La verità sui Borgia, al di là della leggenda nera

Cop_LeggendaNeraPapaBorgiaTornano i Borgia in televisione, ma è soltanto la riproposizione della leggenda nera, priva di ogni evidenza storica e degli aspetti decisamente positivi del pontificato di Alessandro VI.

In onda su La7 la serie è quella creata da Neil Jordan e si concentra su quel che vuole la vulgata: corruzione, minacce, omicidi e veleni. Lo stesso Jordan tuttavia ha riconosciuto che «i Borgia furono vittime di cattiva pubblicità, storia raccontata a posteriori proprio dai seguaci del cardinale della Rovere. Li dipinsero peggiori di quel che furono. Certo non erano santi. Ma uomini e donne della loro epoca». Dunque le falsità trasmesse non sono per ignoranza storica, ma per semplice ideologia anticattolica.

Un duro articolo è arrivato da Franco Cardini, ordinario di storia presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum), il quale ha spiegato che fu Elisabetta I, figlia di Enrico VIII (fondatore dell’anglicanesimo) ad «inventare in un sol colpo due “Leggende nere” destinate a durare nel tempo: quella contro la Spagna cattolica rea di ogni infamia e quella contro il papato eterno nemico di qualunque verità e libertà. I protestanti hanno bruciato molte più streghe dei cattolici ma ancora oggi nelle nostre scuole si continua a insegnare che uniche e responsabili di quei massacri furono la Chiesa e l’Inquisizione»

Il prof. Cardini parla di “polpettone televisivo”: «sangue e sesso nel XV-XVI secolo: che volete di più? Con i soliti luoghi comuni, in parte puramente calunniosi, in parte spezzoni di verità cronistica montati alla rinfusa e cuciti insieme per squadernarci davanti una storia vista dal buco della serratura, tutta vizio prepotenza e intrighi, in cui non ci si cura affatto di situare quel che si narra nel contesto degli eventi e nel quadro socio culturale del tempo». Le vicende del papato di Alessandro (Rodrigo Borgia) e della morte di Lucrezia sono state criticate a lungo (giustamente o meno), i protestanti vollero usarli come e­sempio della corruzione di Roma, aggiungendo le fantasie più perverse contro Alessandro VI:  incontinenza sessuale, simonia, ince­sto con la figlia Lucrezia, omicidi politici e tor­ture inflitte.

Papa Borgia non fu certo un modello di virtù e non fe­ce onore all’altissima di­gnità cui fu chiamato, ma nemmeno fu quello che viene detto di lui. Era incline alla lussuria, ma anche molto devoto alla Madonna, alla preghiera, quando i reali spagnoli decisero il primo pogrom della storia, lui non fece mancare agli esuli ebrei ospitalità. La sua elezione urtò le a­spettative della potente Francia e da subito vennero fatte circolare maldicenze (simonia ecc.), comin­ciando da Francesco Guicciardini, politicamente av­verso al partito catalano del Borgia. Il nepotismo fu presente, ma nel Quattrocento era pratica comune, ci si preferiva circondare di persone fidate. I catalani Borgia, spiega Mario Iannacone recensendo il volume La leggenda nera di Papa Borgia (Fede&Cultura 2009) di Lorenzo Pingiotti, insidiavano le grandi famiglie baronali romane degli Orsini, Colon­na, Savelli e Caetani, e questi contrattaccarono producendo libelli, calunnie, comprendenti omicidi e orge licenziose.Borgia

Nessuno storico, in ogni caso, sostiene più le accuse di incesto e ricorso al veleno per risolvere controversie politiche. Alessandro VI fu più principe che pastore e non è certo una novità, tuttavia gli va riconosciuta una lungimiranza teologica e disciplinare. Lo ribadisce il prof. Cardini, citando una bella pubblicazione scientifica dell’Istituto storico italiano per il Medioevo. Eppure, si lamenta, «nel polpettone televisivo scompare qualunque altro aspetto. Papa Borgia fu un uomo del suo tempo ma anche un papa straordinario: avviò la riforma degli ordini religiosi, mostrando di aver compreso i mali della Chiesa del tempo (quelli che avrebbero condotto alla rivolta di Lutero); sistemò la contesa ispano-portoghese dopo la scoperta del Nuovo Mondo, imponendosi per una versione equilibrata del problema». 

Alessandro VI, ha proseguito Cardini, «fu uno statista accorto che, riordinando l’amministrazione, le finanze e l’istituzione dello Stato della Chiesa e ponendo fine a molti abusi, dette da competente un energico impulso agli studi di diritto canonico, necessario per il riordino della gerarchia; fu paziente perfino dinanzi agli attacchi di Gerolamo Savonarola, che infatti fu vittima degli odii delle fazioni fiorentine più e prima che della sua volontà».

