I benefici sociali ed economici del matrimonio

FamigliaIl matrimonio ha effetti positivi per l’intera società, sopratutto dal punto di vista dei benefici per la salute sociale ed economici.  

Lo riporta un articolo comparso su Heritagecitando una serie di studi recenti. Le famiglie sposate, ad esempio, tendono ad avere  una migliore salute finanziaria, maggiori risparmi e una maggiore mobilità sociale rispetto alle famiglie non sposate. Le coppie sposate tendono anche ad avere un reddito medio più elevato e una maggiore probabilità di possedere case di proprietà rispetto a famiglie con adulti non sposati.

Sposarsi può altre sì avere un  effetto profondamente positivo  sul benessere psicologico, lo stess e l’abitudine al fumo. Il matrimonio è anche associato a  tassi di mortalità più bassi .

I bambini che crescono in famiglie formate da una coppia di coniugi sposati hanno una maggiore probabilità di andare incontro a stabilità economica, elevato rendimento scolastico e maturità emotivaAdolescenti cresciuti in queste famiglie presentano meno probabilità di essere sessualmente attivi  e meno probabilità di abusare di droghe e/o alcool, mostrano inoltre comportamenti sociali migliori e partecipano meno a crimini violenti

Purtroppo per la società i legami matrimoniali sono sempre meno, e sempre meno persone godono di questi vantaggi personali e sociali, preferendo le instabili e disimpegnate relazioni di convivenza

 

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Finanziare le paritarie è meglio per tutti, lo dice la Svezia

Alunni in una scuola russaLa qualità educativa dipende dall’autonomia delle scuole, lo ha mostrato anche un recente studio inglese. Lo Stato ha dunque tutto l’interesse di garantire anche alle scuole paritarie la loro autonomia economica, finanziandole come avviene nel resto del mondo occidentale.

A Boston, ad esempio, è stato realizzato un interessante studio che valuta la relazione tra la libertà educativa e la qualità dei risultati dell’insegnamento medio. Un team di professori ha comparato i risultati delle charter schools, gestite da genitori e simili agli istituti scolastici parificati spagnoli e di quelle quelle pubbliche nello Stato del Massachusetts. In entrambi i casi le scuole vengono finanziate completamente con le tasse. Dallo studio è emerso che i migliori risultati si sono raggiunti nelle charter schools: i genitori scelgono e gestiscono, lo Stato paga e la qualità migliora.

Anche in Svezia il sistema è basato sulla libera scelta dei genitori per la scuola dei propri figli. Contrapponendosi alla mentalità statalista-comunista, il ministro della Pubblica Istruzione Per Unckel ha introdotto il “voucher” per i genitori che vogliono scegliere un’alternativa – gratuita – per i loro figli, molto simile a quanto ha effettuato la regione Lombardia con il governatore Formigoni. Il sistema dei “voucher” consiste nel destinare ad ogni studente di un determinato Comune un importo pari al costo medio di una scuola pubblica nello stesso Comune. I fondi non vengono versati ai genitori ma direttamente all’istituto privato che lo studente decide di frequentare. Tale liberalizzazione ha consentito lo sviluppo di un’istruzione privata, e quello svedese resta, fino a prova contraria, il sistema educativo più libero ed efficiente del mondo sviluppato. Secondo un sondaggio, inoltre, commissionato dall’associazione delle scuole libere, nel 2011, tra tutte le categorie (età, reddito, categoria socio-professionale) circa il 75% degli intervistati è favorevole alla libertà di scelta in materia di istruzione. Il 62% degli elettori che hanno votato per i socialdemocratici, la sinistra e i Verdi, si dichiara a favore della scelta della scuola libera.

Ricordiamo che, come ha stabilito il Ministero dell’Istruzione (Miur) la presenza delle scuole paritarie in Italia permette un risparmio di 6 miliardi all’anno. Nel 2010 la rivista specializzata di settore Tuttoscuola ha calcolato che lo Stato risparmierebbe oltre 500 milioni di euro l’anno se aumentasse di 100 milioni i contributi alla scuola paritaria, consentendo a più famiglie di sceglierla (ogni euro investito nella paritaria renderebbe allo Stato 5 euro di risparmio).

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Il sociologo Donati: «nuove famiglie? No, ce n’è una sola»

Famiglia donati«La società contemporanea ritiene che il moltiplicarsi delle forme di famiglia sia un aumento di libertà per gli individui e quindi un progresso, invece è un regresso culturale. Un’illusione che non ha alcun riscontro scientifico. Un’illusione collettiva alimentata dall’ideologia e dai media che inseguono un mito di società felice che è in realtà un grande inganno». Lo ha affermato Pierpaolo Donati, già presidente dell’Associazione italiana di sociologia, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna e tra i maggiori esperti nazionali della tematica.

