La teologia della liberazione e la risposta della Chiesa

Teologia della liberazione 

di Marco Fasol*
*saggista e professore di storia e filosofia

 

Negli anni Settanta si affermava in Sudamerica la teologia della liberazione, elaborata soprattutto da alcuni teologi come Gustavo Gutierrez, domenicano e Leonardo Boff, francescano.

Questo movimento di liberazione nasceva nel contesto drammatico della povertà di massa dell’America Latina dove milioni di emarginati conducevano una vita di sofferenze e sfruttamento ad opera di oppressori senza scrupoli. Alcuni teologi prendevano giustamente ispirazione dalla storia biblica che nell’Esodo descriveva l’uscita del popolo ebreo dall’Egitto come un cammino di liberazione dalla schiavitù, guidato da Mosè, al quale era stato rivelato il nome del Dio della misericordia, nel roveto ardente. Questa base biblica veniva tuttavia adulterata da alcuni teologi americani attraverso l’analisi marxista che notoriamente legittima la lotta di classe, armata e quindi inevitabilmente violenta.

L’episcopato sudamericano, riunitosi a Puebla, nel 1979 prese le distanze da questo movimento teologico evidentemente eterodosso e due celebri documenti successivi, firmati dal cardinal Ratzinger, nel 1984 e 1986 ne sancivano definitivamente il giudizio di condanna, in quanto i metodi marxisti, animati dall’odio e dalla ribellione violenta erano ovviamente incompatibili con il Vangelo. Di fronte al problema sociale della povertà di massa, l’episcopato sudamericano ha dunque scelto l’opzione preferenziale per i poveri, rifiutando la guerriglia e l’opposizione violenta.

Può essere interessante per noi, alla luce dell’inattesa nomina di Papa Francesco, prendere coscienza dell’atteggiamento adottato dal cardinal Bergoglio, nella sua precedente veste di arcivescovo di Buenos Aires, una delle grandi metropoli sudamericane, circondata da quella “corona di spine” che è costituita dalle baraccopoli dove vivono milioni di poveri in condizioni spesso disumane. I bambini sono devastati dal paco, una droga per poveri, derivata dai residui di fabbricazione della cocaina; l’alcolismo è diffuso e comporta violenza nelle famiglie. Come se non bastasse, la crisi economica argentina del 2001 ha esasperato queste condizioni di miseria diffusa. In questo contesto di povertà materiale e spirituale, l’arcivescovo Bergoglio ha istituito tante parrocchie nei quartieri operai, le villas miseria, inviando numerosi preti giovani a benedire nuove mense popolari, a celebrare battesimi senza discriminazioni sulle famiglie di provenienza. Il cardinale stesso, ogni tanto, usciva dalla curia di Plaza de Mayo, prendeva la metro per poi salire su qualche autobus e fermarsi in questi quartieri, a mangiare con i poveri il locro, la minestra di carne e mais che cucinano all’aperto in grandi pentoloni.

La più recente Conferenza dell’episcopato latinoamericano svoltasi nel maggio 2007 ad Aparecida, in Brasile, ha fatto propria questa prassi pastorale del cardinale Bergoglio, che ha presieduto la redazione del documento finale. Ha richiamato il clero ad annunciare il vangelo andando incontro alla gente, senza aspettare che la gente venga in chiesa. Bergoglio ha detto con chiarezza: “Se la Chiesa segue il suo Signore, esce da se stessa, con coraggio e misericordia. Non rimane chiusa nella propria autoreferenzialità. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele, gli fa alzare lo sguardo da se stesso. Questa è la testimonianza, la missione.”  E quando affronta il tema dell’amministrazione del battesimo, Bergoglio difende i diritti dei bambini: “Il bambino non ha nessuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori. E poi spesso il battesimo dei bambini diventa anche per i genitori un nuovo inizio. Di solito si fa una piccola catechesi prima del battesimo… in seguito i sacerdoti e i laici vanno a visitare queste famiglie per continuare con loro la pastorale postbattesimale. E spesso capita che i genitori, che non erano sposati in chiesa, magari chiedono di venire davanti all’altare, per celebrare il sacramento del matrimonio.”

Quando un giornalista gli ha chiesto di raccontare qualche episodio di questa evangelica “teologia della liberazione”, Bergoglio ha riferito una sua esperienza significativa: “Proprio qualche giorno fa ho battezzato sette figli di una madre sola, una povera vedova che fa la donna di servizio… mi aveva detto: ‘padre, sono in peccato mortale perché non ho fatto battezzare i miei figli’.  Era successo questo perché non aveva i soldi per far venire i padrini da lontano o per pagare la festa, perché doveva sempre lavorare… Alla fine ho detto: facciamo tutto con due padrini soli, in rappresentanza degli altri. Sono venuti tutti qui e dopo una piccola catechesi li ho battezzati nella cappella dell’arcivescovado… abbiamo fatto poi un piccolo rinfresco, Coca Cola e panini. La signora mi ha detto: ‘Padre, non posso crederlo, lei mi fa sentire importante. … Le ho risposto: ma signora, che c’entro io? E’ Gesù che la rende importante.”

Secondo il cardinal Bergoglio, il documento finale di Aparecida si fonda su tre pilastri. Il primo è la prassi pastorale dal basso verso l’alto, nel senso che sono i gruppi e le associazioni dei fedeli che forniscono i suggerimenti e le iniziative di evangelizzazione che verranno poi valutati e organizzati dalla gerarchia. Anche le fasi della redazione dei documenti sono rimaste aperte al contributo di tutti. Il secondo punto chiave è che per la prima volta una Conferenza dell’episcopato latinoamericano si riunisce in un Santuario mariano. Alle celebrazioni eucaristiche partecipavano migliaia di fedeli, così i vescovi prendevano contatto con il popolo di Dio, sentivano e vedevano l’assemblea viva della gente cristiana. Comprendevano il valore della pietà popolare con le sue devozioni, i suoi canti, le sue preghiere.  Il terzo pilastro è che la testimonianza cristiana deve uscire in missione. “Se si rimane nel Signore, si esce da se stessi. Non si rimane fedeli come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita. Il coraggio apostolico è seminare la parola di Dio. E’ lo Spirito Santo che fa tutto il resto.

