Nessun paragone tra matrimonio gay e matrimonio interrazziale

http://cdn.attualissimo.it/wp-content/uploads/2011/12/matrimoni-misti-240x200.jpg“È totalmente idiota paragonare l’opposizione al matrimonio gay con quello interrazziale”. A dirlo, non un vescovo o qualche cattolico da tacciare di becero clericalismo, ma bensì l’ateo Brendan O’Neill, saggista, giornalista per numerose testate e direttore del magazine ‘spiked‘ – di posizioni non certo conservatrici.

In un articolo sul ‘Telegraph‘, O’Neill spiega infatti perché la retorica omosessualista degli slogan ripetuti ad nauseam fa -ancora una volta- acqua da tutte le parti. L’ultima trovata, -mentre lo scontro sul cosiddetto matrimonio gay diventa sempre più aspro, tanto da costare all’Arcivescovo di York una serie di mail razziste– è la tesi per cui chi si oppone alle ‘nozze’ omosessuali è come chi, negli Stati Uniti degli anni ’50, lottava contro il riconoscimento dei matrimoni misti. Tesi che O’Neill non esita a definire “idiota, storicamente infondata e politicamente opportunistica“. Per quanto gli attivisti della lobby gay possano illudersi di combattere coraggiosamente contro un ingiustizia così grande come fu quella del divieto di unione tra persone con pelle di colore diverso, la sostanziale differenza, commenta il giornalista, è che gli attivisti per la parità dei diritti nel matrimonio di una volta, «chiedevano equità democratica all’interno di un istituzione già esistente», diversamente dai militanti Lgbt che chiedono diritti per un istituzione tutta da inventare.

Non si può infatti paragonare l’impossibilità a vedersi riconosciuti all’interno di una delle fondamentali istituzioni sociali, «il legame riconosciuto e approvato dallo stato, tra un uomo e una donna», per una semplice differenza di pigmento, con «il legame riconosciuto e approvato dallo stato, tra un uomo e un altro uomo», per il semplice fatto che quest’ultimo «non è mai esistito». Va da sé, dunque, che incitare la Corte Suprema a fare nuovamente “la cosa giusta”, in riferimento alla sentenza del ’67 che dichiarò incostituzionale il divieto posto sui matrimoni interrazziali, non ha molto senso. Allo stesso modo in cui, «non ha senso che gli attivisti gay facciano finta d’essere discriminati come lo furono i neri o gli ebrei», conclude O’Neill, «perché semplicemente non lo sono». E se il giornalista e direttore si dichiara “indeciso” sull’eventuale introduzione del ‘matrimonio’ gay, è cristallino che il capriccio di una lobby non potrà mai essere uguale alla battaglia portata avanti da chi si è visto escluso dal fondamento della società per la propria pelle.

A pensarla come O’Neill, lo ha dimostrato un recente sondaggio di Zogby Analytics, c’è la maggior parte degli afro-americani che respingono qualsiasi tentativo di paragonare la militanza omosessuale con il movimento storico per l’uguaglianza razziale.

Nicola Z.

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Ancora violenza e vandalismo contro i pro-life

Femministe attaccateContinua la violenza contro i volontari pro-life e i manifestanti per il diritto alla vita del nascituro, tutto nel silenzio-assenso dei difensori mediatici dei diritti civili.

 

A Varsavia, ad esempio, un gruppo di uomini ha brutalmente aggredito diverse donne che stavano manifestando a favore della vita durante una manifestazione femminista. L’episodio è avvenuto il 10 marzo scorso, le donne avevano in mano delle immagini con donne uccise a causa di un aborto fallito. I cartelloni sono stati strappati, ha raccontato l’attivista Marta Brzezińska, e alcune donne sono state buttate per terra e prese a calci.

 

A Wilmington (Delaware, Stati Uniti), il 13 marzo scorso, una persona di 63 anni è stata malmenata fuori da una clinica abortista appartenente a Planned Parenthood. La donna, Rae Stabosz, stava pregando per gli esseri umani uccisi all’interno della clinica e anche riprendendo la clinica con la videocamera del suo telefonino, ad un certo punto dalla clinica è uscita una donna che ha aggredito Rae strappandole il telefono dalle mani e portandolo all’interno. Prima di sentirsi male ed essere trasportata in ospedale, la donna ha denunciato la persona che l’aveva aggredita.

 

In North Dakota il governatore Jack Dalrymple ha ricevuto nel marzo scorso pesanti minacce di morte dopo aver firmato tre leggi per limitare l’aborto. In totale il governatore, secondo il suo portavoce, ha ricevuto più di 3.000 chiamate ed e-mail, alcune delle quali dal contenuto violento e minaccioso.

Qui sotto il video dell’aggressione davanti alla clinica abortista

 

A Toronto, il 18 marzo 2013, durante una manifestazione pro-life del gruppo “Choice” Chain davanti all’Harbord Collegiate Institute, un uomo e una donna hanno sputato contro i manifestanti. L’uomo è poi entrato in un vicino bar per comprare una bevanda calda, una volta avvicinatosi nuovamente al gruppo di manifestanti l’ha gettata su di loro. L’uomo ha anche cercato di aggredire chi ha ripreso la scena con la macchina fotografica, tuttavia secondo il rapporto della polizia nessuno è rimasto fortunatamente ferito.

 

A Columbus (Ohio, Stati Uniti), un gruppo di studenti pro-life ha pacificamente dimostrato la sua opposizione all’aborto attraverso alcuni cartelloni con immagini grafiche di bambini abortiti nel parco della Ohio State University. Ad un certo punto una donna si è avvicinata gridando slogan sulla demografia americana e distruggendo tutti i cartelloni presenti. I volontari pro-life hanno ripreso la scena e alla domanda sul perché abbiano scelto di non intervenire per fermare la donna hanno risposto: «Abbiamo contattato le autorità che ora la stanno cercando. Non c’era ragione perché uno dei nostri volontari mettesse a rischio la propria sicurezza per fermare questo atto di vandalismo. Le persone sono più preziose degli oggetti». Atti di vandalismo simili contro i manifestanti pro-life si sono verificati a Princeton, all’Università del Wisconsin-La Crosse, alla Western Kentucky University, alla Northern Kentucky University, alla State University di New York a Buffalo, ecc.