Nella fiction non si parla nemmeno della seconda parte della vita di Lucrezia, intensa e ricca spiritualmente, con diverse «prove di generosità e di autentica pietas religiosa che sono state sottolineate da un’altra studiosa, Gabriella Zarri. Infatti Lucrezia morì nella fede, terziaria francescana e amica dei poveri». Qui la descrizione della vera morte di Lucrezia. Nella serie televisiva, conclude Cardini, «tutto viene macinato e sepolto nella valanga di luoghi comuni e calunnie, che per giunta — c’è da giurarci — saranno salutate come oro colato da un branco di teledipendenti. Dal semplice punto di vista storico, la fiction è un colabrodo di errori e di sciocchezze» (l’elenco di errori è presente anche su Wikipedia).

Lo storico Mario Dal Bello ha recentemente pubblicato il saggio divulgativo “I Borgia. La leggenda nera” (Città Nuova 2012), il quale ha spiegato che la leggenda nera nasce perché «i primi a raccontare la vicenda dei Borgia furono essenzialmente i loro denigratori; perché a Lucrezia, colta (parla il latino) bionda e bella piaceva la vita mondana; perché a mettere in giro la peggiore delle maldicenze su di lei fu il suo primo marito, Giovanni Sforza».

 

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Avviata l’opera di normalizzazione della pedofilia

DSMPoco importa se nella “bibbia” della psichiatria mondiale – o DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) del 1994 – i criteri diagnostici riguardo la pedofilia sono stati severamente criticati per mancanza di affidabilità, validità, coerenza e precisione [1], o se regna il caos nei relativi sistemi di classificazione [2] con incoerenti metodologie di codifica sociolegale anziché psicologica [3]. A maggio uscirà il nuovo DSM, aggiornato. Con esso sarà mantenuta la definizione di pedofilia in quanto “disturbo (disease) pedofilo”, anziché malattia (illness).

Vittorino Andreoli, accademico e psichiatra famoso, scriveva nel 2004 che “La pedofilia è una malattia”, intendendo comunque per “malattia” un disease psichico. “Oggi – continua Andreoli – la pedofilia è inserita nell’elenco delle malattie, mentre, per esempio, non lo è più l′omosessualità, che è stata cancellata nel 1992. Chiunque facesse attualmente una diagnosi di omosessualità, includendola come malattia, sarebbe perseguibile perché non solo commette un errore dal punto di vista sanitario ma compirebbe una discriminazione.”[4]

Eppure, proprio come l’omosessualità, anche la pedofilia sembra seguire lo stesso identico percorso di normalizzazione, interrotto (ma ancora per poco) dalla strenua battaglia di numerose associazioni di genitori. Infatti, nel passaggio dal DSM IV al DSM IV-TR, manuale ora in uso, si riuscì ad ottenere che anche l’agito pedofilo, e non solo la pedofilia “egodistonica” (quando cioè il pedofilo è consapevole di esserlo), fosse considerato un disturbo della sfera sessuale.

E in effetti in Canada, in un dibattito parlamentare del 2011, la pedofilia è stata ritenuta dal dottor Hubert Van Gijseghem, ex professore di psicologia presso l’Università di Montreal, “un orientamento sessuale” esattamente come l’eterosessualità e l’omosessualità. Un orientamento talmente normale, o naturale – secondo Van Gijseghem – che il solo tentativo di un’ipotetica rieducazione sarebbe totalmente folle, tanto quanto quello di voler cambiare qualsiasi “orientamento sessuale”. È evidente come tale modo di ragionare inneschi un effetto domino dagli esiti a sorpresa, soprattutto per le potentissime holding farmaceutiche.

Considerato, infatti, che in tutto lo scibile comportamentale sessuale non esiste più nessuna “norma” poiché lentamente tutto sarà “norma” (leggi “orientamento sessuale”), per quale reazionaria ragione si dovrebbero discriminare le restanti “parafilie” in catalogo? E ancora di più, perché mai dovrebbe esistere una cura – con o senza dopaggio farmacologico – per le perversioni sessuali con animali, lo stupro seriale intrafamiliare, le sevizie sadiche su anziani, bambini, malati e invalidi gravissimi, e tutte le innumerevoli devianze sessuali reiterate nel tempo, diagnosticate appunto (ma solo per ora) “parafilie” o anomalie del comportamento sessuale? Non sarebbe un tragico errore sanitario oltre che uno scandalosissimo trattamento discriminatorio?

Valentina Fanton

 

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Note

[1]. O’Donohue W., Regev L.G., Hagstrom A (2000). Problems with the DSM-IV diagnosis of paedophilia. Sex Abuse,/12: /95-105.
[2]. Okami, P. & Goldberg, A. (1992). Personality correlates of pedophilia: Are they reliable indicators? Journal of Sex Research, 29, 297-328.
[3]. Feelgood, S. & Hoyer, J. (2008). Child molester or paedophile? Sociolegal versus psychopathological classification of sexual offenders against children. Journal of Sexual Aggression, 14: 1, 33-43.
[4]. G. Chinnici (a cura di), Sulle tracce della pedofilia. Aspetti psicologici, criminologici, etici e giuridici, Palermo 2004, 85-92
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La pillola del giorno dopo è abortiva, lo dicono gli esperti

Pillola giorno dopoIn queste settimane i vescovi della Germania hanno aperto all’uso della pillola del giorno in caso di stupro. In realtà è da tempo che la Chiesa ritiene lecito un intervento per impedire il concepimento in caso di violenza sessuale, dunque non c’è alcuna novità, come ha spiegato il dott. Renzo Puccetti. Tuttavia quella dei vescovi è stata una leggerezza, poiché questa pillola può essere anche abortiva e non soltanto contraccettiva.