Non dobbiamo comunque pensare che questa nuova teologia della liberazione rimanga silenziosa di fronte ai politici ed agli speculatori finanziari. Bergoglio ha diagnosticato ancora ai tempi della grave crisi economico-finanziaria argentina del 2001, la drastica diminuzione della classe media, precipitata sotto la soglia di povertà relativa. Ha denunciato: “In questo momento c’è un disastro nel campo dell’educazione. Nella città e nelle zone abitative attorno a Buenos Aires ci sono due milioni di giovani che non studiano né lavorano… La crisi argentina deriva dalla speculazione globale, animata dall’idolatria del denaro, che è il nuovo vitello d’oro che ci allontana dalla Legge di Dio, come era accaduto ai tempi di Mosè per il popolo ebraico idolatra”.  Conclude Bergoglio: “E’ curioso vedere come l’idolatria cammini sempre insieme all’oro. E dove c’è idolatria, si cancella Dio e la dignità dell’uomo”.

Le citazioni del card. Bergoglio sono ricavate dal libro di Gianni Valente: Francesco, un Papa dalla fine del mondo (Ed. Emi, Bologna, 2013)

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Uomo e donna: ognuno ha il suo ruolo, anche nella Chiesa

Bergoglio donneLa Salvezza dell’Umanità passa attraverso il sì di una Donna; scelta, anzi prescelta, dal Signore per portare a termine il Suo piano d’amore. A Lei, a Maria, affida Suo figlio. In questa scelta, e nel ruolo fondamentale della Madonna nella Storia, è riconoscibile l’idea della donna nel cristianesimo, quello storico ed ancora attuale. Purtroppo oggi male interpretato dalla volontà di consacrare l’uguaglianza dei sessi.

Molte voci, di opinionisti, sociologi, politici, dichiarano un apprezzamento limitato del ruolo femminile all’interno della Chiesa e della sfera religiosa in generale, portando poi avanti la questione sull’impossibilità della donna di accedere al sacerdozio e dunque al vescovato e al papato. Per l’opinione pubblica, sostanzialmente laica, la strada diversa percorribile dalla donna raffigurerebbe un segno di inferiorità della condizione femminile. Valutazione antipodica alle manifestazioni espresse nel Vangelo. Basti pensare al passo in cui Gesù protegge la donna adultera contro i suoi accusatori, condannando la legge giudaica che pretende di punire il peccato della donna più di quello dell’uomo. Ancora, Gesù si circonda della collaborazione delle donne come dei discepoli, promuovendola rispetto alla condizione cui era relegata. Promuovendola nella sua dignità.

Ma oggi vi è molta confusione tra emancipazione femminile e liberazione della donna dal suo destino biologico di maternità. La Chiesa riconosce le Sante, le fondatrici di congregazioni di vita attiva, le teologhe e ne esalta i carismi, le peculiarità. Ma una donna per essere riconosciuta come preziosa non deve necessariamente gestire il potere. Anzi, forse questo è l’unico antidoto alla Salvezza. Guardare Maria ed imitarla, dunque non esporre la donna ma preservarla. “La via di Cristo non è né quella del dominio, né quella del potere come viene inteso dal mondo” – ha dichiarato Papa Benedetto, tempo addietro, calcando la fecondità anche intellettiva del ruolo della donna nella Chiesa; insistendo sulla necessità per i cardinali di farsi portatori anche delle istanze femminili, delle esigenze rosa in Conclave. Che non diretta conseguenza di una trasformazione dei loro ruoli, delle loro funzioni, delle loro “missioni”.

«Maschio e femmina Dio li creò» dunque diversi. Unici nelle loro caratteristiche; insostituibili. La donna è vita. Senza di essa non si genererebbe. Questo la racconta lunga. Afferma lo straordinario dono di cui è portatrice, unica e sola. Gli uomini mai potranno sostituirsi alle donne in questa funzione. Allo stesso tempo le donne non potranno sostituirsi agli uomini in altri incarichi. E l’interscambiabilità dei ruoli che altera la meravigliosa bilancia della complementarietà rendendoci tutti autosufficienti e autoreferenziali. Almeno nella scala della religione, proviamo a mantenere salda la differenza tra i sessi intesa come valore. Non è l’incarico o il ruolo che ci fa sentire importanti agli occhi di Cristo.

Livia Carandente

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I religiosi erediteranno la terra?

Secondo il sociologo canadese Eric Kaufmann, i credenti erediteranno la terra. Ovvero, in base alle più recenti statistiche e dati demografici, i tassi di fertilità delle famiglie religiose sono più alti di quelle non religiose e l’occidentalizzazione dei costumi frenerà l’espansione dell’Islam.

 
 

Dal punto di vista del panorama sociale-religioso italiano ed europeo, uno sguardo veloce e distratto potrebbe portare a una duplice predizione circa la nostra società.

Sarebbe destinata a un crescente secolarismo o sarebbe destinata ad essere sempre più islamizzata (“eurabia”).

Si tratta di una convinzione relativamente diffusa, che proietta nel futuro – in maniera immediata e un po’ semplicistica – le linee di tendenza degli ultimi decenni.

 

Il sociologo canadese annuncia la fine del secolarismo

La scienza demografica però aiutare a ridimensionare, se non sfatare, questo duplice mito. Va segnalato in particolare un contributo del sociologo canadese Eric Kaufmann, dal titolo Shall the Religious Inherit the Earth? (traduzione: I religiosi erediteranno la terra?) (Profile Books 2010).

L’autore, sulla base di considerazioni del tutto statistiche e demografiche, sostiene (tra le altre cose):

  • Il secolarismo non sarà preminente.
    La frequenza religiosa non è significativamente calata dal 1989, dopo il tracollo degli anni ’70 e ’80. E i tassi di fertilità di donne e famiglie religiose sono più elevati di quelle non religiose, in particolare per i gruppi fondamentalisti di varie religioni (protestanti, Ebrei, islamici). A lungo andare quindi il secolarismo sarebbe, di per sé, destinato all’estinzione;

 

  • l’Islam non sarà prevalente.
    Attualmente, in Europa come nel resto del mondo, i tassi di fertilità di famiglie di tradizione cristiana sono inferiori a quelli islamici. Ma via via che procede l’occidentalizzazione delle nazioni o degli immigrati musulmani, questi tassi tendono ad abbassarsi, e attorno al 2030 dovrebbero arrivare a essere comparabili.