Qui sotto il video del vandalismo presso la Ohio State University

 

Evidentemente la libertà di parola e manifestazione non sono un diritto per tutti

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Procreazione assistita: problemi di salute per chi nasce

FivetLa Corte europea dei diritti umani ha ripetutamente bocciato quella parte della Legge 40 che vieta ad una coppia portatrice di una malattia genetica di effettuare la diagnosi preimpianto degli embrioni. Questo comporterà la necessità per il futuro governo italiano di riscrivere la legge sulla fecondazione assistita.

Per il noto genetista Bruno Dallapiccola, al di là della sentenza e della questione etica (la genetica è il settore più commercializzato della medicina), il ricorso alla fecondazione in vitro e a questo tipo di diagnosi molto precoce dovrebbe essere sconsigliato alle coppie fertili. Spiega Dalla piccola: «Oggi non c’è modo di prevedere tutte le malattie genetiche del concepito e di correggerle. Questo tipo di tecnica diagnostica è rischiosa, non risolve i problemi del concepito e ne crea di nuovi. Per esempio, la possibilità che un figlio nasca con la sindrome di Down sono le stesse prima e dopo la diagnosi. Nella diagnosi specifica di una sola malattia, il margine di errore è elevato e sopra al 30 per cento. Infine poco più di uno su cinquanta embrioni sopravvive alla diagnosi, e anche se sopravvive viene esposto a un rischio molto più elevato di acquisire difetti congeniti. Si pensa di risolvere un problema e se ne creano ulteriori. Sarebbe meglio lasciar fare la selezione alla natura nel ventre materno».

Nel frattempo, vari gruppi di studio nel mondo cominciano a verificare la salute dei primi bambini e ragazzi nati dalle varie tecniche di fecondazione assistita, poiché ancora non se ne conoscono gli eventuali effetti clinici a lungo termine. In Australia hanno effettuato uno studio sui primi 12 anni di vita da cui risulta che questi bambini, rispetto ai concepiti naturalmente, hanno una maggiore incidenza di pressione alta ed elevata glicemia a riposo, grasso superfluo, invecchiamento osseo e problemi subclinici alla tiroide.

Inoltre, questi bambini nascono spesso prematuramente o sottopeso, il che incrementa la possibilità di danni neurologici quali paralisi e ritardi cerebrali. Parallelamente, uno studio israeliano ha riscontrato in questi bambini un aumento significativo delle malformazioni a carico dell’apparato nervoso, circolatorio, digerente, sessuale.

Linda Gridelli

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La prova psicologica della personalità dell’embrione

Cinque prove esistenza uomoIl Re è nudo! gridava l’innocente nella favola. Ma nessuno dei presenti osava affermare l’evidenza.
Embrione, morula, addirittura ootide, grumo – queste sono le alte espressioni tecniche nella definizione di un “qualcosa” che a molti non sembra affatto un figlio d’uomo.

Troppo angusto è lo spazio di una capocchia di spillo per coloro che, interessati o meno, non vogliono riconoscere nell’origine ciò che è perfino banale. Essi riesumano allora la metafisica aristotelica della potenza e dell’atto, si arrabattano attorno ad inconsistenti teorie del pre-embrione o dell’ovocita fecondato, narcotizzano l’uomo della strada con rassicuranti “non sente dolore, non può, è privo di cervello!”. Tutto, pur di negare l’umano e compiacere un potere, da sempre tra i più mostruosi.

“Da dove comincia l’io? Dove sta la cesura tra l’essere e il non essere? Insomma io quando sono comparso dal nulla?” è ciò che si chiede (e ci chiede) Carlo Casini, fondatore e presidente del Movimento Italiano per la vita, nell’illuminante e raccomandabile Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo(Ed. San Paolo 2013).

Casini individua nella continuità dell’Io, nell’esperienza di un’identità permanente, la prova psicologica dell’essere umano fin dal suo concepimento. Innanzitutto, non è la memoria che determina la costanza dell’Io: “riconosco me stesso –spiega l’autore – anche quando (…) mi vedo anestetizzato prima di un intervento chirurgico, o in coma, o in preda a un sonno profondo, o nella primissima infanzia, nei periodi, cioè, di cui – a livello cosciente – non ricordo assolutamente nulla.” L’“incominciamento” è perciò molto prima dei barlumi di memoria o della forma distinta di un corpo.

“Se voglio cercare l’inizio del mio io, di quello che sono oggi e che ero ieri, passando da varie fasi tutte legate da un filo unico che mi fa dire “io”, se non sono vento, mare e sabbia, se non sono un oggetto, ma un soggetto, cioè un’entità che può dire “io”, allora debbo soffermarmi stupito sul concepimento”, sul bagliore iniziale di un incontro. Tuttavia, continua Casini, “lo spermatozoo non è me, l’ovocita non è me. Io non sono né spermatozoo, né ovocita (…), perché io sono ‘io’ e non posso annegarmi nelle cose, né in altri viventi e neppure in altri esseri umani, siano pure a me vicinissimi come mio padre e mia madre.” Il “mio comparire dal nulla” è lo stesso incondizionato attimo “in cui il mio corpo ha cominciato ad organizzarsi e costruirsi. Il concepimento, appunto: l’incontro dello spermatozoo di mio padre e l’ovocita di mia madre”.