Il suo ultimo libro La famiglia. Il genoma che fa vivere la società (Rubbettino 2013), è una rigorosa analisi su quanto la ricerca nel campo delle scienze sociali ha prodotto a livello mondiale sul tema della famiglia, delle nuove famiglie e delle coppie omosessuali. «La famiglia intesa in senso naturale», ha spiegato in un’intervista per Avvenire, «è il contesto più logico per far nascere e crescere i valori essenziali alla base di ogni società che si proponga di durare nel tempo. Il libro mostra le ragioni scientifiche per cui questa concezione di famiglia, la famiglia naturale, resta la migliore». Di “famiglia come società naturale” parla anche la nostra Costituzione, ed è ovvia l’esclusione delle coppie omosessuali come ha riconosciuto di recente anche un’insospettabile Anna Finocchiaro, senatrice del PD. Anche il sociologo dell’Università di Bologna, Gianfranco Morra, non ha certamente dubbi: «io ritengo un errore il matrimonio fra due persone dello stesso sesso (e così ancora la maggioranza degli italiani). Ce lo dice la Costituzione (art. 29): “La famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”. E quel “naturale” significa formata da un uomo e una donna, che desiderano procreare ed educare figli».

Il grave problema di oggi, ha continuato il sociologo Donati, è che «Si vuole rendere indifferente il concetto di famiglia e il codice simbolico che la caratterizza. Convivenze, unioni di fatto, coppie gay, aggregazioni opportunistiche… si suppone che siano tutte forme equivalenti, come quando si dice che una coppia omosessuale possa essere anche più capace di cure nei confronti dei bambini rispetto a una coppia etero. Insomma, non c’è più la famiglia, ma le famiglie. Ma dal punto di vista scientifico queste affermazioni sono errate, perché una simile pluralità di forme familiari, per esempio, genera una società più discriminante». Invece, «è scientificamente dimostrato che le forme familiari non sono equivalenti, ma incidono in modo diverso sulla salute, l’istruzione, il lavoro e in generale sulle possibilità di vita delle persone».

Come ha spiegato anche l’attuale presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi (ANS), Pietro Zocconali, «i media non ne parlano, ma esistono decine di studi che dimostrano che c’è enorme diversità fra i bimbi cresciuti da coppie omosessuali e quelli cresciuti in coppie etero, come ce ne sono fra bimbi nati in una famiglia eterosessuale stabile e quelli nati da matrimoni instabili, da coppie di fatto, da separati e via dicendo. Non solo è documentato, ma è il frutto di indagini condotte su campioni vasti e da ricercatori che sono partiti dall’intento di dimostrare l’omogeneità fra le varie forme di famiglia, ma che si sono trovati con risultati di segno opposto. Insomma, non è un giudizio morale ma una presa d’atto».

Ed infine: «se si esce da un modello di famiglia naturale (fisiologica) costruita su dono, reciprocità, sessualità e generatività equamente presenti, interconnessi e in relazione l’uno con l’altro si genera una società costituita da forme diverse di famiglia (problematiche), che crea più difficoltà di quanto pensa di risolverne». Infatti, le «forme più deboli di famiglia (non sposati, un solo genitore, divorziati, senza figli…) sono quelle che si interessano meno al bene comune», mentre, «la famiglia normocostituita ha più interesse ai problemi sociali, li affronta in modo più equilibrato, ha più funzioni sociali ed è più utile alla società. Le famiglie più deboli sono inoltre quelle che hanno più bisogno di assistenza sociale e psicologica». Bisogna comprendere, ha concluso Donati, «che sono la durata e la qualità della relazione nella coppia uomo-donna a generare futuro e ciò che conta non sono gli interessi o i piaceri ottenibili dall’aggregazione di due individui, ma la capacità di generare un bene relazionale secondo i quattro componenti sopra citati».

Anche Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea presso La Sapienza di Roma, ha spiegato: «Il moltiplicarsi delle forme di famiglia porta con sé qualcosa di falso e di sbagliato. La famiglia è l’istituzione preposta alla procreazione e alla generazione, che avviene solo tra due esseri umani di sesso opposto. La famiglia non può quindi essere moltiplicata attraverso situazioni che non prevedono la possibilità di generazione, perché le persone che non possono procreare non sono famiglia. La famiglia è il luogo che serve a garantire una protezione e una possibilità di sopravvivenza ai bambini. E’ nata con questo scopo e non si può dire che sia un’altra cosa» e, in ogni caso, «una coppia eterosessuale che non può avere bambini da un punto di vista simbolico rappresenta comunque la fertilità dei due generi».

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Le femministe italiane stravolgono la legge 194

FemenRecentemente Serenella Fuksia, capolista marchigiana del Movimento 5 Stelle, ha fatto infuriare i saltimbanchi sessantottini del Fatto Quotidiano sostenendo che «la legge 194 è una sconfitta e non una vittoria per tutte le donne […] L’aborto rappresenta sempre un problema e pertanto dovremmo impegnarci a renderlo evitabile. L’aborto non è un anticoncezionale, talora una certa superficialità porta invece a considerarlo tale […]. L’obiettivo deve essere non far trovare la donna nella necessità di farlo perchè costretta, magari per mancanza di welfare adeguato».