 

Le religioni e le difficili profezie sul futuro.

A queste ipotesi, tutto sommato “ottimiste”, mi sentirei però di fare alcune precisazioni.

In campo demografico, la religione può anche essere considerata – come fa Kaufmann – come un fenomeno quasi ereditario, che si trasmette intatto dalla famiglia ai figli. Ma non è sempre così, almeno nella nostra cultura occidentale.

È vero che ci possono essere adolescenti che riscoprono la fede dopo un’educazione famigliare tiepida, decidendo autonomamente di passare per la porta stretta. Ma è anche vero che può accadere il contrario, scegliendo la porta larga e la via spaziosa: pensiamo alle tante “buone” famiglie che fanno il possibile per trasmettere ai figli solidi valori morali e religiosi, ma si ritrovano – in particolare nell’adolescenza – con un rifiuto esplicito o pragmatico di tali valori.

Credo sarebbe bene lasciare alla storia la risposta se, nel futuro, i credenti saranno un piccolo gregge o torneranno ad essere fattivamente maggioritari.

Quanto all’Islam, al di là di numeri e percentuali, il confronto-scontro con l’occidente cristiano (o post-cristiano) è un dato di fatto, che si mostra particolarmente sanguinoso in nazioni come la Nigeria, tralasciando i cruenti attentati che negli ultimi anni hanno insanguinato il mondo. E via via che crescerà il confronto e la convivenza, ci sarà sempre il rischio che crescano i fondamentalismi violenti, anche se minoritari rispetto a una maggioranza civile, moderata e integrata.

La speranza è che l’Islam, nel prossimo futuro, si impegni in un lavoro di ripensamento di alcuni fondamenti dottrinali che possono essere incompatibili con la cultura occidentale: la schiavitù, la condizione femminile, la violenza religiosa, la libertà di culto, dunque in generale i diritti umani.

Concludendo con una nota di ottimismo, va notato che le (seppur sanguinose) sommosse della recente “primavera araba” hanno messo in risalto in questi paesi il valore della democrazia, con la sostanziale uguaglianza civile di uomini e donne. Concetto di per sé alieno dalla dottrina e dalla tradizione islamica.

Roberto Reggi

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Il padre non è intercambiabile alla madre

Padre 
di Claudio Risé*
*psicoterapeuta

 

Dalla Premessa del nuovo libro: Il padre, libertà e dono (Ares 2013)

 

Chi è il padre? È questa la domanda forse più ansiosamente ripetuta nella letteratura psicologica contemporanea. Ciò fornisce intanto due informazioni. La prima: se continuiamo a chiedercelo è perché molti non sanno più chi sia. La seconda: chiarirci le idee è dunque necessario, anche se non facile.

Le opinioni su chi sia il padre già si differenziano tra Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, all’inizio della psicoanalisi. Per Freud il padre era innanzitutto l’antagonista del figlio (simboleggiato nella vicenda mitica di Edipo) nella competizione per il possesso della madre. Sconfiggendolo, rendeva il figlio consapevole della Legge e del principio di realtà. Nell’esperienza terapeutica junghiana invece, il padre, oltre e al di là dell’«Edipo» freudiano, è un’immagine transpersonale che compare con nomi diversi fra gli Archetipi dell’inconscio collettivo, centri permanenti di energia psichica.

Questa Presenza dell’inconscio personale e collettivo va al di là del padre personale, diventa stabile riferimento del Sé del bambino, alimenta e ispira esperienze importanti per il suo equilibrio psicologico complessivo (come quelle creative, sociali, religiose). La sua attività sulla psiche umana si rivela in modo esplicito durante e dopo il processo di separazione che conclude la fusione madre-figlio, alla cui riuscita fortemente contribuisce. Le due figure del padre, quello personale, biologico e sociale, e quello transpersonale e archetipico, che lo trascende, sono rappresentate anche da forme linguistiche diverse, con differenti significati e potenzialità. Da una parte il Pater (greco, latino, vedico), transpersonale, e dall’altra l’atta (o tata), il «papà» che nutre e alleva. Queste due diverse forme, con le differenti forze cui rispettivamente rimandano, costituiscono, assieme, il campo psicologico paterno.

La visione antagonistica del rapporto padre-figlio espressa dal freudismo ha contribuito a far sì che il vasto movimento che ha contestato in Occidente negli anni Settanta il potere politico e sociale dell’epoca venisse interpretato come una rivolta contro il padre. Si confusero così con il padre le Autorità di quegli anni, promotrici proprio di quella legislazione familiare (divorzio e aborto innanzitutto), che pose le basi di una possibile cancellazione della figura paterna. La «rivolta contro il padre» da acuta che era si è poi cronicizzata in un processo di sistematica negazione di contenuti «specifici» della paternità, ridotta a posizione di supporto della madre, o con essa più o meno intercambiabile. Questo processo, funzionale all’organizzazione del lavoro e al potere delle burocrazie statali nazionali e internazionali (sollevate da un imbarazzante interlocutore), ha poi ugualmente travolto anche ogni contenuto specifico (anche affettivo e riproduttivo) della stessa madre. L’identificazione tra il padre e la legge ha in questo modo caricato il padre di responsabilità che non lo riguardano.

L’altra visione, quella di una paternità profonda, iscritta nella psiche di uomini e donne, e autonoma dalla figura del padre biologico (che tuttavia può vantaggiosamente ispirarvisi), vede invece il Padre come operatore di libertà. Egli è inoltre testimone di un «altrove» (uno spazio psicologico diverso da quello dell’immediatezza), dove si trovano le sorgenti della vita, della forza paterna e anche quelle necessarie allo sviluppo del figlio. Questa libertà donata dal Padre transpersonale e archetipico attiva energie e direzioni non necessariamente coincidenti con il pur importante campo biologico e il padre naturale che lo rappresenta. In questo altro senso il Padre è per l’individuo una risorsa personale di carattere simbolico cui egli istintivamente si rivolge, innanzitutto con il pensiero e il sentimento, quando la sua libertà è in pericolo. Egli percepisce allora la necessità di entrare in contatto con un diverso spazio psicologico, spirituale, simbolico e affettivo che lo metta al riparo delle insidie, anche psichiche immediata. Dalla quale dunque desidera prendere distanza.