A questa attualissima cellula primigenia appartiene, poi, una forza di sviluppo che le è propria e non ne esiste altra; difatti, sia “in vitro” sia nel corpo della madre, è precisamente l’Io embrionale che determina il proprio futuro sviluppo, il quale “ha un solo destino, quello di diventare feto, neonato, bambino, giovane, adulto, etc. Se tale risultato non viene raggiunto è a causa di una patologia o di un intervento esterno che ne impediscono o ne bloccano lo sviluppo.” E’ dunque grave e sproporzionata, scrive Casini, l’espressione “l’embrione è soltanto un progetto di vita o un essere umano in potenza” ma serve, spesso e molto bene, alla macabra propaganda del “convincere la gente che l’embrione non sarebbe un essere umano ma soltanto un uomo in potenza.”

E allora come mai la stessa “gente” non si chiede cosa comporta, ad esempio, la distruzione di un progetto di un ponte e cosa, invece, l’eliminazione di quella prima cellula d’identità? Certamente e con l’autore, più d’uno risponderebbe: “Se qualcuno avesse eliminato quella mia prima cellula, io non ci sarei. Io non sarei qui a scrivere. Semplicemente mi avrebbero ucciso. (…) A differenza del progetto di un grattacielo o di un ponte io non sono sostituibile”. Altri approfondimenti qui e qui.

Valentina Fanton

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Scienziati sociali contro le adozioni gay

FamigliaUn gruppo di docenti universitari di scienze sociali ha presentato alla Corte Suprema americana un compendio sulla tematica delle adozioni omosessuali e sulla necessità di un bambino di crescere con una madre sposata e un padre sposati.

A firmare il testo sono stati: Douglas W. Allen, ordinario di Economia alla Simon Fraser University (Canada); David J. Eggebeen, professore associato di Human Development and Sociology alla Penn State University; Alan J. Hawkins, docente di Family Life alla Brigham Young University; Byron R. Johnson, docente di Scienze Sociali alla Baylor University; Catherine Pakuluk docente di Economia alla Ave Maria University; Joseph Price, docente di Economica alla Brigham Young University; Mark D. Regnerus, docente di Sociologia all’University of Texas.

I ricercatori sono partiti dalla posizione classica dei sostenitori del matrimonio omosessuale definita “no difference”, la quale sostiene che non vi sia “nessuna differenza” nei bambini cresciuti da una madre e un padre biologici e coloro che sono stati allevati da due donne o due uomini. Tale posizione, fanno notare, è anche quella di associazioni come la American Psychological Association (“APA”). Tuttavia, hanno continuato, le adozioni gay oltre ad essere un fenomeno relativamente nuovo, «come indicano studi recenti, l’affermazione “no difference” è difficile da sostenere perché quasi tutti gli studi su cui si basa tale affermazione sono piuttosto limitati, coinvolgono campioni non casuali e non rappresentativi, spesso con pochi partecipanti. In particolare, la maggior parte di questi studi si basa su campioni di meno di 100 genitori (o figli), di famiglie istruite, di pelle bianca e con con redditi elevati. Questi sono esempi poco rappresentativi della popolazione lesbica e gay e quindi non sono una base sufficiente per fare affermazioni generali su bambini cresciuti in strutture genitoriali dello stesso sesso». Tutto questo è stato riconosciuto anche dall’11° Circuito della Corte d’Appello degli Stati Uniti nel 2004, che ha parlato di «studi con difetti significativi, come l’uso di piccoli e auto-selezionati campioni; dipendenza dagli strumenti self-report; ipotesi politicamente guidate e l’uso di popolazioni di studio non rappresentative, sproporzionatamente ricche ed istruite». E’ evidente che tali studi non possano essere utilizzati per sostenere grandi cambiamenti di ordine pubblico.

Il gruppo di scienziati ha rilevato nel comunicato che, in conseguenza di questo, l’affermazione fiduciosa dell’APA risulta alquanto «sospetta». La posizione “no difference” è «empiricamente minata dalla significativa limitazione metodologica» e, oltretutto, «contraddice la ricerca di lunga data la quale afferma che l’ambiente ideale per l’educazione dei figli è la stabilità biologica del rapporto tra il padre e la madre». Se gli studi su cui si basa l’APA non sono dunque attendibili, «gli unici studi che si basano su grandi dimensioni, su campioni casuali e rappresentativi, tendono a rivelare la conclusione opposta, trovando differenze significative tra i bambini cresciuti da genitori in un rapporto samesex e quelli allevati da una coppia di genitori biologici. E’ pacifico che una madre e un padre biologici forniscono, in media, un efficace e collaudato ambiente per crescere i figli, ed è ragionevole concludere che le funzioni di una madre e un padre forniscono una unità genitoriale complementare dove ognuno tende a dare qualcosa di unico e utile allo sviluppo del bambino».

Dopo aver elencato una serie di studi a dimostrazione di tutto questo, concentrandosi anche sulla letteratura scientifica sull’importanza della presenza specifica del padre e della madre, i ricercatori hanno rilevato: «Le strutture genitoriali samesex, per definizione, escludono la madre o il padre. Certamente coppie dello stesso sesso, come altri tipi di strutture, possono offrire qualità e sforzi di successo nell’educazione dei figli, questo non è in discussione. Ma l’evidenza delle scienze sociali, in particolare le prove basate su conclusioni di campioni rappresentativi, suggerisce il vantaggio unico di una struttura costituita sia da una madre che da un padre. Pertanto rimane razionale per il governo fornire un riconoscimento distintivo e un incentivo verso il matrimonio e la struttura genitoriale che ha dimostrato di essere migliore».

La conclusione finale di questo prezioso compendio recita: «Il matrimonio è il mezzo giuridico attraverso il quale i bambini sono stabilmente uniti con le loro madri e i loro padri biologici, orientato verso uno sviluppo ottimale. I genitori di sesso opposto consentono ai bambini di beneficiare dei distintivi contributi materni e paterni. Alla luce di questi fatti, salvaguardare il matrimonio è una libertà da riconoscere ai bambini, almeno tanto quanto ai loro genitori». Ricordiamo che è possibile visionare in questa pagina la letteratura scientifica contro le adozioni gay, mentre qui si possono leggere le dichiarazioni sul tema di psicologi, filosofi e giuristi.

