8×1000 alla Chiesa cattolica, scelta di utilità per tutti

8x1000 
 
da documentazione.info, 18/04/13
 
 

E’ cominciata la campagna dell’8×1000 alla Chiesa Cattolica, un tema che è spesso oggetto di discussione. Cerchiamo di fare un po’ di ordine sull’argomento offrendo alcuni numeri e dati.

Ogni cittadino, tutti gli anni, è chiamato a scegliere a chi va destinato l’8×1000 del gettito complessivo dell’Irpef: allo Stato, alla Chiesa Cattolica o ad altre istituzioni religiose. Secondo le informazioni fornite dagli uffici della Ragioneria generale dello Stato, il 43,5 per cento dei contribuenti ha effettuato la scelta relativa alla destinazione dell’otto per mille, di questi l’85% ha scelto la Chiesa Cattolica. Stando ai dati del 2008 i contribuenti in italia sono circa 40 milioni. Ciò significa che sono circa 15 milioni gli italiani che hanno espresso la loro preferenza di destinare l’8×1000 in maggiornaza alla Chiesa cattolica. Qualsiasi sondaggio non avrebbe cifre così rappresentative.

Sul sito www.8×1000.it la Chiesa Cattolica pubblica periodicamente il rendiconto che distribuisce anche a tutte le redazioni dei media. L’uso dell’8×1000 è descritto nel dettaglio sul sito www.chiediloaloro.it dove si può vedere come vengono utilizzati i proventi sul territorio. I dati sono aggiornati all’aprile del 2012.

 

Quant’è l’8×1000 alla Chiesa
Nel 2012 la Chiesa ha ricevuto 1 miliardo 148 milioni 76 mila e 594 euro (1.148.076.594,08), di cui euro 117.430.056,09 a titolo di conguaglio per l’anno 2009 ed euro 1.030.646.537,99 a titolo di anticipo dell’anno 2012 (Vedi qui).

Come vengono spesi questi soldi? L’8×1000 finanzia tre aree: esigenze di culto, interventi caritativi e sostentamento del clero (per un resoconto dettagliato degli interventi dal 1990 al 2011 consultare: http://www.8xmille.it/rendiconti/rendiconto.pdf).

 

Esigenze di culto: chiese, centri di ascolto, tutela del patrimonio
Quando si parla di esigenze di culto e della popolazione, per cui vengono spesi 479 milioni di euro all’anno, è bene capire di cosa si sta parlando. Ad esempio appartiene a questa area non solo la costruzione di nuove chiese laddove ce n’è bisogno ma anche la creazione di centri di ascolto e centri di accoglienza parrocchiali o diocesani che sono a servizio dei cittadini. In un articolo qualche tempo fa avevamo mostrato il contributo che le parrocchie e gli oratori restituiscono al Paese quantificabile in 260 milioni di euro all’anno.

Nelle esigenze di culto rientrano anche progetti di volontariato e di assistenza promossi e portati avanti dai sacerdoti, così come il supporto economico a chi deve affrontare processi matrimoniali canonici e non ha le risorse: ad esempio una donna che chiede la nullità del matrimonio e non può permettersi la causa.

Sempre nelle esigenze di culto rientra la tutela e restauro dei beni culturali ecclesiastici che costituiscono il 70% del patrimonio artistico italiano. Come abbiamo già scritto su circa 95.000 chiese, ben 85.000 sono ritenute un bene culturale, così come 1.535 monasteri, 3.000 complessi monumentali, 5.500 biblioteche, 26.000 archivi, 700 collezioni e musei ecclesiastici e migliaia di opere pittoriche e scultoree. Negli ultimi anni la Cei ha destinato ogni anno tra i 63 e i 68 milioni di euro alla tutela e il restauro dei beni culturali ecclesiastici.

 

Interventi caritativi
Per gli interventi caritativi vengono spesi 255 milioni di euro all’anno. Questa cifra è aumentata costantemente negli anni passando da 149 milioni del 2000 ai 255 milioni del 2012. Tra gli interventi sono stati supportati progetti nelle 226 diocesi italiane, progetti come a Rovereto dove 140 volontari si sono alternati nell’emergenze freddo, oppure la fondazione Comunità solidale che offre sostegno ai senza fissa dimora in continuo aumento anche per colpa della crisi economica. A Firenze ad esempio la Caritas ha aperto alcune case alloggio per l’assistenza diurna e notturna dei malati di Aids. Oltre alle cure mediche ricevono accoglienza per rompere la barriera di solitudine in cui la malattia li costringe. A Palermo, quartiere Ballarò, un asilo multietnico “Il giardino di madre Teresa” si prende cura dei bambini dalle 7.30 alle 18.00 permettendo ai genitori, per lo più immigrati, di svolgere un lavoro, requisito importante per una vera integrazione.