Questa necessità si può presentare in ogni momento, ma sicuramente si produce in alcuni delicati passaggi della vita nei quali è in gioco la libertà della persona. Si tratta, per esempio, del bisogno infantile di affrancarsi dalla simbiosi con la madre che a livello psicologico e anche fisico tende a continuare anche dopo la nascita. In questo caso è proprio il Padre transpersonale, per nulla coinvolto in una competizione con il figlio per il «possesso della madre», che può aiutare il bimbo a differenziarsi dalla madre fusionale. È sempre il Padre archetipico ad attivare nel figlio la tensione verso l’«altrove» della propria libertà e responsabilità, e il «mondo altro» (rispetto a quello secolarizzato, ridotto a cose), cui essa rimanda. È ancora questo Padre transpersonale e l’«ambiente divino» da cui promana, a fornire all’adolescente che vi si rivolga le energie necessarie a non essere travolto dalle pulsioni (non solo sessuali, ma anche distruttive-autodistruttive), che lo incalzano durante la profonda trasformazione in atto dalla prepubertà alla fine della giovinezza. Così come è questo Padre sovrapersonale l’interlocutore prezioso del giovane adulto, che comincia a percepire l’opportunità di uno sviluppo di vita non imprigionato nella dimensione orizzontale della materia, con i suoi feroci e progressivi condizionamenti.

Infine, nell’ultima parte dell’esistenza, il Padre apre il figlio alla ricca e feconda prospettiva della morte. Essa chiede, per non essere vissuta con plumbea ango scia, una rinnovata distanza dagli attaccamenti quotidiani di cui è intessuto il «piano di realtà», ormai privato della sua dimensione sovrapersonale e trascendente dall’intellettualismo della cultura secolarizzata, che riduce l’universo a cosa. «La paternità più profonda nella terapia non si ha quando il terapeuta si limita a occuparsi della specifica patologia del paziente, ma quando fa appello alla libertà dell’uomo». Questo pensiero dello psichiatra e filosofo Karl Jaspers può forse introdurci all’incontro con il padre presentato in queste pagine.

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Quanta lontananza tra papa Francesco e il card. Martini!

Papa francescoPapa Francesco è il papa di tutti, assolutamente sbagliato tirarlo per la giacchetta per avvicinarlo alle proprie convinzioni e punti di vista. Per questo ci sembra utile replicare a chi continua ad assimilare Bergoglio al card. Carlo Maria Martini, come ha fatto ultimamente il segretario del compianto cardinale, mons. Damiano Modena.

Estremisti del Fatto Quotidiano, come Gianni Barbacetto e Salvatore Cannavò, hanno tristemente esultato per la mancata elezione al soglio pontificio del card. Angelo Scola, di area ciellina, e per la vittoria di un cardinale vicino all’ex arcivescovo di Milano, Martini. Non vorremmo interrompere i festeggiamenti di questi improvvisati intellettuali, ma la verità è che Papa Francesco è lontano anni luce dal card. Martini, personalità convintamente cattolica diventata sua malgrado un riferimento per i nemici della Chiesa e che ha a sua volta generato figli spirituali, come Vito Mancuso e Ignazio Marino, osannati come riferimenti dal laicismo.

Martini è oggi una luce per tutti coloro che desiderano protestantizzare la fede cattolica, rendendola personalizzata, sentimentale e fai-da-te, ovvero secolarizzata. Una fede debole e facile da perdere e questo spiega l’interessamento interessato del laicismo a divulgare nei cattolici (portandoli, così, ad essere “cattolici adulti”) l’apprezzamento per Martini e per i teologi martiniani.

 

Le differenze più notevoli tra Papa Francesco e il card. Carlo Maria Martini sono sulle tematiche bioetiche, sulla visione delle tematiche interne alla Chiesa, e sulla vicinanza ai movimenti ecclesiali, in particolare quello di Comunione e Liberazione.

Rispetto alla libertà d’educazione, il card. Bergoglio ha detto: «lo Stato e le autorità pubbliche devono sostenere le scuole cattoliche, la cui identità culturale si radica in Gesù Cristo, e favorire la loro profetica opzione educativa». Lo stesso fece il card. Martini, in un discorso davvero intelligente e utile del 2001, difendendo la parità scolastica e la sussidiarietà, contrastando la statalismo comunista. La stessa uguaglianza di vedute non la si ha sul celibato dei sacerdoti: il card. Bergoglio ha detto chiaramente che «sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori». Il card. Martini, invece, proponeva di sottoporre a «ripensamento l’obbligo di celibato dei sacerdoti come forma di vita» a causa dello scandalo pedofilia, una posizione errata, come abbiamo già avuto modo di mostrare, ripresa di recente dall’anticlericale Dario Fo.

Nel caso del sacerdozio femminile, papa Francesco ha spiegato che «la donna ha un’altra funzione, che si riflette nella figura di Maria». Ha anche criticato il femminismo, il quale «pone le donne su un piano di lotta rivendicativa, mentre la donna è molto più di questo». Martini commentò il “no” definitivo di Wojtyla al sacerdozio femminile dicendo: «nella storia della Chiesa primitiva però ci sono state le diaconesse: possiamo valutare a questa possibilità». Più recentemente ha invece cambiato idea: «Riconosco che le suore sono utilissime nell’ambito parrocchiale e meritano un maggior riconoscimento, ma ciò non vuol dire che esse possano sostituire in tutto i presbiteri».

Papa Francesco ha una visione netta e contraria alla cultura della morte, che predica un concezione utilitaristica della vita, per la quale «l’esistenza umana interessa solo nella misura in cui sia sfruttabile o possa apparire utile», Martini si opponeva anch’egli all’eutanasia definendola «un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte. Come tale è inaccettabile», tuttavia si è sempre mostrato abbastanza glaciale e disinteressato rispetto ai volontari che difendono la vita (d’altra parte ha scritto un libro assieme ad Ignazio Marino!). Rispetto all’aborto Martini invitava la donna a seguire «la sua coscienza, anche se si decide per qualcosa che io non mi sento di approvare», mentre Bergoglio ha preso posizione in modo più netto: «dobbiamo ascoltare, accompagnare e capire dal posto dove ci troviamo, per salvare le due vite: rispettare l’essere umano più piccolo e indifeso, adottare misure che possano preservare la sua vita, permettere la sua nascita ed essere creativi nella ricerca dei sentieri che portino al suo pieno sviluppo».