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Dalle coincidenze dell’universo la confutazione del naturalismo

Nucleosintesi 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Si sente dire spesso che l’immensità dell’Universo prova l’esistenza d’innumerevoli altre forme di vita nelle galassie, cui filosofeggiando si fa seguire come corollario l’irrilevanza cosmica dell’esistenza umana. È un fatto scientifico, invece, che una vita fondata sulla chimica del carbonio (com’è la nostra) o su qualsiasi altro supporto fisico, non potrebbe esistere in un mondo più piccolo. E che, nonostante tutte le risorse profuse in un secolo nelle rispettive ricerche, non abbiamo il minimo indizio di vita aliena, né la minima idea di come si sia originata quella nostrana.

È del 1929 la scoperta da parte di Edwin Hubble dell’espansione dell’Universo, rivelata dallo spostamento verso il rosso dello spettro luminoso delle galassie lontane. Da essa si poté desumere che la grandezza dell’Universo (una quindicina di miliardi di anni luce) è strettamente legata alla sua età (una quindicina di miliardi di anni). Dall’altro lato, a partire da un lavoro di Hans Bethe del 1939, la fisica nucleare sa che le stelle hanno un ciclo di vita durante il quale i nuclei d’idrogeno, di cui sono inizialmente composte, si fondono progressivamente ad assemblare tutti gli elementi della tavola di Mendeleev fino al ferro. Quest’attività della durata di 10 miliardi di anni circa si chiama nucleosintesi stellare. Anche gli atomi che compongono il nostro corpo, in particolare gli elementi ossigeno, carbonio, azoto e fosforo del DNA, furono sintetizzati nella fornace di un’antica stella, tra le prime nate dopo il Big Bang, in un lavorio durato 10 miliardi d’anni. Nell’esplosione finale, durante cui apparvero gli elementi chimici più pesanti, si staccò il frammento che è la nostra Terra e noi uomini siamo forme pensanti, organizzate sul fango di quella proto-stella ormai svanita.

Fra 5 miliardi di anni, quando avrà esaurito il suo combustibile nucleare, anche il nostro Sole uscirà dalla sequenza principale di produzione. Simile ad una cipolla dagli strati contenenti ordinatamente tutti gli isotopi dall’idrogeno al ferro 56, esso si dilaterà allora a “gigante rossa”, inghiottendo la Terra e i pianeti più interni. Gli oceani terrestri bolliranno a milioni di gradi e ogni forma di vita terrestre, ammesso che sia sopravvissuta fino ad allora, scomparirà nell’inferno di plasma. Qualche centinaio di milioni di anni dopo, la gigante rossa esploderà come una bolla di sapone in supernova, producendo gli isotopi più pesanti e disperdendo nello spazio il suo magazzino di prodotti chimici finiti, dall’idrogeno all’uranio.

Un Universo più piccolo di 10 di miliardi di anni luce non avrebbe l’età per aver ospitato il ciclo completo di una stella e pertanto non conterrebbe corpi celesti freddi con gli atomi necessari alla vita, ma solo fornaci nucleari in ebollizione e nubi sparse d’idrogeno e di elio. Facciamoci quattro conti in tasca:

  • Una decina di miliardi di anni per la nucleosintesi e l’esplosione in supernova della proto-stella;
  • mezzo miliardo di anni per il raffreddamento del frammento Terra, il suo aggancio ad un Sole nuovo di zecca e la precipitazione dell’abiogenesi dei primi batteri;
  • 3,5 miliardi di anni per la speciazione, culminata in Homo sapiens sapiens;
  • Totale: 14 miliardi di anni (e un Universo grande 14 miliardi di anni luce).

Aveva dunque ragione Gilbert K. Chesterton a dire che l’Universo non è affatto grande per noi, ma “è pressappoco il buco più piccolo in cui un uomo può ficcare la sua testa”. Solo chi non si rende conto della complessità fisica della materia-energia, della complessità chimica della vita nella complessità del suo habitat fisico, e del mistero dell’Io umano può credere il contrario…

Come avviene la sintesi degli elementi nelle stelle? Si è scoperto che questo è un processo accuratamente confezionato al momento del Big Bang da una serie di coincidenze nei valori di alcune costanti fisiche. Altrove ho spiegato che, come la nube degli elettroni intorno al nucleo atomico ha configurazioni energetiche discrete, anche il sistema dei protoni e dei neutroni nel nucleo (i nucleoni) si dispone su livelli quantizzati, a righe nitidamente osservabili. Quando i nucleoni passano da un livello energetico ad uno più basso viene emessa energia e, all’opposto, l’immissione dall’esterno di energia può favorire la transizione del nucleo ad un livello più alto. Questa chimica nucleare a livelli quantizzati è alla base della catena di reazioni che avvengono nelle stelle.

Naturalmente la prima reazione che accade al centro di una stella giovane, in seguito alla pressione della gravitazione, è la fusione d’idrogeno in elio, con un’emissione di energia che momentaneamente allenta la pressione. Però la riserva d’idrogeno sarebbe destinata a svanire velocemente se poi, alla contrazione gravitazionale con densità di decine di tonnellate per litro, non corrispondesse anche una salita della temperatura a un centinaio di milioni di gradi, che fa scattare una seconda reazione nucleare: la fusione di elio in carbonio. La fisarmonica di reazioni esotermiche decongestionanti, seguite da contrazioni, seguite da aumento di temperatura e nuove reazioni sintetizzatrici di nuovi elementi chimici e passanti sempre per la produzione del carbonio, scandisce lo schema della sintesi di elementi sempre più pesanti nelle caldere stellari. Tuttavia, perché la fusione di elio in carbonio (3 He4 → C12) avvenga, è necessaria la concomitanza di 3 coincidenze.