Le anacronistiche femministe anticlericali di “Se non ora quando”, definite “altezzose borghesi romane la cui principale attività è piazzare le amichette” in politica”, non hanno ancora capito che è proprio la legge 194 a dire quello che ha affermato la Fuksia, si legge infatti che lo Stato ha il compito -tramite i Consultori- di «far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza», che l’aborto «non è mezzo per il controllo delle nascite» e bisogna evitare che «sia usato ai fini della limitazione delle nascite» (lo è stato ribadito anche nel recente convengo organizzato dai docenti delle cattedre di Ostetricia e Ginecologia delle Università di Roma, da cui è emerso questo comunicato).

In poche parole, la legge 194 afferma che l’aborto in Italia non è lecito, tranne l’eccezione di un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Lo ha spiegato perfettamente il giurista Francesco D’Agostino, ordinario di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, nonché Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica: «La situazione italiana è questa: esiste una legge sull’aborto che fa eccezione al principio generalissimo della liceità delle pratiche abortive. L’aborto in Italia non è lecito, a meno che la donna non chieda l’applicazione a suo carico di quelle procedure previste dalla legge 194 che rendono legale la pratica abortiva. Quindi, a voler prendere sul serio quella legge, l’aborto in Italia è legale come situazione di eccezione, ed è oltretutto doveroso dare prova che le pratiche previste dalla legge siano state rispettate. In questo senso l’aborto in Italia è una legalizzazione parziale che si incastra nel principio generale della illiceità dell’aborto».

Si vuole invece far credere che la legge permetta di avere completo arbitrio sulla vita che porta nel grembo (“l’utero è mio e decido io”). Si vuole far crede che in Italia l’aborto sia libero e che debba essere considerato un diritto insindacabile della gestante. Ma c’è un altro paradosso nella situazione italiana: «la magistratura», ha spiegato il giurista, «ritiene giustamente responsabili i medici che, con pratiche mediche di qualunque tipo, danneggiano la salute del nascituro; di questo dobbiamo essere soddisfatti e dobbiamo chiedere che si prosegua lungo questa stessa via, però allo stesso tempo al nascituro non è riconosciuta soggettività giuridica. Il paradosso è questo: si difende la salute del nascituro ma non si ha il coraggio di dire che il nascituro è una persona, è una soggetto di diritto, è uno di noi. Da questa contraddizione non si esce, poiché essa, almeno per l’Italia, serve a giustificare una legge come la 194 che, obiettivamente, nonostante le belle espressioni che adopera, è servita a diffondere l’idea che l’aborto sia una pratica affidata liberalmente e discrezionalmente alla volontà della donna. In Italia viviamo cioè in un regime di aborto libero ed insindacabile che non viene avallato dal dettato esplicito della legge 194; come dire, viviamo in una situazione di contraddizione permanente».

Le femministe italiane, al posto di stravolgere la legge 194, dovrebbero difendere la dignità delle donne e ribadire che il corpo non è un oggetto e dunque prendere le distanze dalle Femen, la cui unica attività è mettersi in topless e aggredire chi non la pensa come loro. O per lo meno, spiega Luisella Saro, criticare il fenomeno delle madri surrogate indiane, il cui utero viene sfruttato per poche monete sopratutto dalla lobby gay per sfornare bambini da adottare. Il comitato promotore di Se Non Ora Quando ha scritto nel settembre del 2011: «Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale». Sottoscriviamo, rispediamo al mittente e attendiamo risposta.

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La Francia non apre all’eutanasia, ma alla sedazione terminale

EutanasiaMolti quotidiani hanno scelto di sottolineare nei titoli che la Francia avrebbe aperto all’eutanasia, salvo poi riferire che invece è stata accettata la sedazione terminale per pazienti in fine di vita che abbiano fatto richieste persistenti e lucide per la quale tutte le cure sono diventate inefficaci e i trattamenti palliativi già adottati, si parla di “situazioni cliniche eccezionali”.

Marina Sozzi, nel suo blog su Il Fatto Quotidiano, ha interpretato correttamente la vicenda francese: «La sedazione terminale non ha nulla a che fare con l’eutanasia. La sedazione, legale in Italia e praticata normalmente in cure palliative, è la soppressione mediante farmaci della coscienza quando il dolore non è sostenibile, è un coma indotto farmacologicamente, una sorta (per capirci) di anestesia generale, che non solo non sopprime la vita, ma in molti casi prolunga la sopravvivenza. Perché menzionare allora l’eutanasia?».

Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di Oncologia medica dell’Istituto Tumori di Aviano, ha approfondito sottolineando che quella francese «non mi sembra una grande novità. Mi pare una decisione ovvia, nel caso in cui un paziente con malattia oncologica ha già sfruttato tutti i trattamenti oncologici possibili e si trova in una condizione di fine vita in cui la morte è attesa entro un lasso di tempo compreso tra poche ore e pochi giorni e vi è una impossibilità a controllare sintomi molto severi quali la fatica a respirare e i dolori, ed essendosi i medici e gli infermieri tra di loro consultati coinvolgendo anche i terapisti del dolore con un consenso sull’utilizzo della stessa sedazione terminale». Così «si può procedere a utilizzare farmaci che sedano il paziente e inducono alla perdita di coscienza così da “addormentarlo” senza più provare quei disturbi severi di cui sopra».

La sedazione in fase terminale è certamente approvata anche dalla Chiesa cattolica, come ha spiegato mons. Pierre d’Ornellas, arcivescovo di Rennes, Dol e Saint-Malo: «Una sedazione è legittima in fase terminale. Se la sofferenza è incontrollabile, la scienza deve continuare le sue ricerche per trovare l’analgesico e la maniera per somministrarlo perché permetta di alleviarla. Certo, ciò può provocare la venuta molto rapida della morte, ma la sua causa non è l’atto medico ma la malattia». Non a caso in Italia è stata legittimamente scelta anche dal card. Carlo Maria Martini, anche se purtroppo il suo sedicente figlio spirituale, Vito Mancuso, ha tentato di sfruttare la sua morte per una legge pro-eutanasia.

Se anche Il Fatto Quotidiano è riuscito a riportare correttamente la notizia, Corrado Augias è rimasto incorreggibile. Ha subito approfittato della notizia golosa e falsa per le sue prediche, oltretutto affermando: «Del resto alcuni paesi europei (Paesi Bassi, Svizzera che io sappia, forse anche altri) hanno già introdotto la possibilità di un suicidio assistito e non risulta che ci siano stati inconvenienti degni di nota». Se per una buona volta Augias fosse informato di ciò di cui vuole parlare, saprebbe che perfino la rivista The Lancet si è mostrata preoccupata per la situazione dei Paesi Bassi. Lo stesso ha fatto recentemente l’European Institute of Bioethics (EIB) e diversi operatori sanitari del Belgio -alla faccia di Augias e “dell’inesistenza di inconvenienti”- hanno spiegato allarmati: «Per depenalizzare l’eutanasia, il Belgio ha aperto un vaso di Pandora. Come previsto, una volta tolto il divieto, si cammina rapidamente verso una banalizzazione dell’eutanasia. Dieci anni dopo la depenalizzazione dell’eutanasia in Belgio, l’esperienza dimostra che una società che sostiene l’eutanasia rompe i legami di solidarietà, fiducia e sincera compassione che sono alla base del “vivere insieme”, arrivando ad auto-distruggersi».

Questo perché mentre l’eutanasia è stata legalizzata per malati terminali, lentamente il piano inclinato ha portato alla possibilità di eutanasia anche per ciechi, minorenni “in grado di discernere”, affetti da artrosi, malati di Alzheimer, detenuti sani e anche coloro che soffrono di depressione. Si è scoperto, infine, che la legalizzazione del suicidio assistito aumenta per contagio il tasso di suicidio generale nella popolazione, soprattutto per gli adolescenti.

La redazione

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Sei contro le adozioni gay? Allora vuoi far morire i bimbi africani

Omosessuale insulta pellegrini che preganoDoveva essere una domenica mattina tranquilla, in una chiesa della Val Marecchia, diocesi di San Marino-Montefeltro, e invece per i presenti alla Santa Messa delle 9:30 lo spettacolo è stato surreale, per non dire di peggio. Ma andiamo con ordine, partiamo dal riferimento principe di ogni cronaca: i fatti.

La celebrazione eucaristica, seguita da una quarantina di fedeli, proseguiva tranquillamente quando il sacerdote, durante l’omelia, ha scelto di soffermarsi su quella crisi morale che anticipa – e di molto – tutte le altre crisi, a partire da quella economica che giustamente tanto ci preoccupa. Per esemplificare come la decadenza morale stia prendendo il sopravvento, il sacerdote ha pensato bene – ce ne fossero di pastori così, che parlano chiaro – di richiamare le adozioni gay, che effettivamente rappresentano la negazione del più elementare diritto dei più deboli fra tutti, i bambini, e cioè il diritto a crescere in una famiglia, ad avere un padre ed una madre.

Nell’udire queste parole, con gran sorpresa di tutti gli intervenuti alla Messa, una fedele, prima di abbandonare la chiesa imbufalita, ha interrotto il parroco urlando: «Eh già! Perché sarebbe meglio lasciarli morire in Africa i bambini, è vero?». Il tutto ha lasciato il celebrante pietrificato, e con lui tutti i partecipanti alla funzione, incapaci di credere ai loro occhi: mai, da quelle parti, si erano infatti verificate sceneggiate simili.