In ogni caso, a confermare la pericolosità abortiva della pillola del giorno dopo ci ha pensato in questi giorni una delle maggiori autorità mondiali sul farmaco, il dr. James Trussell, affermando che i medici hanno il dovere di informare le donne che potrebbero provocare un aborto.

Trussell è Direttore dell’Office of Population Research della Princeton University e membro di Planned Parenthood Federation of America (la catena di cliniche abortive più grande del mondo)  e ha aggiunto: «Per fare una scelta consapevole, le donne devono sapere che le pillole contraccettive di emergenza […] prevengono la gravidanza in primo luogo, ritardando o inibendo l’ovulazione e la fecondazione, ma a volte possono inibire l’impianto di un ovulo fecondato nella mucosa uterina», agendo dunque come abortivi.

I vescovi tedeschi hanno rilasciato la loro dichiarazione dopo aver esaminato uno studio del 2012 sulla rivista Contraception, in cui si è sostenuto che il farmaco non è un abortivo. Ma tale indagine è stata messa in discussione perché l’autore è stato riconosciuto come il consulente per il farmaco per le aziende farmaceutiche che lo producono. Lo stesso documento riconosce inoltre che le preoccupazioni circa l’effetto abortivo è “uno dei principali ostacoli” ad una più ampia distribuzione del farmaco.

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«L’aborto non è mai necessario per la salute psichica della donna»

Sindrome-post-abortoIn molte legislazioni sulla liberalizzazione dell’aborto si legge che la donna sarebbe autorizzata a sopprimere l’individuo che porta nel grembo se la continuazione della gravidanza avrebbe ripercussioni sulla sua salute psichica. E’ ovvio che entrando nel campo della psicologia tutto si può far passare come “pericoloso”, pur di giustificare l’aborto.

In Irlanda, dove l’aborto è illegale, alcuni politici vorrebbero introdurre l’aborto “limitato” ai casi in cui la madre sta minacciando il suicidio. L’argomento della “salute psichica” è stato escogitato appositamente, dato che è ormai impossibile negare i dati che dimostrano come l’Irlanda sia uno dei Paesi con il più basso tasso di mortalità materna (dati 2005).

Il Committee on Health and Children on abortion and suicide ha domandato ad alcuni medici e scienziati di pronunciarsi su questo. La prof.ssa Patricia Casey, docente di Psichiatria presso l’University College Dublin, ha spiegato che l’Irlanda non ha bisogno di una legge del genere perché «abbiamo un track record molto buono sulla mortalità materna. Sappiamo dalle statistiche sul suicidio in gravidanza in Irlanda che non vi sono casi di suicidi in gravidanza in un periodo di 31 anni (1980-2011) […]». Questo significa che «le donne ottengono le cure necessarie, quando sono depresse e suicide».

Veronica O’Keane, del dipartimento di Psicologia del Trinity Health Sciences Centre, ha spiegato che «il suicidio è una causa importante di morte durante la gravidanza anche se l’aborto è disponibile. Nella inchiesta confidenziale sulle morti materne nel Regno Unito si è infatti constatato che il suicidio della madre era più comune di quanto si pensasse e, nel complesso, è stata una delle principali cause di mortalità materna».

Il Dr. Sam Coulter Smith del Rotunda Maternity Hospital ha affermato chiaramente che non aveva mai visto casi in cui l’aborto fosse “l’unica soluzione” per una donna incinta con intenzioni suicide. I responsabili del St. Patrick’s University Hospital, il principale ospedale psichiatrico irlandese, hanno invece detto che «non ci sono prove sia in letteratura che nell’esperienza lavorativa al St. Patrick’s University Hospital che l’interruzione di gravidanza sia un trattamento efficace per un disturbo o una difficoltà di salute mentale».

Il Dr. John Sheehan, Consultant Perinatal Psychiatrist al Rotunda Maternity Hospital ha affermato a sua volta che in 40 anni di esperienza clinica non aveva mai visto una situazione in cui «l’interruzione della gravidanza fosse stato il trattamento per una donna suicida». «L’idea di effettuare una interruzione di gravidanza di emergenza è completamente obsoleta nei confronti di una persona che ha intenzioni suicide», ha aggiunto. Non sarebbe saggio in una tale situazione «prendere una tale decisione, permanente e irrevocabile».

Dr. Seán Ó Domhnaill, un consulente di psichiatria, ha descritto il suo primo caso di valutazione con una ragazza con un disturbo depressivo, la quale aveva preso «un sovradosaggio significativo di pillole nel tentativo di porre fine alla sua vita». La ragazza, ha detto, aveva sviluppato questo livello di depressione in seguito ad una interruzione di gravidanza indotta nel Regno Unito. La Sindrome Post Aborto è infatti una evidenza in campo clinico, è pacificamente dimostrato che l’aborto può portare a disturbi da stress post-traumatico, come dimostra questo elenco di studi scientifici.