Forti differenze di posizione anche sulle unioni, adozioni e matrimoni omosessuali, Martini aprì alle unioni civili ma chiuse al matrimonio omosessuale, spiegando in modo abbastanza tiepido che «la coppia omosessuale, in quanto tale, non potrà mai essere equiparata in tutto al matrimonio e d’altra parte non credo che la coppia eterosessuale e il matrimonio debbano essere difesi o puntellati con mezzi straordinari». Il card. Bergoglio, quand’era arcivescovo argentino, contrastò duramente la legge sulle nozze gay scrivendo: «Il popolo argentino dovrà affrontare, nelle prossime settimane, una situazione il cui esito può ferire gravemente la famiglia. Si tratta del disegno di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. […] È in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo, privandoli della maturazione umana che Dio ha voluto che si desse con un padre e una madre. È in gioco un rigetto frontale della legge di Dio, per di più incisa nei nostri cuori. […] Non siamo ingenui: non si tratta di una semplice lotta politica; […] bensì di una mossa del Padre della Menzogna che pretende di confondere e ingannare i figli di Dio».

 

Altre notevoli lontananze di vedute, come dicevamo, riguardano uno dei principali movimenti ecclesiali, ovvero Comunione e Liberazione (CL), nato nella diocesi guidata anche da Martini. Un movimento di cui abbiamo stima, come per tante altre realtà cattoliche, per la vivacità e la capacità di presenza intelligente nel dibattito pubblico. Nonostante quel che si dice, anche il card. Martini ebbe sempre un giudizio positivo su CL: don Gerolamo Castiglioni, assistente ecclesiastico di Comunione e Liberazione in diocesi di Milano dal 1985 al 2000 e collaboratore per vent’anni di Martini, ha affermato: «Ricordo quando disse a un raduno di suore che don Giussani era un santo. O quando contro il rischio della solitudine dei preti citava realtà come lo Studium Christi, un gruppo di sacerdoti del movimento di CL a cui lui fece anche visita. Stimava l’esperienza dei Memores Domini. Insomma, non lo sentii mai criticare don Giussani, anche se non capiva certe opere o le comunità d’ambiente». Un opinione diversa è quella dello scrittore Antonio Socci, vicino all’esperienza di CL, il quale ha spiegato che, con il card. Martini vi fu un «tentativo di omologazione e di emarginazione dell’esperienza di CL». Tuttavia Julián Carrón, successore di Giussani alla guida del movimento, alla morte di Martini lo ha ringraziato «per aver accettato con vera paternità di pastore che il movimento vivesse nella diocesi di Milano, segno per don Giussani di carità suprema».

Maggiore e pubblicamente dichiarata, invece, la vicinanza di Papa Francesco a Comunione e Liberazione, in particolare grazie alla forte amicizia dell’allora arcivescovo di Buenos Aires con don Giacomo Tantardini, guida spirituale di Comunione e Liberazione a Roma. Tanto che, l’unico scritto del futuro pontefice apparso in Italia venne pubblicato su una rivista vicina a CL, “30 giorni”, in memoria della morte del “suo amico” don Tantardini. Inoltre, si è anche saputo che poche ore dopo la sua elezione al soglio pontificio, Papa Francesco ha chiamato Gianni Valente e Stefania Falasca, marito e moglie, due ex-giornalisti di 30Giorni, ciellini entrambi. Su Italia Oggi sono stati presi in giro i vaticanisti anti-cielle (che tristezza queste divisioni ideologiche nel mondo cattolico!), come Marco Politi: «gli improvvisati soloni che si ritengono ormai perfetti conoscitori del ministero petrino, essendo attentissimi a discernere correnti, cordate, sensibilità, in modo molto più sofisticato che nelle vecchie categorie di progressisti e conservatori, si sono affrettati a osservare che Papa Francesco è pure un gesuita, ergo martiniano di ferro (nel senso di cardinal Carlo Maria Martini), ergo anticiellino per definizione».

La vicinanza del Papa a CL è spiegata anche dal grande sviluppo che il movimento di don Giussani sta conoscendo in Sud America, particolarmente in Brasile, dove cresce a ritmi impressionanti facendo argine al dilagare delle sette protestanti. Il 27 aprile 2001 Bergoglio volle presentare pubblicamente a Bueons Aires un libro di don Giussani, “L’attrattiva Gesù”. Lo aveva già fatto nel 1999 con un altro suo libro, “Il senso religioso”. In quest’occasione disse: «Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo». Don Giussani volle ringraziarlo con un messaggio, in cui scrisse: «Ci sia maestro e padre, Eminenza, come sento raccontare dai miei amici di Buenos Aires, grati alla Sua persona e obbedienti come a Gesù».

Insomma, smettiamo di etichettare Papa Francesco, anche perché sono etichette sempre sbagliate. Men che meno continuare a definirlo progressista, di destra, di sinistra, martiniano o mancusiano. Avviciniamoci noi a lui, senza voler tirare lui vicino a noi!

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Nati per credere, risposta a Giorgio Vallortigara

Biologos 

di Maria Beatrice Toro
*psicologa e psicoterapeuta

 

La persistenza della religiosità e della spiritualità, sopravvissute al processo di secolarizzazione caratteristico dell’epoca moderna, sembra oggi costituire una sorta di “spina irritativa” nel fianco del pensiero di stampo scientista, laddove, anche nel nostro vivere post-moderno, così incline alla contaminazione fra culture e pensieri diversi, c’è ancora chi, graniticamente, sceglie di rimanere nell’alveo dell’ideologia positivistica e di trattare l’idea di Dio come un residuo di credenze erronee.

Tra le righe di molta letteratura prodotta in ambito scientista, si legge un certo sgomento, in particolare, nei confronti di un’idea-chiave del pensiero religioso e spirituale: il rifiuto che viene opposto nei confronti della riduzione della vita umana a prodotto del caso, con la rivendicazione, per l’uomo, di una discontinuità radicale rispetto al mondo naturale. È questo, infatti, uno dei punti che si connettono alla fede nel trascendente, dato che chi è religioso (o, come sempre più si dice in post-modernità, spirituale) crede che la propria esperienza di vita unica, significativa e voluta da una causa superiore.