Anche perché, al di là della scelta – assai grave – di interrompere il sacerdote durante la predica, si fatica a comprendere il nesso fra un’opposizione alle adozioni gay e la volontà di lasciar morire i bambini africani (perché proprio quelli africani, poi? Quelli indiani se la passano forse meglio? Bah): che c’azzecca, per dirla con Di Pietro? C’è forse qualcuno che desidera questo? Non risulta; risulta invece che vi siano fior di famiglie, cattoliche e non, in attesa di poter adottare ed impigliate nella burocrazia.

Mentre non risulta, tornando a noi, che la Chiesa si sia mai espressa contro le adozioni: tutt’altro. Solo che il giochino retorico – peraltro non nuovo – funziona così: ti opponi alle adozioni gay? Bene, allora sei per il rogo degli omosessuali, per i piccoli imprigionati in orfanatrofio vita natural durante e via con scemenze di questo genere. Che purtroppo, oramai, stanno ipnotizzando anche molti cattolici, come dimostra quanto accaduto in Val Marecchia e che speriamo non abbia a ripetersi. Anche perché qui, fra l’altro, la fede non c’entra: c’entra solo il buon senso. Lo stesso che sta portando un numero crescente di omosessuali a schierarsi pubblicamente contro le adozioni gay e che, quando manca, porta i devoti al politicamente corretto a protestare durante la Messa.

Ci auguriamo pertanto che episodi come questo – oltre a non ripetersi, come abbiamo detto – non scoraggino i sacerdoti nella loro missione. E soprattutto non scoraggino noi, semplici fedeli, dalla difesa della ragione prima che della fede. Se infatti sorvolassimo sul diritto naturale, e quindi sulla necessità di tutelare la vita di ogni persona umana e l’integrità di ogni famiglia, che ne sarebbe della nostra credibilità non tanto di fronte agli altri, bensì di fronte a Dio? Ad un Dio che si è fatto vero uomo nell’auspicio di renderci tutti così, veri uomini. Persone capaci cioè di distinguere il bene dal male, il retto dall’iniquo. E di riconoscere il diritto di ogni bambino a crescere con un padre ed una madre senza che questo sappia di privilegio o di polveroso tradizionalismo.

Giuliano Guzzo

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Il Fatto Quotidiano contro Repubblica: no a giornalisti cattolici!

Fatto quotidianoOrmai è guerra aperta per Il Fatto Quotidiano contro i cattolici. Non c’è soltanto la puntuale disinformazione del vaticanista Marco Politi, di cui abbiamo a lungo parlatoma ogni giorno è l’occasione per attaccare la Chiesa, qualsiasi notizia è buona. Tanto che sull’Huffington Post ci si rivolge a loro come quelli “che odiano il Papa”.

Non sono soltanto le notizie mistificate presentate spesso con titoli volgari a rendere questo quotidiano il fronte italiano più avanzato di intolleranza religiosa, ma sopratutto i vari blogger che pubblicano post sul sito web de Il Fatto. Gli esempi sono moltissimi e quotidiani: uno su tutti è quanto scrive Silvio Di Giorgio contro i sacerdoti cattolici, definiti in massa e senza distinzione dei pedofili a caccia di carne giovane. Questo è il livello di indottrinamento anticattolico. Ha perfettamente ragione Angela Azzaro, vicedirettrice del settimanale Gli altri quando rileva: «Il Fatto vive di questa dinamica scandalistica. Il quotidiano di Antonio Padellaro ha successo perché si inserisce in questo circolo vizioso di scandalo e populismo. Vuole colpire la “pancia” del lettore».

Anche Repubblica ha preso ormai le distanze da Il Fatto, definendolo quotidiano di “nuova destra”. In realtà sembra più di estrema destra, i metodi de Il Fatto sono fascisti e lo dimostra la pesante censura dei commenti scomodi che vige sul sito web, come più di un lettore ha denunciato. Pare inoltre, leggendo queste denunce, che gli amministratori del sito de Il Fatto abbiano creato una serie di account finti per sostenere anche attraverso i commenti la linea editoriale del quotidiano.

Tornando alla militanza anticattiolica, in questi giorni il quotidiano di Padellaro ha attaccato Repubblica per aver pubblicato ben due articoli di autori cattolici e non anticlericali. Il primo è quello dell’ex portavoce di Giovanni Paolo II, Navarro Valls e il secondo quello di un serio vaticanista, Paolo Rodari.  

