Sarebbe terribile se fosse così». Il sito web di Tempi.it ha commentato ironicamente così: “Habemus imbecillum”, facciamo nostra la replica abbastanza ovvia del “nostro” Luca Pavani su Facebook: «Qualcuno lo aiuti ad allungare lo sguardo al di là del suo piccolo partitino e della sua piccola campagnola elettorale, potrà così cominciare a capire che le dimissioni del Papa riguardano il mondo intero». Saviano, dopo aver scritto un libro di successo contro la mafia, aver lasciato i preti anti-camorra a combattere sul campo, ed essere entrato nel corteggiato mondo dei vip,  ha recentemente concesso alla Chiesa cattolica (come è buono, lui!) il «diritto a ricordare a chi segue i suoi principi» quello che è in linea con il magistero cattolico. In un momento di benevolenza estrema ha anche permesso che «i cattolici possono dire la loro», ma «non influenzare o boicottare nuove leggi». In poche parole per il tollerante Saviano i cattolici possono esprimersi ma solo quando nessuno li sta ascoltando, e ovviamente non possono coinvolgersi in politica perché così “influenzerebbero” inevitabilmente le nuove leggi.

Gianni Vattimo è il secondo candidato alla odifreddura della settimana. In un delirante articolo ha ipotizzato che Papa Benedetto XVI si sarebbe dimesso per una «crisi di fede» causata da «Flores d’Arcais e Odifreddi, e i tanti scientisti dogmatici come loro».  Ha poi aggiunto la classica storiella che «se Gesù vivesse oggi tra i suoi pseudo-successori abbandonerebbe immediatamente il Vaticano», e magari diventerebbe discepolo proprio di Vattimo, un dogmatico relativista non lontano da Flores e Odifreddi, ma omosessuale e fidanzato con un cubista ventenne e che «legge il breviario tutti i giorni», secondo alcune rivelazioni, ed è innamorato e affascinato –come ha dichiarato lui stesso- del sanguinoso dittatore (ateo) Fidel Castro.

Qui sono elencate altre uscite imbarazzanti di alcuni bizzarri personaggi, da sottolineare (ma anche no!) le cretinate femministe di Marina Terragni, secondo la quale le dimissioni del Papa sono la dimostrazione pubblica che finalmente «tanti uomini oggi non ce la fanno […], monumentale ordine simbolico maschile. La parata virile, qui al suo massimo sfarzo, non tiene più». Noi però siamo maschilisti, ignoriamo la Terragni e preferiamo lasciare in gara soltanto Saviano e Vattimo.

Ora, per concludere, paragoniamo le profonde riflessioni dei primi intellettuali citati con le idiozie dei secondi e preoccupiamoci, purtroppo la società occidentale -lo si vede già oggi chiaramente- sarà sempre più dominata dai Saviano, dai Vattimo  e dalle Terragni, con buona pace della razionalità e di ogni possibile confronto intellettuale.

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