Buone notizie: i Radicali fuori dal Parlamento

Paola ConciaI risultati delle elezioni politiche lasciano certamente l’amaro in bocca, la situazione di totale ingovernabilità è un dato certamente negativo per tutti gli italiani. Tuttavia in tutto questo è possibile scorgere delle note positive.

Innanzitutto è certamente una soddisfazione per coloro che difendono i diritti della vita e della morte naturale e del rispetto alla religione vedere il Partito radicale fuori dal Parlamento. La nefasta e vergognosa strumentalizzazione dei malati e dei sofferenti per infilare la legge sull’eutanasia in Italia da parte di Maurizio Turco, Mario Staderini, Marco Cappato ed Emma Bonino non è evidentemente piaciuta agli italiani, così come la passione per le droghe della ex deputata Rita Bernardini (difficile affidarsi politicamente a chi, a causa dei suoi vizi, rischia di soffrire maggiormente di debolezza cognitiva e psicosi, deficit nella memorizzazione e apprendimento, depressione e schizofrenia, secondo gli studi più recenti). I Radicali, pur di accaparrarsi un po’ di potere, avevano perfino pensato di allearsi con La Destra di Francesco Storace, ma hanno desistito impauriti di perdere i loro già pochi sostenitori. Per dimostrare di esistere è probabile che, come già qualcuno ipotizza, tra qualche mese Marco furbone Pannella si inventerà l’ennesimo sciopero della fame.

Soddisfatti anche i sostenitori del diritto naturale e di quello dei bambini ad avere un padre e una madre nel vedere senza poltrona anche l’onorevole Paola Concia. L’icona gay italiana ha perso clamorosamente a casa sua, in Abruzzo, è riuscito a batterla nelle preferenze perfino un “impresentabile” come Antonio Razzi. La presenza della Concia in Parlamento è risultata essere un fallimento totale: non solo il matrimonio è ancora antropologicamente salvo, ma fortunatamente non ha nemmeno avuto la forza per promuovere una legge sull’omofobia, che serve unicamente per intimidire e mettere a tacere chiunque abbia un’opinione negativa sull’omosessualità e sull’agenda LGBT. La sua attività si è ridotta a partecipare ai Gay Pride finanziati con i soldi degli italiani e ad acide repliche verso politici schierati su opposizioni diverse, anche se poi quando è stata operata, la persona che le è stata più vicina è stata proprio la cattolica Paola Binetti, definta dalla Concia come «straordinaria». Aggiungendo: «Probabilmente i miei amici gay e tanti nel Pd disapproveranno perché la definisco così, ma è la verità».

Per finire questo excursus di buone notizie non può mancare il flop del laicista Antonio Ingroia, leader di Rivoluzione Civile (vittima oltretutto di un recente procedimento disciplinare da parte della Cassazione per vilipendio della Corte Costituzionale). Il Fatto Quotidiano gli ha strappato dichiarazioni farneticanti e diffamatorie contro la Chiesa cattolica, smentite puntualmente dal direttore del quotidiano Avvenire, Marco Tarquinio.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La foga anticattolica di gonfiare le mancanze morali

Magdalene
 
 
da Documentazione.info
 
 

Alla prova dei fatti molte notizie sui cosiddetti scandali nella Chiesa rivelano una realtà diversa da quella presentata. Ne avevamo già riferito nel Dossier Chiesa e pedofilia.

Ora Brendan O’Neill su The Telegraph dà notizia della presentazione del McAleese Report, che ha analizzato il caso delle Magdalene laundries, sorta di “riformatori per ragazze” attivi in Irlanda dal XIX secolo e affidati alla cura di suore. Il Rapporto non ha individuato neanche un caso di abuso sessuale da parte delle suore, ma soltanto alcuni casi circoscritti di punizioni corporali, sulla linea della prassi nelle scuole anglosassoni degli anni ’60-’80. Uno scenario insomma molto diverso da quello aberrante dipinto da molta pubblicistica, compresi film come The Magdalene Sisters che raccontano di violenze, sadismo e perversione.

Un’altra falsa informazione: nel settembre 2010 The Indipendent scrisse che in America oltre 10.000 bambini erano stati violentati da sacerdoti. In realtà per lo più le accuse riferivano di abusi verbali e di carezze. Un’accusa analoga fu fatta dai giornali irlandesi nel 2009, ma la Commissione d’inchiesta verificò che si trattava soltanto di 68 casi di violenza sessuali: comunque un orrore, ma di dimensioni molto diverse da quelle presentate nei media.

L’autore dell’articolo, che si dichiara ateo, si pone delle domande del perché esista questa prassi di ingigantire le mancanze morali degli uomini di Chiesa e conclude con una considerazione: «Gli anticattolici accusano spesso la religione cattolica di promuovere racconti infantili sul bene e sul male che sono distanti dalla realtà. Dopodiché loro fanno esattamente la stessa cosa, in ossequio alla loro nuova religione anticattolica, di moda e irrazionale».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Benedetto XVI uscito vittorioso dagli agguati laicisti

Benedetto xvi  
 
di Alessandra Nucci*
*da Italia Oggi, 01/03/13
 
 

È da quando fu eletto, nell’aprile 2005, che i commentatori prevedono per Joseph Ratzinger un rigetto da parte delle masse che accorrevano al richiamo di Karol Woytjla. Invece, a consuntivo, si constata che l’uomo deriso come «pastore tedesco», «rottweiler», intellettuale troppo distante per piacere alle folle, sulla gente comune ha sempre avuto l’effetto opposto: con i suoi modi quieti e non pretenziosi ha toccato le corde dei semplici e degli umili.

Dall’inizio del suo Pontificato, il papa tedesco ha camminato, impassibile e incolume, in mezzo a imboscate di ogni genere, piantate sul suo cammino da un’élite laicista che ha imperversato sui media, gonfiando possibili problematiche, stuzzicando presunte rivalità, rinvangando scandali di tempi lontani e incoraggiando cause legali, per danni che metterebbero in ginocchio i miliardari.