Caso Mahony. Rodari ha intervistato il “pm” del Vaticano, mons. Charles Scicluna sul “caso Roger Mahony”, ovvero il cardinale accusato di aver coperto degli abusi sessuali negli USA e che si accinge a partecipare al Conclave. Scicluna ha spiegato che Mahony «non è riuscito ad arginare i casi di pedofilia nella sua diocesi», lo ha anche contattato più volte dal 2002 in poi perché «cercava di capire come comportarsi»Massimo Introvigne ha ricostruito la vicenda, spiegando che Mahony non è soggetto a nessuna sanzione canonica o penale. Il cardinale accusato in realtà ha indagato e segnalato alla polizia due sacerdoti pedofili, mentre un terzo, il caso O’Grady, venne archiviato dalla polizia nel 1984 e dichiarato innocente. Mahony lo traferì, anche assicurato da due diversi psicologi che dichiararono il sacerdote “non  pericoloso”. Purtroppo tutti si sbagliarono: polizia e psicologi, tant’è che O’Grady venne poi arrestato in seguito per aver abusato nuovamente.

In seguito Mahony si è fidato eccessivamente dei “centri di riabilitazione” che affermavano di poter curare i sacerdoti pedofili dalla loro malattia rimettendoli in condizione di poter riprendere senza rischi il ministero, sbagliando anche in questo caso. Dopo aver visionato i documenti Introvigne in ogni caso ha concluso che quello di Manhoy «è un falso scopo per attaccare la Chiesa e Benedetto XVI». Solo lui può rinunciare a partecipare al Conclave -e forse farebbe bene a farlo-, nessuno può escluderlo: dovrebbe essere privato del titolo di cardinale in quanto condannato per un reato, ma ancora non c’è stata alcuna sentenza.

Tornando a Il Fatto, non è affatto piaciuta ai responsabili del quotidiano la presenza su Repubblica di due cattolici coerenti e non aggressivi verso la Chiesa, in particolare hanno aggredito il quotidiano di Ezio Mauro per la presenza di Paolo Rodari, accusato di avere “posizioni filo-cielline”. Un’onta terribile evidentemente essere parte di un movimento ecclesiale vicinissimo a Benedetto XVI, tanto che quest’ultimo ha scelto come sua famiglia proprio quattro suore laiche appartenenti a Comunione e Liberazione.

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Vito Mancuso e la sua profonda confusione teologica

Torino Foto Dario Nazzaro: TORINO SPIRITUALITA' : DIBATTITO CON VITO MANCUSO E GIANNI VATTIMOIl teologo Vito Mancuso ha pubblicato un articolo su Repubblica in cui ha mostrato chiaramente il motivo per cui è molto più un riferimento per laicisti e anticlericali  di quanto lo sia invece per il mondo cattolico, così come anche altri teologi e preti ribelli (don Andrea Gallo, ecc..).

In cosa consiste secondo noi il loro errore? Riteniamo sia semplice debolezza di fede (cioè mancanza di ragioni e pienezza di dubbi), che si traduce immediatamente in paura verso il mondo (laico) e verso la modernità. Alla base c’è il timore del giudizio della società, il tentativo di evitare qualsiasi confronto con il laicismo sapendo di non avere (o non avere più) ragioni adeguate a sostegno della propria posizione come credenti e cristiani. Per questo questi sedicenti “ribelli” scelgono di passare dalla parte opposta, conformandosi a quel che il mondo laico sostiene (anche dal punto di vista bioetico, per esempio) venendo per questo premiati dal mondo. Il teologo Mancuso, il cui pensiero è giudicato da diversi intellettuali come gnostico (vedi Bruno Forte, Gianni Baget Bozzo e Enzo Bianchi), è diventato editorialista di un quotidiano, Repubblica, che “crede nel laicismo” (come spiega in questa intervista il fondatore, Eugenio Scalfari), il suo successo televisivo è imparagonabile a quello di altri suoi colleghi ed è giustificato unicamente dall’aver scelto di non assumere posizioni politicamente scorrette, contrapponendosi al magistero della Chiesa che però intende seguire definendosi cattolico. Meglio incoerente nella propria fede che scomodo al mondo, insomma.

L’esempio perfetto lo ha mostrato recentemente lo stesso Mancuso parlando del dogma dell’infallibilità papale. Esso è poco accettato dal mondo secolarizzato? Benissimo, occorre conformarsi al laicismo e toglierlo di mezzo: «È credibile oggi un dogma come quello dell’infallibilità papale? A mio avviso», dice Mancuso, «esso finisce piuttosto per allontanare dal sentimento religioso. Io penso infatti che per la coscienza sia la stessa nozione di infallibilità a risultare oggi improponibile, quando le stesse scienze esatte si dichiarano consapevoli di presentare dati sempre sottoposti a possibile revisione e come tali dichiarabili solo “non falsificati” e mai assolutamente veri». Tradotto in poche parole: la secolarizzazione oggi dice che il dogma dell’infallibilità papale è impresentabile e allora la Chiesa deve mettere da parte la sua dottrina e adeguarsi al mondo, eliminando tutto quello che è difficile da capire. Da notare poi l’imbarazzante paragone con le scienze esatte….come se l’esistenza dell’infallibilità papale fosse stata più digeribile durante il periodo positivista, quando la scienza era ritenuta a sua volta infallibile!