Sull’Irish Time ha intanto preso posizione anche John Bruton, ex primo ministro (1994-1997), scrivendo: «Una legge che toglie il diritto alla vita del bambino non nato, prima che tale diritto possa essere esercitato in maniera indipendente non potrebbe essere interpretato come “difendere e rivendicare” lo stesso diritto, come invece la nostra Costituzione richiede».

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Gli omosessuali di Homovox: «nozze gay sono una legge omofoba»

homovoxLa campagna per i diritti civili viene portata avanti, lo dimostrano gli imbarazzanti discorsi sul tema di Barack Obama, paragonando gli omosessuali ai neri e alle discriminazioni da loro subite nella storia, oppure a quelle patite dagli ebrei. Oltre a non avere termini di paragone per quanto riguarda i numeri e la gravità, si vogliono accostare erroneamente condizioni genetiche a condizioni non genetiche (a meno che nel 2013 si voglia ancora parlare di “gene gay”!).

Ma la cosa più evidente e più scomoda contro tale tesi è l’esistenza di migliaia di omosessuali che combattono contro la liberalizzazione del matrimonio e adozione per persone dello stesso sesso. Al contrario, nessun nero ha mai sostenuto il divieto del matrimonio interrazziale, così come nessun ebreo si è mai schierato dalla parte delle ideologie antisemite. Questo dimostra che rifiutare i matrimoni e le adozioni gay non è per nulla una forma di discriminazione, altrimenti tutti gli omosessuali  dovrebbero sentirsi discriminati. Su questo sito web abbiamo lasciato spazio a tantissimi di loro, proprio per sottolineare tale evidenza:  Julie BindelAlfonso SignoriniJean-Pierre Delaume-MyardRichard WaghorneAndrew PierceDavid BlankenhornRupert EverettDoug Mainwaring e Nathalie de Williencourt. 

Proprio quest’ultima, Nathalie, è portavoce del neonato collettivo Homovox, che porta la voce degli omosessuali francesi che si oppongono all’agenda LGBT. Ha chiaramente spiegato: «si ascoltano sempre le lobby LGBT, parlano sempre loro nei media, ma molti omosessuali non fanno parte di questo movimento. La maggior parte degli omosessuali sono amareggiati dal fatto che questa lobby parli a loro nome, perché non abbiamo votato per loro». 

A prendere posizione anche Jean Marc, sindaco di una cittadina francese, che sul sito di Homovox, ha spiegato in un video: «Il movimento LGBT parla nella media, ma nessuno ha votato per loro. Loro non parlano per me. Non possono parlare al mio posto. Come società non dobbiamo incoraggiare le adozioni gay. Non è biologicamente naturale. Noi gay non siamo fertili, nel senso di poter fare un bambino. Abbiamo un sacco di altre forme di fertilità. Forme artistiche, per esempio. Bisogna favorire ciò che è meglio per il bambinoNessuno può negare, credo, che la cosa migliore per un bambino sia avere una madre e un padre che si amano l’un l’altro come meglio possono».

Anche Jean Pier, documentarista per la televisione, si è mostrato in un video, dicendo: «Io vivo in Provenza e lavoro a Parigi. So che pochissimi omosessuali desiderano sposarsi al di là dei PACS (unioni civili), che già hanno. In realtà il numero di persone unite in PACS in Francia, parlo di coppie dello stesso sesso, è minimo. Pertanto per chi è questa legge? Se è solo per le 5.000 persone che vivono nel quartiere di Le Marrais, allora è solo un atto militante». E rispetto alle adozioni: «io non faccio parte di nessun partito politico o associazione. Per me, la questione fondamentale è il bambino. Tra le risposte che ho sentito, mi hanno parlato di libertà e di uguaglianza. Poi mi sono posto questa domanda: che fare della libertà e dell’uguaglianza del bambino? Il bambino non avrà la sua parità nei confronti dei suoi amici a scuola. I suoi compagni possono aver famiglie divorziate e mescolate, ma hanno, almeno, un padre e una madre.  Venticinque anni fa come tutti gli altri, ho voluto avere un figlio, ma poi ho capito molto presto che sarebbe stato sbagliato». Il “matrimonio per tutti”, ovvero la legge francese fra poco approvata, «è una legge per i gay, ma non per gli omosessuali. Non voglio sostenerla».

Interessante quanto dice anche Philippe Ariño, 32 anni, saggista e insegnante di spagnolo: il matrimonio omosessuale «è una legge omofobica perché incoraggia le coppie omosessuali a pensare di poter copiare e adattarsi al modo di fare delle coppie eterosessuali. Li induce a credere che devono seguire l’esempio di uomo, donna, e bambino, senza rispettare la loro differenza sessuale. Si nega il rispetto alle coppie omosessuali, in realtà, per quanto riguarda la loro specificità e chi sono veramente. L’uguaglianza non è di per sé positiva, questa è uniformità e conformismo». Ed infine anche Xavier Bongibault: «In nessun modo il matrimonio è un’istituzione per l’amore. Se fosse solo per l’amore, poi in base a che cosa ci rifiuteremmo di riconoscere il matrimonio tra tre persone profondamente innamorate le une delle altre? Che dire di un padre che ama sua figlia? Distruggiamo così il cerchio familiare, e, quindi, distruggere il primo fattore per la socializzazione e la coesione sociale del bambino».