A favore dei paesi del Terzo Mondo sono stati approvati finora più di 11 mila progetti. Con iniziative per l’alfabetizzazione in Madagascar, realizzazione di strutture abitative per studenti poveri in Vietnam e Myanmar, costruzione della facoltà di diritto in Congo, costruzione di scuole per bambini in India e così via.

Un altro ambito di intervento è quello dei progetti di rilevanza nazionale. Nel rendiconto si legge: “la CEI ha stanziato fondi per: la Caritas italiana, la Fondazione Migrantes, i Centri di aiuto alla vita, i centri d’accoglienza di studenti stranieri, il coordinamento nazionale delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti, le organizzazioni di volontariato internazionale, i centri sociali e ricreativi per giovani, i centri di soccorso e assistenza ai poveri e ai barboni, per il sostegno a giovani disadattate, i centri sociali per marittimi e per il sostegno ai volontari in campo sanitario. Inoltre nel 2009 è stato costituito il “Prestito della Speranza” anche grazie ad un “fondo straordinario di garanzia” per le famiglie che la crisi ha lasciato senza reddito. Nel 2010 ne è iniziata l’erogazione tramite le caritas diocesane. Ricordiamo, infine, i fondi destinati per far fronte ai bisogni essenziali delle persone straziate da spaventosi disastri come il terremoto in Abruzzo, l’alluvione nel messinese e il nubifragio in Sardegna. I contributi sono continuati anche nel corso del 2010 e del 2011 come, ad esempio, il milione di euro stanziato dopo il devastante nubifragio del 4 novembre a Genova”.

 

Sostentamento del clero
In Italia ci sono circa 38.000 sacerdoti dei quali 2.980 in pensione o malati. L’8×1000 contribuisce al loro sostentamento con 364 milioni di euro. E’ da tener presente che un prete “costa” all’anno circa 15.000€ lordi. Gli stipendi variano da 900€ al mese circa per i sacerdoti appena ordinati a 1.300€ circa al mese per i vescovi a fine mandato. I parroci e i sacerdoti prestano un servizio costante 7 giorni su 7, week-end compresi.

 

Come abbiamo visto tempo fa a fronte del miliardo e 148 milioni dell’8×1000 la Chiesa rende allo Stato 10 volte tanto in servizi alla popolazione (circa 11 miliardi di euro).

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Il video (inedito) del presunto esorcismo di papa Francesco

EsorcismoDomenica scorsa in piazza San Pietro, alla fine della messa di Pentecoste, papa Francesco ha compiuto un esorcismo come divulgato erroneamente da TV2000? No, si è trattato, come spiegato da padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, di «uno speciale gesto di attenzione e benedizione particolare per il ragazzo, ma non è stato un esorcismo».

Secondo padre Gabriele Amorth, sacerdote ed esorcista, si tratta invece di «un vero esorcismo» e ha spiegato che il giorno dopo lui stesso ha praticato un esorcismo sullo stesso uomo, Angelo, che sarebbe posseduto da quattro demoni: «Possiamo dire che gli ha fatto un esorcismo, perché un esorcismo è anche quello che uno fa mettendo le mani sul capo della persona e pregando, senza ricorrere agli esorcismi scritti». Mons. Attilio Cavalli, esorcista della diocesi di Roma, ha invece spiegato: «Con ogni probabilità, ha fatto una preghiera di guarigione o di liberazione sull’uomo, ma ciò che importa sottolineare in tutto questo – esorcismo o non esorcismo – è l’importanza della preghiera. La preghiera in generale è un atto di lode e una richiesta di aiuto, ma – in alcuni casi – anche una sorta di esorcismo: tutti pensano a chissà cosa, eppure anche il semplice “Padre Nostro” contiene le parole “liberaci dal male”». Il sacerdote che ha accompagnato Angelo, don Juan Rivas, il 9 giugno terrà una conferenza sull’accaduto a Los Angeles al Centro Juan Pablo II.

Si rimane comunque scossi dalle immagini del video, qui sotto nella versione originale. La Chiesa collabora in tutto il mondo a stretto contatto con gli psicologi, accertandosi che le persone curate non soffrano di disturbi mentali o psicologici. Mons. Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova, ha spiegato infatti: «Spesso sono gli stessi psichiatri a inviare i pazienti dai sacerdoti, ma non dobbiamo vedere il demonio ovunque». L’Ateneo pontificio Regina Apostolorum dal 2005 tiene ogni anno dei corsi formativi interdisciplinari sugli esorcismi, guidati da sacerdoti, psicologi, divulgatori scientifici, magistrati e dirigenti della Polizia di Stato, rivolti a medici e psicologi e anche a religiosi perché, spiegano, «crediamo che ogni bravo esorcista non possa non avere buone conoscenze di medicina e psichiatria».