Prosegue Mancuso: «Viviamo in un’epoca in cui la stessa nozione teoretica di verità risulta poco credibile, tanto più se si tratta di verità assoluta, dogmatica, indiscutibile. Ratzinger lo sa bene, e non a caso da tempo accusa quest’epoca di “relativismo”, ma non è colpa di nessuno se le cose sono così, è lo spirito dei tempi che si muove e si manifesta nelle menti dopo un secolo qual è stato il ’900, e occorre prenderne atto se si vuole continuare a parlare al mondo di oggi». Tradotto ancora: il laicismo ha problemi anche con l’esistenza stessa della verità (“verità assoluta” dice Mancuso, come se potesse esistere una “verità relativa”)? Benissimo, allora è bene prenderne atto, tirare i remi in barca ed adeguarsi allo “spirito dei tempi”…basta con la condanna del relativismo, aderiamo anche noi alla venerazione del dubbio come unica certezza, così il mondo non ci criticherà più! Facile la vita del teologo dissidente…

Poco importa se Mancuso non fa altro che ripetere quel che dice Hans Küng, uno dei tanti religiosi che non ha retto alle contestazioni sessantottine alla Chiesa e ha preferito il voltagabbanismo per assicurarsi una vita tranquilla, coccolato dal mondo secolarizzato. Poco importa se, come spiega giustamente proprio Mancuso, «dal 1870 a oggi il dogma dell’infallibilità è stato usato solo una volta, per la precisione da Pio XII nel 1950 quando proclamò il dogma dell’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria in corpo e anima». L’importante è addolcire la pillola, evitare di parlare di temi scomodi al mondo, cambiare i nomi alle parole (modificare infallibilità con indefettibilità, come propone Küng) e dunque anche il loro significato: il Papa, insomma, dovrebbe dire che gli piacerebbe essere infallibile, anche se poi di fatto non lo è.

Pensiamo alla lontananza di questa posizione dal Vangelo e dall’esempio di Gesù Cristo, il quale ha proprio scelto invece di essere “scandalo per il mondo” e “segno di contraddizione” (Lc 2,34), e proprio per questo inchiodato alla croce. Mettiamo da parte le illusioni: la vita del cristiano non è una vita facile, perché sempre risulterà incompreso dalla società. I teologi mediatici, invece, pur di non essere “segno di contraddizione” preferiscono cercare il plauso del mondo e combattere la Chiesa.

Mentre il mondo odia la Chiesa, inventa menzogne contro Benedetto XVI per screditarne l’autorità, nessuno critica i teologi cattolici Mancuso e Küng, adorati dalle associazioni laiciste e portati in trionfo dai media più anticattolici, applauditi in tutte le trasmissioni televisive e corteggiati dai principali quotidiani. Eppure Gesù Cristo aveva messo in guardia i suoi discepoli nel discorso della Montagna:  «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi […] Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli» (Luca 6,20-26).  Questa illuminante riflessione di Antonio Socci spiegherà sempre perché per seguire il Vangelo non si può cercare l’applauso del mondo, come invece hanno scelto di fare i nostri amici cattolici dissidenti (o “adulti”).

La Redazione

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Salvatore Crisafulli e la «vita degna di essere vissuta»

Salvatore CrisafulliE’ morto  Salvatore Crisafulli a 47 anni nella sua casa di Catania, circondato dai suoi familiari. In seguito ad un incidente nel 2003 era in coma vegetativo permanente, dal quale si era risvegliato nel 2005 mostrando al mondo che la vita non ha senso solo finché si è sani e in grado di autogestirsi, come invece vorrebbero farci credere i media.

E’ rimasto paralizzato ma attraverso l’uso degli occhi ha cominciato a scrivere comunicando al mondo le sue emozioni e la sua indomita voglia di vivere, addirittura ne è nato un libro intitolato “Con gli occhi sbarrati” (Airone Editrice 2006). Assieme al fratello Pietro ha fondato l’associazione Sicilia Risvegli per aiutare persone in situazioni post-comatose.  E’ stato anche una testimonianza per la medicina perché ha spiegato che durante lo stato vegetativo sentiva e capiva tutto, ma non riusciva ad esprimere le sue intenzioni.

La sua vita  è stata una lunga battaglia legale e mediatica per ottenere l’assistenza adeguata. Addirittura, nel 2009, gli venne sospesa la pensione perché dichiarato un “falso invalido”. Il 12 febbraio scorso aveva fatto un ricorso urgente al tribunale di Catania per essere sottoposto a terapie con le cellule staminali e in questi giorni attendeva la visita di un medico indicato dal tribunale. Ma le sue condizioni si sono aggravate.  Nessun aiuto dalla politica, una cui larga parte ha preferito e preferisce ossessionarsi con la morte, con il suicidio assistito, l’eutanasia e i registri del testamento biologico. Come ha spiegato Mario Melazzini, medico di successo e malato di SLA (sclerosi laterale amiotrofica): «ci sono cento persone che, in nome di altre migliaia, invocano il diritto a essere riconosciute invalide, a essere ammesse alle sperimentazioni, a essere prese in carico, ma nessuno se ne accorge. Poi c’è uno che evoca la morte come un diritto e non si parla d’altro». 