Prima coincidenza. La fusione diretta per collisione di 3 isotopi dell’elio è un evento troppo improbabile per dar luogo ad una significativa produzione di carbonio. Resta la strada indiretta che passa attraverso la produzione intermedia di berillio: prima 2 atomi di elio fondono in berillio (2 He4 → Be8), e poi la collisione di un atomo di elio con il berillio produce il carbonio: He4 + Be8→ C12. Perché ciò avvenga però, è necessario che l’isotopo di berillio abbia la durata di vita “giusta”, abbastanza lunga rispetto alla frequenza delle collisioni tra nuclei d’elio e alla loro durata (così da consentire anche la seconda reazione, che lo trasforma in carbonio), ma non troppo lunga da esser un elemento quasi stabile (e rendere la reazione violenta al punto da esaurire tutta la riserva d’idrogeno in berillio, senza produzione di altri elementi). Ebbene è risultato che il berillio ha una longevità di ~10-17 secondi, che è lunga rispetto ai tempi d’urto dei nuclei di elio (~10-21 s) ed ottimale per la produzione del carbonio e degli elementi successivi.

Seconda coincidenza. La longevità del berillio è una condizione necessaria, ma non sufficiente alla produzione di carbonio. Perché la fusione nucleare avvenga effettivamente, occorre che la somma dei livelli energetici dei nuclei di elio e berillio reagenti (7,37 MeV) sia leggermente inferiore al livello energetico del carbonio prodotto: solo così la reazione entra in “risonanza” e, con un piccolo ammontare di energia extra fornita dal calore di caldera, precipita. Ebbene, si è trovato che il livello quantico dell’isotopo 12 del carbonio è 7,66 MeV, appena superiore a quello dei reagenti! Se esso fosse inferiore, la reazione non potrebbe accadere; se la sua superiorità fosse più marcata, la reazione sarebbe rara. Con questi valori, essa accade e produce abbondante carbonio.

Terza coincidenza. La storia spericolata del carbonio non finisce qui. Sul neonato ora incombe la minaccia di una repentina eliminazione, con la sua trasformazione in ossigeno: He4 + C12 → O16. L’evento (catastrofico per l’apparizione di futuri osservatori) può essere controllato solo se il livello quantico dell’isotopo 16 dell’ossigeno è leggermente inferiore alla somma dei livelli dei reagenti (7,16 MeV). Ciò che, come il lettore ormai ha desunto dal fatto di essere vivo, risulta puntualmente: 7,12 MeV è infatti il livello energetico dell’ossigeno, con un’inferiorità giusto dello 0,6%.

Ecc., ecc., in una serie di altre, felici concomitanze per gli elementi chimici successivi. Come si spiegano queste coincidenze stellari senza cui, come notò per primo Fred Hoyle nel 1953, non esisterebbe la vita? In ultima istanza scientifica, esse derivano dai rapporti di forza dei campi fisici e di massa di nucleoni ed elettroni. Una ventina di Numeri che a priori, in ipotetici universi, potrebbero essere qualsiasi, nel nostro Universo invece hanno fin dal Big Bang i valori necessari per la (futura) comparsa di osservatori come noi umani. Né potrebbe essere altrimenti, se siamo qui a rilevarlo! Questa ovvia considerazione si chiama “principio antropico” (debole) ed è un’assunzione scientifica, capace di predizioni controllabili. Per es., con riferimento alla seconda coincidenza del carbonio, Hoyle prima previde col principio antropico l’esistenza di una risonanza dell’isotopo C12intorno ai 7,7 MeV” e solo dopo furono sperimentalmente cercate e misurate le righe che confermarono la sua predizione.

La cosa sorprendente però è un’altra: è la sintonizzazione “ultrafine” di questi Numeri, stante nel fatto che una minima variazione dei loro valori al Big Bang avrebbe reso impossibile qualsiasi forma di vita. Se uno solo dei Numeri – che infine regolano i giochi di fisica, chimica e biologia – fosse appena diverso, l’Universo sarebbe un singolo buco nero, o un insieme di buchi neri, o una polvere di particelle non interagenti, o sarebbe costituito di solo elio, e così via. In tutti i casi l’uniformità del paesaggio (ad entropia costante, quindi senza trasformazioni termodinamiche, quindi zero chimica, quindi no metabolismi) impedirebbe ogni forma di vita immaginabile. Per dare un’idea della finezza della sintonia, dirò solo che se la costante di gravitazione G o d’interazione nucleare debole gW fossero diverse per 1 parte su 1050, noi non saremmo qui.

Dalla sintonia fine io traggo una confutazione del naturalismo: il nostro Universo fisico non è una realtà chiusa, auto-esplicativa. Ogni spiegazione della sintonia fine infatti, può solo poggiarsi sull’esistenza di una seconda realtà inosservabile, che “trascende” l’Universo fisico in cui viviamo. Questa realtà metafisica si riduce infine a 2 opzioni: o un’Agenzia Trascendente Razionale (che tutti chiamano “Dio”) ha creato questo Universo, ordinandolo fin dal principio per la vita; o un’Agenzia Trascendente Cieca ha prodotto infiniti universi paralleli (il “multiverso”), con leggi fisiche e costanti cosmologiche disparate, e noi per caso ma necessariamente ci troviamo in una (rara) isola abitabile. Se, nel primo scenario, la scienza consiste nello scoprire le leggi di Natura – che vuol dire “conoscere i pensieri di Dio” (A. Einstein) –, mi chiedo: che cosa significa “scienza” per chi crede nel multiverso?