Nei primi anni del Pontificato, dall’incontro laicale della Chiesa in Italia, a Verona, che i media avevano anticipato come foriero di grandi divisioni dentro alla Chiesa, alle polemiche per il discorso di Regensburg, che è scaturito in dialoghi con l’islam ai massimi livelli, Papa Ratzinger aveva costantemente trasformato i guai in vittorie. Una delle prime è stata quella sul suo stesso fisico: affetto da pressione alta, i viaggi in aereo gli erano stato caldamente sconsigliati. Ciononostante ha compiuto 24 viaggi pastorali all’estero, senza contare gli spostamenti in Italia.

I viaggi in America, Australia, Francia, Regno Unito, Germania, erano stati tutti preceduti da mesi di gravi sfide e perfino da provocazioni, con gli attivisti dell’ateismo che arrivano perfino a reclamarne l’arresto. Eppure ogni tappa, ogni controversia, si era sempre conclusa con l’acclamazione della gente, delle autorità e, miracolo davvero, dei media. Memorabile il commiato della ribelle Inghilterra per bocca di David Cameron: «Siete venuto a parlare a 6 milioni di cattolici, ma siete stato ascoltato da una nazione di 60 milioni».

Perfino lo scandalo della pedofilia nel clero ha avuto un risultato contrario alle attese quando si è saputo che non era stato altri che il Cardinal Ratzinger, da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a insistere che si facesse rigorosamente pulizia all’epoca in cui gli abusi erano venuti alla luce. Paradossalmente, questo fatto, probabilmente, non si sarebbe nemmeno saputo se una parte della stampa non avesse insistito a voler dare la colpa al Pontefice in persona.

Dallo sgambetto della Sapienza, ateneo fondato da un Papa, ma pronto a dare il microfono a brigatisti pentiti e non al pontefice romano, al boomerang dell’intervista di Lucia Annunziata al gesuita Thomas J. Reese, trasformata da potenziale attacco a Ratzinger in un efficacissimo spot per la Chiesa cattolica, il Papato ha continuato a reggere.

Delle battaglie che hanno veramente segnato l’anziano Pontefice, quelle interne condotte frontalmente per fare pulizia e ripristinare il rigore nella Chiesa, sulla stampa, prima del Vatileaks, gennaio 2012, erano giunti soltanto degli echi , e questo nonostante che i protagonisti, laici e non, facessero di tutto per farsi notare. Ma dalle tombe violate di due vescovi, ad opera della polizia di Bruxelles, al maggiordomo dedito a trafugare lettere dalla stessa camera da letto del papa, a questo pontificato non si è fatto mancare nulla. Vi ha fatto riferimento non di rado Ratzinger stesso, in termini drammatici, come quando a Fatima usò l’aggettivo “terrificante” per descrivere le sofferenze della Chiesa che vengono proprio “dal peccato esistente nella Chiesa”.

In questi giorni epocali di fine pontificato sui giornali si legge di dimissioni e esautoramenti di cardinali: sono gli ultimi segni della battaglia silenziosa condotta dal papa tedesco, che, nelle parole di un nunzio apostolico, in questi anni ha rimosso in media «due o tre vescovi» al mese, per motivi di incompetenza o disciplina. Battaglia da cui, si capisce dalle ultime decisioni, si ritira umilmente, ma tutt’altro che domo.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Salute e aborto in Uganda: le balle del Guttmacher Institute

Sede Planned parenthood Il governo americano continua incredibilmente a fidarsi delle relazioni sull’aborto del Guttmacher Institute, ovvero l’ente di ricerca di Planned Parenthood, cioè la catena più grande del mondo di cliniche abortiste. Inutile evidenziare l’enorme conflitto di interesse.

Nella sua ultima relazione il Guttmacher ha guarda caso raccomandato all’Uganda un maggior accesso all’aborto e alla contraccezione come modo per migliorare la salute delle donne e ridurre le gravidanze indesiderate. E’ la solita solfa abortista, nonostante sia ormai palesemente dimostrato che i Paesi in cui l’aborto è illegale godono di ottimi dati sulla mortalità materna e che la contraccezione non diminuisce affatto il tasso di interruzioni di gravidanza.

L’istituto abortivo ha stimato che poco più del 54% delle gravidanze in Uganda non sono intenzionali, e «il livello elevato di gravidanze indesiderate e il divario tra la reale e la desiderata fertilità  in Uganda può essere attribuito in gran parte all’insufficiente uso dei contraccettivi». Con il ragionamento del Guttmacher, un maggiore accesso ai contraccettivi in Uganda abbasserebbe il tasso di gravidanze indesiderate. Eppure gli Stati Uniti, che vantano un “bisogno insoddisfatto” di contraccezione del solo 6-7 per cento, hanno quasi la metà delle gravidanze come involontarie e tali gravidanze hanno più probabilità di finire in aborti negli Stati Uniti rispetto all’Uganda: il 47 per cento contro il 30 per cento.

grafico aborto

 

Le stime di mortalità materna legati all’aborto in Uganda sono variabili. Guttmacher cita fonti inedite di stima che arrivano al 26% e secondo lui sono dovute, guarda caso, all’aborto non sicuro. Tuttavia il dato è il doppio dei tassi diffusi dal Ministero ugandese nel loro annuale rapporto 2011-2012. Inoltre, mentre Guttmacher chiede un maggiore accesso ai contraccettivi e aborti, il Ministero della Salute ugandese ha definito le proprie priorità per la salute materna attribuendo il lento miglioramento della mortalità materna alla «mancanza di risorse umane […], farmaci e materiali di consumo ed edifici e attrezzature adeguate».

Dunque siamo alle solite: dati male interpretati, considerazioni parziali e tanta ideologia.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il conformismo omosessuale e il pericolo per chi si oppone

Gay PrideLo storico Ernesto Galli della Loggia, editorialista de Il Corriere della Sera, con il suo articolo del 30 dicembre 2012 non ha voluto soltanto esporre la sua importante visione contro il matrimonio e le adozioni per persone dello stesso sesso, ma ha imbracciato anche una giusta battaglia contro il conformismo gay degli intellettuali e la violenza a cui la maggioranza omosessualista sottopone costantemente la minoranza critica.