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E’ la Chiesa o la società a doversi aggiornare?

LaicitàLo scorso mercoledì 27 mi trovavo a Roma, in un’affollatissima piazza san Pietro, come accompagnatore di una gita scolastica. Al termine dell’ultima udienza del nostro caro Papa Benedetto XVI, una giornalista francese ha intervistato un alunno, un bravo ragazzo anche se con  un’apparenza un po’ trasgressiva, forse cercando una conferma alla propria tesi. La domanda rivolta era: “Secondo te, col nuovo Papa la Chiesa si dovrà aggiornare? Quanto a gay, aborto, morale?”. La risposta del ragazzo è stato uno scontato “sì”, senza addentrarsi nei vari temi.

Poi, a microfoni spenti, cerco di far riflettere l’alunno, non so con quanto effettivo successo. Questi a grandi linee gli argomenti. La nostra società non sta andando bene sotto diversi aspetti. La famiglia è sempre più disgregata, la morale è sempre più relativista e demagogica, l’altruismo autentico è sempre più raro, e sempre più persone non trovano un senso nella vita, con conseguente ansia, depressione, suicidi…

Forse giornalisti, politici e intellettuali vari non hanno bene chiara la situazione, ma questa è evidente con tutta la sua problematicità a insegnanti, operatori sociali, psicologi, educatori di vario tipo. Fa davvero riflettere il recente film francese Polisse (2011) che ritrae efficacemente, con crudo e mai gratuito realismo, le vicende dell’unità minori della polizia della laica e progressista Parigi.

Nello specifico, è spesso evidente la distanza tra l’insegnamento del Vangelo e della Chiesa e la prassi corrente. Ma sarebbe aprioristico, dogmatico e insensato liquidare la questione con un “la Chiesa si deve aggiornare”. Bisognerebbe invece avere la pazienza e la prudenza di fermarsi a riflettere e vedere come stanno le cose. E, come è doveroso, valutare e ponderare sulla base delle informazioni che ci sono fornite dai molti studi e ricerche scientifiche sulle varie questioni.

Questo vale anche per i tre temi accennati dalla giornalista: l’omosessualità (di particolare attualità per quanto riguarda le adozioni omosessuali, vedi speciale), l’aborto e i suoi effetti sulla salute delle madri (vedi speciale), e la morale sessuale e famigliare, che nella vulgata liberista contemporanea arriva a non rendersi conto dell’importanza, per un bambino, del poter crescere in un nucleo famigliare intatto e armonico (vedi voce su Cathopedia).

In definitiva bisognerebbe arrivare a disfarsi definitivamente di quell’infelice metafora, tanto cara ai laicisti e al teologo “cattolico” Hans Kung, che vuole la Chiesa alla stregua di una nave che affonda. Al contrario, è la società contemporanea, che rischia di essere sempre più orfana di Dio, ad essere una nave che sta affondando. E i valori evangelici e cristiani, in questo scenario, possono costituire una bussola e una scialuppa di salvezza, non certo delle zavorre da gettare precipitosamente a mare.

Roberto Reggi

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Metodo Billings per regolare la fertilità: etico ed efficace!

Coniugi BillingsE’ recentemente morta Evelyn Billings, moglie di John (scomparso nel 2007), i fondatori del noto Metodo di regolazione naturale della fertilità, indicato e sostenuto anche dalla Chiesa cattolica come alternativa etica alla contraccezione.

Paola Pellicanò, presidente del «Woomb Italia», l’Associazione nazionale per il metodo Billings e medico del Centro di regolazione naturale della fertilità dell’Università Cattolica di Roma, è stata intervistata dal quotidiano Avvenire, al quale ha risposto: «Il Metodo Billings, con il suo obiettivo di rendere consapevole la donna della propria fertilità […] afferma la dignità della donna a partire non dal rifiuto ma dal recupero delle caratteristiche proprie della femminilità, del valore della corporeità e della maternità».

C’è sempre stato uno sforzo mediatico di ridicolarizzazione e denigrazione di questi metodi, giudicati antiscientifici e inaffidabili, tuttavia «John ed Evelyn si sono sempre detti colpiti dalla bontà delle persone alla quale insegnavano il loro Metodo e dal grande bisogno espresso dalle coppie di essere aiutate a capire la propria fertilità».

Il Metodo è stato validato da organizzazioni scientifiche e mediche, che ne garantiscono un tasso di efficacia del 97,8%, ma lo scetticismo è ancora forte oggi. Spiega la dott.ssa Pellicanò: «all’inizio c’è stata una grande contrapposizione da parte delle lobby della contraccezione. Oggi il tema è sotto silenzio, nonostante la grande diffusione e la disponibilità di persone competenti. Credo che sia perché non sempre questo lavoro è valorizzato. Da un lato l’ambiente medico non ha sufficiente fiducia sulla capacità delle donne di riconoscere la propria fertilità, se opportunamente istruite. Dall’altro gli ambienti educativi non comprendono l’importanza di questi percorsi».