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Altro fuoco amico su Richard Dawkins

Richard Dawkins Douglas Murray scrittore e giornalista inglese, nonché direttore del think thank Centro di Coesione Sociale, distintosi negli ultimi anni come strenuo critico del fondamentalismo islamico, dalle colonne del prestigioso quotidiano The Spectator muove un’acuta critica al re degli ateologi Richard Dawkins, il quale nel corso di un intervento alla Cambridge Union Society aveva affermato che: «Non c’è posto per la religione nel XXI secolo».

Per la verità, la dichiarazione di Dawkins, era stata già ampiamente criticata di fronte ad un uditorio di 800 persone – in gran parte studenti – lo scorso gennaio. L’esito della votazione alla mozione proposta dallo scienziato, infatti, aveva sancito la sconfitta di Dawkins con 324 voti a lui sfavorevoli, contro i 136 a suo favore. «La religione è un’offesa all’intelligenza, un’offesa a tutto ciò che c’è di meglio, e che fa di noi esseri umani – aveva detto in quell’occasione il professore ateo – si tratta di una sostituzione fasulla alle spiegazioni, che pretende di dare risposte alle questioni, prima ancora che siano esaminate… Spaccia false spiegazioni per vere, dove potrebbero invece esserci spiegazioni autentiche, false spiegazioni che intralciano gli sforzi per scoprire le vere spiegazioni».

Ma come afferma Douglas Murray che, tra l’altro, tiene a precisare di essere agnostico: «La religione, fornisce alla gente ancora un posto per fare domande che tutti dovrebbero porsi: perché siamo qui? Come vivere? Come possiamo essere migliori? Certo l’ateismo un giorno potrebbe rispondere a tali domande. Ma attualmente la sua voce è debole. È debole sulla sofferenza umana e la tragedia. E anche se non ha niente da dire, parla a malapena alla morte. Ha poco, se non nulla da dire sul perdono umano, sul rimorso, sul rimpianto o sulla riconciliazione. Queste non sono piccole ellissi. Fino a quando l’ateismo non riesce a dire qualcosa su questi vuoti, il suo voler mettere al bando la religione sembra del tutto una spinta non solo a privare i singoli di una consolazione di cui il professor Dawkins si fa beffe – anche se avrebbe fatto meglio ad affrontare – ma anche per togliere di mezzo molte discussioni di dimensioni profonde».
Conclude Murray: «Miei amici atei, è tempo di ammettere che la religione ha molti punti in suo favore».

Giovanni Balducci

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Referendum scuola a Bologna: comunisti contro moderati

Referendum BolognaIl 26 maggio i cittadini di Bologna saranno chiamati alle urne per un referendum consultivo (cioè senza raggiungimento del quorum), dal costo di 500mila euro, per scegliere se abolire o meno il finanziamento comunale alle scuole paritarie convenzionate. Si tratta di un’iniziativa portata avanti da frange rosse e stataliste, riunitesi sotto il comitato «Articolo 33» formato da Sinistra Ecologia e Libertà (SEL) e dal Movimento 5 Stelle locale.

Militanti a favore dei referendiani l’impresentabile Fatto Quotidiano nonché tutto il potpourri di personaggi con cattiva fama comunista come Margherita Hack, Paolo Flores d’Arcais, Carlo Flamigni, Andrea Camilleri e Sabina Guzzanti (mancano Odifreddi e Augias, qualcuno li svegli!), comandati dall’onnipresente laicismo di Stefano Rodotà. Non a caso il prof. Ruben Razzante, ordinario di Scienze politiche, ha parlato di Bologna come somigliante «sempre più alla Stalingrado d’Italia».

Contrari a questo esercito di ideologia, invece, ci sono tutte le forze moderate, a partire dal PD e dal PDL bolognesi, le associazioni delle scuole libere, la Curia, il sindaco Virginio Merola (PD), la CISL e i padri della convenzione che dal 1994 regola il sistema di scuole dell’infanzia paritarie come l’ex sindaco Walter Vitali, il suo vice Luigi Pedrazzi e gli ex assessori Paolo Ferratini e Luciano Vandelli. Il segretario del Pd bolognese, Raffaele Donini è sceso in campo, assieme al suo partito, per difendere le scuole materne private «che sono paritarie e svolgono un servizio pubblico. Votate B al referendum, B come bambini e come Bologna» (qui il video). L’ex sindaco Walter Vitali ha detto: «È una vecchia idea della sinistra, quella della scuola pubblica intesa come statale. La sinistra più moderna da almeno vent’anni sta cercando di superarla, mentre c’è qualcuno ora che la vuole riportare in vita. Una vittoria della risposta “A” porterebbe a maggiori oneri per l’amministrazione pubblica, e quindi a una minore di possibilità di soddisfare le richieste scolastiche ed educative delle famiglie». Anche Matteo Renzi e i renziani si sono schierati a favore del finanziamento. Altri sostenitori della libertà d’educazione sono numerosi ricercatori e docenti universitari, nonché politici di ogni colore e appartenenza.

Il primo firmatario del Manifesto per la libertà d’educazione è l’economista Stefano Zamagni, ordinario di Economia presso l’Università di Bologna. «Vogliono farsi male da soli», ha detto rivolgendosi ai personaggi dell'”Articolo 33″, «approfittano del fatto che la gente non ha le idee chiare, ma le persone capiranno e non avranno esitazioni».

Il rischio, come ricorda Repubblica, è che 1.600 bambini possano restare fuori dalle scuole. A Bologna, infatti, ci sono 27 scuole dell’Infanzia paritarie convenzionate che accolgono il 21% dei bambini e ricevono meno del 3% (cioè un milione) delle risorse che il Comune investe sulla scuola dell’Infanzia. Il costo pubblico sostenuto per ogni bambino che frequenta le scuole paritarie è pari a circa al 9% di quello sostenuto per un bambino accolto nelle scuole comunali. Destinando il milione di euro alle scuole statali, così come vorrebbero i referendari, si potrebbero ottenere non più di 160/170 posti, mettendo a rischio però i 1.736 bambini accolti nelle scuole private paritarie. I detrattori delle scuole paritarie non capiscono che i soldi destinati a questi istituti non sono dati ai privati, ma soldi destinati ad un sistema scolastico integrato che si fonda su principi costituzionali e normato da leggi dello stato (L. 62/2000).