Questa posizione risulta così fastidiosa, per alcuni, da investire una certa quantità di tempo e risorse per investigarla. D’altronde, scriveva Aristotele che il pensiero nasce dalla meraviglia; dovevano dunque essere alquanto “meravigliati” tanti scrittori che si sono dedicati a questi argomenti. Meravigliati della persistenza della religiosità nell’uomo post – moderno.

Richard Dawkins, Lewis Wolpert ed altri numerosi autori, italiani e stranieri, hanno scritto saggi e riflessioni, in particolare, sul fatto che la maggior parte delle persone non accetti l’idea che la casualità sia la forza fondamentale che governa la natura e la vita. La proposta di spiegazione di tale difficoltà è che, poiché Homo sapiens è un essere che comprende e modifica l’ambiente in cui vive ragionando in termini di causa ed effetto, tenda, poi, erroneamente, a esportare tali categorie fisiche anche in ambiti più ampi. La maggior parte delle persone, dunque, si trova naturalmente portata a rifiutare la concezione di un universo basato sulla casualità e preferisce supporre una causa che spieghi l’origine della natura e della vita, a causa di un’abitudine cognitiva estremamente radicata. Un’abitudine importante, dato che il ragionamento per causa ed effetto e l’utilizzo di strumenti per intervenire sull’ambiente sono caratteristiche vincenti della specie Homo ed, anzi, sono una delle ragioni del successo evolutivo di una specie fisicamente più debole di molte altre, che ha nel tempo soggiogato con la forza del pensiero, dell’inventiva, dell’organizzazione sociale. La religione viene interpretata come il sottoprodotto di tendenze cognitive utili ad altri scopi, che, in seconda battuta, causerebbero un’erronea idea di causa superiore per l’esistenza dell’universo e per la presenza dell’uomo. La religione, in qualche modo, viene fatta ricadere, ancora una volta, nelle nostre “zone erronee”[1].

Giorgio Vallortigara, professore di Neuroscienze alla Facoltà di Scienze Cognitive dell’Università di Trento, scrive, a tale proposito, un approfondimento, affermando che, sebbene sia un residuo senza una funzione reale, la credenza religiosa possa comunque avere avuto ricadute positive sull’uomo e non sia stata dunque “scartata” dai meccanismi della selezione naturale. Ciò che viene affermato è,  in conclusione, qualcosa di sottile: “non è necessario immaginare che la credenza nel sovrannaturale sia il risultato di una pressione selettiva diretta perché abbia dei vantaggi. Come abbiamo visto, molti studiosi ritengono che tale credenza sia una conseguenza collaterale, un residuo, privo di funzioni reali, della nostra capacità di leggere la psicologia degli altri individui”. L’ipotesi scientista viene da questo autore declinata in modo articolato. La fede nel sovrannaturale potrebbe esser stata inizialmente un effetto collaterale dei ragionamenti causali di Homo sapiens, per poi mostrare, in seguito “specifici vantaggi evolutivi”[2]. Insomma, Dio persiste anche dopo la secolarizzazione, perché, nonostante sia un’idea erronea, a qualcosa sembra servire…

Lo trovo un ragionamento a suo modo seducente, ma non trovo ben chiariti i motivi e gli ambiti per cui il  successo evolutivo umano si potrebbe ascrivere all’idea di Dio: mi sembra doveroso, anche se un po’ paradossale, l’utilizzo del famoso rasoio di Occam, per cui non ha senso moltiplicare i concetti laddove essi non siano strettamente necessari. L’uomo poteva sopravvivere e prosperare anche con una visione materialistica…perché no? Non avremmo comunque prevalso sulle altre specie grazie alle nostre caratteristiche intellettive e alla nostra capacità linguistica e sociale? Su questo punto appare davvero più “laico” il pensiero religioso, laddove la fede è vista come un atto personale e libero dell’uomo.

Si consideri, poi, che, per la maggior parte dei credenti, confidare in un’intelligenza che trascende la dimensione naturale non implica (come spesso viene erroneamente supposto), che si debba rifiutare la logica delle teorie scientifiche, e la teoria evoluzionistica quale ipotesi descrittiva sulla realtà. È, piuttosto, la visione di fondo che cambia; sapere tutto degli ultimi cento milioni di anni di storia evolutiva, per quanto esaustivamente lo si possa descrivere, non può, per chi è credente, supplire all’ignoranza umana circa i costituenti ultimi dell’origine dell’universo e della sua struttura profonda. Chi crede in Dio accoglie un sistema di interpretazione della vita che non entra necessariamente in contraddizione con il pensiero scientifico riguardo all’evoluzione: è una banalizzazione dire che chi crede deve per questo postulare un continuo intervento divino che sostenga l’evoluzione stessa.

Scrive il cattolico Fiorenzo Facchini: “A parte il fatto che in ogni caso non basterebbero mutazioni delle strutture biologiche perché occorrono anche cambiamenti ambientali, con il ricorso a interventi esterni suppletivi o correttivi rispetto alle cause naturali viene introdotta negli eventi della natura una causa superiore per spiegare cose che ancora non conosciamo, ma che potremmo conoscere. Ma così non si fa scienza”. E aggiunge “La scienza in quanto tale, con i suoi metodi, non può dimostrare, ma neppure escludere che un disegno superiore si sia realizzato, quali che siano le cause, all’apparenza anche casuali o rientranti nella natura”.  Da persone religiose si può credere che Dio abbia posto, nella natura, le “cause seconde”, che sono in grado di portarne avanti l’evoluzione, senza che ci sia bisogno di un intervento miracolistico perché le cose accadano. Questa puntualizzazione di Facchini mi sembra un punto d’arrivo importante: non si tratta di un’ipotesi particolarmente semplice e intuitiva, ma credo che possa costituire un modo di descrivere le cose equilibrato e il punto di partenza di un dialogo tra credenti e non credenti.