Lo ha spiegato bene con un suo secondo articolo del 23 gennaio 2013, replicando alle varie reazioni che ha suscitato il suo intervento da laico, una di queste -scritta da una deputata del PD, Cristiana Alicatalo ha definito addirittura «intellettuale proto-nazista», confermando appunto l’intolleranza omosessulista.

Galli della Loggia ha spiegato che il conformismo omosessuale è evidente in quanto «nell’intero Occidente, l’opinione ultramaggioritaria degli intellettuali, in linea di principio, dalla parte delle rivendicazioni dei movimenti omosessuali». Questo perché? Non certo per avere ragioni adeguate dalla loro parte ma, spiega l’ordinario di Storia contemporanea Galli della Loggia, «per una ragione ovvia, e cioè che gli intellettuali occidentali, da quando esistono, amano atteggiarsi a difensori elettivi di ogni minoranza la quale si presenti come debole, oppressa, o addirittura perseguitata: al modo, per l’appunto, in cui di certo è stata storicamente, specie nei Paesi protestanti, la minoranza omosessuale». E chi la pensa diversamente, «esita tuttavia a dirlo chiaramente. Per la semplice ragione che non ama sottoporsi al giudizio negativo che una tale affermazione gli attirerebbe immediatamente da parte dei suoi simili. Perlopiù, infatti, gli intellettuali non temono affatto il giudizio della gente comune (che anzi assai spesso si compiacciono di contrastare); temono molto, invece, quello del loro ambiente, degli altri intellettuali». Infine ha spiegato come sostenere l’agenda LGBT porti anche un florido business economico, al contrario -ha spiegato- «ad alcun presidente della Apple o più modestamente della Fiat sia mai venuto in mente di presenziare al Family Day. Chissà perché».

A questo secondo articolo, oltre ad un articolo infantile e delirante comparso su Il Fatto Quotidiano -ma chi si aspetta più qualcosa di serio da loro?-, ha replicato l’omosessuale Ivan  Scalfarotto, vicepresidente del PD . Peccato che Scalfarotto abbia ovviamente stravolto e rigirato l’articolo di Galli della Loggia mostrando il solito noioso aspetto vittimista dell’omosessuale discriminato, e infatti l’editorialista de Il Corriere ha definito «semplicemente disgustoso (oltre che inefficace e stucchevole) questo modo di vista di sostenere il proprio punto di vista e le ragioni degli omosessuali, il quale lungi dal fondarsi su argomenti concreti e dati di fatto, mira esclusivamente a colpevolizzare l’interlocutore facendogli dire cose che non si è mai sognato di dire e presentandolo come un cripto-nazista».

Completamente condivisibile la chiusa di Galli della Loggia: si vuole dare «a credere, insomma, che se si è contro l’adozione da parte delle coppie gay allora si è necessariamente a favore del loro linciaggio. Tutto ciò lascia la sgradevole impressione che al fine di ottenere con successo, le legittime, sacrosante campagne del movimento gay, più che di convincere il pubblico cerchino solo di chiudere la bocca a chi la pensa diversamente».  Lo sanno benissimo, purtroppo, Melanie Phillips, il sindaco di Madrid Alberto Gallardon, gli abitanti del Nord Carolina, il senatore Ruben Diaz Sr, il padre di famiglia Adrian Smith, l’imprenditore Dan Cathy e tanti altri che hanno messo a repentaglio la loro incolumità fisica per aver espresso un’opinione contraria al mainstream omosessuale.

L’editorialista di “Spiked online”, Brendan O’Neilllo ha evidenziato perfettamente su “The Telegraph”: «il matrimonio gay è diventato uno strumento attraverso il quale i settori benpensanti della società esprimono la loro superiorità morale su coloro che ritengono vittime del lavaggio del cervello, provinciali disadattati e frequentatori di chiese. Il matrimonio gay è diventato una sorta di arma per dimostrare chi è meglio, chi è evoluto. Sostenere il matrimonio gay è diventata una sorta di guerra culturale, un modo di distinguersi dalla folla ignorante. Essere contro il matrimonio gay può ora essere visto quasi come un atto di ribellione politica, contro una élite lontana che teme e detesta chi non è come lei».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La verità sulla pillola abortiva EllaOne

EllaoneCome probabilmente molti ricorderanno poco meno di un anno fa, il 2 aprile 2012, ha fatto la sua comparsa nelle farmacie italiane l’ulipristal acetato, prodotto più noto col nome di ellaOne® e solitamente qualificato come contraccettivo «d’emergenza durante le 120 ore (5 giorni) successive ad un rapporto sessuale». Ma è esatto? ellaOne® è effettivamente una pillola contraccettiva oppure no? E se non lo è, di che si tratta esattamente?

Chi ha provato ad approfondire questi aspetti è la dottoressa Anna Fusina, la quale ha scelto di dedicare all’argomento il proprio elaborato a conclusione del Corso di perfezionamento in Bioetica frequentato presso l’Università degli Studi di Padova. In questo interessante lavoro, dal titolo La “pillola dei 5 giorni dopo. Aspetti scientifici, giuridici ed etici, si prende quindi in esame ellaOne®. E lo si fa con una premessa di carattere storico che mostra una singolare evoluzione concettuale – anche se sarebbe più corretto parlare di manipolazione -, vale a dire quella dei termini «concepimento» e «fecondazione».

Tutto ebbe inizio quando le potenti associazioni abortiste statunitensi compresero la necessità, per portare avanti la loro battaglia, di fare in modo che la parola «concepimento» non designasse più l’unione di spermatozoo ed ovulo bensì il momento dell’impianto in utero dell’embrione: «Se si scopre che questi dispositivi intrauterini agiscono come abortivi, non solo avremo contro la Chiesa cattolica ma pure le Chiese protestanti», affermava nel 1962 Mary Calderone (1904 – 1998), allora direttore medico di Planned Parenthood, riferendosi alla spirale.