«L’occasione è locale», ha spiegato il prof. Zamagni, «ma la posta in gioco è evidentemente nazionale. Si vuole di fatto espungere dalla Costituzione l’articolo 118, laddove viene introdotto nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà. Infatti vi si dice che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Non dice: devono tollerare o riconoscere, ma: favorire. E “favorire” ha un significato molto preciso per chi se ne intende di questioni economiche». I referendari invocano l’articolo 33 della Costituzione, dove si parla di soggetti che possono istituire scuole ma «senza oneri per lo Stato», il prof Zamagni replica: «appunto: si parla di istituire, e non di gestire una realtà già esistente, come a Bologna, dove nessuno ha mai chiesto al Comune finanziamenti per creare nuove scuole materne; l’amministrazione deve però consentire alle scuole materne di realizzare il principio di libertà di scelta da parte dei genitori». Evitare oneri significa che «non si possono chiedere risorse all’ente pubblico gravandolo; ma nel caso di specie è vero esattamente il contrario: il Comune di Bologna eroga annualmente alle scuole materne e paritarie un milione di euro, ricevendo dalle stesse un contributo in termini di posti per l’infanzia pari a sei milioni. Siamo di fronte a un caso plateale in cui è la società civile che finanzia l’ente pubblico e non il contrario». La Costituzione non dice senza pagamenti, ma senza oneri: se il comune paga un milione e riceve un beneficio di 6 milioni è chiaro che non c’è l’onere.

Il problema di fondo è la solita avversione ai cattolici , ha spiegato l’economista Zamagni: «Ci sono a Bologna 27 scuole partiarie, 25 sono di matrice cattolica e due non cattoliche. Se fosse vero il viceversa non ci sarebbe stato il referendum. La motivazione ideologica è dunque ispirata ad un laicismo che si sperava fosse scomparso e che invece continua a scorrere come un fiume carsico. È evidente che si tratta di persone malate di ideologismo.

Il 26 maggio al quesito referendario bisognerà rispondere «B, come Bologna», il risultato avrà un significato nazionale. Tutti, anche i non bolognesi, possono firmare il manifesto a questa pagina. Qui il gruppo Facebook.

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Jack Nicholson: «sono contro l’aborto, grato per la vita»

Jack NicholsonGià nei precedenti articoli abbiamo parlato dei celebri attori e cantanti ProLife, molti dei quali protagonisti di esperienze affascinanti.

Oggi, riportiamo l’esperienza che vede protagonista il noto attore Jack Nicholson, il quale ha dichiarato in pubblico di essere contro l’aborto: “Nella mia circoscrizione sono positivamente contrario all’aborto.[…] Non ho diritto a nessun altro punto di vista. La mia unica emozione è la gratitudine per la vita”.

Per chi non lo sapesse: Jack Nicholson qualche tempo fa scoprì durante un intervista giornalistica che sua madre in realtà era sua nonna e che la donna che lui considerava sua sorella, in realtà, era sua madre, la quale, in seguito a una relazione clandestina con un uomo sposato era stata abbandonata trovandosi a vivere la situazione di molte ragazze madri. In relazione a questa vicenda Nicholson se ne uscì con questa affermazione su Vanity Fair: “Perché me la sarei dovuta prendere per qualcosa che ha funzionato molto bene? […] Le due donne sono state sempre magnifiche con me, io stavo bene con loro”.

E’ interessante notare come Jack Nicholson dicendo “Non ho diritto a nessun altro punto di vista” anteponga la propria esperienza realmente vissuta a qualsiasi ideologia o preconcetto. Basta pensare inoltre quanto possiamo noi essere grati per l’esistenza di Jack Nicholson e per il suo contributo cinematografico che va dal Joker (Batman, 1989) a Frank Costello (The Departed, 2006).

Lorenzo Bartolacci

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Nuovo studio: EllaOne è abortiva, impedisce annidamento

EllaoneE’ online, sul sito della prestigiosa rivista internazionale Trends in Pharmacological Sciences, l’articolo: “Ulipristal acetate in emergency contraception: mechanism of action”. Gli autori, i Ginecologi padovani Bruno Mozzanega, Erich Cosmi e Giovanni Battista Nardelli, Direttore quest’ultimo della Clinica Ginecologica dell’Università, discutono il meccanismo d’azione di Ulipristal Acetato (UPA), commercializzato come ellaOne per la contraccezione di emergenza (CE).

Ogni compressa di ellaOne contiene UPA micronizzato 30 mg (equivalente a UPA non micronizzato 50 mg) ed è efficace fino a 120 ore dal rapporto non protetto. I produttori – riferiscono gli autori – sostengono che UPA agisca ritardando l’ovulazione ed escludono qualsiasi interferenza con l’impianto dell’embrione. Essi basano la loro conclusione su quattro studi sperimentali che valutano gli effetti di UPA sull’ovulazione e sull’endometrio umano e queste conclusioni sono condivise dalle più autorevoli agenzie del farmaco internazionali. La FDA statunitense aggiunge soltanto che alterazioni dell’endometrio potrebbero contribuire all’efficacia di UPA, mentre l’EMA (European Medicines Agency) menziona solamente il posticipo dell’ovulazione. Le più importanti società scientifiche e molte reviews si rimettono completamente a queste conclusioni e ripetono che ellaOne, somministrato immediatamente prima dell’ovulazione, ritarda significativamente la rottura del follicolo.