In ogni caso in ogni Regione italiana esistono scuole di formazione per gli insegnanti, coordinati dal Centro di regolazione naturale della fertilità dell’Università Cattolica di Roma. I Metodi naturali servono, oltre che per regolare la fertilità, anche per agevolare una gravidanza. «I Metodi naturali», spiega la ricercatrice, «in questo senso forniscono un aiuto grandissimo. La conoscenza del periodo di massima fertilità rende libera la coppia nella ricerca della gravidanza. Rispetto alla fecondazione artificiale, che trascura la diagnosi e la terapia dell’infertilità, i Metodi naturali hanno anche un valore diagnostico, perché aiutano a capire se il ciclo ovulatorio funziona bene. In terzo luogo, c’è da sottolineare il valore preventivo facilitato dalla possibilità di diagnosi precoci e dalla promozione di stili di vita corretti. Infine, c’è una umanizzazione della sessualità perché il figlio è vissuto come frutto di amore reciproco, e non come prodotto». Cliccare qui per ogni informazione aggiuntiva.

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Dawkins fa il bulletto con i cristiani, ma non con l’Islam

Richard DawkinsL’ex zoologo Richard Dawkins, assieme ai vari integralisti Daniel Dennett, Christopher Hitchens, Sam Harris e agli italiani Odifreddi, Augias e Flores D’Arcais, ha avuto il merito di rivelare pubblicamente quanto possa essere intollerante e discriminatorio l’ateismo militante.

Le loro posizioni non solo hanno riportato Dio al centro del dibattito in Occidente, ma hanno anche stimolato tantissimi intellettuali non credenti a confrontarsi ed avvicinarsi a quelli cristiani, riconoscendo in essi degli interlocutori seri con i quali allearsi per respingere le aggressive banalità del laicismo antireligioso.

Ormai questi soggetti hanno fatto il loro tempo (non a caso superano tutti i 60 anni di età), tanto che perfino nella secolarizzata Gran Bretagna l’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha sconfitto Richard Dawkins in un dibattito presso l’Università di Cambridge sul ruolo della religione nel 21 ° secolo. Gli 800 uditori, gran parte studenti, hanno votato Williams come più convincente di Dawkins. L’ex arcivescovo anglicano ha sostenuto che «la religione è sempre stata una questione di costruzione delle comunità, una questione di costruzione di relazioni di compassione e di inclusione. L’idea che l’impegno religioso debba essere puramente una questione privata va contro il cuore della storia religiosa […] Il concetto stesso di diritti umani ha profonde radici religiose. La convenzione dei diritti umani non sarebbe quello che è se non fosse per la storia del dibattito filosofico-religioso».

Dawkins ha anche mostrato la codardia che caratterizza i fondamentalisti di cui è rappresentante: finché c’è da sbeffeggiare i credenti cristiani ed ebrei non hanno problemi a fare i bulletti, ma si guardano bene dal criticare l’Islam. Lo ha notato una rivista ebraica riportando che durante una intervista ad Al-Jazeera, Richard Dawkins ha sostenuto che il dio dell ‘”Antico Testamento” è “orribile” e “un mostro”, e che il Dio della Torah è il personaggio più sgradevole “nella fiction”. Alla domanda se pensava lo stesso del Dio del Corano, Dawkins ha invece schivato la domanda: «Beh, um, non conosco molto bene il Dio del Corano».

Come viene scritto sulla rivista ebraica: «Come può essere che il più impavido ateo del mondo, celebre per le sue opinioni contro i cristiani ed ebrei, conosce così poco il Dio del Corano? Non ha avuto il tempo di informarsi? Oppure il professor Dawkins semplicemente dimostra che il tratto più cruciale della sua specie è l’istinto di sopravvivenza?» 

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Gli schemi mondani dei media che deformano la Chiesa

Quotidiani 
 
di Vittorio Messori*
*da Il Corriere della Sera, 24/02/13
 
 

Lo confesso: avevo già scritto un articolo e stavo per inviarlo al giornale, quando è uscito il severo comunicato della Segreteria di Stato che denuncia come i Media sembrino avere preso il posto delle Potenze di un tempo nel cercare di stravolgere o, almeno, di condizionare il Conclave. E che ricorda come in quei Media non ci sia alcuna consapevolezza del carattere spirituale dell’evento, tutto essendo filtrato da una gabbia di interpretazioni del tutto profane.

Fanno sorridere opinionisti e sedicenti esperti di tutto il mondo che in queste settimane, con l’aria di chi la sa lunga, disegnano sui loro media cordate, denunciano accordi, indicano strategie più o meno occulte tra gli elettori. L’approccio di simili articoli e comparsate televisive è saccente e ammiccante. Chi scrive o parla sembra strizzare l’occhio, per far capire che occorre farsi furbi e che sarà lui, lui a conoscenza dei retroscena occulti, a rivelare come stanno davvero le cose: tutta questione di potere e di soldi, altro che di religione! Sono, molte di quelle presunte analisi, vaniloqui risibili: secondo un vizio inestirpabile si applicano categorie improprie per interpretare una realtà del tutto diversa.