Come psicologa, poi, vorrei aggiungere ancora qualcosa alle possibili motivazioni per la presenza, per alcuni ingombrante, della religione in un mondo de-sacralizzato e secolarizzato quale è il nostro occidente oggi. Vorrei sottolineare, se mi si perdona l’aspetto polemico, che la selezione naturale che alcuni riveriscono con tanto zelo, non sembra essersi curata di fornire all’uomo, attraverso il concetto di casualità, di una stringente idea valida per tutti e necessitante, cosicché siamo liberi di pensarla in modi diversi. L’idea di Dio potrebbe, allora, persistere e continuare a orientare la vita di miliardi di persone non già perché siano presenti “utili errori cognitivi”, ma perché la coscienza dell’uomo è davvero estremamente ricca e complessa e non è fatta di sola cognizione. La possiamo ragionevolmente inquadrare come un fenomeno non omogeneo e qualitativamente unico nel mondo naturale.

Uno dei fattori di base della personalità potrebbe, allora, essere costituito proprio dalla spiritualità, ovvero dalla tendenza ad auto–trascendersi, come tratto costituzionalmente umano e non dipendente da altri fattori. Io credo che dovremmo dare vita a ricerche in tale direzione e verificare, attraverso un adeguato disegno sperimentale, l’importanza del fattore “auto-trascendenza” tra tutti gli altri grandi fattori cognitivi, emotivi e personologici. Quel che potrebbe esser studiato è la dipendenza o indipendenza di tale fattore rispetto ad altre caratteristiche e peculiarità della persona. In Italia un tale studio sperimentale manca e, ancora oggi, la religiosità (data la mancanza di informazioni raccolte con l’ausilio di un qualche disegno e protocollo sperimentale), viene da alcuni associata a determinati tipi di personalità, magari suggestionabili, o infantili, o, ancora, così  prone a sensi di colpa irrazionali da esser costrette all’adozione di rigide regole morali. Si tratta di una serie di affermazioni che talvolta vengono fatte passare per ovvietà psicologiche, con un atteggiamento che denota mancanza di rigore e, dunque, di credibilità. Appare spontaneo, allora, riconoscere, in queste letture, una certa coloritura (questa sì antiscientifica…) di pregiudizio, da abbattere, a mio parere, attraverso il dialogo e la serietà di un approfondimento che consenta di andare oltre alle secche di posizioni puramente ideologiche.

 

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Note
[1]. Abbiamo scritto, in precedenti articoli, di altri argomenti sull’erroneità dell’idea di Dio nati dalla lettura di alcuni dati neurobiologici, con l’effetto di svalutare ogni forma di esperienza spirituale, ovvero il senso di connessione e di pienezza di senso che le persone religiose, letteralmente, sperimentano (non immaginano, pensano, suppongono, ma ne fanno esperienza), spiegata in ambito ateo come l’esito di un malfunzionamento del cervello.
[2]. In Vittorio Girotto, Telmo Pievano, Nati per credere (Codice edizioni, 2008)

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Abortire è bello? Altre risposte a Chiara Lalli

Lo strappo nell'animaAbbiamo già avuto modo di parlare dell’ultima “fatica” di Chiara Lalli, volto giovane del variegato e stravagante mondo della “bioetica laicista”.

La ricercatrice, come dicevamo, ha acutamente osservato il successo mediatico del definire l’eutanasia come la “dolce morte” e ha tentato di fare lo stesso con l’aborto, consapevole che le voci critiche sono sempre più numerose (crescita obiettori, diffusione di una nuova ondata di cultura pro-life ecc.). Nel suo libro ha così voluto addobbare l’interruzione di gravidanza come qualcosa di “dolce”, da fare e rifare in serenità come le hanno detto le donne che ha appositamente intervistato, condendo il tutto con grasso sarcasmo contro i cimiteri per i bambini non nati.

Ha anche tentato anche di definire come “mito” la Sindrome Post Aborto, ovvero le frequenti conseguenze psicofisiche subite dalle donne che si sono sottoposte ad un aborto indotto. Talmente un “mito”, che nel 2011 il British Journal of Psychiatry ha calcolato che chi abortisce presenta un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale e queste informazioni devono essere comunicate a chi fornisce servizi per l’aborto.

Siamo contenti finalmente di citare per una volta anche Famiglia Cristiana, avendo incredibilmente a sua volta pubblicato un articolo di risposta alla Lalli, recensendo il libro della psicologa Giuliana Perantoni Savaresi, intitolato Lo strappo nell’anima (San Paolo 2013). La psicologa ha parlato e descritto a lungo le conseguenze psicologiche dell’aborto, vissute dalle sue pazienti e non solo, un dramma sottovalutato dimenticando la ferita che lascia nelle donne che l’hanno subito o affrontato.

Luisella Saro, in un’altra recensione critica apparsa su Cultura Cattolica, ha avuto il merito di portare alla luce tante altre assurdità e contraddizioni contenute nel libro della Lalli, volume che presenta una «realtà capovolta a occhi chiusi», secondo la recensione apparsa sul quotidiano Avvenire.  La Lalli lo ha intitolato “La verità, vi prego, sull’aborto” (Fandango 2013), evidentemente era un invito, poi disatteso, rivolto a se stessa.

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I vescovi non salutano Benedetto XVI? No, è una bufala

Ratzinger germaniaSul web ritorna il video che dovrebbe palesare “uno dei momenti più imbarazzanti e umilianti per Papa Benedetto XVI“. È il 22 settembre 2011 e il Pontefice è in visita nella sua Germania, ma –secondo i sostenitori della bufala- dieci vescovi (non cardinali, come viene scritto) si rifiuterebbero di stringergli la mano.

In realtà si tratta ancora una volta dell’ennesima bufala: se osserviamo il video integrale (qui sotto) notiamo che nella prima parte l’allora presidente tedesco, Christian Wulff, presenta la sua delegazione a Papa Benedetto XVI (e nessuno, ovviamente, stringe la mano a Wulff!), mentre nella seconda parte tocca al Papa presentare la sua delegazione, che è scesa assieme a lui dall’aereo, a parte il mons. Robert Zollitsch, vescovo di Friburgo (il commentatore del Centro Televisivo Vaticano parla infatti del “seguito papale”).