Conseguenti a questa scelta strategica furono tutta una serie di pressioni che nel 1965, come fa notare Fusina, portarono l’ACOG – acronimo che sta per American College of Obstetricians and Gynecologists -, cioè la maggiore organizzazione di ginecologi degli Stati Uniti, a pubblicare il suo primo Terminology Bulletin con l’introduzione dalla discutibilissima trasformazione semantica: «concepimento», per la prima volta, stava per avvenuto impianto dell’ovulo fecondato nell’utero materno (American College of Obstetrics and Gynecology (ACOG). Terminology Bulletin, “Terms Used in Reference to the Fetus.” Chicago: ACOG, 1965).

Quella manipolazione, come si usa dire, “fece scuola”. Alcuni anni dopo infatti, precisamente dal 1985, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità si appiattì sull’interpretazione messa a punto due decenni prima dalle lobby abortiste giungendo a riconoscere la gravidanza solo a partire dall’avvenuto impianto dell’embrione nell’utero (cfr. Sgreccia E. Manuale di bioetica, Vita&Pensiero, Milano 2007, p. 611;). Una manipolazione della realtà in piena regola, dato che testi di embriologia cronologicamente successivi ed utilizzati nell’insegnamento universitario riportano il concepimento quale momento della fecondazione, dell’unione di spermatozoo ed ovulo che determina la formazione dello zigote.

Fatta questa piccola ma significativa parentesi storica, torniamo su ellaOne®: nel suo foglietto illustrativo è testualmente scritto che «agisce modificando l’attività dell’ormone naturale progesterone» e che «si ritiene […] agisca bloccando l’ovulazione». Ora, non ci vuole molto per accorgersi di quel singolare «si ritiene»: come mai? Non c’è forse la certezza che ellaOne® agisca esclusivamente «bloccando l’ovulazione»? Quali altri effetti potrebbe avere esattamente questo presunto contraccettivo «d’emergenza»? Una risposta ci giunge da uno studio curato dai ricercatori Mozzanega e Cosmi che parte da un fatto: il solo studio che valuta l’efficacia di ulipristal sull’ovulazione è stato condotto su un piccolo campione, di appena 34 donne (Cfr. Mozzanega B. – Cosmi E. (2011) Considerazioni su ellaOne® (ulipristal acetato) «Italian Journal of Obstetrics»; 2/3:107-112).

E pur sulla base di quest’unico studio è possibile constatare come, a proposito di ellaOne®, «solo il trattamento all’inizio del periodo fertile sembra realmente ritardare l’ovulazione. In questo caso, però, un rapporto risalente da 1 a 5 giorni prima sarebbe avvenuto in un periodo del ciclo verosimilmente non ancora fertile e quindi il farmaco verrebbe assunto inutilmente. Quando invece ulipristal viene assunto nei successivi giorni fertili, i tre o quattro giorni che precedono l’ovulazione, la maggioranza delle donne ovula regolarmente ed evidentemente può concepire; l’endometrio, invece, risulterà gravemente compromesso e sarà del tutto inadeguato all’impianto».

Questo significa che le donne che assumono la “pillola dei 5 giorni dopo” dopo un rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo mestruale, nella maggior parte dei casi,  ovulano e possono concepire anche se l’endometrio è irrimediabilmente compromesso, indipendentemente dal momento in cui il presunto contraccettivo è viene assunto. Concludono Mozzanega e Cosmi: «Se immaginiamo un rapporto il giorno prima dell’ovulazione, con il concepimento entro le successive 24 ore (e quindi 48 ore dopo quel rapporto sessuale), come potrà invocarsi un’azione anti-ovulatoria e anti-concezionale per un farmaco assunto fino a cinque giorni da quel rapporto, e quindi tre giorni dopo il concepimento stesso? Si avrà esclusivamente un’azione anti-annidamento». Da un contraccettivo con possibili effetti abortivi si passa quindi – sempre che vi sia stato concepimento, ovviamente – ad un vero e proprio abortivo.

Bene fa quindi la dottoressa Fusina, al termine del suo pregevole lavoro – dove sono contenute le maggior parte delle citazioni qui riportate e dove, naturalmente, c’è anche molto altro – ad osservare che «la presentazione di questo farmaco come “contraccettivo”, termine correntemente usato per indicare la prevenzione del concepimento (inteso come fecondazione) è ingannevole: potrebbe indurre infatti ad utilizzarlo persone che non lo farebbero mai, se solo ne conoscessero il meccanismo d’azione antinidatorio». L’idea che presentare ellaOne® come contraccettivo possa indurre ad assumerla «persone che non lo farebbero mai, se solo ne conoscessero il meccanismo d’azione antinidatorio» appare suffragata dall’esito di un sondaggio condotto in Spagna nel 2007, che ha messo in luce come quasi il 40% (il 39,4%) del campione «rifiuterebbe l’impiego di un anticoncezionale sapendo che questo potrebbe agire anche come abortivo».

Morale: presentare ellaOne® esclusivamente come un contraccettivo significa dire mezza verità e quindi mentire circa la sua natura antiprogestinica, volta cioè a bloccare l’ormone – il progesterone, appunto – fondamentale per l’annidamento embrionale nella mucosa uterina. Mentire, una vera e propria specialità per quanti, ieri come oggi, si battono contro il diritto alla vita servendosi di bugie che, a forza di esser raccontante, a volte vengono purtroppo prese per verità.

Giuliano Guzzo

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Le contraddizioni di chi critica Pio XII

+++PAPA: RADIO DA' VOCE A S.SEDE E DIALOGA CON IL MONDO+++Una cosa bizzarra di chi critica la Chiesa è che paradossalmente le accuse che imputa hanno spesso una loro particolare selettività.