I tre medici padovani, tuttavia, esaminando in modo approfondito i medesimi articoli, mettono in discussione le conclusioni di cui sopra, sia riguardo agli effetti sull’ovulazione sia riguardo a quelli sull’endometrio:

EllaOne e ovulazione: Un solo studio (Brache V. e collaboratori) valuta gli effetti di UPA nel periodo fertile. In esso si afferma che UPA può ritardare la rottura del follicolo anche se somministrato immediatamente prima dell’ovulazione, un dato che viene enfatizzato nel titolo. In questo studio si rileva che gli effetti di UPA sono fortemente dipendenti dai livelli dell’ormone luteinizzante (LH) al momento della somministrazione del farmaco: prima dell’inizio della crescita di LH, la capacità di UPA di ritardare l’ovulazione era del 100%; dopo l’inizio ma prima del picco di LH, essa scendeva al 78.6%, mentre dopo il picco cadeva all’8.3%.

Inoltre, nel riportare l’intervallo fra la somministrazione di UPA e la rottura del follicolo, Vivian Brache riporta letteralmente che “quando UPA veniva dato al momento del picco di LH, la distanza temporale fra l’assunzione del farmaco e l’ovulazione era simile a quella osservata col placebo (1.54  ± 0.52 versus 1.31  ± 0.48)”.  Secondo gli studiosi padovani, questo dato indica con chiarezza che sia il placebo sia l’Ulipristal sono ugualmente inefficaci quando vengono somministrati circa due giorni prima dell’ovulazione; il che è l’opposto di quanto affermato dalla Brache nelle sue conclusioni. Poiché i giorni fertili sono i 4-5 precedenti l’ovulazione più il giorno stesso dell’ovulazione, i Ginecologi padovani concludono che UPA è in grado di ritardare l’ovulazione soltanto se viene assunto nei primi giorni fertili, mentre nei giorni più fertili (il pre-ovulatorio e i due giorni intorno a esso), UPA si comporta come un placebo.

Nonostante questi limiti evidenti, tuttavia, l’efficacia di UPA nel prevenire le gravidanze è molto alta (≥80%) e non diminuisce, in qualunque dei cinque giorni successivi al rapporto non protetto esso venga assunto. Questo è sorprendente – a detta degli studiosi padovani – se si pretende di affermare che l’efficacia di UPA sia dovuta alla sua azione anti-ovulatoria, la quale decresce con l’avvicinarsi dell’LH al suo picco: l’efficacia dovrebbe progressivamente ridursi col trascorrere dei giorni e l’avvicinarsi dell’ovulazione. D’altra parte, – si chiedono – come potrebbe mai UPA, se assunto dopo l’ovulazione, ritardare una rottura del follicolo che può anche essere avvenuta fino a quattro giorni prima (è il caso di un rapporto nel giorno pre-ovulatorio con assunzione del farmaco 5 giorni dopo). Tutto questo suggerisce che l’efficacia di ellaOne si basi su altri meccanismi, in particolare sui suoi effetti endometriali.

EllaOne e l’endometrio: Bruno Mozzanega e i suoi co-Autori riportano, a questo proposito, che gli studi sperimentali concludono che la quantità di UPA necessaria per modificare la morfologia endometriale è più bassa di quella richiesta per alterare la crescita dei follicoli. L’effetto inibitorio dell’UPA si esplica direttamente sul tessuto endometriale attraverso l’inibizione dei recettori per il progesterone e si osserva anche dopo una singola somministrazione della sua dose più bassa.

Lo studio prosegue con l’analisi dei tre articoli che riportano gli effetti di Ulipristal sull’endometrio: quando UPA non micronizzato (1-100 mg) viene somministrato nella fase medio-follicolare, una fase che precede il periodo fertile, tutte le dosi inibiscono la maturazione luteale dell’endometrio in egual modo. L’ovulazione viene certamente posticipata, ma il periodo fertile non è ancora iniziato. L’effetto inibitorio sull’endometrio dura a lungo: si osserva anche nelle fasi luteali fortemente ritardate che seguono la rottura di un nuovo follicolo dominante e persiste fino al flusso mestruale successivo. Questo significa che tutti i rapporti non protetti che si verificassero in quel ciclo dopo l’assunzione di Ulipristal potrebbero portare al concepimento, ma senza alcuna possibilità di annidamento.

Se UPA non micronizzato (10-100 mg) viene somministrato nella fase luteale iniziale, si osserva sempre una riduzione dello spessore endometriale, senza variazioni nei livelli luteali di estrogeni e progesterone. Inoltre, le dosi più alte, 50 mg – equivalente a ellaOne – e 100 mg, inibiscono significativamente l’espressione endometriale (legata al progesterone) di quelle sostanze che indicano che l’endometrio è pronto per l’annidamento. Le “node-addressine” periferiche appaiono significativamente diminuite, e questo si associa a fallimento dell’impianto. Le cellule del trofoblasto (cioè le cellule periferiche dell’embrione attraverso le quali si nutrirà), infatti, iniziano l’annidamento legandosi con le  proprie L-selectine alle addressine dell’endometrio. Quando, infine, UPA non micronizzato viene somministrato nella fase medio-luteale, a singole dosi da 1 a 200 mg, le dosi più alte inducono costantemente un sanguinamento endometriale anticipato. Questo effetto si osserva anche nel 50% delle donne trattate con 50 mg, la dose equivalente a ellaOne.

Tutte queste osservazioni – affermano Mozzanega e co-Autori – evidenziano che gli effetti endometriali di Ulipristal possono interferire con l’annidamento dell’embrione e che l’elevata efficacia di ellaOne nella contraccezione d’emergenza probabilmente è dovuta a questi effetti endometriali, piuttosto che a effetti anti-ovulatori. E’ esattamente il contrario di quanto divulgano l’OMS, le maggiori agenzie internazionali del farmaco e le più rappresentative società scientifiche: esse infatti sostengono che ellaOne sia antiovulatorio e quindi prevenga il concepimento, mentre invece i dati scientifici indicano un meccanismo d’azione prevalentemente post-concezionale e di contrasto all’annidamento.

Anna Fusina

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