Laura Cantarella, psicologa e psicoterapeuta e una delle docenti responsabili di questi corsi, ha spiegato che «la Chiesa stabilisce che, prima di arrivare all’esorcismo, la persona che teme di essere posseduta dal demonio debba effettuare visite mediche. Vanno anche valutati gli indizi che rivelano la presenza del demonio in una persona […]. Va inoltre accertata preventivamente la non reattività del soggetto alle terapie psichiatriche. Solo a quel punto si può procedere con il rito. In tempi recenti, la fede nella possessione si è indebolita anche da parte degli stessi ambienti ecclesiastici, poiché è stato scoperto come molti presunti casi di “indemoniati” debbano in realtà essere messi in relazione con malattie mentali, come la schizofrenia e alcune forme di psicosi, o con patologie quali la sindrome di Tourette. D’altra parte, molte persone che richiedono aiuto agli esorcisti vengono da essi stessi riconosciute come bisognose non di cure spirituali, ma psichiche».

Nei casi più gravi, ha proseguito, «si è di fronte a un elevato grado di schizofrenia, dove il delirio e le allucinazioni la fanno da padrone, e nella maggior parte dei casi sono associati stati epilettici. L’obiettivo del nostro corso è quello di portare alla conoscenza di tutti questo fenomeno, far aprire gli occhi agli scettici, dando allo stesso tempo gli strumenti per decodificare il disturbo psichiatrico da quello spirituale».

 

Qui sotto il video della preghiera liberatoria di Papa Francesco

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Il rettore Alberto Tesi toglie il crocifisso, ma non è neutralità

Alberto TesiDopo i lavori di ristrutturazione dell’aula magna dell’Università di Firenze è stato rimosso il crocifisso. L’idea è stata del rettore Alberto Tesi, nessun musulmano offeso, né alcun spirito laico scandalizzato, ma un’azione personale perché l’aula è «sempre più luogo di incontro e di confronto, non preveda la presenza di simboli confessionali». Mons. Giuseppe Betori, arcivescovo della città, ha commentato ironico: «Se i crocifissi danno fastidio negli spazi laici della cultura, verrebbe voglia di riprenderli, con Madonne e Santi, da Uffizi e altri musei». Molte le proteste, come quella dell’ex rettore Franco Scaramuzzi, presidente dell’Accademia dei Georgofili: «In un momento non facile per l’università, il buon senso dovrebbe indurre a evitare di compiere atti che non siano indispensabili o da tutti condivisi».

Sul Corriere Fiorentino è apparso un commento di Andrea Simoncini, professore ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Firenze, che di seguito riproduciamo. Per chi volesse inviare la propria opinione al rettore Alberto Tesi: alberto.tesi@unifi.it

 

«Caro direttore, siamo ancora il paese di Peppone e Don Camillo? O siamo cresciuti? Verrebbe da chiederselo. La vicenda della scomparsa del crocifisso dall’aula magna dell’Università è emblematica. Il Rettore toglie il simbolo cristiano; un giornalista del Corriere Fiorentino se ne accorge. Non è certo un «arredo» qualsiasi e scoppia il «caso». Al giornalista che chiede spiegazioni fanno sapere che piazza San Marco «ha ritenuto opportuno che l’aula magna, sempre più luogo d’incontro e di confronto, non preveda la presenza di simboli confessionali». Dunque, il Rettore non ha pensato di discutere la cosa, né perlomeno di far sapere cosa intendeva fare, ma ha scelto di agire di sua iniziativa, considerando la presenza di un simbolo religioso «inopportuna» in un luogo di incontro e confronto.

Lungi da me l’idea di agitare una guerra di religione su questo punto: insegno a Novoli dove sin dall’inizio non ci sono né crocifissi, né menorah, né mezze lune e questo non ha mai creato problema a nessuno. Penso, però, che l’Università dovrebbe essere un luogo in cui queste discussioni possano essere fatte laicamente. Non possiamo essere in balia delle «parrocchie» cristiane o anticristiane. Oggi viviamo in un contesto multiculturale e multireligioso; come affrontare questa condizione?