Salvatore Crisafulli ha anche scritto, con le palpebre attraverso un computer, una commovente riflessione dell’eutanasia: «Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita cerco anch’io di dare un piccolo contributo al dibattito sull’eutanasia. Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita, ma ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere. Durante quegli interminabili anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio. Ringrazio chi, anche durante la mia “vita vegetale”, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre».

«Ma cos’è l’eutanasia, questa morte brutta, terribile, cattiva e innaturale mascherata di bontà e imbellettata col cerone di una falsa bellezza? Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità? E invece tu, caro Pietro, sfidavi la scienza e la statistica dei grandi numeri e ti svenavi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. E urlavi in TV minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato di abbandono. E mi sussurravi con dolcezza di mamma la ninna-nanna di “Caro fratello mio”, per me composta, suonata, cantata e implorata come straziante grido d’amore, ma non d’addio. Vi ricordate di quel piccolo neonato anancefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico, da avvizzita foglia d’insalata? Ebbene, mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano, rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi “esperti” di qualità della vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da Lui. Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita da finta dolcezza».

E in conclusione un appello a tutti: «Credetemi, la vita è degna di essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato. Intorno a me, sul mio personale monte Calvario, è sempre riunita la mia piccola chiesa domestica composta da Mamma Angela, Marcello, Pietro, Santa, Francesca, Rita, Mariarita, Angela, Antonio, Rosalba, Jonathan, Agatino, Domenico, Marcellino: si trasfigurano ai miei occhi sbarrati nella Madonna, nella Maddalena, nella Veronica, in Sant’Agata in San Giovanni, nel Cireneo. Mi bastano loro per sentirmi sicuro che nessun centurione pagano oserà mai darmi la cicuta e la morte».

 

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La Chiesa cattolica fa risparmiare 11 miliardi allo Stato italiano

L'impegnoSecondo alcune congregazioni di atei fondamentalisti, fortunatamente in profonda crisi di credibilità, la Chiesa cattolica costerebbe 6 miliardi di euro alle casse dello Stato.

Certamente ci saranno dei costi per le casse dello Stato, ma tuttavia la presenza del mondo cattolico in Italia fa risparmiare almeno 11 miliardi di euro l’anno. Lo ha dimostrato Giuseppe Rusconi nel suo recente libro inchiesta: L’impegno – Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno“.

L’autore ha esaminato capitolo per capitolo i settori in cui interviene l’attività sociale del mondo cattolico, quantificando in concreto quello che ne deriva a favore dello Stato. Come spiegano alcune recensioni, è giunto in questo modo a ribaltare del tutto l’immagine di una Chiesa “parassita”, sostenuta da anni in diverse pubblicazioni laiciste.

Il maggior canale di risparmio è quello della Scuola: gli istituti paritari cattolici fanno risparmiare all’Erario 4,5 miliardi l’anno (6 miliardi, invece, secondo il Miur). 1,2 miliardi di risparmio arrivano dalla sanità ospedaliera, 2,8 miliardi dal volontariato, 800 milioni dalle comunità di recupero dei tossicodipendenti, 650 milioni dal banco alimentare, e la lista si allunga dalla lotta all’usura ai prestiti di speranza, agli aiuti ai terremotati, agli oratori e le attività ricreative parrocchiali.

Il risparmio complessivo è di circa 11 miliardi di euro annui, ovvero quasi il quadruplo di quello che invece la Chiesa riceve: attorno a 1 miliardo di euro l’anno tramite l’8 per mille, più circa 3 miliardi dai contributi versati da regioni, comuni, altri enti statali. «La Chiesa», scrive Rusconi, «oltre a intervenire concretamente laddove è necessario, ha una funzione importantissima di stimolo per rendere attiva la solidarietà di parrocchie e gruppi diversi».

Edito da Rubattino, è stato presentato lo scorso 14 febbraio in anteprima nazionale a Roma presso l’Hotel Nazionale a Piazza Montecitorio (e in diretta su Radio Radicale), davanti ad una nutrita platea, ad un incontro al quale sono intervenuti l’ex-presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante, il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello, la deputata Udc Paola Binetti e il radicale pannelliano Angiolo Bandinelli.

L’on. Luciano Violante, non cattolico, ha riconosciuto assieme agli altri la «grande capacità della Chiesa di aiutare le persone tramite vari strumenti e servizi». L’aspetto più «significativo», secondo l’ex presidente della Camera dei Deputati, è tuttavia il «ruolo educativo» e di trasmissione dei valori di cui la Chiesa è da sempre titolare, per questo è indifferente quanto costa di fatto allo Stato. Ancor meno se, come è stato dimostrato, è invece una importante fonte di risparmio per il popolo italiano.

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