Per esempio si accusa Pio XII d’indifferenza o di connivenza verso il genocidio degli ebrei per il suo silenzio riguardo allo sterminio nazista, ma nessuno lo accusa della stessa cosa riguardo al suo silenzio per i misfatti accaduti in Polonia. I polacchi erano infatti considerati dai nazisti un gradino superiore agli ebrei ossia come dei sotto-uomini da schiavizzare e da sfruttare e non mancarono contro di essi dei piani di sterminio. Anch’essi durante la guerra ebbero a soffrire delle crudeltà indicibili: basta pensare che il campo di concentramento di Auschwitz venne progettato inizialmente come luogo di punizione per i polacchi dissidenti.

I nazisti perseguitarono duramente anche la chiesa polacca perché era uno dei simboli dell’identità nazionale del paese e uccisero e imprigionarono migliaia di sacerdoti. Nessuna accusa di indifferenza o di connivenza con il nazismo però è stata fatta a Pio XII per questo, perché sarebbe assurdo pensare che il pontefice potesse guardare con favore allo sterminio di un popolo cattolico e del resto. Pochi sembrano sapere che la Chiesa rischiava seriamente di essere annientata nella stessa Germania: «”Gli ebrei in Palestina, i preti a Roma” era uno degli slogan delle camicie brune e della Gioventù Hitleriana» (R. Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Bologna 2002 p. 105).

Il pontefice durante la guerra si attenne alla linea di una denuncia generale e di principio, evitando denunce ed individuazioni di colpe precise e determinate. Il motivo per cui decise di attenersi a questa linea era dato da diversi fattori: il timore di rappresaglie naziste contro i cattolici, l’esigenza di neutralità e la necessità di salvaguardare i perseguitati che si voleva difendere.

Ad esempio, riguardo alla questione polacca Pio XII dichiarò nel 1940 all’ambasciatore italiano Dino Alferi: «noi dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose, e solo ci trattiene dal farlo il sapere che renderemo la situazione di quelli infelici, se parlassimo ancora più dura». Questa sua scelta destò controversie già all’epoca tra chi pretendeva una chiara denuncia dei crimini nazisti e di chi invece chiedeva di non effettuare pubbliche denunce per il timore che la situazione potesse peggiorare ulteriormente. La linea che tenne verso gli ebrei fu praticamente identica e non mancarono accenni di condanna e di gravità del genocidio nei suoi discorsi. Ad esempio, nel 1942 gli alleati fecero pervenire al papa le prime informazioni sullo sterminio degli ebrei chiedendo di pronunciarsi e Pio XII deplorò nel suo discorso di Natale la situazione di “quelle centinaia di migliaia di persone che, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità e di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento”. Paradossalmente, questo discorso venne criticato sia dagli Alleati che dai nazisti seppur per motivi diversi: i primi lo giudicarono troppo generico, mentre i secondi invece lo considerarono fin troppo chiaro tanto che l’Ufficio di Berlino responsabile della deportazione degli ebrei (l’ufficio principale della sicurezza del Reich) annotò che “in una maniera mai conosciuta prima, il papa ha ripudiato il nuovo ordine europeo del nazionalsocialismo (…) qui egli sta virtualmente accusando il popolo tedesco di ingiustizia verso gli ebrei e si rende portavoce dei criminali di guerra ebraici” (M. Gilbert, I giusti d’Italia, P. 345).

Sul fatto che una pubblica denuncia sarebbe stata in grado di apportare qualche beneficio o se, al contrario, avrebbe procurato maggiori danni è un argomento ancora discusso tra gli storici (e probabilmente lo rimarrà perché è una discussione confinata nel puro campo ipotetico). Ciò che invece stanno convergendo ultimamente gli studiosi, anche di orientamento diverso, è che queste mancata denuncia non fu dovuta all’indifferenza di Pacelli verso l’Olocausto o ad una presunta simpatia per il regime hitleriano. Su questo argomento sono stati scritti molti libri e l’ultimo ad essere pubblicato, per il momento, è un’opera di un autore canadese, Robert. A. Ventresca, professore al King’s Kollege alla Western University di Londra che ha pubblicato una biografia del pontefice: “Soldier of Christ: the live of Pope Pio XII”.

Lo storico è cattolico, ma ha un padre di discendenza ebraica proveniente da una famiglia polacca ed è anche per questo motivo che ha deciso di analizzare a fondo la verità sul pontefice. Il biografo è arrivato alle stesse conclusioni che già altri difensori di Pacelli erano arrivati: nei primi venti anni di pontificato era evidente a tutti che la Chiesa era stata anch’essa una vittima della follia nazista e che Pio XII era considerato un eroe alla pari di Churchill e Roosevelt. Questi pensieri erano giustificati: fu Pacelli uno redattori dell’enciclica antinazista Mit brennender sorge, parecchi ebrei si rifugiarono nei territori del Vaticano come ad esempio a Castel Gandolfo, lo stesso Congresso Mondiale Ebraico donerà una grande quantità di denaro al Vaticano per l’aiuto offerto agli israeliti durante il conflitto e persino il rabbino di Gerusalemme Isaac Herzog ringraziò il papa per “i suoi sforzi di salvataggio a favore degli ebrei durante la guerra”.

Fu agli inizi degli anni ’60 con la vergognosa opera teatrale di Rolf Hochhut, “Il Vicario” che la musica iniziò a cambiare facendo divenire Pacelli il “papa dei silenzi” e persino il “papa di Hitler”. Eppure questi giudizi non tengono conto della difficoltà di Pacelli all’epoca e del suo timore di “fare più male che bene” parlando. Esiste almeno una caso in cui una chiara denuncia ebbe il solo effetto di peggiorare la situazione ed è spesso citato dai difensori del pontefice: nel 1942 la chiesa cattolica olandese denunciò dai pulpiti la deportazione degli ebrei e i nazisti arrestarono come “rappresaglia” tutti gli ebrei olandesi convertiti al cattolicesimo che riuscirono a trovare (nei rastrellamenti venne catturata anche Edith Stein che morirà successivamente nel campo di stermino di Auschwitz). Per capire l’importanza dell’opera di Pio XII è fondamentale anche la storia del rabbino capo di Roma, Israel Zolli che si convertirà al cattolicesimo finita la guerra prendendo come nome di battesimo “Eugenio” in riconoscenza a Pacelli.