Se riteniamo, razionalmente, che la sola presenza di un simbolo religioso, ostacoli una discussione laica, le conseguenze sono assurde. Come facciamo a togliere il crocifisso dall’aula magna e lasciare che il logo dell’Università di Firenze (sulla carta intestata) sia Re Salomone?! Che, come dice il sito stesso di Unifi, è un «Re biblico»? Un simbolo per antonomasia della tradizione giudaico-cristiana? E come se si togliesse la croce dallo spogliatoio di una squadra di calcio e poi la si lasciasse sulle magliette… La questione, dunque, è ben più seria di un crocifisso rimosso, ma la motivazione che è stata data. Come si concilia la realtà multiculturale di oggi con la nostra storia? Un luogo per essere pubblico dev’essere necessariamente «bianco»; questa è vera neutralità?.

Sabato in tutta Firenze il Comune ha sponsorizzato la lettura pubblica dei canti di Dante, c’era mia figlia e sono andato. Possiamo pensare che una iniziativa del genere non dia spazio pubblico – una piazza – ad un autore – Dante – che in materia di morale e religione è tutt’altro che «neutrale» (per non parlare di Benigni a Santa Croce). Forse, il vero problema non è cosa è attaccato al muro, ma come si discute in quell’aula magna. Un’educazione è laica quando sviluppa la libera capacità critica anche rispetto alla propria storia, alla identità in cui siamo immersi e ai suoi segni, non quando li nasconde.

Un suggerimento interessante può venirci dal presidente di un’altra autorevole istituzione accademica – della cui laicità nessuno discute – l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole; Joseph Weiler, professore di diritto ed ebreo osservante è stato avvocato difensore nella causa in cui la Corte di Strasburgo ha solennemente dichiarato che il crocifisso nelle aule scolastiche italiane non viola i diritti dell’uomo. Ebbene Weiler chiudeva il suo intervento – che sarebbe bene rileggere – così: «Non fate questo errore. Un muro denudato per mandato statale, (…), può suggerire agli alunni che lo Stato sta prendendo un atteggiamento anti religioso. (…) C’è sempre un’interazione tra quello che c’è sul muro, e come esso è discusso e insegnato in classe».

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Chiara Saraceno non sa che cos’è il matrimonio

Chiara SaracenoIncredibilmente arriva da Chiara Saraceno il motivo per cui è sbagliato sostenere la legittimità del matrimonio omosessuale.

In un recente articolo ha scritto: «Ci sono molte buone ragioni per argomentare la legittimità della richiesta delle persone omosessuali di accedere al matrimonio. Se il fondamento contemporaneo del matrimonio, nelle società occidentali sviluppate, è la scelta libera di due persone di mettere in atto un progetto di vita comune, basato sulla solidarietà reciproca e sull’affetto, non c`è nulla nella relazione omosessuale che sia in contrasto con questo fondamento».

Chi è attento e preparato si sarà certamente accorto che la sociologa dell’Università di Torino ha realizzato un autogol clamoroso: la definizione di “matrimonio” che fornisce è ovviamente sbagliata e dunque risulta errata la sua conseguente applicazione sulle nozze gay, che si confuta automaticamente da sola. Il matrimonio, infatti, non è una semplice scelta libera basata su solidarietà e affetto, come afferma la Saraceno. Se fosse davvero così allora perché dovremmo vietare un matrimonio incestuoso? Ma anche un poliamore risponde a questa definizione e, addirittura, anche il rapporto tra nonna e nipoteuna semplice amicizia può essere basata su una scelta libera, su un progetto di vita comune costruito su solidarietà e affetto, secondo le caratteristiche espresse dalla sociologa. La stessa Saraceno in realtà capisce bene quanto sia forte quest’ultima obiezione riguardo all’amicizia, infatti in un’altra occasione ha affermato: «Si è in presenza di una famiglia quando in un determinato luogo fatto di persone ci si impegna verso gli altri in modo continuativo, in modo stabile, non casualmente. Tutto questo lo si fa anche tra amici, qualcuno potrebbe osservare. Sono d’accordo. Ma nella famiglia ci si impegna verso degli “altri”, che dipendono, almeno in parte, da noi stessi». Come si può osservare anche lei si è accorta di arrampicare dei vetri scivolosissimi e ha per questo cercato di anticipare una possibile obiezione, peccato che non ci sia riuscita: anche due amici, infatti, possono impegnarsi l’uno per l’altro e dipendere l’uno dall’altro. Insomma, quelle della Saraceno sono poche idee e molto confuse.