Il Papa presenta i suoi cardinali, alcuni ne approfittano per salutare anche lui, oltre che il presidente tedesco, altri non lo fanno, come il card. Tarcisio Bertone (il primo), due stretti collaboratori di Ratzinger, il card. Walter Kasper, il card. Kurt Koch, il suo vecchio segretario Clemens, mons Guido Marini (il suo cerimoniere in Vaticano) e almeno altri due cerimonieri. Questi, secondo i complottisti, sarebbero i vescovi tedeschi che vorrebbero umiliare il Papa…in realtà Ratzinger tende la mano per presentare al presidente tedesco la sua delegazione, non certo per salutare i prelati scesi con lui dall’aereo!

La bufala è stata tirata nuovamente fuori da Il Giornale in questi giorni, dove si è cercato di spiegare i fatti, anche se è evidente che l’autore dell’articolo ha semplicemente dedotto, seppur correttamente, la verità, ma senza verificarla dal video originale. In ogni caso della bufala se n’è occupato ottimamente Paolo Attivissimo, il blog Il Vaticanista, il quotidiano L’Unità e Il Blog di Raffaella (nuova versione, a cui vanno i nostri migliori auguri!)

 

Qui sotto il video integrale

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La tollerante e laica Olanda apre anche alla pedofilia

Bandiera olandaCosì, mentre l’American Psychiatric Association toglie la pedofilia dall’elenco delle malattie (illness), in Olanda sarà possibile promuovere pubblicamente il sesso con i minori.

Lo ha deciso la Corte d’appello olandese che, secondo la nuova moda di trasformare qualsiasi desiderio in diritto, ha rifiutato di negare il “diritto” alla promozione della pedofilia da parte delle associazioni di pedofili. Una di queste è l’Associazione Martijn, che, curiosamente, nel 2009 ha accusato la Chiesa cattolica per essere troppo conservatrice, impedendo il progresso della depravazione sessuale anche in Italia.

L’Olanda, occorre ricordarlo, è un punto di riferimento del laicismo occidentale e anche dei militanti della lobby LGBT. Infatti, come si legge, è il Paese con la maggiore tolleranza verso gli omosessuali ed è stato il primo ad officiare matrimoni tra coppie dello stesso sesso. Addirittura il governo ha stanziato 2,5 milioni di euro di soldi pubblici per “indottrinare” chi la pensa diversamente alla cultura gay.

In ogni caso, l’Olanda non è nuova a queste aperture alla pedofilia: nel 2006 ha infatti accolto il primo partito dichiaratamente pedofilo, Nvd (“Amore del prossimo, libertà e diversità”), che tra i suoi obiettivi aveva la liberalizzazione della pornografia infantile e i rapporti sessuali fra adulti e bambini.

Sul Corriere della Sera è stato fatto notare che l’associazione pedofila che da oggi potrà promuovere le sue idee per le strade olandesi è nata nel 1982 ed è stata espulsa dall’Ilga, l’International Lesbian and Gay Association nel 1994. Il quotidiano non ha però ricordato che, sempre nel 1994, la principale associazione omosessuale al mondo ha dovuto liberarsi anche dell’associazione di omosessuali pedofili americani, la NAMBLA. Come mai quest’improvvisa opera di pulizia da associazioni così intime da lasciare a loro l’organizzazione dei Gay Pride? Perché proprio nel 1994 l’ILGA, a causa di questa vicinanza con le associazioni pedofile, ha perso lo status consultivo al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) come organizzazione non governativa. Ma nel 2004 ancora sembrano esserci dei legami… (qui abbiamo ricostruito la vicenda).

Augurandoci che anche le associazioni omosessuali olandesi (e non) facciano sentire la loro voce contro questa aberrante sentenza, invitiamo i giudici olandesi a disfarsi dell’“ideologia del diritto” comprendendo che il loro compito è salvaguardare i principi, non legittimare i desideri.

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Franco Califano, convertitosi grazie a Papa Ratzinger

Franco CalifanoSabato scorso è morto Franco Califano, artista romano conosciuto sopratutto per la sua “vita spericolata” dedicata all’eccesso e conclusasi con una sorprendente conversione.

Tra le mani nella camera ardente la factotum dell’artista romano, Donatella Diana, gli ha messo tra le mani una foto di Papa Benedetto XVI: «Franco Califano voleva farsi confessare da Papa Ratzinger e l’aveva chiesto anche ad un suo amico prete. Voleva un’udienza riservata, non ci è mai riuscito. Riteneva Ratzinger veramente una persona grande, un po’ ruvida, che non aveva nulla da dimostrare», ha detto Diana, che lo ha seguito negli ultimi dodici anni.

Ha poi aggiunto: «Quando si è dimesso lo ha difeso con tutti. È stato lui a farlo riconciliare con il sacro, con la cristianità. Per questo tra le mani di Franco ho messo la foto di Papa Ratzinger». Lo stesso Califfo in un’intervista del 2008 aveva dichiarato: «Benedetto XVI mi ha fatto scattare qualcosa dentro e allora mi sono riavvicinato a Dio. A me questo Papa ha dato emozione. Io ho sempre cercato di credere in Dio ma visto che non mi piace il mistero, ho sempre avuto difficoltà ad accogliere la Fede, in assenza di segni. Ora è arrivato, il segno. Con questo Papa che mi fa innamorare».

Lui stesso ha raccontato la sua vita, le sue fissazioni per il sesso, la droga (arrestato più volte), le auto: «mi spostavo in continuazione fra alberghi, residence, città diverse. In effetti non ero uno che badava a spese. Quando usciva un nuovo modello di auto il primo veicolo disponibile era il mio. Per non parlare delle moto (passione che mi è passata quando è arrivato l’ obbligo del casco). Quando avevo storie con attrici importanti abitavo all’ Excelsior o al Grand Hotel. Avevo sempre come minimo tre macchine, una Mercedes, una Jaguar decappottabile e una Maserati o una Ferrari (con la quale ho avuto un pauroso incidente)». Si parla di una centinaia di amanti. Ma tutto questo non lo ha portato ad essere un uomo felice, anzi nel 2010 ha dovuto chiedere un aiuto allo Stato per essere caduto in rovina, economicamente e psicologicamente.

“Ci hai creati per te e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te”, scriveva Sant’Agostino. Il Califfo potrebbe oggi confermare, aggiungendo: “E tutto il resto è noia”.

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