È paradossale il fatto che quelli che attaccano la Chiesa per il suo comportamento durante la guerra siano spesso i primi a chiudere gli occhi di fronte al crescente antisemitismo proveniente da alcuni settori dell’estremismo islamico, dell’ateismo militante e da altre istituzioni che nutrono un crescente odio verso gli ebrei (e spesso anche contro la Chiesa).

Mattia Ferrari

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il naturalismo porta all’uso improprio della scienza

Dna umano
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Il 28 febbraio 1953, Francis Crick e James Watson convocarono all’Eagle pub di Cambridge i giornalisti e un gruppo di amici, cui annunciarono di “aver scoperto il segreto della vita” nella doppia elica del DNA. Si brindò a birra e whisky, come richiedeva l’evento. Nel 1976, Crick alzò il tiro e proclamò: “Lo scopo ultimo della biologia moderna è spiegare la coscienza in termini di chimica e fisica”, un risultato “raggiungibile in una generazione”. Sappiamo com’è andata la storia: lungi dall’aver trovato i segreti della vita e della coscienza, la biologia non sa ancora come funziona il DNA, e manco come si piega una proteina. Crick cercò poi conforto nella panspermia.

L’euforia le sparò grosse. Ma il Guiness fu toccato nel 1983, quando Stephen Hawking fece il saltino di passare dal calcolo della funzione d’onda dell’atomo d’idrogeno a quella del mondo intero. In meccanica quantistica, appena siano coinvolte una decina di particelle (quindi già a partire dagli atomi più leggeri), non si può risolvere l’equazione di campo, nemmeno approssimativamente al computer, perché la memoria richiesta dal calcolo supera la massa-energia di tutto l’Universo. Le particelle del mondo sono dell’ordine di ~1082 e si comprende che per la sua impresa titanica Hawking dovette ricorrere ad una serie di congetture arbitrarie. Inoltre, il sistema quantistico che il cosmologo di Cambridge pretese di osservare è per definizione inseparabile dal cervello del suo osservatore e ciò crea qualche problema sul significato della funzione d’onda e dei suoi autovalori. Imperterrito, da modelli matematici che avrebbe rimasticato per 29 anni fino alla pensione, il nostro eroe arrivò alla conclusione che l’Universo emerse un bel dì “per caso, dal niente”, per la produzione improvvisa di materia (positiva) consentita da un debito di altrettanta energia (negativa) gravitazionale. Insomma, in Principio fu un Derivato finanziario confezionato, come i prodotti attuali più sofisticati della City (40 minuti di treno da Cambridge), in un formulario matematico compreso solo dagli addetti…, o non piuttosto lo strafalcione metafisico di confondere il “niente” con il vettore corrispondente all’autovalore minimo d’un’equazione? Oggi, si è perso il conto degli articoli e dei libri di “divulgazione scientifica” che hanno annunciato la soluzione della questione filosofica per eccellenza – perché c’è qualcosa piuttosto che niente – e la superfluità d’un Creatore anche nel caso d’un Universo contingente: il solo Hawking ne ha ricavato 8 best seller, l’ultimo dei quali è stato da me commentato da me commentato qui.

Se tralasciamo le megalomanie (scusabili in menti geniali focalizzate per un’intera vita su un obiettivo), ogni giorno ci vengono annunciate “scoperte” minori riguardanti pillole della felicità e geni dell’onestà, intervallate dallo scoop canonico sulle “tracce di vita” aliena. A spiegazione della gragnuola di speculazioni (quando non vere e proprie fole, tipo: “È stato trovato un nuovo numero primo, e non uno qualsiasi, ma il più grande!” sul Corriere di qualche settimana fa) spacciate per scienza, ho proposto in passato due cause: la ricerca di visibilità da parte di strutture tecno-scientifiche in affanno e l’incapacità di molti ad ammettere i limiti statutari, o anche solo l’ignoranza attuale, delle scienze naturali su alcune questioni. Il valore della visibilità per un settore, come la ricerca, fortemente dipendente dagli stanziamenti pubblici si spiega da sé: in una competizione inferocita dalla crisi economica in Occidente, la tendenza a vendere la fantasia per scienza non è più l’eccezione da noi di qualche ramo deviato, ma una pandemia diffusa dal corto circuito coi media. Ma cosa c’è dietro l’altro fronte, quello dell’onniscienza conclamata?

Secondo Ludwig Wittgensteinla filosofia limita il campo disputabile della scienza naturale”, talché se s’ignora che questa ha una frontiera si possono confondere le fantasie con la realtà. Ma dove sta la frontiera della scienza naturale? Attingo alla fonte purissima del suo inventore: Galileo Galilei. Nella lettera del 1 dicembre 1612 a Mark Welser, Galileo scrive che l’approccio scientifico rifugge da speculazioni filosofiche sull’essenza delle cose, limitandosi ai dati misurabili e cercando relazioni numeriche (in linguaggio moderno: le “teorie”) secondo le regole della matematica. “Perché, o noi vogliamo specolando tentar di penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d’alcune loro affezioni. Il tentar l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non meno vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti. […] Ma se vorremo fermarci nell’apprensione di alcune affezioni, non mi par che sia da desperar di poter conseguirle anco nei corpi lontanissimi da noi, non meno che ne i prossimi”.