La sociologa, vincitrice nel 2012 del Premio Laico dell’anno dopo i comunisti Zagrebelsky e Rodotà (il povero Odifreddi non merita nemmeno premi del genere!) dimentica che per la nostra Costituzione il matrimonio è legato in maniera intrinseca l’orientamento alla fecondazione e alla procreazione, come spiegato da Vittorio Possenti, docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Lo ha ribadito di recente anche Anne-Marie Le Pourhiet, docente di diritto pubblico presso l’Università di Rennes: «il matrimonio è definito come l’unione di un uomo e di una donna, e lo scopo della istituzione legale è quello di garantire la stabilità della coppia e la tutela della loro prole. Questo è sancito dall’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

Il criterio perché sussista il matrimonio è dunque ben altro rispetto all’ambiguo desiderio di affettività e solidarietà reciproca, come insistono a dire i militanti omosessualisti. Il prestigioso psichiatra Eugenio Borgna, ordinario presso l’Università di Milano e primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, lo ha spiegato in termini medici: «Il matrimonio nasce dall’integrazione delle due psicologie diverse, quella femminile e quella maschile. Legami che prescindano da questa integrazione femminile/maschile si muovono su un campo diverso dal matrimonio e dall’istituto della famiglia, senza con questo discriminare nessuno: sono realtà profondamente differenti». Se per la Saraceno il matrimonio ha soltanto un valore strettamente volontaristico, sull’“Harvard Journal of Law and Public Policy” è stato invece mostrato che per parlare di matrimonio occorrono due persone sessualmente complementari che consumano la loro relazione in un atto che è di per sé generativo. Per questo l’oscuramento del valore della differenza sessuale dei partner mette a serio rischio la stabilità dello stesso fondamento del matrimonio.

Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Universita degli Studi di Roma La Sapienza, ha riassunto tutto in termini cristallini: «Il matrimonio non è solo un contratto come tanti altri che può funzionare o meno, ma è il legame istituzionale alla base di una famiglia, è l’istituzione nata per proteggere e garantire la filiazione, stabilita in modo da determinare i diritti e i doveri che passano fra le generazioni. Dal momento che una coppia omosessuale non prevede la filiazione, è una realtà diversa. L’utopia dell’uguaglianza, che ha già portato tanti danni nel Novecento, si presenta così sotto nuove vesti, chiedendo di dichiarare uguali legami che non lo sono, e ricominciando, in questo modo, a illudere l’umanità come ha fatto in passato il socialismo reale. Dire che il matrimonio fra una donna e un uomo è uguale a quello fra due omosessuali costituisce, infatti, una negazione della verità che intacca una delle strutture base della società umana, la famiglia».

Torniamo dunque all’affermazione iniziale di Chiara Saraceno e correggiamola: «Non c’è alcuna buona ragione per argomentare la legittimità della richiesta delle persone omosessuali di accedere al matrimonio. Visto che il fondamento contemporaneo del matrimonio, nelle società occidentali sviluppate, non è soltanto la scelta libera di due persone di mettere in atto un progetto di vita comune, basato sulla solidarietà reciproca e sull’affetto, esiste un netto contrasto di tale fondamento con quel che è la relazione omosessuale». Brava Chiara, adesso si che può vantarsi di essere un’esperta di tematiche familiari.

La redazione

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Matrimoni gay: diritto degli adulti o dei figli?

Famiglia Com’è noto, in questo periodo negli USA la Corte Suprema si deve pronunciare sull’opportunità costituzionale dei matrimoni e delle adozioni omosessuali. Un parere già inviato alla Corte da una giurista famigliare, la cattolica Helen Avaré, in quanto amicus curiae (“amica della corte”, persona estranea al procedimento che intende fornire un contributo costruttivo), merita alcune considerazioni.

La diatriba viene così sintetizzata:
– riconoscendo e incoraggiando le coppie eterosessuali, come nella situazione vigente, lo stato vuole incentivare relazioni intime e sessuali fedeli, durature, capaci di procreare e allevare figli;
– la proposta di riconoscere le coppie omosessuali, che (per forza di cose) scindono il legame tra matrimonio e procreazione, va ricondotta a emozioni di adulti o a una “riparazione” per lo stigma sociale mostrato in passato verso gli omosessuali.

La Avaré evidenzia anche che, in pronunciamenti passati, la Corte ha identificato alcuni benefici del matrimonio per le persone e la società, che verrebbero messi in discussione dall’approvazione di matrimoni e adozioni gay:
– legame stabile tra adulti;
– procreazione e crescita dei figli;
– formazione di una società democratica.

Negli USA, negli ultimi 50 anni, è andato indebolendosi il legame tra matrimonio e procreazione, col matrimonio inteso più come una questione da adulti che non come una necessità e una salvaguardia dei figli. E questo ha comportato un minor numero di matrimoni, un maggior numero di divorzi, una minore stabilità famigliare e un maggior numero di nascite extraconiugali. Con una conseguente sofferenza sia per adulti che per figli.