È la deformazione ossessiva, si direbbe maniacale, di chi pretende di interpretare anche la realtà religiosa usando le solite categorie politiche, le noiose e logore (e, in questo caso, del tutto fuorvianti) distinzioni fa destra-sinistra, conservatori-progressisti, passatisti-modernisti, dialoganti-integristi. Il risultato è l’incomprensione totale della vita ecclesiale, è l’idiozia deformante offerta come disamina acuta e brillante. «Ogni ente», ammonisce Tommaso d’Aquino riecheggiando Aristotele «va compreso e interpretato secondo enti della stessa natura»Che cosa può comprendere delle intenzioni profonde di uomini di fede, al vertice della Chiesa di Cristo, consapevoli che di fronte a Lui dovranno apparire per essere giudicati; che cosa può comprendere, chi vorrebbe interpretare questi anziani sacerdoti- spesso dalle biografie eroiche, da perseguitati a causa della fede- come fossero personaggi di una qualunque Montecitorio del mondo o come membri del consiglio di amministrazione di una qualunque multinazionale?

Se usiamo termini forti per questi artefici  della disinformazione che allignano -oggi come sempre- in tutto il media-system mondiale, è per adeguarci allo stile tagliente usato, una volta tanto, anche dal pur mite e misurato Benedetto XVI. Il quale -nell’ultimo saluto al clero della sua diocesi, Roma– ci ha dato un testo straordinario;  forse anche perché non aveva avuto il tempo e le forze per scriverlo (come ha precisato a quei preti) e, dunque, ha parlato, “a braccio“. Il tema era comunque ben definito e chiaro: il Concilio Vaticano II, dove il giovane  teologo, il professorino Joseph Ratzinger, sessione dopo sessione, si distinse come perito al punto che, anni dopo, Paolo VI lo strappò all’università e lo mise a capo della  più importante comunità cattolica tedesca: Monaco di Baviera. Parlando con evidente nostalgia di quella splendida esperienza conciliare, Benedetto XVI ha rievocato il fervore, le speranze, l’impegno, la lealtà, il coraggio e insieme la doverosa prudenza della maggiore assise convocata dalla Chiesa nella sua storia. Tutti, in effetti, erano consapevoli di essere chiamati a rinnovare il volto della Chiesa di Cristo per un rilancio della evangelizzazione: non nova sed nove, non cose nuove ma offerte in modi nuovi, sembrava essere il motto di tutti. Un grande lavoro, ma anche una festa gioiosa, alla luce della fede; e di quella soltanto.

Se «invece della attesa  primavera, venne un imprevisto e rigido inverno» (parole di un accasciato Paolo VI tra le rovine degli anni Settanta) gran parte della responsabilità grava sul fatto che, al Concilio della Chiesa, si affiancò e poi si sovrappose il Concilio dei Media. Così la denuncia di Benedetto XVI. Che ha ricordato come alla gente, compreso quella cattolica, non siano arrivati i documenti autentici, ma la loro interpretazione tendenziosa fatta da giornalisti, opinionisti, scrittori, nonché da faziosi specialisti ed esperti clericali. Ingiusto, in effetti, fare il solito vittimismo,come se la deformazione del Concilio sia stata opera di qualche complotto esterno: in realtà (Ratzinger stesso lo ha spesso ricordato) buona parte del guasto, anzi il più pernicioso, fu fatto da uomini di Chiesa. Al mondo intero e allo stesso Popolo di Dio non giunse lo slancio religioso dei Padri, il fervore dell’apostolato, il loro guardare al Vangelo di sempre e di oggi ; bensì, giunse la cupa, angusta, settaria lettura “politica“ . Quelle complesse, sapienti cattedrali teologiche in miniatura che erano, e sono, i documenti autentici del Vaticano II furono costrette nella camicia di forza di un presunto scontro senza esclusione di colpi tra progressisti e conservatori, tra l’oscura reazione in agguato e il luminoso sol dell’avvenir invocato dai gauchistes allora ancora  in tonaca ma, presto, in eskimo. In questo suo paterno, caldo discorso al clero romano, Papa Ratzinger  non ha esitato ad usare parole di dura condanna («fu una calamità, ha creato tante miserie») per l’intrusione dei Media, guidati da  chi tutto pretendeva dividere tra “destra“ e “sinistra“, tutto voleva ridurre a una questione di lobby che si affrontavano tra loro per difendere o per conquistare il potere [….].

[….] Naturalmente le  stesse analisi tanto ingannevoli quanto presuntuose si ripetono ora, prima davanti alla rinuncia al pontificato e poi nell’attesa del conclave. E ne leggeremo e sentiremo ancora molte altre nei  commenti dopo l’elezione del nuovo papa. In realtà, chi dentro la Chiesa vive – e non per stanca appartenenza sociologica ma per il dono vivo,  e  gratuito, della fede – constata la miseria e l’impotenza degli schemi che vorrebbero ridurre a prospettive solo trivialmente umane la complessa e ricca esperienza religiosa. Il credente sa che i cosiddetti schieramenti dei conclavisti, che pur esistono, non si spiegano – se non forse, in alcuni, marginalmente- con le categorie valide per la dialettica politica. Certo, anche quello politico è un aspetto importante dell’umano e la Chiesa e i suoi uomini sbaglierebbero se non lo mettessero in conto. L’errore è tentare di misurare con quel metro una realtà “altra“ come la Chiesa.

Recita il numero 351 del Codice canonico: «Ad essere promossi cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato (che siano, cioè, già sacerdoti, ndr), distinti in modo eminente per dottrina, costumi, pietà e prudenza». Il fatto è che, grazie a Dio, almeno da due secoli, sembra proprio che avvenga proprio così. Si tratta di uomini con, ovviamente,  limiti e carenze ma che, in ogni caso, hanno donato a Dio tutta la loro vita; e che,  ogni volta che lasciano cadere una scheda nell’urna della Sistina,  ad alta voce invocano solennemente la Trinità  perché testimoni come il loro voto sia dato solo secondo coscienza, dopo lunga preghiera e unicamente per il bene della Chiesa. Sono, in maggioranza, uomini di età avanzata, uomini consapevoli che non è lontano il redde rationem nall’aldilà, uomini che  sanno bene che (parola di Vangelo) “molto sarà chiesto a chi molto è stato dato”. Soprattutto se quel “molto“  è stato dato per essere strumenti in una Chiesa che non loro ma del Cristo, il quale chiederà conto del suo  secondo giustizia. Che può comprendere di questa prospettiva colui che non ne partecipa e magari si fa vanto di questa estraneità, spacciandola per garanzia di oggettività?

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La clausura in monastero: una scelta di libertà

Suore di clausuraClausura e libertà, sembra un ossimoro. In realtà è soltanto una errata concezione della libertà, confusa banalmente con l’avere possibilità di scelta. Ma la vera libertà è il non dover più scegliere, perché si è già trovato quel di cui si ha davvero bisogno.

Per questa confusione, oggi, per molti è davvero difficile capire una scelta come quella della clausura, del monastero, come quella abbracciata da Benedetto XVI, papa emerito. Chi non capisce solitamente disprezza: sono persone che non servono a nulla, non aiutano nessuno, si negano al mondo e alle gioie della vita, scelgono di vivere in una prigione perché è troppo difficile vivere al di fuori, e così via con i luoghi comuni.

Interessante, seppur deformato da molto femminismo, a questo proposito l’articolo di Ritanna Armeni su Il Foglio sulle monache del monastero di Viboldone in occasione della imminente uscita del libro Mentre vi guardo (Einaudi Stile libero 2013) della badessa madre Ignazia Angelini.

Madre Ignazia rompe uno stereotipo, quello del convento come luogo separato, quasi romantico, nel quale la solitudine assurge a vetta dello spirito e la non contaminazione diventa obiettivo da perseguire nella quotidianità. Non è così. Non ci sono angeli misteriosi, ci dice madre Ignazia, donne chiuse in se stesse e nei propri pensieri. Non si fanno scelte eroiche ed eccezionali. Il libro racconta, nella sua concreta umanità, la vita di relazione, la cura degli oggetti, l’accoglienza. Racconta del manager che chiede conforto, della ragazza che non sa trovare se stessa, dei visitatori che cercano la quiete.

«Il portone del monastero – spiega la badessa – non serve a ripararci o a escludervi: ogni volta che qualcuno bussa viene aperto. Le mura del monastero non servono a dividere lo spazio fra interno ed esterno: a ben vedere, infatti, sono trasparenti. La comunità monastica non nasce per garantire l’isolamento, ma per cercare, ogni giorno, relazioni affidabili».

Il monastero è una vocazione, significa togliere l’effimero per far posto all’Altro, l’unico indispensabile, l’unico che dona davvero senso alla vita. Questa è la sola cosa che rende davvero liberi come spiega la badessa del Monastero di clausura delle Monache benedettine di Fermo (Marche), Maria Cecilia Borrelli: «Nel Monastero c’è quanto è necessario, non di più! “Il di più” ci distrae da Dio. Il godimento e l’apprezzamento delle cose che ci vengono date aumentano nella misura in cui abbiamo consapevolezza che ogni cosa ci viene affidata da Dio e non ne siamo padroni. Che libertà! Ecco perché la dimensione della gioia è una nostra caratteristica: quando non si è schiavi delle cose, si ha la gioia della libertà».

Madre Ignazia tocca anche il tema del sacerdozio femminile spiegando che le donne non devono cercare l’eguaglianza con l’uomo, non devono aspirare a diventare preti e tanto meno pontefici, non devono accedere al mistero in chiave di potere e assumere questo modello che “tra l’altro è già marcio”, anche perché “se una donna prende il potere nella maniera maschile fa ancora più danni”. Perfettamente in linea con il “testamento” di Benedetto XVI: «ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è Sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto».

 

Qui sotto la breve testimonianza di Suor Maria Milena Russo del monastero S. Chiara di Trevi (Pg)

La redazione

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