L’essenza vera ed intrinseca” delle cose che la scienza deve rinunciare ad indagare è ciò che sta sotto, nascosto ai sensi e anche agli strumenti; ciò per cui una cosa è quella che è e non un’altra: compreso, il fine, o il senso della cosa. “Affezioni” invece, sono gli aspetti visibili con i sensi e codificabili in numeri, e così uguali per tutti. Il baratto tra essenze ed affezioni comporta vantaggi e svantaggi. La matematizzazione della Natura operata dall’auto-restrizione ai soli dati misurabili diventa in fisica il calcolo dei rapporti delle forze e degli scambi delle energie in gioco nelle trasformazioni osservate. L’esattezza del numero fornisce una descrizione dell’ordine naturale che abilita il ricercatore a fare predizioni e, collocando le fasi della trasformazione osservata in una successione logica e ottimale riguardo ai consumi di energia e di tempo, lo abilita a dominare le forze della Natura, replicando il fenomeno in applicazioni tecnologiche. Però la descrizione scientifica paga il prezzo di rinunciare alla ricerca di scopo (o finalità o intenzione) che, a partire dall’esperienza che ognuno di noi vive dalla nascita, impronta ogni azione umana e senza cui non si dà una completa conoscenza di ciò che accade. Insomma, la rivoluzione scientifica galileiana consiste nell’applicazione alle modalità cognitive umane di un filtro matematico che spreme dalle “sustanze” le “affezioni”, così sostituendo alle parole i numeri e rinunciando ad indagare finalità e senso. “Intorno ad altre più controverse condizioni delle sustanze naturali” provvederà la filosofia, liquida Galileo la questione.

4 secoli dopo la lettera di Galileo a Welser c’è ancora chi fa confusione tra filosofia e scienza. Telmo Pievani nella sua lettera aperta del 12 gennaio u.s. ad Enzo Pennetta scrive: “Il ‘non senso’ dell’evoluzione, cioè la sua mancanza di una direzione finalistica, appare a mio avviso limpidamente dalle conoscenze scientifiche attuali”. Pievani non è un tecnico, come Crick e Hawking portati per inerzia ad estrapolare le loro ricerche specialistiche a speculazioni sull’intero Universo; è un “filosofo della biologia”, con cattedra all’università dove Galileo trascorse “li diciotto anni migliori di tutta la mia età”. Egli dovrebbe per mestiere vigilare sui confini tra scienza e filosofia stabiliti dal fisico pisano e ribaditi dal logico austriaco, ad impedire scorribande da una parte all’altra. E invece che fa? Confonde la prima, che per suo metodo non si occupa di senso, con la seconda, che è la sola sede legittimata a porre le domande che lo riguardano; mischia la teleonomia, che è il piano di ricerca delle cause efficienti appartenente alla biologia, con la teleologia che è lo spazio di speculazione delle cause finali proprio della filosofia. Pievani pretende che siano “le conoscenze scientifiche attuali” a mostrare l’evidenza del “non senso dell’evoluzione”, come chi si stupisse di non vedere l’intero spettro luminoso attraverso lenti filtranti! Io invece ho la “limpida apparizione” opposta: riscontro nell’evoluzione dell’Universo culminata nella specie umana – “la sola specie nell’universo capace di utilizzare un sistema logico di comunicazione simbolica” (Jacques Monod) – una biogenesi coestensiva alla cosmogenesi fin dai primi istanti del Big Bang, rappresentata da una geometrica freccia di senso, con coda a 14 miliardi di anni fa e punta a 140.000… Ma non dirò che questa intuizione mi deriva dalle “conoscenze scientifiche”. Ammetto senz’altro che si tratta di un’interpretazione della mia Weltanschauung.

Una Weltanschauungè qualcosa di totale e universale a un tempo, […] consiste di idee, manifestazioni supreme ed espressioni totali dell’uomo, […] delle posizioni ultime che l’anima occupa, […] delle forze che la muovono” (Karl Jaspers). Tutti hanno diritto ad una propria Weltanschauung. E a tutti i docenti universitari, darwinisti e no, può accadere di confondere la propria concezione del mondo con un fatto o una teoria scientifica: perché, diciamo la verità, la tecno-scienza è bella per chi ne legge, ammaliante per chi la pratica, utile a tutti; ma la concezione di vita è molto di più: solo questa ci scalda l’anima… e nei risultati scientifici ci trascina a trovare un conforto alle nostre scelte esistenziali. C’è però una differenza, almeno di stile, tra Weltanschauung e ideologia militante. Quando la confusione tra metodi e domini disciplinari impronta intere pagine della cosiddetta divulgazione scientifica (vedi, sulla scia ritardata dei new atheist loro maestri, “Creazione senza Dio” di T. Pievani, o “La scienza non ha bisogno di Dio” di E. Boncinelli), gli autori usano impropriamente risultati scientifici per propagandare la loro visione naturalistica. Una concezione uguale e contraria a quella creazionistica d’Oltreoceano da essi tanto criticata: entrambe usano infatti un assunto (l’esistenza o assenza di Disegno nella biosfera) per proporre una teoria dell’evoluzione (il creazionismo o il darwinismo) fuori dal canone galileiano.

Lobby e pregiudizi, questi due parassiti della scienza moderna furono segnalati 50 anni fa da Imre Lakatos. Mostrando maggiore realismo rispetto al suo maestro, Lakatos corresse l’“ingenuità” popperiana d’un progresso scientifico guidato solo dalla competizione epistemica tra teorie, con la dimostrazione che la scienza avanza anche tramite lo scontro 1) di gruppi e programmi, legati a interessi economici e 2) di contrapposte Weltanschauung, che fanno da scenario concettuale generale alle teorie più vicine allo Zeitgeist di ogni epoca.

Da una quarantina d’anni, un numero crescente di scienziati – biologi, fisici, matematici, medici, chimici, computer scientist, epistemologi,… –, nelle scuole medie attratti dalla semplicioneria darwiniana, se ne sono gradualmente emancipati dopo la laurea. Da S. Kauffman a C. Woese, da G. Dover a L. Kruglyak, da L. Margulis a S. Newman, da J. Fodor a M. Piattelli Palmarini a E. Jablonka a E. Koonin a T. Nagel, essi hanno toccato sul campo l’inadeguatezza esplicativa d’un paradigma bidimensionale, recintato da caso e selezione naturale. Superando i “dogmi” della Sintesi cosiddetta moderna – basati su una fisica antica, quella contemporanea a Darwin, secondo cui le ultime particelle hanno proprietà esclusivamente meccaniche – stanno ricercando ulteriori dimensioni, basate sulla complessità e l’elettrodinamica quantistica, ed anche su nuovi principi. Divertito davanti ai tentativi con cui i darwinisti del XX secolo insistevano a cercare i “segreti della vita” nella fisica del XIX, David Bohm scriveva nel 1969: “Proprio quando la fisica si allontana dal meccanicismo, la biologia e la psicologia vi si avvicinano. Se questo trend continua, accadrà che la biologia guarderà agli esseri viventi ed intelligenti come a meccani, mentre la fisica considererà la materia inanimata troppo complessa e sottile da cadere nelle categorie limitate del meccanicismo”.