I proponenti del matrimonio omosessuale chiedono di riconoscere il legame come limitato a una relazione emotiva e romantica, senza attenzione alla nascita e alla crescita dei figli. Ma lo Stato ha interesse nel salvaguardare entrambi gli aspetti, emotivi e procreativi. Come è evidenziato anche da numerosi pronunciamenti passati della Corte, che cita inscindibilmente “matrimonio e procreazione”.

La giurista riconosce che la tendenza a separare matrimonio e procreazione si è progressivamente affermata negli ultimi decenni, sia nella cultura popolare sia con legislazioni favorevoli al divorzio e alla procreazione in provetta. Ma il matrimonio stabile e fecondo, che non sia confinato in momentanee ed individualistiche espressioni emotive, rimane l’obiettivo stabile di molte persone, di ogni strato sociale. Queste le considerazioni dell’ “amica della corte” Avaré.

In sintesi: chi propone il matrimonio gay si concentra sulle emozioni e sui diritti degli adulti, e tralascia invece il benessere e i diritti dei figli, acquisiti o adottati (attenzione adultocentrica vs. bambinocentrica)

Roberto Reggi

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Scuola paritaria, risposta a Stefano Rodotà

Referendum BolognaA Bologna il 26 maggio si terrà un referendum sul finanziamento delle scuole paritarie. Il quesito è fazioso: “Vuoi utilizzare le risorse del comune per le scuole comunali e statali (a) o per le scuole paritarie e private (b)?” Come se non ci fosse differenza tra scuole paritarie e semplicemente private; come se le scuole comunali non fossero paritarie; e come se scuole comunali, statali e paritarie non fossero scuole pubbliche. Si taglia con l’accetta, e via andare.

La spartizione delle risorse disponibili per l’istruzione deve essere fatta con giustizia, legalità e pragmaticità. Tutti elementi che nell’articolo di Stefano Rodotà non si vedono. Visti i pregiudizi diffusi e ricorrenti, è necessario ricordare alcuni aspetti della questione “scuola pubblica”.

 

1) La scuola privata si distingue in privata e paritaria. Quella paritaria, che non ha fini di lucro e segue standard certificati, è inserita a pieno titolo nel “sistema nazionale dell’istruzione”, e pertanto è pubblica, come afferma l’art. 1 della legge n. 60 del 2000 (voluta dal Ministro della *Pubblica* istruzione Luigi Berlinguer): “1. Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”.

 

2) Cosa significa “senza oneri per lo Stato”, che si legge nell’art 33 della costituzione? Non vuol dire che tutto deve essere a carico delle famiglie, rendendo così vano il concetto di libertà di educazione, il “trattamento scolastico equipollente” per gli studenti delle scuole che chiedono la paritarietà (sempre art. 33), e contro il dettato dell’art. 34: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Gratuita. E dice “scuola” senza specificazioni.

– La frase “senza oneri per lo Stato” fu proposta dal liberale Corbino e dall’azionista Codignola. Cito: «A pag. 3378 degli Atti della Costituente si legge la dichiarazione rilasciata dall’on. Corbino che, insieme con l’on. Codignola, aveva proposto l’aggiunta di quel ’senza oneri per lo Stato’ all’art. 33 della Costituzione. “Vorrei chiarire brevemente il mio pensiero. Forse da quello che avevo in animo di dire, il collega Gronchi avrebbe capito che le sue preoccupazioni sono infondate. Perché noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati, diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di aver aiuto da parte dello Stato. E’ una cosa ben diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare». Tristano Codignola, l’altro firmatario dell’emendamento, si associò alla precisazione, dichiarando: «Si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto». L’aiuto economico non è obbligatorio ma può, legittimamente e legalmente, esserci.

Se vogliamo giocare ai letteralisti (“la chiarissima lettera” dice Rodotà), senza tenere conto delle intenzioni dei proponenti dell’articolo costituzionale, allora si legga attentamente il testo dell’art 33. “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Istituire senza oneri per lo Stato. Istituire significa “fondare, intraprendere, iniziare”. Messa così lo Stato non interviene per iniziare una scuola ma può farlo (e forse deve farlo) per farla continuare.

