L’Inquisizione romana più umana e con poche condanne

InquisizioneL’Inquisizione è una delle armi preferite per aggredire e colpevolizzare i cattolici. Così come l’accusa di omofobia, l’Inquisizione viene citata per mettere subito a tacere qualunque cattolico osi esporre una critica, magari contro un’opera artistica ritenuta blasfema e offensiva. La frase: “Guarda che l’Inqusizione è finita, eh?” scatta come riflesso pavloviano per zittire il cattolico reo di aver esternato una sua opinione negativa.

Evidentemente la campagna anticattolica illuminista e protestante è stata davvero efficace. Già, perché la verità storica è ben diversa, non che questo ovviamente importi ai nemici della Chiesa. Tuttavia riteniamo importante far notare alcune pubblicazioni recenti, lo abbiamo già fatto segnalando il saggio di Marina Montesano, docente di Storia medievale nell’Università di Messina, la quale ha rivelato che il fenomeno non era per nulla sviluppato nel Medioevo, ma «proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose». Inoltre, l’Inquisizione fu una questione decisamente protestante e meno cattolica, tanto che «circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania […]. I riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione». Al contrario, l’Inquisizione spagnola -cattolica, per capirci meglio- «ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale».

Christopher Black, professore di Storia d’Italia all’università di Glasgow, ha pubblicato nel 2013 il libro Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013), con il quale ha sfatato la tesi, tramandataci dalla storiografia anticlericale, secondo cui l’Inquisizione romana fu nient’altro che un “tribunale sanguinario”, documentando come le sentenze di morte furono “relativamente poche” se confrontate a quelle di quasi tutti gli altri tribunali italiani, la tortura “più rara”, e si diedero ai “rei” concrete opportunità di “patteggiamento della pena”.

La storica Montesano ha recensito a sua volta in questi giorni il volume dello storico scozzese spiegando che «alla conoscenza dell’operato dell’inquisizione in Italia hanno contribuito negli ultimi decenni molti studi (a partire da quelli di Romano Canosa e di Adriano Prosperi), alla luce dei quali si può dire ormai superato, almeno in ambito storiografico, il pregiudizio su un’istituzione vista come unicamente assetata di sangue, pronta a torturare e condannare a morte in base a ogni pretesto».

Viene anche spiegato che le diverse Inquisizioni, come quella spagnola, della Repubblica di Venezia o quella siciliana erano indipendenti dalla Santa Sede, così come quelle di altri paesi cattolici che usavano strumenti di controllo e di repressione o di moderata tolleranza rispetto ai gruppi cristiani riformati, «con ciò vanificando il lavoro del sant’Uffizio». Per quanto riguarda gli ebrei, nei territori della Santa Sede, «non subirono mai il trattamento riservato loro in Spagna e non furono costretti alla conversione; ma certamente il controllo sulle loro comunità si intensificò e irrigidì: in particolar modo si prestava attenzione ai casi in cui conversioni spontanee – generalmente ottenute per mezzo della catechesi condotta dai gesuiti – di ebrei non fossero osteggiate da parenti e conoscenti; si indagava sulle frequenti denunce di profanazioni compiute contro oggetti e figure sacre dei cristiani; si esercitava un controllo sul contenuto dei testi religiosi degli ebrei».

Rispetto alla magia e alla stregoneria, continua la Montesano seguendo le affermazioni del volume di Black, «si deve sottolineare come sia ormai opinione condivisa che l’Inquisizione del Sant’Uffizio si comportò in modo più scettico e rigoroso nell’accertamento delle colpe di quanto facevano contemporaneamente i tribunali laici e le gerarchie ecclesiastiche locali, più facilmente inclini a cedere alle istanza fanaticamente persecutorie espresse dalla società civile». I processi in ogni caso, concentrati più su pratiche antireligiose o blasfeme, «difficilmente venivano conclusi da condanne gravi: ma era necessario che l’imputato facesse ammenda e riconoscesse i propri errori».

La conclusione di Christopher Black è che, quando la Santa Sede sottraeva competenze e poteri alle autorità laiche, questo giocava «a vantaggio degli imputati, consentendo loro di essere sottoposti a istruttorie e processi duri ma rigorosi, soprattutto per quanto riguarda l’impiego della tortura, cui Black dedica un dettagliato paragrafo, sottratti alle logiche localistiche che risultavano generalmente penalizzanti per i soggetti più deboli».

Seppur più umana e tollerante, anche l’Inquisizione del Sant’Uffizio era certamente una pratica sbagliata, ma è errato anche giudicare la storia con la mentalità odierna e dopo il progresso dei diritti umani, dovuti proprio grazie al continuo richiamo dei valori cristiani. La Chiesa si è domandata: «si può investire la coscienza attuale di una “colpa” collegata a fenomeni storici irripetibili, come le crociate o l’inquisizione? Non è fin troppo facile giudicare i protagonisti del passato con la coscienza attuale?», sottolineando anche che «la sua “domanda di perdono” non deve essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della sua storia bimillenaria certamente ricca di meriti nei campi della carità, della cultura e della santità. Essa risponde invece a un’irrinunciabile esigenza di verità, che accanto agli aspetti positivi, riconosce i limiti e le debolezze umane delle varie generazioni dei discepoli di Cristo». La stessa presa di coscienza dovrebbe essere fatta anche da tutti coloro che fino ad oggi hanno mentito circa l’analisi storica del fenomeno dell’Inquisizione.

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Campo che converte i gay effeminati? No, è una bufala

Raymond BuysSudafrica: “Tre morti nel campo che convertiva gay effeminati in veri uomini”. Lo titola il portale gay.it, ma Google ci dice che è l’intero web a parlarne. Non solo le bacheche di Facebook, ma persino i quotidiani rimbalzano la notizia: “Il fatto quotidiano”, ad esempio, descrive quel campo come creato per «eliminare la loro omosessualità e renderli “normali”, con un addestramento feroce, soprusi, torture».

Inorridito e incredulo che nel modernissimo Sudafrica ci fossero genitori disposti a pagare 1.900 euro per inviare figli in simili lager (oltre ad autorità in grado di concedere permessi per l’esercizio di simili attività), ho sentito l’urgenza di fare qualche verifica sulle fonti trovando una prima e documentata ricostruzione sul Dailymaverick. La scoperta? La notizia è vera, ma solo a metà. Ad essere falsa, in particolare, è la metà più sensazionalista: i tre adolescenti morti ci sono ma non si tratta affatto di un campo di conversione per gay, né, ancora, ci sono prove che quelle tre povere vittime fossero omosessuali

In effetti, il tizio che avrebbe allestito questo campo paramilitare (Alex de Koker) è in questi giorni alla sbarra, a Johannesburg, con l’accusa di omicidio. Le prove lo inchiodano. L’“Echo Wild Game Rangers” (questo il nome del campo) era infatti condotto con metodi severi e violenti. Ma non era un campo per gay: era un campo – recitava lo slogan – “To Make Men Out Of Boys” (“per trasformare i ragazzi in uomini”).

E i gay? Andiamo con ordine. Sembra che a dare per primo la notizia del processo, il 24 aprile, sia stato il Telegraph, dove l’ultima vittima (Raymond Buys) è descritta come «sofferente di problemi di apprendimento»; un ragazzo che – aggiunge il Dailymaverick intervistando la madre – era stato «lasciato al cancello del campo per via della sua natura ribelle». Non un omosessuale, insomma, ma un adolescente problematico, come – si legge – le altre due vittime e come i tanti che, nel disagio di simili contesti (si pensi al servizio di leva), sono tristemente candidati ad attirare le antipatie dei capetti di turno, magari a conoscere perfino la morte se a dare gli ordini sono criminali come De Koker.

L’equivoco nasce il 25 aprile, quando Melanie Nathan – un avvocato che si batte in difesa degli omosessuali – nel suo blog gay-friendly, scrive un pezzo per contestare i metodi di conversione degli omosessuali e, in merito a quel fatto di cronaca, avanza l’ipotesi, usando condizionale e senza offrire alcuna prova, che le tre vittime potessero essere «effemminate». È la prima a farlo: non lo si legge infatti negli articoli precedenti, né nelle dichiarazioni di polizia, familiari e colleghi di campo (tutte linkate dal Dailymaverick). Le sue supposizioni, ad ogni modo, vengono immediatamente prese per oro colato: la notizia si ingigantisce a tal punto che, nel giro di un paio di giorni, la propaganda omosessualista, accolta acriticamente da molte redazioni, racconta della scoperta di un diabolico campo di conversione e sterminio per giovani gay odiati dai genitori. Non c’è portale gay dove la notizia non appaia.

La cosa non finisce qui. Continuo a seguire il caso (che, per inciso, in Sudafrica non sembra aver appassionato nessuno) e il primo maggio, mi imbatto in un articolo un certo Andre Bekker, un ex-gay, oggi teorico di un metodo per uscire dall’omosessualità. Il suo articolo, per la verità, mira a smontare le riflessioni che l’attivista Melanie Nathan aveva suggerito nel suo pezzo. Ma Bekker – quel che più ci interessa, al di là della polemica su simili “guarigioni” – torna a quel fatto di cronaca e fa notare che «non c’è nessuna prova che suggerisca che i crimini siano stati condotti in ragioni dell’omosessualità delle vittime». E aggiunge: «alla luce di ciò, sembra che ciò che si racconta nei media non sia altro che propaganda, basata su una mezza verità». I miei sospetti sono finalmente condivisi.

A sbrogliare la matassa interviene finalmente Truthwinsout (un movimento sudafricano che si batte contro la discriminazione religiosa dei gay), che, sempre il primo maggio, è costretto ad ammettere: «il caso è stato raccontato con molta irresponsabilità e con falsi titoli circa l’omosessualità dei ragazzi e gli scopi del campo». E fa di più: contatta proprio Melanie Nathan, l’attivista che avrebbe acceso l’incendio, la quale concorda: «purtroppo alcuni bloggers e alcune testate giornalistiche hanno inserito nella storia parole che nessuno ha mai detto». Ma nemmeno questo basta: il tam tam continua impazzito e inarrestabile e persino autorevolissimi portali dell’informazione italiana si ostinano a rilanciare la falsa notizia: “Sudafrica – titola, ancora il 6 maggio, l’Huffington Posttre ragazzi morti torturati nel campo per rieducare i gay”.

Insomma: siamo dinnanzi all’ennesima bufala prodotta dal propaganda omosessualista, che non si ferma nemmeno davanti ai corpi di tre poveri adolescenti e e che si disinteressa persino delle nette smentite di chi avrebbe messo in giro la notizia. Googlare per credere: la bufala, venduta come immacolata verità, è diventata virale; nessuno si è procurato di verificarla (quindi di smentirla; credo che in Italia lo si faccia per primi su questo sito) e il mondo si è ormai irrimediabilmente convinto che in Sudafrica sia stato chiuso un campo dove si uccidevano omosessuali nel tentativo di “normalizzarli”. A distanza di ormai una decina di giorni, i portali gay già parlano d’altro; la propaganda, insomma, con uno stile da far impallidire il MinCulPop, pare aver vinto. Non contro di noi, che, invece, di questa storia vorremmo continuare a parlarne, per porci un semplice interrogativo: a cosa serve tutto ciò?

O. Ottonelli

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8×1000 alla Chiesa cattolica, un pensiero a Massimo Teodori

MissionariaAnche quest’anno milioni di italiani destineranno l’8×1000 alla Chiesa cattolica, ovvero l’unica istituzione radicata sufficientemente sul territorio nazionale e internazionale da permettere che questo denaro sia investito in modo efficace nelle missioni internazionali di carità, nel sostegno economico ai sacerdoti e missionari e nella manutenzione strutturale delle chiese e dei vari Centri di aiuto alla popolazione.

Abbiamo risposto a tutte le pretestuose critiche contro l’8×1000 in questo articolo, che ritorna d’attualità ogni anno durante il periodo di dichiarazione dei redditi. La destinazione dell’8×1000 è una scelta volontaria, nessuno obbliga a firmare per lo Stato, per la Chiesa cattolica, per quella valdese, per quella luterana, per le comunità ebraiche, per i buddhisti ecc. Siamo di fronte ad una concorrenza leale ed equilibrata tra vari beneficiari e il meccanismo avvantaggia chi ottiene la maggiore quota di preferenze. La maggioranza di chi firma una destinazione sceglie oggi la Chiesa cattolica, ma potrebbe tranquillamente preferire lo Stato o la Chiesa valdese.

La Chiesa cattolica destina il denaro derivante dall’8×1000 verso tre canali diversi: “Esigenze di culto della popolazione“; “Interventi caritativi” e “Sostentamento del clero”. Alcuni accusano la Chiesa cattolica di non destinare tutto agli “interventi caritativi” come farebbero invece alcune chiese protestanti. Quest’accusa è errata: lo stipendio del missionario impegnato nel Terzo Mondo finisce sotto la voce “sostentamento del clero”, mentre il mantenimento delle mense dei poveri o delle case d’accoglienza finiscono sotto la voce “culto e pastorale”. Dunque l’investimento nella “carità”, non è tutto quello che appare sotto la diretta voce della rendicontazione. Per qualunque approfondimento invitiamo a visitare il sito web Chiedilo a loro dove, grazie al web, è possibile mostrare in modo trasparente l’uso di questi soldi.

Anche quest’anno destineremo l’8×1000 alla Chiesa cattolica e invitiamo anche tutti i nostri lettori a farlo, credenti e non credenti. Facciamolo in nome della frustrante campagna anticlericale affidata quest’anno al solito Corrado Augias e al laicista radicale Massimo Teodori e al suo nuovo libro “Vaticano rapace” (che fantasia, vero?), smontato completamente e facilmente su Avvenire dall’ottimo Umberto Falena.

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Eutanasia, risposta a Vito Mancuso

Eutanasia Il teologo “cattolico” Vito Mancuso è contro l’aborto, anzi lo considera un delitto e l’uccisione di un innocente. Lo dichiara lui stesso e chissà se verrà etichettato anche lui come “nemico della donna” dai suoi colleghi opinionisti di “Repubblica”. Oltretutto non è nemmeno contro alle scuole private, per giunta!

Ovviamente Mancuso non ha saputo dirlo chiaramente, la sua dichiarazione compare nascosta all’interno di un articolo pro-eutanasia che ha  realizzato per “Repubblica”: «La vita umana non fa eccezione: anch’essa è sacra e va trattata con rispetto dal concepimento fino alla fine», ha scritto. Lo ha ribadito poi nella sua pagina Facebook attraverso la citazione del filosofo cattolico Jean Guitton il quale dice: « l’aborto è l’uccisione di un innocente […]. Io credo che l’aborto sia un delitto». Subito sotto Mancuso ha affermato: «Io sono totalmente d’accordo».

Gli argomenti pro-eutanasia di Mancuso sono banali. Si concentra sull’«alleviare la sofferenza sempre, in ogni caso laddove sia possibile». Ma anche i nemici dell’eutanasia, compresa la quasi totalità dei medici e delle associazioni medico-scientifiche, la pensa nello stesso modo e si oppone alla sofferenza tramite le cure palliative e, laddove viene richiesta, anche la sedazione palliativa per attendere la morte nel sonno. In questo modo è morto il card. Carlo Maria Martini, decisione condivisa anche dal cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della pontificia Accademia per la vita, che ha affermato:«Anch’io come Carlo Maria direi no a quelle terapie». Vito Mancuso, che si dice “figlio spirituale” di Martini, ha cercato di strumentalizzare la sua morte (assieme al suo amico Corrado Augias) facendola passare per eutanasia…chissà Martini cosa pensa dal Cielo di questa opera meschina del suo più noto figlio spirituale.

Il dott. Ferdinando Cancelli, specialista in cure palliative, ha pubblicato recentemente un libro in cui mostra che l’uso della morfina è poco costoso e rende sopportabile il dolore, senza accelerare la morte del paziente. E quando neppure la morfina può far tacere il dolore, c’è la possibilità di far entrare il paziente – possibilmente con il suo consenso – in coma farmacologico per evitargli sofferenze inutili e difficilmente sopportabili. La sedazione palliativa, richiesta e ottenuta ogni giorno da migliaia di pazienti in Italia e non, non accorcia la vita e non accelera la morte, rispettando l’armonia tra la vita biologica, la vita psichica e la vita spirituale del paziente, secondo le preoccupazioni di Mancuso, come conferma anche Paolo Marchettini, medico del dolore di fama internazionale.

Mancuso parla di «rispetto della libera coscienza che si esprime nella libera autodeterminazione», ma nel diritto fortunatamente non compare e non esiste questo concetto di autodeterminazione radicale e totale della persona. Ad esempio, nessuno può guidare senza cinture di sicurezza o senza casco, nonostante sia in gioco soltanto la salute personale e, allo stesso modo, gli ospedali non avviano terapie specifiche (o semplici risonanze magnetiche) semplicemente perché lo richiede la libera coscienza del paziente. Inoltre, sappiamo che chi arriva a chiedere l’eutanasia molto spesso soffre di disturbi depressivi e dunque si è soventemente privati della possibilità di una richiesta davvero autocosciente.

Mancuso parla di lasciar morire con dignità, eppure chi ha a che fare tutti i giorni con i pazienti in stato terminale, come Bernard Devalois, medico anestesista all’ospedale di Pontoise (Francia), spiega: «Morire dignitosamente non è affatto sinonimo di suicidio assistito o di iniezione letale. Sono due cose diverse. Le cure palliative consistono nel garantire la morte con dignità». Lucien Israel, luminare francese dell’oncologia ha spiegato che «attualmente siamo in grado di placare tutte le manifestazioni dolorose, e di conseguenza gli esseri di cui ci occupiamo non soffrono insopportabilmente. Nella misura in cui ci occupiamo dei pazienti in questo modo, non ci chiedono l’eutanasia».

Nel suo manifesto Mancuso si confonde più volte con l’accanimento terapeutico, un errore banale che chi sa di cosa sta parlando -come i medici e gli specialisti citati- non commetterebbe mai.

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La Laiga: «nel 2016 termineranno gli aborti»…evviva!

Medici in sala operatoriaLa libertà di coscienza è sempre stata un forte ostacolo a tutte le ideologie nate negli ultimi due secoli. Anche quella abortista, legalizzata per la prima volta grazie al regime nazista di Adolf Hitler (seguito da quello sovietico) e diffusasi grazie ad una sua ammiratrice, l’eugenista Margaret Sanger fondatrice di Planned Parenhtood ancora oggi la più grande catena di cliniche abortiste al mondo, deve farci i conti.

Oggi grazie alla tecnologia e alle moderne ecografie presenti negli ospedali, nessun medico può dire che l’aborto non è un omicidio di un essere umano, privato del diritto alla vita. Non a caso, indipendentemente dalle loro posizioni religiose o filosofiche, la gran parte dei medici si rifiuta di essere complice di tale pratica.

E’ la Laiga (associazione ginecologi favorevoli all’applicazione della legge 194/78) ad annunciare la bella notizia: entro quattro anni scompariranno, in Italia, i medici capaci di praticare l’aborto terapeutico! Secondo l’Associazione Luca Coscioni la situazione sarebbe ancora più rosea: solo un medico su dieci, in Lazio, non rifiuta l’interruzione di gravidanza. Finalmente sarà impossibile privare un essere umano del diritto alla vita, ovviamente senza contempraneamente aumentare i tassi di mortalità materna dato che i Paesi in cui l’aborto è illegale, come Irlanda e Cile, sono anche in vetta alla classifica dei luoghi più sicuri per la salute della donna (al contrario dei Paesi fortemente abortisti, come gli USA, la Spagna e la Gran Bretagna). L’obiezione di coscienza è stata ufficialmente difesa e sostenuta dal Consiglio d’Europa nel 2010, proprio grazie ai simpatizzanti dell’Associazione Luca Coscioni: avendo provato a limitare la libertà di coscienza si sono trovati in minoranza, facendo vincere la visione opposta, ovvero quella del rispetto alla libertà personale.

«Le università non stanno preparando le nuove generazioni di professionisti», si lamentano gli abortisti. Era ora che nella formazione universitaria dei medici venisse messo al centro l’etica del Giuramento d’Ippocrate, ovvero la consegna al medico di battersi sempre per salvare e salvaguardare la vita non per distruggerla. «Una cultura che non è in grado di riconoscere i deboli, e l’embrione ne è l’esempio più evidente, può assumere dei tratti non umani: ciascuno di noi potrebbe venirsi a trovare in condizione di debolezza e non trovare riconoscimento e protezione», ha spiegato il filosofo Antonio Maria Baggio.

Inutili i libri di Chiara Lalli nel tentativo di mascherare l’interruzione di gravidanza come un “intervento dolce”, privo di conseguenze. Inutili le campagne discriminatorie della Consulta di Bioetica Laica di Maurizio Mori contro i medici obiettori, definiti “cattivi medici” (qui la nostra contro-campagna). Inutili le proposte della Laiga per penalizzare lavorativamente ed economicamente gli obiettori di coscienza: la vita è più forte della morte e la verità è più forte della menzogna. Anche i medici lo sanno.

Ne approfittiamo per segnalare altre tre buone notizie: il 24 aprile 2013 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha invitato ufficialmente «gli Stati membri ad accogliere le credenze religiose nella sfera pubblica, garantendo la libertà di pensiero in relazione alla sanità, all’istruzione e al servizio civile». Sempre il 24 aprile scorso, due ostetriche scozzesi hanno vinto il ricorso contro la decisione di un tribunale di costringerle a prendere parte indirettamente ad un aborto contro la loro volontà. In Francia, almeno 15.000 sindaci si rifiuteranno di celebrare i matrimoni tra due persone dello stesso sesso .

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Caso Biancofiore, etero e omo contro la lobby gay

Michaela Biancofiore«Non faccio parte di quella schiera di froci riconosciuti e autorizzati a parlare in pubblico a nome della categoria», a dirlo è l’attore omosessuale Nino Spirlì. Ha voluto prendere posizione dopo le vicende legate a Michaela Biancofiore, a cui hanno tolto le deleghe come sottosegretario alle Pari Opportunità a causa di alcune affermazioni scomode all’omosessualisticamente corretto.

Ha ad esempio espresso la sua opinione (simile a quella di tanti politici di destra, sinistra e centro, nonché della gran parte degli italiani) sui transessuali: «A livello di persone non vedo differenza, ma non credo sia normale che un uomo vada con un trans. Come donna non riesco ad accettarlo». Occorre ricordare che sono le associazioni di psicologi (da qualche anno politicamente gay-friendly) a considerare “non normali” gli stessi transessuali, in quanto affetti dal disturbo dell’identità di genere (DIG), patologia catalogata fra i disturbi mentali  del DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali).  La normalità, nonostante oggi faccia paura ricordarlo, è la complementarità dei sessi, come ha deciso la natura umana.

Un’altra frase della Biancofiore incriminata è questa: «Purtroppo qualcuno nasce con una natura diversa, tra l’altro una natura che non ti fa avere una vita facile. Sono persone che considero al pari di me. Non c’è solo l’eterosessualità, ma anche una sessualità diversa, che oggi, purtroppo, è estremamente comune». L’onorevole del PDL sembra in questo dare ragione al leader omosessuale Franco Grillini il quale sostiene che omosessuali si nasce e non si diventa, inoltre sottolinea la vita non facile degli omosessuali. Perché la lobby gay si è arrabbiata? Forse per il “purtroppo”?  Polemiche anche per questa frase: «Gli italiani sono tendenzialmente contrari ai matrimoni gay perché noi restiamo un popolo profondamente cattolico. Detto questo, ho il massimo rispetto per tutte le forme di amore». Ancora una volta non si capisce cosa vi sia di discriminatorio in questa frase, forse non corrisponde alla realtà perché molti cattolici ormai sono totalmente in opposizione al cattolicesimo che professano, ma non si nota alcuna nota omofobica nella frase. 

Infine c’è un’ultima frase della Biancofiore che è contestata: «Mi piacerebbe per una volta che anche le associazioni gay, invece di autoghettizzarsi e sprecare parole per offendere chi non conoscono, magari condannassero i tanti femminicidi delle ultime ore. Difendono solo il loro interesse di parte». Non ha senso chiedere agli omosessuali di concentrarsi sui femminicidi, tuttavia è vero che la lobby gay si ghettizza da sola con queste crociate ad personam, lo dicono gli stessi omosessuali liberi pensatori, come appunto Spirlì: «non faccio parte di quella schiera di froci riconosciuti e autorizzati a parlare in pubblico a nome della categoria». Sotto accusa è certamente l’Arcigay, che pesca nel retroterra comunista dell’Arci e su cui Il Giornale ha fatto una piccola inchiesta in questi giorni (ripresa da Dagospia). Alessandro Cecchi Paone, storico gay non allineato, ha spiegato: «Direi che è una rete solida e anche remunerativa, un business. Non a caso animatori e ballerine sfilano nel corteo del Gay Pride. La mitica lobby non riesce a portare a casa alcun risultato, proprio perché è impantanata negli schemi delle contrapposizioni politiche».

Ma non è certo un’opinione isolata: Nathalie de Williencourt, lesbica e leader di Homovox, ha affermato qualche tempo fa: «si ascoltano sempre le lobby LGBT, parlano sempre loro nei media, ma molti omosessuali non fanno parte di questo movimento. La maggior parte degli omosessuali sono amareggiati dal fatto che questa lobby parli a loro nome, perché non abbiamo votato per loro». 

Ruggero Guarini ha giudicato «faziosa e assurda l’accusa di bigottismo omofobico che il terrorismo gay suole muovere a quanti si oppongono a questo progetto». Anche l’intellettuale italiano Ernesto Galli della Loggia è stato vittima di questo “terrorismo gay” mediatico, e ha risposto in modo chiaro: c’è una «sgradevole impressione che al fine di ottenere con successo, le legittime, sacrosante campagne del movimento gay, più che di convincere il pubblico cerchino solo di chiudere la bocca a chi la pensa diversamente». L’editorialista di “Spiked online”, Brendan O’Neill lo ha affermato chiaramente: «Il matrimonio gay è diventato una sorta di arma per dimostrare chi è megliore, chi è evoluto. Sostenere il matrimonio gay è diventata una sorta di guerra culturale, un modo di distinguersi dalla folla ignorante. Essere contro il matrimonio gay può ora essere visto quasi come un atto di ribellione politica, contro una élite lontana che teme e detesta chi non è come lei»

Benedetto Ippolito, filosofo presso l’Università degli Studi “Roma Tre” ha preso a sua volta posizione sul caso Biancofiore:  «La famiglia è un rapporto stabile tra un uomo e una donna, all’interno del quale si produce biologicamente nuova vita. È, quindi, il diritto primo dei nascituri ad avere un padre e una madre ad impedire alle coppie omosessuali di essere famiglia e adottare figli, non la cattiveria della Biancofiore». Per questo «le disapprovazioni, mosse apertamente dalle associazioni gay, non paiono convincenti» e «l’accusa alla Biancofiore è, pertanto, ipocrita e retorica, perché accusa qualcuno di sostenere quanto la Costituzione asserisce e quanto la dottrina sociale della Chiesa insegna da sempre».

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Pavel Florenskij, vero difensore dell’uso della ragione

Vita e RazionalitaMa quale Kant, ma quale Hegel, ma quale Nietsche…il vero difensore della ragione si chiama Pavel A. Florenskij, filosofo e matematico russo, ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa il 24 aprile del 1911 e morto fucilato dal regime sovietico l’8 dicembre 1937.

Su Florenskij è stato pubblicato da poco un libro interessante, Vita e razionalità in Pavel A. Florenskij (Jaca Book 2012), il cui autore è Vincenzo Rizzo dottore di ricerca in Filosofia e collaboratore alla cattedra di Filosofia teoretica presso l’Università di Bergamo.

Lo stesso Rizzo, in un articolo per Ilsussidiario.net, ha spiega che l’uso della ragione come misura, cioè come controllo controllo/dominio sulla realtà, è una posizione umana che non regge all’urto della vita, la quale «è un respiro continuamente dato che parla alla ragione, superando il punto di vista e surclassando gli schemi concettuali». Soltanto un uso della ragione “aperto” alla realtà non censura la domanda di significato della vita stessa e non sopprime il bisogno di salvezza e di bene di ogni uomo. Solo questo, spiega il filosofo, «risulta in grado di ricostruire gli snodi storici, filosofici che hanno debilitato il soggetto nel modo di pensare/pensarsi».

Questo è il contributo di Florenskij, aver criticato l’offesa all’umano della visione rinascimentale della vita: «l’uomo rinascimentale, infatti, ha sostituito il senso della realtà con formulazioni ambiziose, facendo venire meno la coscienza di una strutturale sproporzione rispetto alla vita: il mondo vero ha così iniziato a diventare favola. L’uomo ha cominciato a guardare alla vita come dal buco della serratura, collocandosi all’esterno della realtà», ha spiegato Rizzo.

Nei secoli successivi si sono aggiunte altre forme di amputazione della realtà e dunque nemiche della ragione, come il razionalismo, l’illuminismo, il kantismo, il positivismo. Per Florenskij, il tribunale della ragione kantiano «riduce la vita a processo, cercando di raggrumarla in punti conoscibili. Per quanto riguarda il positivismo, Florenskij prende, tra l’altro, in considerazione l’opera di Zola. Il tentativo dello scrittore francese di guardare alla realtà in maniera oggettiva, scientifica ha dato luogo a dei personaggi non viventi. Ombre senza vita e senza carne: puri derivati di meccanismi sociali. Le descrizioni precise di Zola non costituiscono un quadro o una fotografia in presa diretta, ma piuttosto una copertura al grido di razionalità del soggetto, non saziabile mai da una scienza o un potere, sia pure tecnicamente buoni».

La modernità è certamente figlia di queste ideologie che hanno messo in crisi la ragione, trasformandola in raziocinio spezzettato. L’esempio e l’apertura della ragione di Pavel Florenskij contro «il nostro presuntuoso già saputo», ritorna per questo oggi fondamentale. Lui stesso, grazie a questo modo di rapportarsi a tutto (la vita, la morte, l’inganno, la stupidità del regime comunista, il nemico), si autoaccusò − pur innocente − di cospirazione, per la salvezza di altri e morì fucilato.

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Le brutte conseguenze del matrimonio gay

Omosessualista aggredisce manifestantiQual è l’impatto calcolabile della modificazione antropologica del matrimonio, se quello naturale (citato dalla nostra Costituzione) dovesse essere equiparato ad altre e diverse forme di relazioni, come quelle cosiddette “di fatto”, quelle incestuose, omosessuali o poligamiche?

Per una veloce risposta è possibile andare ad osservare la situazione nei Paesi in cui questi passi indietro sono stati realizzati, ad esempio il Canada, dove 10 anni fa è stato legalizzato il matrimonio per persone dello stesso sesso. Ne ha parlato Bradley W. Miller, docente di Legge presso l’University of Western Ontario e visiting fellow alla Princeton University.

Miller, appoggiandosi ad una chiara bibliografia, ha suddiviso la problematica in tre parti: l’impatto negativo sui diritti umani, sulla concezione pubblica del matrimonio e sul matrimonio naturale uomo e donna. Partendo dai diritti umani, ha affermato: «ogni dichiarazione di disaccordo con il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso è considerata una manifestazione diretta di odio nei confronti di un gruppo di minoranza sessuale». Ogni opinione contraria è definita “fanatismo” e “odio”, perciò non è nemmeno tollerata l’obiezione di coscienza dei sindaci che non vogliono legittimare un’unione tra omosessuali, come non è tollerato il rifiuto di concedere strutture private per celebrare le nozze gay (accaduto ai Cavalieri di Colombo), e così via. In poche parole è stata violata la libertà di coscienza e libertà d’espressione: chi ha ripetutamente espresso il proprio dissenso, ha proseguito il docente universitario, è stato sottoposto ad indagini da commissioni dei diritti dell’uomo e (in alcuni casi) procedimenti dinanzi ai tribunali dei diritti umani. Ad alcuni è stato perfino ordinato di non parlare più pubblicamente di questa tematica (si veda Lund v Boissoin 2012), e chi non ha soldi per fare appello deve «accettare l’ammonimento della commissione, pagare una (relativamente) piccola multa, e quindi osservare la direttiva di rimanere per sempre in silenzio».

Il vescovo cattolico, mons. Fred Henry, è stato invece denunciato per aver sostenuto il matrimonio naturale in una lettera pastorale sul matrimonio (ha speso 20mila dollari per difendersi prima che la denuncia fosse respinta). A subire questa sorta di terrorismo LGBT sono anche i professionisti in vari settori della società (come i giornalisti, qui un esempio), ogni espressione di disaccordo con l’istituzionalizzazione del matrimonio omosessuale è concepita come atto di discriminazione illegale, con conseguente censura professionale (si veda ad esempio Kempling v. British Columbia College of Teachers, 2005). Gli insegnanti, in particolare, sono minacciati di azioni disciplinari se osano anche solo fare dichiarazioni pubbliche di critica al matrimonio omosessuale al di fuori della classe, vengono immediatamente considerati fautori di un ambiente ostile per gli studenti gay e lesbiche. Anche lo studioso Ryan T. Anderson, della The Heritage Foundation ha rilevato che, oltre a vari fattori, «ridefinire il matrimonio è anche una minaccia diretta e dimostrabile della libertà religiosa, perché emargina coloro che affermano il matrimonio come l’unione di un uomo e una donna», e ovviamente tutti quelli che sostengono la stessa cosa al di fuori di una appartenenza religiosa. Interessante, a questo proposito, l’intervista a Lionel Lumbroso, non credente francese e portavoce della grande “Manifestazione per tutti” che continua a portare nelle strade francesi milioni di persone contro il matrimonio omosessuale.

Le relazioni omosessuali devono essere obbligatoriamente trattate anche a scuola (come ha osato far notare in modo critico nel Regno Unito anche la giornalista Melanie Philipps, ricevendo immediatamente pericolose minacce di morte), costringendo i bambini sono costretti a parteciparvi e ai genitori viene impedito di esercitare il loro veto su tali insegnamenti, il tutto fatto passare sotto il pretestuoso principio del “prevenire il bullismo”. L’unica soluzione è rimuovere i propri figli dal sistema scolastico pubblico. In Ontario, ad esempio, la nuova legge costringe le scuole cattoliche ad ospitare club come “Gay-Straight Alliance”, vietando anche alle scuole pubbliche di rifiutarsi di affittare le loro strutture ad organizzazioni omosessuali per motivi che si basano su questioni morali.

Per quanto riguarda la pratica del matrimonio, è troppo presto per pronunciarsi. Tuttavia i dati del censimento 2011 stabiliscono che, in primo luogo, il matrimonio è in declino in Canada, come in gran parte dell’Occidente, in secondo luogo, il matrimonio omosessuale è un fenomeno statisticamente piccolo (21.000 coppie dello stesso sesso sposate su su 6.290.000 di coppie sposate, lo 0.8%), e in terzo luogo, ci sono fortunatamente pochissime coppie dello stesso sesso (sposate e non) con bambini in casa (il 9% delle coppie omosessuali).

Questo è il rischio che si corre in tutti gli stati nei quali la politica intende piegarsi all’ideologia totalitarista del 21° secolo. Nonostante tutto numerose rimangono le voci dissidenti, veri e propri eroi moderni. Un esempio sono John Corvino e Maggie Gallagher, autori di “Debating Same-Sex Marriage” (Oxford University Press, 2012), che hanno sintetizzato tutta la tematica con una frase: «Il sesso porta i bambini, la società ha bisogno di bambini, e i bambini hanno bisogno di madri e padri», arrivando poi ad una definizione ottimale: «Il matrimonio è fondato sulla verità antropologica che uomini e donne sono complementari, sul fatto che la riproduzione biologica dipende da un uomo e una donna, e sulla realtà sociale che i bambini hanno bisogno di un padre e una madre».

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«L’Associazione Luca Coscioni? Ignoranza e disinformazione»

eutanasiaIl partito Radicale è stato definitivamente sbattuto fuori dal Parlamento dai cittadini alle ultime elezioni politiche. La loro leader, Emma Bonino, è riuscita comunque ad accaparrarsi la poltrona del ministro degli Esteri, chissà altrimenti cosa avrebbe fatto il politicamente (e non solo) fallito Marco Pannella che nel periodo di elezione del Capo dello Stato ha distrutto lo studio di Radio 24 perché i due conduttori si sono permessi di dire che l’elezione della Bonino non sembrava necessaria.

Galvanizzati da questa elezione, il partito Radicale dei necrofili italiani ha pubblicato un nuovo video necrofilo in cui sfruttano l’esistenza di una donna malata terminale che s’è fatta uccidere in un centro specializzato in Svizzera accompagnata dal dirigente radicale Marco Cappato. Sergio Romano aveva già messo in guardia da questo comportamento: i Radicali «si sono serviti degli handicap fisici di alcuni fra i suoi più tenaci militanti per creare il “martire” […] hanno introdotto un elemento emotivo e spettacolare nel dibattito politico, hanno cercato di commuovere anziché di convincere, hanno reso più difficile il confronto argomentato e dialettico su temi importanti come quello del suicidio assistito e del testamento biologico».

Non contenti, i radicali dell’Associazione Luca Coscioni hanno pure manipolato i risultati di uno studio scientifico del «Mario Negri», prestigioso istituto di ricerche farmacologiche di Milano con il quale volevano ancora una volta ingannare quei pochi italiani che danno loro retta per avallare la tesi che nelle rianimazioni italiane si pratichi l’eutanasia clandestina, argomento principe per la legalizzazione.

Silvio Garattini, direttore del «Mario Negri» ha voluto replicare all’Associazione Luca Coscioni: «I dati di quella importante ricerca sono stati riportati in maniera distorta e scorretta, travisando completamente la loro portata e il loro significato». E ancora: «E’ frutto di ignoranza, di superficialità o peggio di malafede porre sullo stesso piano l’eutanasia e la desistenza da cure inappropriate per eccesso, come purtroppo si è visto fare in queste ore. Questa campagna di grave disinformazione non solo è lesiva di un comportamento virtuoso da parte di tanti medici intensivisti, ma impedisce lo sviluppo di una corretta discussione su temi tanto delicati e sensibili all’interno della società civile».

Il 62% citato dai radicali come vittime di eutanasia clandestina, sono in realtà pazienti terminali che non ricevono cure accanite e spropositate quando non c’è più nulla da fare, venendo invece supportati con un’adeguata terapia palliativa per accompagnarli in modo dignitoso alla fine della vita. In questi casi, infatti, i trattamenti intensivi «hanno l’unico effetto di prolungare di giorni o settimane l’agonia del paziente. Diviene allora doveroso desistere dalle cure massimali e mettere in atto quegli interventi, come il controllo del dolore, ma anche il sostegno psicologico e sociale ai parenti, che sono dovuti ai malati nell’ultima fase della vita».

Paola Ricci Sindoni, ordinario di filosofia morale nella facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Messina, nonché vicepresidente di Scienza&Vita, ha affermato: «Di fronte alle persone che hanno paura di soffrire e che pensano a farla finita, il richiamo alla morte cercata appare come l’ultima resa di un umanesimo ormai sconfitto. Non è questa la risposta. Non si può spettacolarizzare il dolore per fini ideologici. Occorre invece restituire dignità al malato, sostenendolo con le cure palliative, con l’accompagnamento dei familiari, la cui speranza è che il proprio caro affronti il momento del distacco non sentendosi mai solo. Il messaggio che viene lanciato è colmo di abbandono e di resa, può apparire anche lesivo della dignità di coloro che ogni giorno affrontano con coraggio e speranza una patologia degenerativa o una diagnosi inguaribile».

Adriano Pessina, docente di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano ha commentato così l’ennesima strumentalizzazione di una persona depressa da parte dell’Associazione Luca Coscioni: «E’ un modo con cui si fa propaganda, utilizzando una persona che ha avuto dei problemi molto seri nel confrontarsi sul suo fine vita e utilizzarla in qualche modo, facendola diventare vittima della propaganda oltre che vittima della malattia. Quando una persona perde anche di coraggio nei confronti della sua situazione, il primo atteggiamento dovrebbe essere quello di aiutare a vivere questa situazione. La nostra cultura ha sviluppato e stiamo sviluppando tutta una serie di attenzioni, che vanno dalla terapia del dolore all’assistenza domiciliare: abbiamo sviluppato un’idea per cui, in qualche modo, il tempo anche della malattia sia un tempo degno di essere vissuto». E ancora: la morte non è un diritto, «questo è un vero paradosso della nostra epoca, perché la morte è la cessazione di qualsiasi diritto. Noi abbiamo sicuramente il diritto di essere assistiti, di essere curati, ma la morte come tale è la cessazione del diritto, la cessazione della cittadinanza. Non è un caso che uno dei segni più grandi – come dire – di esclusione dalla cittadinanza è stata la pena di morte».

 

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Ancora odio laicista: processioni anticristiane e altro

AteoGrazie al pensionamento di personaggi come Dawkins, Zapatero, Odifreddi, Dennett e altri anziani leader laicisti (ora manca soltanto Hollande), l’ondata anticristiana sembra cominciare a diminuire ma tuttavia le posizioni dei pochi rimasugli, purtroppo, si radicalizzano.

In Florida, nonostante un’infuocata ed inutile battaglia delle congregazioni atee, il monumento con i Dieci comandamenti davanti al Palazzo di Giustizia rimarrà, lo ha deciso l’11th Circuit della Corte d’Appello. «Questa è stata una grande vittoria», ha detto Mat Staver del “Liberty Counsel”, che ha rappresentato la contea contro gli scalmanati anticlericali. «Vale il detto che se si resiste al bullismo alla fine si esce vincitori».

Pesante sconfitta a Washington anche per la congregazione religiosa degli American Atheists: la grande croce di Ground Zero, sopravvissuta al crollo del World Trade Center e simbolo universale dell’attentato dell’11 settembre, sarà parte integrante del National September 11 Museum a Manhattan. Nonostante la furia laicista contro il popolo americano, la Corte federale ha deciso che la croce non viola la clausola del Primo Emendamento, il quale giustamente separa la chiesa dallo stato, ma non la religione dalla vita pubblica. Interessante la ragionevole campagna a favore del Washington Post.

Forse amareggiati da queste sconfitte, un gruppo di atei del Texas ha pensato di festeggiare la Pasqua con una sciocca provocazione. Non hanno neanche lontanamente preso sul serio la possibilità di un dialogo con le persone di fede, ma hanno inviato un messaggio ai gruppi cristiani: “Dio è morto, buon Venerdì Santo!”.

Sconfitta laicista anche a Madrid, in Spagna, dove i collettivi atei della Asociación Madrileña de Ateos y Librepensadores (AMAL), nota per aver picchiato e insultato i giovani pellegrini durante l’ultima Giornata Mondiale della Gioventù, hanno dovuto rinviare la loro via Crucis anticristiana, inaugurata con il governo di Zapatero, a dopo la Quaresima per non “offendere il sentimento religioso” (qui un video della marcia atea 2011 con bestemmie e gratuite offese ai sacramenti).

In Belgio, a Bruxelles all’Università Ulb di Bruxelles l’arcivescovo Andre-Joseph Leonard è stato aggredito da un gruppo di terroriste femministe che, a seno nudo, hanno interrotto la conferenza a cui stava partecipando e lo hanno pesantemente insultato e bagnato con dell’acqua nel nome del rispetto e della libertà d’espressione. Monsignor Leonard, colto di sorpresa, non ha opposto resistenza e si è raccolto in preghiera.

Anche a Siviglia è fallita l’organizzazione della “fiesta Anti-Cristo el Miércoles Santo” organizzata da gruppi atei, anche grazie alla denuncia in Procura da parte della piattaforma civica “Foro Sevilla Nuestra”. Come si vede dal manifesto pubblicitario della “Fiesta Anti-Cristo”, l’immagine usata per promuovere l’evento è una chiesa data alle fiamme.

A Malaga sono stati invece più furbi, realizzando l’8 marzo una manifestazione contro i credenti sponsorizzandola come una “Giornata per la donna”. Organizzato da gruppi di femministe la manifestazione si è svolta all’insegna di una parodia delle processioni religiose in cui al posto delle preghiere sono stati inneggiati cori e canti contro i cristiani e la Chiesa cattolica (“bruceremo la Conferenza Episcopale”, si sente nei video), contro i Santi, la Vergine Maria e Gesù Cristo. Presente anche una vagina gigante portata a spalla da alcune donne mentre recitano finte preghiere inneggianti all’orgasmo femminile.

Mentre Papa Francesco, durante l’incontro con i giornalisti, sceglie una benedizione in silenzio per rispetto ai non credenti, dall’altra parte questa è stata la risposta. Ognuno trarrà le conclusioni su dove si trova la tolleranza, il rispetto e la verità libertà.

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