Perché insistono anche nel XXI secolo? Perché, lakatosianamente, hanno una visione naturalistica del mondo da difendere contro ogni coerenza e da diffondere contro ogni resistenza; e per questo ideale supremo ogni mezzo è buono, compreso l’uso improprio della scienza.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

8×1000 alla Chiesa cattolica: cresce la trasparenza grazie al web

Firma 8x1000Ad Aprile comincerà la campagna televisiva per l’8×1000 alla Chiesa cattolica per invitare ad una scelta di grande responsabilità e di immenso valore e utilità sociale.

Chi deciderà anche quest’anno di firmare per la Chiesa cattolica dimostrerà di saper guardare oltre alle menzognere campagne denigratorie che puntualmente -anche su questo!- provengono da ambienti laicisti e valdesi (la Chiesa valdese italiana è purtroppo da anni impegnata in una volgare campagna anticattolica). A tutte le falsità divulgate sull’8×1000 abbiamo già risposto ampiamente in questo articolo: il meccanismo non avvantaggia la Chiesa cattolica ma soltanto l’ente che viene preferito dalla maggioranza dei contribuenti, e tale ente è ogni anno la Chiesa cattolica. Questo nonostante partecipino al meccanismo di ripartizione anche lo Stato, i valdesi, le assemblee di Dio, gli avventisti, gli ebrei, i battisti, i luterani e recentemente anche mormoni, ortodossi, buddhisti e induisti italiani.

La Chiesa cattolica, inoltre, non destina soltanto una piccola parte alla carità, perché sotto la voce “Esigenze di culto della popolazione“ fanno parte interventi per la realizzazione di strutture educative e ricreative per ragazzi, la tutela e conservazione dei beni culturali artistici-ecclesiastici, attività di promozione dell’ecumenismo e della pace, attività per i detenuti, per formazione dei giovani lavoratori, sostegno di associazioni per la promozione delle famiglie ecc. La terza voce, “Sostentamento del clero”, serve invece a mantenere economicamente anche le migliaia di missionari in giro per il mondo, nei posti più poveri e pericolosi, dalle favelas brasiliane ai villaggi africani. Dunque l’investimento nella “carità” non è tutto quello che appare sotto la diretta voce della rendicontazione chiamata “Interventi caritativi”.

In ogni caso su internet è disponibile una fotocronaca in tempo reale, concreta e documentata – con didascalie e possibilità di commenti e domande – dai luoghi delle opere realizzate grazie alle firme. L’autore è Matteo Calabresi, responsabile del Servizio promozione Cei per il sostegno economico alla Chiesa, il quale girerà gli spot 2013. Il suo photoreportage è diffuso da pochi giorni su Facebook, in modalità accessibile anche ai non iscritti al social network. Le immagini arrivano dall’Etiopia, dai centri per l’accesso al microcredito di Merawi (destinatari di 450mila euro) e dal grande ospedale di Wolisso, a 140 chilometri dalla capitale Addis Abeba (5 milioni di euro), avamposto sanitario regionale gestito dal Cuamm, con formazione per medici e infermieri, oltre che reparti ostetricia e pediatria, fondamentali in un Paese dove solo il 10% delle donne partorisce in strutture sanitarie, con rischi di morte e complicanze. Prossime tappe previste, con altri scatti: gli asili per l’infanzia diseredata e i bambini dei campi profughi della guerra con l’Eritrea (65mila euro). Tutte opere create o sostenute dalla Chiesa italiana, grazie ai fondi 8xmille. Sul sito web www.8×1000.it si possono visionare in totale trasparenza l’uso dei fondi ricevuti e la quantità del rendiconto.

Secondo noi destinare l’8×1000 alla Chiesa cattolica è un grande atto di libertà e di responsabilità, ma è anche la scelta più utile ed efficace perché soltanto la Chiesa cattolica e le sue missioni (e non lo Stato e le altre religioni) sono sufficientemente radicate nel territorio internazionale e possono così intervenire in modo capillare ed equo, raggiungendo direttamente le realtà più bisognose e meno accessibili.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il testamento di Benedetto XVI: «la Chiesa non è nostra»

Benedetto XVIDuecento mila fedeli hanno abbracciato il Papa questa mattina per la sua ultima apparizione. Benedetto XVI ha nuovamente spiegato la sua decisione di rinunciare al papato, ha fatto dei ringraziamenti e sopratutto ha -probabilmente per l’ultima volta- riaffermato pubblicamente in modo chiaro e commovente la certezza che, nonostante tutti gli errori e le ombre che la storia della Chiesa si porta dietro, Dio non ha mai smesso di condurla evitando il naufragio. Illuminante l’analogia con gli eventi descritti nei Vangeli (Mc 4, 35-40).

 
 
di Benedetto XVI
 
 

Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai.

E’ DIO A GUIDARE LA CHIESA. il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire.

Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è Sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore.

LA GIOIA DI ESSERE CRISTIANO. Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano…».

NON MI SONO MAI SENTITO SOLO. Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo! Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile.

HO VOLUTO BENE A TUTTI. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre. Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio.

CHE COSA E’ DAVVERO LA CHIESA. A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari-, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi poter toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino.

UNA DECISIONE PER IL BENE DELLA CHIESA. In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi. Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui. Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato.

NON ABBANDONO LA CROCE. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio. Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che voglio vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito. Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia.

Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!

 

Qui sotto il video dell’ultima Udienza generale

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace