Il Fatto Quotidiano non insulta le famiglie pro life, che succede?

Marcia per la vitaSe l’anno scorso i partecipanti alla Marcia per la Vita per le vie di Roma erano 15mila, quest’anno per la terza edizione a partecipare sono state ben 30mila persone. Famiglie, istituti religiosi, associazioni laici, credenti e non credenti, ma sopratutto tantissimi giovani.

Al termine della preghiera del Regina Coeli, di fronte ad oltre 70.000 pellegrini gioiosi e festanti, papa Francesco ha saluto i partecipanti alla Marcia e ha invitato tutti a mantenere viva l’attenzione “sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento”. “A questo proposito, – ha sottolineato il Papa – mi piace ricordare anche la raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane, al fine di sostenere l’iniziativa europea “Uno di noi”, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza”.

Infatti la Marcia per la vita si è svolta congiuntamente alla raccolta firme in tutte le parrocchie per “Uno di noi” (qui si può firmare), campagna per il riconoscimento giuridico all’embrione umano. La notizia è che Austria, Polonia, Italia, Ungheria e Slovacchia hanno già superato la soglia minima di firme da raccogliere per il successo dell’iniziativa! A partecipare alla Marcia anche politici noti come il sindaco Gianni Alemanno, Maurizio Sacconi, Giorgia Meloni, Maurizio Gasparri, Carlo Giovanardi, Carlo Casini, Stefano De Lillo e Paola Binetti (e il Partito Democratico?)

«L’accoglienza di Papa Francesco», hanno affermato gli organizzatori della Marcia, «rappresenta, il più alto riconoscimento per l’iniziativa e la conferma della sensibilità del Pontefice ai principi non negoziabili, a cominciare dal diritto alla vita». Smentito ancora una volta il cattolico sui generis Alberto Melloni che l’anno scorso predicava scandalizzato: «Con la Chiesa questa marcia ha ben poco a che fare». Probabilmente è stata questa attenzione da parte di Papa Francesco a scoraggiare l’informazione aggressivamente laicista, in Italia rappresentata purtroppo sopratutto da “Repubblica” e dal “Fatto Quotidiano”, ad insultare le famiglie che hanno partecipato. L’anno scorso questi quotidiani e altri, come abbiamo mostrato, hanno parlato di “fondamentalisti in marcia”, Il Fatto aveva addirittura proposto di organizzare una class action contro i partecipanti, definendoli “fanatici” ecc. “fondamentalisti”.

Quest’anno invece gli unici rigurgiti sono arrivati ancora una volta dalle colonne del Fatto Quotidiano, ma ben due giorni prima della marcia, quando ha profetizzato che i partecipanti sarebbero stati “integralisti cattolici e neofascisti”, ed annunciando che le donne saranno «insultate come assassine». Ma negli articoli dopo la Marcia, cioè di ieri e di oggi, incredibilmente ancora nessun insulto ma un resoconto onesto dei fatti (si veda qui, qui e qui), divertente il video delle fenomenali femministe dei centri sociali che chiedono di vietare la Marcia per la Vita, ovviamente perché loro sono dalla parte della libertà e del diritto di manifestare. “Repubblica” ha a sua volta confezionato un articolo privo di insulti, cercando tuttavia di denigrare comunque la manifestazione con continue frecciate d’ironia che certamente si sarebbe ben guardata dal fare se si fosse trattato, ad esempio, di un Gay Pride.

Senza rabbiosi insulti però non c’è gusto, in fondo eravamo abituati. Addirittura perfino Ignazio Marino, abortista e promotore dell’eutanasia, ha affermato senza vergogna: «Non sono alla marcia per la vita perché non voglio strumentalizzare politicamente un’iniziativa giusta. Io sono per la difesa della vita in ogni suo stadio, ma non si può prendere parte alla marcia solo perché le elezioni comunali sono vicine». Incredibile, non c’è più irreligione.

 

Qui sotto uno dei video della Marcia pro life 2013

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5×1000: flop dell’UAAR e dell’Arcigay

5X1000In base ai dati pubblicati dall’Agenzia delle Entrate sul 5×1000, con la dichiarazione dei redditi del 2011, l’associazione Emergency di Gino Strada ha ricevuto il maggior numero di firme (363.070), per un importo totale di 10,6 milioni di euro. Seconda e terza classificate sono Medici Senza Frontiere (264 mila firme per 8,7 milioni) e l’Associazione italiana per la Ricerca sul cancro (274 mila firme per 6,5 milioni).

Oltre alle meritorie attività di tante organizzazioni laiche, numerosissime ovviamente le scelte anche verso le associazioni cattoliche: si nota nei primi posti della classifica l’Associazione Worldfamily of Radio Maria (88mila firme per 2 milioni di euro), seguito dal Movimento Cristiano Lavoratori (98mila firme per 1,5 milioni). Nei primi venti anche l’Associazione Opera San Francesco per i poveri (35mila firme per 1,3 milioni), nonché l’Associazione Missioni Don Bosco (30mila firme per 916 mila euro). Più sotto la Caritas italiana e decine di altre, qui il rendiconto completo.

Peccato che il quotidiano “Repubblica”, oltre ad aver inventato i numeri (scrive che l’Associazione italiana per la Ricerca sul cancro si sarebbe aggiudicata 55 milioni!!), faccia una marchetta alla fantomatica UAAR – Unione Atei Agnostici Razionalisti, scrivendo: «La fede, anche nel paese del Vaticano, non sempre paga: l’Unione degli atei e agnostici razionalisti ha ricevuto 140mila euro».

Leggendo l’articolo sembra quasi che i simpatici uaarini siano riusciti a risalire dal fondo del barile nel quale sono precipitati dopo gli scandali degli anni scorsi, magari grazie all’aiuto dei curatori d’immagine a cui si sono dovuti rivolgere per risollevare le loro sorti, come fa chi ha un prodotto da vendere sul mercato (“il brand Uaar, per un ateo che non deve chiedere mai!”). Occorre però contestualizzare, come sempre: l’associazione di atei fondamentalisti, nonostante esista dal 1987, abbia visibilità nazionale e una forte presenza sul web grazie a persone che appositamente vi lavorano e vi investono denaro per pubblicità, ha convinto soltanto 3.400 persone a destinare a suo favore il 5×1000, per un totale 140mila euro. Meglio di loro, per dare un’idea, ha fatto con 8.900 firme un’associazione di carattere regionale come l’ISCOS Emilia Romagna Onlus, impegnata nella cooperazione.

Occorre anche dire che coloro che hanno scelto di destinare il 5×1000 all’UAAR sono in calo rispetto al 2010, i quali erano 3.635 per 156mila euro. Dunque ben 235 persone hanno deciso in un anno di interrompere il sostegno all’UAAR, anche perché tra i suoi obiettivi non ha certo la beneficenza e la solidarietà ma è esclusivamente concentrata nella difesa degli atei dai terribili credenti e nel proselitismo laicista e anticlericale. Il primo obiettivo appare totalmente inutile in una società  tollerante e rispettosa come quella cristiana, il secondo è caratterizzato da un “essere contro”, che inevitabilmente allontana le persone più moderate e civili. Per onestà intellettuale occorre dire che nel 2011 l’UAAR ha destinato ben 500 euro (sic!) ad una associazione che distribuisce preservativi in Africa (avendone però usate 700€ in vignette satiriche verso il Papa e la Chiesa, come si evince dal suo rendiconto online).

Il calo di sostenitori lo si nota, fortunatamente, anche per l’Associazione Luca Coscioni e dovrà rivedere i suoi piani di indottrinamento LGBT anche Franco Grillini, presidente dell’Arcigay. Soltanto 350 persone in Italia hanno creduto all’emergenza omofobia in Italia propagandata dai media gay friendly. Oltre il danno, le due beffe: l’Arcigay nel 2011 ha perso quasi la metà dei suoi sostenitori (nel 2010 erano 643) e la Guardia Nazionale Padana ha quasi il doppio di preferenze, avendo trovato 615 persone a suo sostegno.

La redazione

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Meditazioni metafisiche di un tolemaico contemporaneo

Rivoluzione Copernicana 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Da quando sollevò gli occhi al cielo e prese a studiare il moto degli astri, si trovò al centro del Cosmo, culmine e metro di tutte le cose. Unica creatura in possesso della ragione, si era progressivamente dotato di strumenti come il fuoco, l’aratro e la vela per catturare i tesori sepolti della Natura, procurarsene i frutti e controllarne gli elementi marini e aerei. Con la tecnica si era liberato della gabbia senza tempo in cui è imprigionata la vita vegetativa e istintiva di piante ed animali. Con la scoperta del linguaggio, della scrittura e dei numeri, s’inventò la storia, l’arte e la filosofia. Congetturò allora che la sua casa, la Terra, fosse circondata da 8 sfere concentriche, ruotanti con moto circolare uniforme sotto la spinta di divini motori. In queste sfere erano incastonati la Luna, i 5 pianeti (a lui visibili), il Sole e le stelle. Era l’uomo antico.

Sopra ogni suo ingegno però, la Natura regnava regolare e capricciosa, madre necessitata nei suoi cicli e matrigna imprevedibile nei suoi portenti. Democrito insegnava: “Tutto ciò che esiste nell’Universo è frutto del caso e della necessità” e Prometeo, che per domare la Natura aveva dato agli uomini la tecnica rendendoli simili agli dèi, proclamava sconsolato: “La tecnica è di gran lunga più debole della Natura” (Eschilo). Il caso e la legge in egual misura governavano quel mondo.

Poi venne il cristianesimo, che cancellò il caso ed esaltò l’uomo. Tutto ciò che esiste è stato creato da Dio, che è la Ragione; e dalla Ragione soprannaturale ogni ordine naturale dipende per la sua origine e per il suo fine. Il fortuito non esiste nell’ordine globale cristiano: “Nulla a caso accade nel mondo” (Agostino). Quanto all’uomo, esso è creato ad immagine di Dio in intelletto e libera volontà. La felicità dell’uomo può avverarsi soltanto in Dio, davanti a Cui la sua condotta morale sarà giudicata alla fine. Era il Medioevo.

Nel Medioevo la necessità è data dalla duplice concatenazione delle “cause seconde” (le leggi naturali, così come decretate dalla Causa prima all’atto della creazione) e delle azioni causate dal libero arbitrio degli uomini in vista dei loro fini. Se un uomo seppellisce un tesoro nel campo per nasconderlo, ed un altro arando il campo scopre il tesoro, questi può parlar per sé di fortuna, perché il suo fine era la semina, non il tesoro: ma è stato solo l’incrocio di due eventi deterministicamente causati da due volontà diverse per due scopi diversi. E poi, chi conosce la volontà di Dio che è in tutte le cose? Per sapere cosa il Medioevo pensasse della Natura, non leggiamo i Lapidari o i Bestiari, che sarebbe come confondere gli oroscopi nei quotidiani di oggi con l’astronomia, o l’arte surrealista con le tavole dell’anatomia; piuttosto studiamo i filosofi medievali: Tommaso d’Aquino, Alberto il Grande, Ruggero Bacone, Roberto Grossatesta, Duns Scoto… Ci sono gli enti naturali, caratterizzati dalla necessità: ove è possibile riconoscere una regolarità, lì c’è una causa che coincide con l’essenza di quella natura: “Infatti si chiama naturale ciò che si comporta similmente in tutto, perché la Natura opera sempre allo stesso modo” (Tommaso, Commento alla Fisica di Aristotele). L’insieme di tutte le nature è la Natura. Nell’uomo però c’è un plus, che è una sostanza soprannaturale: è la sua anima immortale dotata di ragione e libertà.

L’ultimo passo mancante a questi pensatori rispetto al concetto moderno di scienza non fu il determinismo, ma la rilevanza dell’operazione di misura, che sarebbe intervenuta con la quantificazione delle “affezioni” operata da Galileo. La misura diventerà nell’era moderna l’atto di separazione consensuale della scienza naturale dalla filosofia, prima unite in un sapere onnicomprensivo. La differenza del Medioevo con il mondo antico non è dunque nell’assenza di determinismo, ma all’opposto in un maggiore determinismo, che dalle sfere celesti si propaga al mondo sublunare: separando la volontà umana dal resto dei fenomeni naturali, i teologi medievali teorizzarono un determinismo universale per la Natura terrestre e celeste, che spalancò le porte allo sviluppo delle scienze moderne. Inversamente, i conati dello scientismo contemporaneo a “tentar le essenze”, in un impossibile ritorno all’onnicomprensività passata, si risolvono in tante storielle, che sono i moderni arrangiamenti degli antichi miti. “Hypotheses non fingo”, si ritraeva Newton deontologicamente, di fronte a chi lo interrogava sull’essenza della gravità: quanti oggi usano la scienza con altrettanta parsimonia?

La storia occidentale colloca l’inizio dell’evo moderno nel 1492, l’anno della “scoperta” dell’America. Questa scelta non mi pare rappresentativa dell’abisso culturale che ci separa dal mondo medievale. Quale fu il grande effetto di quel primo viaggio transatlantico se non di spostare l’asse politico-economico in Europa dalle potenze mediterranee a quelle affacciate sull’Atlantico? Anche l’era atlantica è ora finita, col fallimento di Lehman Brothers (2008), si dice; invero dal 1989 con l’implosione dell’Urss e l’omologazione mondiale del capitalismo. (In Cina il capitalismo era risorto nel 1972, con il Piano delle 4 modernizzazioni che Deng Xiaoping presentò così: “L’economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c’è una pianificazione anche nel capitalismo. L’economia di mercato si attua anche nel socialismo. […] Chi si arricchisce merita la gloria”.) L’egemonia economico-politica globale appartiene oggi agli stati che si affacciano sul Pacifico: il XXI sarà il secolo dell’Asia.

Se invece che con la ridistribuzione geografica del mercato, scandiamo gli evi con le Weltanschauung che li abitano, allora il mondo moderno è nato il 24 maggio 1543 con l’apparizione a Norimberga del “De revolutionibus orbium coelestium” di Niccolò Copernico. Nel suo trattato di astronomia, l’eclettico canonico polacco scalzava la Terra dalla sua posizione centrale nell’Universo per mettervi il Sole: “E in mezzo a tutto sta il Sole. Chi infatti, in tale splendido tempio [dell’Universo] disporrebbe questa lampada in un altro posto o in un posto migliore, da cui poter illuminare contemporaneamente ogni cosa? Non a sproposito quindi taluni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri regolatore. […] Così il Sole, sedendo in verità come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli fa da corona”.

Dallo scontro di due vecchi sistemi filosofici, più che dall’evidenza di nuove osservazioni astronomiche, uscì vincitore il platonismo sull’aristotelismo: ne risultò la rivoluzione copernicana, come credenza che il Sole sta al centro del mondo. Dal punto di vista pratico, l’esito di descrivere i moti celesti come visti dal Sole invece che dalla Terra fu quello di semplificare la geometria delle orbite, riducendo (momentaneamente) gli epicicli da 5 a 1. Una mossa elegante, intendiamoci, sul piano scientifico; ma che nulla ha a che fare con la questione dell’esistenza d’un vero centro del sistema solare, né tanto meno d’un centro fisico dell’Universo (il copernicano “trono regale del tempio”). L’aveva capito subito il teologo Andrea Osiander, che nella prefazione chiosò: “Se [gli studiosi tradizionali di credenza tolemaica, NdR] vorranno riflettere saggiamente sulla cosa, troveranno che l’autore di questa opera non ha commesso nulla che meriti rimprovero. È infatti proprio dell’astronomo prima registrare la storia dei moti celesti mediante osservazioni abili e accurate; quindi, escogitare e supporre le loro cause, ossia certe ipotesi, in un modo qualsiasi, non potendole dimostrare in alcun modo come vere. Partendo da tali ipotesi, si possono calcolare correttamente i moti celesti, in base ai princìpi della geometria, tanto nel futuro che nel passato”. Karl Popper non darà una migliore definizione del metodo della scienza sperimentale moderna e della veridicità delle sue teorie. Una settantina d’anni dopo, la diatriba fasulla sarebbe scoppiata di nuovo nel processo a Galileo, col teologo Bellarmino ad insegnare al fisico pisano la relatività del moto e la validità tecnica e non epistemica (almeno sulla base dei fatti noti al momento), dell’opzione eliocentrica.

Che cosa fu la rivoluzione di Copernico, dunque? Non certo una rivoluzione scientifica, in termini di metodi, scoperte e predizioni (come sarebbe stata invece quella operata più tardi da Galileo, Newton e Francesco Bacone), ma qualcosa di molto più importante: essa fu il primo atto della desacralizzazione dell’uomo, ottenuta intanto attraverso il decentramento spaziale della sua patria. E questa operazione passò come un’evidenza scientifica. (Anzi, come tale passa tuttora universalmente, se lo scorso mese miss Russia ha perduto il titolo meritatissimo, non avendo risposto alla domanda di “cultura generale” se sia la Terra a girare intorno al Sole o viceversa, nei termini politicamente corretti per una ragazza moderna.)

Il secondo atto, che segna la cifra della modernità in tutti i suoi aspetti, politici ed economici compresi, coincise con la pubblicazione avvenuta a Londra il 24 novembre 1859 d’un altro libro: intendo l’“Origine delle specie” di Charles Darwin. Qui la naturalizzazione dell’uomo viene portata al suo estremo limite, attraverso la proclamazione della continuità con il mondo animale e la negazione conseguente di ogni specificità umana rispetto ad una mosca, un fico ed anche un sasso. L’uomo non è più il culmine della creazione, signore e custode del mondo, ma si riduce all’ultimo arrivato sulla scena, per evoluzione casuale da una specie animale precedente, che era a sua volta evoluta per caso da una specie precedente…, via via indietro per li rami filogenetici fino ai primi organismi batterici, assemblatisi per caso dalla materia inanimata. “L’antica alleanza è rotta; l’uomo finalmente sa che è solo nell’immensità indifferente dell’Universo da dove è emerso per caso”, può così annunciare oggi Jacques Monod.

L’uomo moderno “finalmente sa” di essere un frutto del caso o, piuttosto, così preferisce vedersi? Se gli antichi si consideravano soggetti al condominio di caso e necessità; se i medievali vivevano all’ombra di una Provvidenza che tutto governa; il mainstreaming della modernità coincide con il caso e il non senso. Lo stesso multiverso è l’ultimo approdo, metafisico e aporetico, di questo nichilismo post-naturalistico.

L’evidenza empirica e razionale dice a me tutto l’opposto. C’è un “centro” nell’Universo, che è dato dal suo osservatore: l’uomo, con la sua mente e i suoi sensi, potenziati dai radiotelescopi puntati nelle direzioni persistentemente mute dei 4π steradianti. Questo è un fatto, infalsificato; ed è anche un’affermazione scientifica, falsificabile e gravida di predizioni controllabili come abbiamo visto in un precedente articolo. Certo, qualche lettore non sarà d’accordo con me; ma se non è un alieno, obiettandomi si contraddirà, così confermandomi nel mio antropocentrismo.

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L’ora di religione non è catechismo ed è aperta a tutti

Ora di religione scuolaUn anno fa il rapporto della CEI per l’insegnamento della religione cattolica attestava che i frequentanti in Italia erano l’89,8%.

In questi giorni il Corriere della Sera ha anticipato che i dati per l’anno in corso, almeno nella città di Milano, sottolineano una crescita del 2,66% di presenze. Per l’occasione ha intervistato don Michele Di Tolve, responsabile del Servizio per l’insegnamento della religione dell’Arcidiocesi di Milano. «Da anni ci sgoliamo per far capire che non si tratta di catechismo, ma di un’ora di una disciplina scolastica che aiuta a capire meglio il mondo in cui viviamo», spiega il religioso.

Grazie al cardinale Angelo Scola in Curia hanno lavorato sulla maggiore formazione per gli insegnanti, come d’altra parte avviene ormai in tutta Italia, incontri con i genitori per evidenziare il valore culturale del percorso, sollecitazioni sui presidi per spostare l’ora di religione, posizionata strategicamente sempre alla prima o all’ultima ora, anche a metà mattino.

I pochi studenti che non frequentano l’ora di religione (sopratutto quelli di prima superiore) lo fanno per un misto di pregiudizio e pigrizia. Spiega Andrea Chiodini docente di religione allo scientifico Vittorini, «i ragazzi cercano dialogo e confronto, se lo trovano non si tirano indietro, anche quando si parla di posizioni della Chiesa e di Sacre Scritture. L’ora di religione è una finestra su attualità, diritti umani, scienza e in questo momento di incertezza gioca un ruolo fondamentale».

Al Tito Livio il quotidiano ha anche intervistato uno studente non cristiano, che spiega: ««Ho scelto di frequentare lo stesso, soprattutto per curiosità intellettuale e voglia di approfondire la mia cultura sulla materia. L’ora mi piace: è stimolante, c’è uno scambio continuo di idee con i compagni e l’insegnante. Per questo ho deciso per il sì anche per il prossimo anno».

Intervistata anche la madre di due ragazzi in prima e terza media alla scuola di via Giusti: «Siamo una famiglia laica, non frequentiamo la chiesa e i figli non sono battezzati. Sono le ragioni per cui io e mio marito abbiamo preferito che non studiassero religione alle elementari, quando i bambini assorbono i concetti in modo acritico. Non avevo iscritto il primogenito neanche in prima media, poi mi è capitato fra le mani il testo adottato e sono rimasta colpita dai rimandi a storia, arte e architettura. Il nostro Paese ha radici cristiane ed è indubbio che lo studio della religione sia strettamente legato alle altre materie. Ho chiesto allora un colloquio con l’insegnante, il suo approccio mi è piaciuto e oggi i miei figli frequentano entrambi».

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Emanuela Orlandi, tre riflessioni sui nuovi sviluppi

Emanuela Orlandi

Dopo la comparsa di Marco Accetti si aprono nuovi scenari nel caso Orlandi. In particolare riteniamo che sia da approfondire il ruolo delle amiche di Emanuela, quello di Giulio Gangi e del Sisde ed infine un misterioso nome sul diario della Orlandi.

 
 

Dopo aver pubblicato una cronologia dettagliata, e aggiornata fino ai giorni attuali, sul caso della sparizione di Emanuela Orlandi, torniamo a parlarne.

Vogliamo proporre una riflessione sui molteplici fatti che stanno accadendo in questi giorni. Dovendo dare molte cose per scontato, ovviamente, invitiamo chi non riesce a seguire il filo del discorso ad approfondire recandosi al dossier citato sopra.

 

La comparsa di Marco Accetti

Il “caso Orlandi” sembra veramente essere arrivato ad una svolta grazie alla decisione di Marco Fassoni Accetti a comparire davanti ai magistrati autoaccusandosi di essere uno dei “cinque o sei” telefonisti che chiamarono la famiglia Orlandi nei primi mesi dopo la sparizione di Emanuela.

Accetti ha affermato di aver fatto parte dal ’79 all’83 di un«nucleo di controspionaggio» incaricato di «lavori sporchi» all’ombra del Vaticano, formato da giovani vicini ad ambienti ecclesiali, da elementi del Sisde (servizi segreti) e da esponenti della Magliana con lo scopo di condizionare la politica di papa Wojtyla, «per tutelare il dialogo con l’Est», nonché intervenire con attività di dossieraggio, «anche su impulso di personalità ecclesiastiche», nell’ambito di contrasti e guerre di potere all’interno delle Mura Leonine.

Il sequestro di Emanuela (e di un’altra ragazza, Mirella Gregori) sarebbe servito per la liberazione di Alì Agca -il quale si sarebbe sdebitato ritrattando le accuse ai bulgari di complicità nell’attentato al papa- e, sfruttando il clamore planetario della vicenda, per indurre il presidente dello Ior, Paul Marcinkus, a restituire i 400 milioni di dollari della Magliana affondati con il crack del Banco Ambrosiano.

Lo scenario descritto appare realistico in linea generale, sbaglia chi liquida velocemente Accetti come uno dei tanti ciarlatani spuntati fuori in questi in questi trent’anni. La spiegazione offerta, seppur abbozzata e filtrata dai quotidiani, risulta la più convincente mai formulata finora.

Se si vuole assumerla per vera rimangono però alcuni punti deboli:

  • Come può il “peso” di una quindicenne figlia di un messo pontificio essere barattato con la scarcerazione dell’attentatore del Pontefice, il quale -anche volendo- non potrebbe in nessun caso interferire con la giustizia italiana?
  • La vita di Emanuela valeva 400 milioni?
  • Se i soldi furono restituiti (si dice nel 1984) dov’è finita Emanuela?
  • Se i soldi non sono stati restituiti, dov’è Emanuela e in che modo i ricattatori avrebbero interrotto il ricatto?

Oltre a questo vorremmo, come detto, riflettere su tre punti importanti.

 

Le amiche di Emanuela pronte a testimoniare

Il primo elemento importante rivelato da Marco Accetti è che Emanuela si sarebbe allontanata con la complicità di un giro di amiche creato appositamente dai sequestratori.

L’uomo ha inviato un’e-mail al fratello, Pietro Orlandi, in cui accusa (giustamente, a mio avviso) il programma televisivo Chi l’ha visto di speculare su questo caso per meri motivi di audience.

In un passaggio di questa e-mail, Marco Accetti spiega di aver sospeso la collaborazione coi magistrati perché i depistaggi da parte della trasmissione televisiva «possono aver intimidito le persone a cui mi ero appellato per presentarci insieme e raccontare. Si può pensare che delle donne sui 40-45 anni con figli si prestino ad entrare in una tale tensione mediatica che racconta solo di pedofilia e omicidi? Questi testimoni sono coscienti che non vi è stata alcuna pedofilia né tanto meno omicidi».

L’uomo ha appositamente scelto di rivelare pubblicamente in questa frase una informazione importante, a patto che stia dicendo il vero: queste donne di 40-45 anni altro non possono essere che le “amiche” e coetanee di Emanuela (e di Mirella), complici del suo allontanamento.

 

La pineta, il gruppo Phoenix e Giulio Gangi

Una seconda riflessione: Marco Accetti nel dicembre 1983 (sei mesi dopo la sparizione di Emanuela) ha ucciso in zona Ostia, a Roma, in circostanze misteriose un bambino, José Garamon, investendolo con il suo furgone in una strada che costeggia una pineta Fu condannato per omicidio e omissione di soccorso ma assolto con formula piena dall’accusa di volontarietà.

Al giudice Giancarlo Capaldo che oggi indaga sulla scomparsa Emanuela e che lo ha interrogato, ha rivelato di aver mentito ai magistrati che lo indagarono nell’83, spiegando di essere stato in compagnia di un’altra persona su quel furgone, di essersi accorto di aver investito un bambino e di averne constatato la morte ma «dovevo coprire sia la persona sia le nostre intenzioni in quell’area».

Secondo la sua versione questo incidente sarebbe stato appositamente provocato dalla fazione opposta alla sua in quest’opera di “controspionaggio”. Pochi mesi prima del dicembre 1983, spiega Accetti, alla redazione del TG2 dagli Stati Uniti arrivò un messaggio firmato “Gruppo Phoenix” in cui venivano proprio minacciati gli «elementi implicati nel prelevamento di Emanuela Orlandi» ed in particolare i primi telefonisti che chiamarono la famiglia Orlandi, Pierluigi e Mario.

Il messaggio del Gruppo Phoneix diceva, infatti: «Vogliamo generosamente ricordare a Mario che nella pineta c’è tanto posto per aumentare la vegetazione».

Marco Accetti oggi spiega così: «All’epoca vi fu questo comunicato del Phoenix che noi sapevamo essere opera di alcuni, almeno, agenti del Sisde che parlava di una pineta come luogo in cui si sarebbe verificata una presunta punizione nei nostri confronti».

L’uomo ci sta dicendo indirettamente che lui dunque era il Mario che ha chiamato gli Orlandi pochi giorni dopo la sparizione di Emanuela? Si possono confrontare le due vociper verificare dato che quella telefonata è stata registrata dagli Orlandi?

E’ stato Pietro Orlandi, nel suo libro “Mia sorella Emanuela” (Edizioni Anordest 2012), ad aver rivelato per la prima volta che il gruppo “Phoenix” era collegato ai servizi segreti italiani (Sisde). Lo venne a sapere in circostanze fortuite a casa sua nei mesi successivi alla sparizione dall’agente segreto del Sisde, Giulio Gangi, che da subito aiutò gli Orlandi nelle ricerche su Emanuela.

Sentendo la notizia dell’ultimo comunicato di questo “gruppo Phoenix”, Gangi si girò e facendo l’occhiolino disse: «Quelli siamo noi»1citato in P. Orlandi, Mia sorella Emanuela, p. 129).

Pietro Orlandi cita solo questo episodio ma si presuppone che abbia fatto altre domande a Gangi, per lo meno per capire il motivo per cui il Sisde si fosse intromesso in questa vicenda confondendo le acque.

Fino a ieri spiegavamo questa intrusione come una tattica per confondere i veri sequestratori, giocando al loro stesso gioco tramite comunicati anonimi e aspettando un loro passo falso. Ma oggi le cose cambiano con la testimonianza (da verificare) di Accetti.

Giulio Gangi sapeva che una parte del Sisde era implicata in prima persona in questa vicenda come fazione opposta a quella di Fassoni Accetti? Oppure ha solo orecchiato qualcosa ignorando i giri loschi del Sisde?

Informazioni che potrebbe offrire oggi ai magistrati per chiarire meglio il quadro, usandole anche come verifica dell’attendibilità di Accetti.

 

Quel nome sul diario di Emanuela

Un’ultima considerazione, pur scollegata dagli ultimi avvenimenti.

Nel giugno 2008 Max Parisi, un giornalista che si occupò del “caso Orlandi”, invitò gli inquirenti a non concentrarsi sulla tomba di De Pedis ma ad analizzare il diario di Emanuela Orlandi (sequestrato dal Sisde2P. Orlandi, Mia sorella Emanuela, p. 59.

Sul suo diario, la giovane Emanuela avrebbe scritto il nome di una persona con la quale intratteneva una relazione ma, dice Parisi, «da quel nome le indagini non sono riuscite a risalire -o non si è voluto che accadesse- all’individuo in carne e ossa, e questo sebbene Emanuela Orlandi l’avesse scritto chiaramente più volte.

A quel nome, riferisce Parisi, non corrisponde nessuno degli amici della ragazzina e neppure dei conoscenti. Questo porta a dire che Emanuela Orlandi aveva una relazione sconosciuta a tutti con una persona completamente estranea al suo mondo adolescenziale?

«Quel nome l’ho saputo e mi ha colpito», disse il giornalista. «Non intendo divulgarlo, ma ritengo sia arrivato il momento di riprendere le indagini anche su questo versante».

Un altro giornalista, Pino Nicotri, ha rivelato che sul diario di Emanuela ci sarebbe la frase «sto da nove mesi con Marcello»3citata in P. Nicotri, Emanuela Orlandi: la verità, Dalai Editore 2008, pp. 24, 25.

E’ stato appurato che si trattava di Marcello Marinis ed a scrivere quella frase fu la sorella Federica, effettivamente fidanzata con lui.

Max Parisi si riferisce a questo nome? O di un altro? Perché lo avrebbe “colpito”?

Abbiamo rivolto a lui queste domande ma ha declinato con gentilezza: «Mi dispiace, ma su questo specifico punto NON intendo dire nulla, al momento. Grazie, comunque».

La redazione

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Firma anche tu la campagna pro-life: “Uno di noi”

Uno di noiDomenica 12 maggio 2013 si terrà una giornata nazionale a sostegno dell’iniziativa “Uno di noi”, la campagna pubblica avviata in tutta Europa per il sostegno giuridico all’embrione. Non sarà contro qualcuno o contro qualcosa, ma a favore del più piccolo tra gli esseri viventi della razza umana, come ha spiegato l’europarlamentare Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita.

Dal 5 maggio i manifesti sono stati affissi e i depliant diffusi nelle parrocchie, mentre domenica 12 maggio si terrà la grande raccolta di firme, peraltro già attiva sul web su questo portale (invitiamo tutti a inserire i propri dati e firmare).

Obiettivo degli organizzatori è quello di totalizzare in almeno sette Paesi europei un milione di firme (l’Italia è già arrivata a 85.000, la Polonia a 65.000, la Francia a 60.000, Inghilterra e Galles a 54.000).

Il parlamentare spagnolo Jaime Mayor Oreja, vice-presidente del gruppo del Partito popolare europeo e già ministro dell’Interno in Spagna, ha detto che «l’iniziativa ha un’importanza trascendente e storica perché non ci vogliamo rassegnare al fatto che in Europa vinca la cultura della morte». «In questo momento storico – ha detto Maria Grazia Colombo, portavoce del Comitato – è importantissimo questo discorso di rispetto della persona e non si può far finta che nasca solo da un certo punto della vita».

Dal Messico intanto la notizia che una sentenza della Corte Suprema ha sostenuto positivamente due emendamenti statali che proteggono la vita dal concepimento, affermando che la tutela della vita dal momento del concepimento non viola i diritti riproduttivi delle donne.

 

Qui sotto lo spot della campagna “Uno di Noi”

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Anche quest’anno la Marcia per la vita

Marcia per la vitaNella lunga storia della tradizione morale e sociale cattolica, la questione riguardante la tutela della vita fin dal concepimento ha sempre rivestito un ruolo di primaria importanza. Già in documenti risalenti al II secolo, come la “Lettera a Diogneto”, abbiamo testimonianza di tale aspetto : “i cristiani si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati“.

E’ evidente che il contesto sociale dell’epoca era radicalmente differente da quello odierno, ma questo documento ci dice che, già a quei tempi, i cristiani si distinguevano per un atteggiamento di forte tutela nei confronti delle nuove vite. Nel corso del tempo, fino ad arrivare ai nostri giorni, la “passione” del mondo cattolico per tale tema non è stata sempre costante, ma ha attraversato alti e bassi, fino quasi ad assopirsi. Nel 2005, la sveglia la suonarono niente meno che i radicali, con il loro referendum contro la legge 40; quell’evento, mosse diverse coscienze sul tema della vita e dell’aborto, e fu anche l’occasione per l’avvio di un proficuo dialogo tra la tradizione sociale cattolica e il libero pensiero di diversi laici, toccati nel vivo da quella delicata questione.

Successivamente, i cattolici non raccolsero adeguatamente l’eredità sociale e politica di quel dialogo, ma tornarono alle loro “faccende domestiche” e parrocchiali. Oggi, qualcosa sembra tornato in movimento; la nascita della rivista “Notizie pro vita”, aggregatore di numerosi bioeticisti italiani, il convegno sull’Enciclica “Evangelium Vitae”, promossso dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione guidato da Mons. Rino Fisichella, previsto per il 15 e il 16 giugno, e gli eventi di domani, 12 maggio quando l’iniziativa “Uno di noi” coinvolgerà tutte le parrocchie italiane, le quali lanceranno un messaggio : la vita umana va rispettata sempre e comunque, fin dal suo inizio. Questo servirà forse a ricordare ai cattolici che, anche oggi, sono chiamati a riprendere quella coscienza morale e sociale che guidava le comunità cristiane fin dai primi secoli.

Sempre domani 12 maggio, a partire dalle 9 di mattina, si terrà a Roma la terza Marcia nazionale della vita, con la presenza di numerosi gruppi provenienti da tutto il Paese. Lo scopo è quello di ricordare che non è possibile svolgere una reale funzione sociale lasciando da parte le grandi domande e le importanti questioni sulla dignità della persona; quest’ultima, infatti, preesiste allo Stato, ed esso non può garantire una reale ed effettiva tutela della comunità se non riconosce tale aspetto. La marcia per la vita, non può che essere, inoltre, contraria all’aborto, perché in esso si concentrano varie forme di deresponsabilizzazione; dell’uomo nei confronti della donna, della donna nei confronti del figlio, e dello Stato, pronto ad accollarsi le spese per le pratiche abortive, ma sempre più restìo a fornire aiuti alle coppie e alle famiglie con figli. Marcia per la vita significa anche promozione della cultura del rispetto, dell’accoglienza, del dono, e del sacrificio come mezzo per il raggiungimento di un Fine più grande.

Ma questa, infine, sarà anche un’occasione di incontro; alla marcia, infatti, prenderanno parte anche non credenti. Questo perché, come afferma Virginia del comitato organizzatore, “Non c’è nulla che unisca gli uomini più del fatto che siamo tutti figli; è sui principi non negoziabili, sul riconoscimento di doveri e diritti veramente universali, assiomatici, che si può fondare qualsiasi dialogo, tra popoli, persone, culture differenti.“. “Marciare per la vita”, quindi, significa affermare il valore di ogni persona; significa ribadire ancora una volta che la vita è un dono, e come tale va custodito fin dal suo principio.

Nicola Terramagra

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El Salvador: donna muore senza aborto? No, è una bufala

El SalvadorLa tattica è sempre la stessa: manipolare la realtà per legittimare la propria attività lobbystica. Lo ha fatto di recente l’Associazione Luca Coscioni mentendo spudoratamente sui risultati di una ricerca scientifica delll’istituto “Mario Negri” sull’eutanasia clandestina e sta avvenendo un altro tipo di manipolazione anche in El Salvador per imporre la legalizzazione dell’aborto.

Su tutti i quotidiani leggiamo la stessa storia: andare avanti con la gravidanza per Beatriz (il nome è di fantasia) potrebbe significare la morte perché soffre di una grave alterazione del sistema immunitario. Ma in Salvador la legge vieta l’interruzione di gravidanza e i medici non la operano perché hanno paura di essere incriminati.

Qual è la verità? Ovviamente un’altra, come sempre: la donna è stabile e, come spiegato (anche qui) dal ginecologo Carlos Mayora Escobar che rappresenta l’Associazione di Bioetica di El Salvador, si raccomanda che Beatriz continui la gravidanza e quando i medici lo riterranno opportuno potrà essere indotto il parto con taglio cesareo o vaginale. Il Lupus di cui è affetta è infatti in fase inattiva e può essere medicato senza inconvenienti. «La paziente è stata molto ben gestita presso l’Ospedale di maternità, è guardata con attenzione», ha detto il dott. Mayora. Non c’è nessun pericolo di vita se verranno eseguite le cure mediche adeguate. Con il progresso della medicina non c’è nessun motivo a sostegno dell’aborto terapeutico!

La Fundación Sí a la Vida ha contatti telefonici frequenti con Beatriz e spiegano in un comunicato: «La fuga di informazioni inesatte circa il caso di Beatriz serve solo a strumentalizzare questo caso. Lei è una donna malata e ha bisogno di tutto il sostegno». L’avvocato Georgina de Rivas, dell’associazione “Abogados por Derechos Humanos”, ha invece denunciato che la donna è sottoposta a forti pressioni da parte di associazione abortiste internazionali, come Planned Parenthood e Amnesty International, che vogliono presentare i dati sulla sua malattia in modo alternato per giustificare l’imposizione dell’aborto terapeutico.

La redazione

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E’ possibile conciliare ateismo e relativismo?

Relativismo 
Don Anderson Alves*
*dottorando in Filosofia,
 
 
da Zenit.it 16/01/13
 

La domanda è se l’ateismo sia un sistema di pensiero coerente. Più precisamente, ci si chiede se sia possibile affermare contemporaneamente la non-esistenza di Dio e il relativismo. Potrebbe essere vero che non c’è verità e al tempo stesso essere vero che Dio non esista?

Secondo F. Nietzsche la negazione o la “morte” di Dio non sarebbe stata fondata sul il relativismo, ma sarebbe stata la stessa origine del relativismo. L’affermazione della non-esistenza di Dio sarebbe una scelta, qualcosa d’innegabile e impossibile da dimostrare da qualche verità precedente. E accettando questa convinzione, questo nuovo “dogma”, tutti gli altri dogmi sarebbero crollati. L’ateismo diverrebbe allora il fondamento del relativismo morale e cognitivo.

L’ateismo parte da un’affermazione che ha valore di verità assoluta: Dio non esiste. Se quest’affermazione non è assunta per gli atei come verità, semplicemente loro cesserebbero di essere atei. Il relativismo è, secondo loro, valido solo per le “verità” inferiori e tutti gli uomini dovrebbero sottomettersi all’imperativo morale unico: è vietato avere regoli morali.

È interessante notare che F. Nietzsche e altri filosofi atei hanno riconosciuto che il relativismo cognitivo e l’ateismo sono tra loro contraddittori. La ragione è che il relativismo implica l’affermazione della non-esistenza di verità assolute, ma si basa, a sua volta, su una verità assoluta: la non-esistenza di Dio. Pertanto, l’affermazione della non-esistenza di Dio implica l’affermazione della sua esistenza.

Altri pensatori atei che hanno capito le contraddizioni dell’ateismo contemporaneo sono M. Horkheimer e Th. Adorno. In realtà, hanno detto in un’opera comune, Dialettica dell’illuminismo, citando Nietzsche: «ci rendiamo conto “che anche noi non conoscitori di oggi, noi atei e antimetafisici, nutriamo il nostro fuoco all’incendio di una fede antica di due millenni, quella fede cristiana che era già la fede di Platone, essere Dio la verità e la verità divina”. Così anche la scienza incorre nella critica portata alla metafisica. La negazione di Dio implica di per sé una contraddizione insuperabile, in quanto nega il sapere stesso» (Einaudi, Torino 1966, p. 125).

Questi autori, relativisti e atei, che si considerano “non conoscitori e antimetafisici” alimentano la verità della loro fede ateistica nella cristiana, già presente in Platone: la fede nell’esistenza della verità divina. Quindi è possibile affermare la non esistenza di Dio, solo per chi accetta che ci sia una verità assoluta, divina. In altre parole, solo può negare Dio, chi lo riconosce in precedenza.

Pertanto, l’ateismo, al negare Dio e la verità delle cose (che è sempre relativa al soggetto che conosce ed è progressiva), rivendica per se stesso un carattere assoluto, proprio di Dio, stabilendo così un nuovo dogmatismo. Pertanto, l’ateismo non esiste; non è altro che una sorta d’idolatria che consiste nel mettere se stesso e le proprie convinzioni personali, per quanto contraddittori possano essere, al posto di Dio, l’unico che garantisce tutta la verità.

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Legge 40/2004: breve storia di un martirio giudiziario

Legge 40 

di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

Tracciare nel dettaglio l’intera storia giudiziaria della legge 40/2004, disciplinante le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA ), sarebbe impresa ardua e pressoché infinita, tuttavia, si possono profilare le linee generali delle tappe di ciò che può essere definito un vero e proprio martirio giudiziario, cioè un assalto al corpo ed allo spirito di una delle più discusse leggi degli ultimi anni.

Per sgombrare il campo da ogni sospetto di clericalismo occorre ricordare en passant che la dottrina morale della Chiesa è contraria alla procreazione medicalmente assistita in quanto sostituzione di quella naturale che si struttura all’interno del rapporto sponsale quale momento di co-operazione della creatura con il disegno della creazione divina (come, per esempio tra i tanti, il capitolo 25 della “Humanae vitae” di Paolo VI). Affermato ciò, con la speranza di aver chiarito, seppur in modo sommario, la posizione della Chiesa, occorre esaminare la travagliata vita della legge 40/2004 partendo dal menzionare alcune note pronunce giurisprudenziali che l’hanno avuta ad oggetto. Occorre dunque procedere con ordine.

 

La ratio legis
La legge 40/2004 è stata varata per porre fine all’anarchia procreativa che era ampiamente diffusa prima della sua approvazione. Le tecniche di PMA che la legge 40/2004 è chiamata a disciplinare sono ritenute, adesso, l’estrema ratio in caso di infertilità o sterilità, come si evince già dal secondo comma dell’articolo 1. La legge 40/2004, tuttavia, non intende sacrificare agli altari della tecnica la dignità umana o mercificare l’umanità degli esseri umani che vi sono coinvolti, ed ecco perché, quindi, suggella il riconoscimento di tutti i soggetti coinvolti, cioè oltre la donna, anche il marito/convivente, e, soprattutto, il concepito.

Tenendo presente questa tutela, soprattutto quella in riferimento al concepito, quale elemento cardine dello spirito di tutta la legge, il legislatore ha posto alcuni divieti, tra i quali il divieto di creare più di tre embrioni e, nel caso, di impiantarli tutti e tre; il divieto della fecondazione eterologa, cioè utilizzando gameti provenienti da soggetti esterni alla coppia; il divieto di utilizzo degli embrioni ai fini sperimentali; il divieto di selezione eugenetica degli embrioni malati; il divieto di crioconservare gli embrioni se non per il caso della temporanea impossibilità di impiantarli (per esempio per un evento transeunte che riguarda la salute della madre); il divieto di procedere a clonazione; il divieto di creare ibridi e chimere tramite l’incrocio di gameti di specie diversa.

Tali previsioni costituiscono i bastioni principali del fortilizio eretto e posto a tutela del concepito dalla legge 40/2004, diuturnamente e pressantemente assediato da alcune lobbies che ricaverebbero fruttuosi guadagni dalla caduta di alcuni dei predetti divieti, da correnti minoritarie, ma ideologicamente agguerrite che portano avanti l’idea che il concepito non debba avere alcuna tutela in quanto non umano o comunque non persona, da giudici e corti inferiori e superiori, nazionali ed europee più propense ad assopirsi pigramente sulle prospettazioni delle parti piuttosto che ad esercitare un duro e faticoso lavoro di ermeneutica giuridica e filosofica, sacrificando alle ragioni dell’ideologia le ragioni del diritto e della giustizia.

Ovviamente non tutto è bene. Come Dante fu ammonito da Minosse affinché non l’ingannasse “l’ampiezza de l’intrare”, cioè la facilità della via, poiché la via del peccato è sempre quella più facile, così non bisogna lasciarsi ingannare da quelli che sembrano gli aspetti positivi di una simile legge, soprattutto per chi pensa che il concepito debba essere tutelato. Ad essere tirata in ballo, infatti, è la dimensione filosofica ed antropologica di fondo. Se le tecniche di PMA vengono utilizzate come strumento terapeutico per sopperire ad una patologia, i problemi gius-filosofici sembrano dissiparsi per buona parte, lasciando semmai spazio a quelli inerenti alla teologia in genere ed quella morale in particolare; se, invece, le stesse tecniche di PMA, al netto della disciplina legale di riferimento, vengono intese quale momento di esercizio di un diritto, cioè il presunto diritto al figlio, o quale momento di autogoverno del proprio corpo, o quale occasione per il soddisfacimento di un desiderio (di genitorialità), la faccenda si complica non poco, soprattutto dal punto di vista biogiuridico.

Le difficoltà aumentano se si mette in relazione la legge 40/2004 con la legge 194/1978 disciplinante la interruzione volontaria di gravidanza; la tematica è così vasta e complessa da richiedere una trattazione a sè stante, ma almeno una riflessione può essere brevemente espressa. Sebbene, infatti, le due leggi possano apparire ispirate da una logica opposta, procurare la maternità la prima ed evitare la maternità la seconda, ed in parte è vero che si fondano su valori diversi (si pensi per esempio al ruolo del padre, contemplato dalla prima, non citato dalla seconda), è anche pur vero che, a ben guardare, sono entrambe due sfumature differenti di uno stesso colore, cioè del grigiore che distingue il connubio tra non-cognitivismo etico e relativismo giuridico così di moda oggi. Si pensi a ciò che scrivono due esponenti di spicco del relativismo giuridico odierno, Natalino Irti e Stefano Rodotà, rispettivamente il primo sui valori: «Il valore giuridico del mondo dipende dal nostro punto di vista e varia col variare di esso»; e il secondo sulla disponibilità del corpo: «Le modificazioni possono essere ritenute necessarie dall’interessato per “stare bene con se stesso”, sì che diventa legittimo attrarre questo profilo nell’ambito della libera costruzione della personalità».

Insomma, viste nel loro insieme, senza scandagliare nelle profondità normative, le due leggi, quella sulla PMA e quella sulla IVG, appaiono per ciò che sono, cioè le due facce di una stessa medaglia, ovvero della prospettiva che esaltando le capacità fabbrili dell’uomo legittimano ogni intervento a mezzo delle potenzialità ogni giorno più accresciute offerte dalla scienza e dalla tecnica. Entrambe le leggi, insomma, sono la traduzione formale in termini legali di una specifica visione antropologica che vede nell’uomo e nell’uso della tecnica che esso mette in essere, l’unica istanza superiore riconoscibile, escludente ogni altra dimensione, anche e soprattutto quella etica. Non è dunque un caso che Aldo Schiavone ritenga che «la tecnica in sé, non è fredda né calda», assegnando alla tecnica una neutralità etica che ovviamente essa non possiede, ma la de-assiologizzazione della quale è la spia più palese del passaggio dalla tecnica al tecnicismo, cioè della sublimazione ideologica dell’uso della tecnica medesima. Tralasciando queste ulteriori complicazioni, in questa sede non adeguatamente risolvibili, occorre tener presente che la legge 40/2004, sebbene condivida con la legge 194/1978, una identità della dimensione antropologica di riferimento, è anche pur vero che da essa nel concreto dei suoi dettami normativi, si differenzia, poiché, come già accennato, riconosce e tutela i diritti del nascituro con una specifica panoplia giuridica costituita dai citati divieti. Contro queste difese si scaglia da anni la giurisprudenza che pezzo dopo pezzo sembra aver proceduto ad un vero e proprio smantellamento della legge 40/2004 ignorandone o disconoscendone, si spera almeno in buona fede, la ratio che la sottende.

 

Le decisioni della Giurisprudenza
Nell’arco degli anni le pronunce sono state circa una ventina di cui solo tre sostanzialmente “favorevoli” alla legge 40/2004 e tutte le altre ad essa “contrarie”. Ovviamente, la distinzione tra “pro” e “contro” legge 40/2004 è una elementare forma di semplificazione che tuttavia, vista la limitazione di spazio e tempo per chi scrive e per chi legge, si rende necessaria per comprendere le travagliate vicende che riguardano la suddetta legge in tema di PMA. La prima pronuncia che ha visto coinvolta la legge 40/2004 è stata quella del Tribunale di Catania nel maggio del 2004 con cui si è respinta la richiesta di una coppia portatrice di betatalassemia che intendeva impiantare soltanto gli embrioni risultanti negativi ai test sulla patologia anzidetta, adducendo l’applicazione analogica della legge 194/1978 con l’idea che sarebbe stato più giusto evitare di impiantare gli embrioni malati piuttosto che impiantarli e poi ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.
Il Giudice di Catania ha ragionevolmente rigettato tale richiesta rinvenendo un errore logico-giuridico: la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza non poteva essere applicata al caso di specie, in quanto il presupposto affinché si applichi la 194/1978 è che una gravidanza vi sia, circostanza non presente nel caso di embrioni non ancora impiantati (sarebbe come applicare le pene per l’omicidio in assenza di omicidio o quelle sul testamento in totale assenza della volontà testamentaria). Il Tribunale di Catania riteneva inoltre che la eventuale applicazione della 194/1978 così come richiesta dai ricorrenti, non fosse corretta, in quanto la coppia richiedeva qualcosa che l’ordinamento non contempla, anzi vieta, cioè l’aborto eugenetico.

Sempre nel 2004 il Tribunale di Cagliari, invece, in senso totalmente opposto rispetto al Tribunale di Catania, ha ammesso l’interruzione di gravidanza, sebbene dopo l’inizio della stessa e non in vista di selezioni eugenetiche, legittimata dal trovarsi in presenza di gravidanza plurima con supposti rischi per la madre e i nascituri. Si giunge infine alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 369 del novembre del 2006 con cui la Corte Costituzionale respinge i dubbi di legittimità costituzionale sull’art. 13 della legge 40/2004 (divieto di sperimentazione sugli embrioni) sollevati dal Tribunale di Cagliari. Con queste tre statuizioni, si può affermare in un certo senso, si chiude il ciclo di interventi giurisprudenziali “favorevoli” alla legge 40/2004; da questo momento in poi, sostanzialmente tutte le successive decisioni delle Corti italiane, di merito e di legittimità, hanno proceduto allo smantellamento della legge in questione.

Legge 40 2

Nel 2007 il Tribunale di Cagliari e il Tribunale di Firenze hanno ritenuto ammissibile la diagnosi genetica pre-impianto ( DGP ), così come il Tribunale di Bologna nel 2009, il Tribunale di Salerno per ben due volte nel 2010. Nel 2008 il Tar del Lazio annulla per eccesso di potere le linee guida ministeriali che ricalcano quanto sancisce la legge 40/2004 nel punto in cui prevede che l’indagine sugli embrioni possa essere soltanto di tipo osservazionale e non selettivo; ancora nel 2008 il Tribunale di Firenze, per due volte, solleva dubbi di legittimità costituzionale sull’articolo 14 della legge 40/2004 (divieto di crioconservazione e soppressione degli embrioni ). Nel 2009 la Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 151, dichiara l’illegittimità costituzionale del limite massimo di tre embrioni producibili e il conseguente obbligo di impianto di tutti quelli prodotti. Nel 2010 ancora la Corte Costituzionale si pronuncia e conferma quanto disposto con la predetta sentenza del 2009. Nel 2010 il Tribunale di Firenze e di Catania, e nel 2011 quello di Milano, sollevano dubbi di legittimità costituzionale circa il divieto posto dalle legge 40/2004 di procedere alla fecondazione eterologa. Nel 2012 la Corte Costituzionale, riunisce i tre predetti procedimenti, e pur non esprimendosi in modo definitivo sulla fecondazione eterologa, lascia aperta una via affinché in futuro le Corti possano meglio formulare le loro decisioni in senso favorevole alla fecondazione eterologa, circostanza già venuta in essere con l’ordinanza del Tribunale di Milano del marzo 2013 con cui le toghe lombarde ritengono che il suddetto divieto di fecondazione eterologa sia contrario alla libertà genitoriale della coppia che desidera farvi ricorso. Sempre nel 2012, infine, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo stabilisce che il divieto di diagnosi genetica preimpianto ( DGP ) contemplato dalla legge 40/2004 sia contrario al diritto al rispetto della vita familiare e al principio di uguaglianza contemplati dagli articoli 8 e 14 della Carta europea dei diritti dell’uomo.

 

Brevi osservazioni critiche
Se riassumere in breve il problema e le decisioni delle toghe sul problema è impresa ardua, condensare le critiche alle citate pronunce giurisprudenziali, è praticamente impossibile; tuttavia delle considerazioni possono essere proposte più come punti di partenza che di arrivo per continuare una riflessione sul tema.

In primo luogo: balza immediatamente agli occhi la contraddizione per cui nel 2004 il Tribunale di Cagliari ritenne di dover autorizzare una IVG a seguito di PMA in quanto in presenza di gravidanza plurima a seguito dell’impianto degli embrioni, mentre nel 2009 la Corte Costituzionale ritiene lesivo della libertà procreativa delle coppie il limite massimo di tre embrioni, favorendo dunque una produzione embrionaria superiore a detto limite. La Corte Costituzionale, ignorando del tutto il cosiddetto “stato dell’arte”, cioè la situazione scientifica al momento della sua decisione, sembra essere incorsa in un gravissimo caso di errore giudiziario. Si ritiene comunemente, infatti, all’un tempo da un lato che la limitazione degli embrioni al numero di tre, costituisca una violazione della libertà riproduttiva perché limita la probabilità della gravidanza, mentre da un altro lato che l’impianto di tre embrioni possa costituire un pericolo per la donna. Le corti sembrano essersi piegate a soluzioni molto ideologiche e poco scientifiche e ancor meno giuridico-filosofiche, ignorando, sul punto del numero degli embrioni opportuni da impiantare, quanto segue. Mentre in Italia la legge 40/2004 veniva sottoposta a referendum con la speranza che venisse abrogato il limite di tre embrioni, giudicato troppo basso, limite poi travolto dalla dichiarazione di incostituzionalità operato dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza 151/2009, all’estero gli studi scientifici indicavano la strada giusta percorsa dalla legge 40/2004.

Gli studi sono numerosi e non si possono riportare tutti, ma a livello esemplificativo si ricordino quelli condotti, tra i tanti, in Svezia ed in Finlandia che hanno condotto alla riduzione del numero degli embrioni da impiantare fino al numero di uno solo, essendo questo il caso migliore per conciliare la sicurezza della donna con una probabilità di inizio della gravidanza non inferiore al caso di trasferimento multi-embrionario. Questo il link dello studio apparso in tal senso già nel 2005 sulla rivista “Human Reproduction” e questo quello dello studio apparso sulla autorevole rivista “Lancet” in cui si chiarisce che non sempre l’impianto di più embrioni sia la scelta ottimale sia ai fini della gravidanza, sia ai fini della salute della donna, soprattutto in relazione all’età della donna che dovrà ricevere l’impianto. Si consideri inoltre lo studio pubblicato già nel 2004, cioè mentre la fazione referendaria italiana cercava di convincere l’opinione pubblica sulla presunta ingiustizia del limite di tre embrioni come limite alla maternità, sulla prestigiosa ed autorevole rivista “The New England Journal of Medicine” sui rischi derivanti dall’impianto di più embrioni. Tutto ciò chiarito, occorre però evidenziare l’insufficienza etica e giuridica di una tale prospettiva, poiché, prescindendo dalle decisioni dei giudici e dalle ragioni scientifiche che ad esse si oppongono, non può rilevarsi che un tal modo di procedere è metodologicamente errato in quanto inspirato dal criterio della quantità e non da quello della qualità.

In altri termini: nonostante i risultati scientifici smentiscano radicalmente l’opinione delle Corti italiane, nostro malgrado proprio a cominciare dalla Corte Costituzionale, trattandosi di embrioni, non ci si può semplicemente affidar al calcolo numerico, cioè occorre ricordare che ciascun embrione deve essere trattato per ciò che è, ovvero una individualità già geneticamente determinata e non una semplice biglia di un pallottoliere uguale a quella che la precede ed a quella che la segue, cioè sostituibile. Come ha giustamente notato Vladimir Soloviev «le verità matematiche hanno un significato universale, ma riescono indifferenti dal punto di vista morale»; ed essendo il problema dei diritti dell’embrione, un tema tipicamente giuridico e morale, non può essere ricondotto alla mera e amorale ( non immorale ) dimensione matematica che ne fa un numero, un qualcosa, producibile e riproducibile in serie industriale, invece che un qualcuno, unico ed irripetibile. La tematica potrebbe essere ancora affrontata a lungo e chiarita meglio, ma non certo in questa sede.

In secondo luogo: pur non potendo affrontare tutti i problemi relativi all’intera disciplina della legge 40/2004, non si può evitare di accennare brevemente alla fecondazione eterologa, vietata dalla legge ed ammessa, invece, da chi la legge è chiamato ad applicare. Secondo l’opinione dominante della giurisprudenza la fecondazione eterologa garantirebbe la libertà della coppia, dimenticando i giudici che, in effetti, è proprio l’opposto per i motivi che seguono. La fecondazione eterologa lungi dal tutelare la coppia, in effetti la sgretola e ne sancisce la fine, in quanto inserisce un terzo, o perfino un quarto (cioè i donatori di gameti) soggetto all’interno della coppia medesima, come dimostra questo tra i tanti esempi citabili. Inoltre la coppia, non è una entità a sé stante, fuori dal mondo, parallela alla realtà, per cui si dovrebbe contemplare la tutela anche degli eventuali figli nati, con il metodo eterologo, che si ritroverebbero ad avere più genitori: genetici, biologici, sociali, legali.

La genitorialità che alcuni ritengono essere tutelata dalla fecondazione eterologa, proprio da quest’ultima viene definitivamente distrutta poiché viene ad essere scissa e divisa, adespotizzata si direbbe in termini giuridici, in capo ad una moltitudine di soggetti diversi che potrebbero tutti reclamare il diritto di essere genitori, oppure rifiutare tutti un tale diritto dando vita, paradossalmente, ad un orfano in provetta, caso, quest’ultimo, meno infrequente di quanto possa apparire, a cominciare proprio dal primo del 1997. Aggiungasi inoltre che qualora la fecondazione eterologa venisse ad incrociarsi con la maternità surrogata, i problemi non potrebbero che aumentare, poiché si dovrebbe rispondere al quesito etico sul ruolo della madre gestazionale e sul rapporto di questa con il nascituro, sui diritti di questo verso chi ha condotto la gravidanza e sugli eventuali doveri della madre gestazionale nei confronti del partorito (oltre ad una serie di quesiti specificamente tecnico-giuridici: che fare se la madre gestazionale non volesse poi consegnare il nascituro come previsto per contratto? Potrebbe pensarsi ad una esecuzione coattiva? L’utero prestato per simili procedure, dovrebbe essere gratuitamente offerto o a pagamento? E perché sì o no in un senso e perché sì o no nell’altro?).

Il pensiero post-femminista, oggi grande sostenitore della liberalizzazione della fecondazione eterologa, non sembra in grado di cogliere la portata anti-femminista di un simile metodo procreativo, anche se, pare, vi sia qualche coscienza più illuminata che si è già accorta di una simile contraddizione. Miriam Mafai, infatti, scriveva già nel 1997 sui rischi etici, sociali e giuridici di una simile tecnica: «Stiamo entrando nel grande circuito della mercificazione della gravidanza con tutti i cambiamenti giuridici, etici e psicologici che da questo possono derivare. Avremo tra breve anche noi come in America degli album tra cui scegliere le nostre incubatrici umane. Chi di noi non vorrà portare in grembo il suo bambino potrà, pagando, depositare il suo embrione altrove e tornare a riprenderlo dopo nove mesi. Si rompe così definitivamente un legame naturale, unico, nutrito di sangue e di sogni tra la madre e quello che una volta si chiamava “il frutto del ventre tuo” […]. Non tutto ciò che è possibile allo scienziato può essere considerato lecito».

E’ evidente quindi che i Tribunali, praticamente e preoccupantemente sordi alla voce del diritto, ma ammaliati dalle sirene dell’ideologia, si adoperino per indirizzare e dirigere l’opinione pubblica pur contro le risultanze scientifiche, etiche e giuridiche, abbandonandosi a quell’attivismo giudiziario descritto e condannato dal noto ed autorevole Professore di Diritto Costituzionale dell’Università di Yale, Robert Bork, per il quale «l’attivismo giudiziario è il risultato dello schieramento dei giudici da un’unica parte della guerra culturale – una realtà evidente in tutte le nazioni occidentali anche se alcuni ne negano l’esistenza – combattuta tra la sinistra culturale o progressista e la grande massa dei cittadini che, se lasciata libera di agire, tende ad essere tradizionalista. In definitiva, le corti stanno applicando il programma della sinistra culturale».

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