 

3) L’articolo di Rodotà dice il falso quando afferma: “Il cardinale Bagnasco ha dichiarato che quel finanziamento permette allo Stato di risparmiare. Non comprende che non siamo di fronte a una questione contabile”. Non è sempre lui che poco sopra afferma: “In tempi di crisi, questa norma dovrebbe almeno imporre che le scarse risorse disponibili siano in maniera assolutamente prioritaria destinate alla scuola pubblica in modo di garantirne la massima funzionalità possibile”? E questo sarebbe l’insigne costituzionalista che doveva diventare Presidente della Repubblica? Io lo trovo un ideologo neanche troppo bravo, perché poco capace a mascherare i suoi pregiudizi politici e laicisti. Accertato che ne fa anche una questione di contabilità, contraddicendo la sua critica (laicista) al card. Bagnasco, auspica che “le scarse risorse disponibili siano in maniera assolutamente prioritaria destinate alla scuola pubblica”. Non l’ha ancora capito che le scuole paritarie rientrano nel sistema pubblico di istruzione? Che fanno servizio pubblico? La contrapposizione non è tra scuole statali e paritarie, entrambe pubbliche, ma tra pubbliche e private non paritarie.

 

scuola italia

Un risparmio di 6,3 miliardi non interessa? Per l’ideologia laicista, che vuole sempre e comunque affossare la religione e la Chiesa, non si deve guardare in faccia all’interesse nazionale. Si vuole boicottare ciò che è legittimo per subordinarlo alla lotta politica e alla ricerca del consenso, infischiandosene del cospicuo risparmio. E Rodotà sarebbe l’esperto che tutela l’interesse nazionale… È solo un soldato semplice dell’ideologia laicista e innazionalista (sì, ho scritto bene: non irrazionalista, che potrebbe anche starci, ma egli è innazionale, contro l’interesse della nostra nazione).

Massimo Zambelli

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Furio Colombo paragona la marcia pro life al terrorismo

Furio ColomboIl 12 maggio scorso si è svolta a Roma una colorata e festosa terza Marcia per la Vita a cui hanno partecipato 30mila persone, tantissime famiglie, giovani, bambini, credenti e non credenti, anziani e adulti, di destra e di sinistra. Tutti sono stati accolti a braccia aperte da papa Francesco che ha invitato tutti a partecipare alla raccolta firme “Uno di noi” per il riconoscimento pubblico dell’embrione.

Pochi giorni fa scrivevamo scandalizzati che a questa manifestazione non è arrivato nessun insulto, nessuna accusa di terrorismo, fondamentalismo, fanatismo ecc. Nessuno ha minacciato di buttare una bomba come invece è stato fatto per i manifestanti francesi contro il matrimonio omosessuale. Quasi quasi non c’è gusto…dobbiamo leggermente ricrederci: il “Corriere” ha lasciato carta bianca a Lea Melandri che si è sbizzarrita ad elencare tutto quello che dalla marcia pro life si sarebbe voluto dire ma non si è detto: le donne sono assassine snaturate, violenza contro le donne ecc. Cose già lette altri anni, prevedibili e retoriche.

Un altro rigurgito è arrivato dal Fatto Quotidiano dove Furio Colombo, da anni impresentabile membro della casta politica tra le file PD, ha risposto ad una lettera sulla marcia pro-life in modo davvero sorprendente. Il rosso Furetto scrive terrorizzato dalla manifestazione tanto da affermare, dopo aver cercato senza riuscirci di isolarla culturalmente (“destra post-fascista” ecc.), che la sua forza potrebbe «mettere con le spalle al muro» i politici che vogliono difendere la legge 194. Alla faccia dunque di chi sostiene che i numeri non sono ancora alti! Proprio sulla legge 194 dice che dovremmo essere grati ai Radicali, smentito immediatamente da Gianni Gennari il quale ricorda che la Bonino e i suoi allegri compagni nel Referendum (1981) ne chiesero l’abrogazione perché la volevano ancora più abortista, e furono sconfitti.

Dopo questa gaffe arriva il vero espluà: «fateci caso», spiega, la marcia pro life si è svolta «negli stessi giorni in cui il musicista turco Fazil Say è stato condannato a 10 mesi di prigione “per alcuni commenti giudicati offensivi sulla religione islamica, fatti via Twitter”. Un consiglio a colleghi giornalisti, commentatori e leghisti. Attenti a giudicare con sarcasmo eventi come questi nei Paesi islamici. Potreste incorrere, senza volerlo, in una critica alla marcia anti aborto. Molto rischiosa per qualunque carriera». In poche parole: criticare la marcia pro life sarebbe pericoloso per le carriere dei giornalisti, tanto quanto lo è criticare l’Islam sotto la dittatura islamica.

Questo signori è Furio Colombo, quello che il 17 aprile scorso ha accusato i cristiani di essere nientemeno che gli artefici dell’attentato alla maratona di Boston. Evidentemente un personaggio dall’accusa facile. Vogliamo ricordare che la “marcia per la vita” ha ricordato che, pur se depenalizzato, l’aborto resta una soppressione della vita di un innocente, la stessa legge non ne fa un “diritto”, ma enuncia addirittura il proposito di prevenirlo aiutando concretamente le donne ad accogliere la vita nascente. Il Furetto del Fatto, ovviamente quando avrà finito di godersi i 58mila euro di buonuscita appena ricevuti e pagati con il sudore da noi poveri cittadini, vuole aiutarci ad applicare interamente la legge 194?

Per chi vuole inviare la propria opinione a Furio Colombo: lettere@ilfattoquotidiano..it

La redazione

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L’HIV si vince cambiando i comportamenti sessuali

Condom AfricaAncora si continua a pensare che il problema dell’AIDS in Africa si possa risolvere rovesciando casse di profilattici in testa agli africani.

Eppure, come spiegato da Carlo Federico Perno, responsabile dell’Unità di monitoraggio delle terapie antivirali e antineoplastiche presso l’IRCCS L. Spallanzani di Roma, direttore dell’Unità di Virologia Molecolare al Policlinico Universitario Tor Vergata e grande esperto di AIDS, non è possibile eliminare una malattia legata spesso ai comportamenti, senza cambiare i comportamenti stessi.

La cosa è ancora più paradossale se si vengono a scoprire notizie come quelle rivelate recentemente dalla BBC: circa 110 milioni di preservativi difettosi (ma si presume arrivino a 200 milioni) sono stati ritirati dal Ghana perché «pieni di buchi e facilmente rompibili. Non si possono vedere i fori a prima vista, ma si possono osservare quando li si guarda attraverso il microscopio». Ovviamente i condom sono stati distribuiti gratuitamente per la campagna “Sesso sicuro”. La rivista Lancet nel 2011 ha dimostrato con alcuni studi che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha distribuito in Africa un contraccettivo che raddoppia il rischio di contrarre l’Aids e ha continuato imperterrita a distribuirlo anche dopo l’evidenza di tutto questo.

Da una parte dunque l’ideologia del condom che aggrava i problemi e non funziona, sia per incompetenza che per incapacità di concepire l’AIDS come una patologia comportamentale, e dall’altra le Ong e la Chiesa cattolica che ha davvero a cuore gli abitanti dell’Africa, come spiega l’infermiera ugandese Rose Busingye, che per merito di Suor Miriam Duggan ha sconfitto l’HIV in Uganda tanto da essere premiata dall’Università di Harvard. Oltre il 25% delle strutture che nel mondo assistono i malati di Aids sono cattoliche e in questi giorni proprio la notizia dell’investimento della Comunità Sant’Egidio di 500 milioni per farmaci anti-retrovirali per le donne africane in gravidanza affette da HIV.

Nel 2009 il Dr Edward Green, direttore della Harvard HIV Prevention Research Project ha spiegato che la risposta all’AIDS sta «proprio nella fedeltà e nella monogamia, questo è esattamente quello che abbiamo trovato empiricamente». Gli studi suggeriscono che «con la promozione intensiva del preservativo, in realtà le persone aumentano il numero di partner sessuali», è l’effetto della “compensazione del rischio” che rende totalmente controproducente la distribuzione di preservativi. Nel 2010 uno studio realizzato da Jokin de Irala, vicedirettore del Dipartimento di medicina della prevenzione e di salute pubblica dell’Università di Navarra (Spagna) e Matthew Hanley, ricercatore in Sanità Pubblica alla Emory University di Atlanta (USA) ed esperto in bioetica, con diretta esperienza sul campo in diversi paesi africani, hanno  dichiarato fallito il tentativo di fermare la diffusione dell’Hiv in Africa attraverso l’uso del preservativo. Ciò che è efficace è l’educazione ad una sana sessualità, l’uso del preservativo è controproducente poiché incoraggia un numero significativo di persone ad intraprendere i rapporti sessuali multipli e questo aumenta le probabilità di infezione.

Nel 2011 sempre il prof. Matthew Hanley, ha quantificato il numero di infezioni che avrebbero potuto essere evitate in Africa se si fossero attuate politiche per promuovere l’astinenza e la fedeltà, piuttosto che attuare politiche per la distribuzione di massa di preservativi. Sempre nel 2011 un altro ricercatore, Daniel Halperin docente alla Harvard University, ha preso in esame il caso dello Zimbabwe mostrando che, come in Uganda, la prevalenza del virus si vince soltanto con un cambiamento dei comportamenti sessuali (riduzione dei partner sessuali).

La redazione

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Giordano Bruno: magia e occultismo, altro che razionalità

Giordano Bruno“Giordano Bruno, il rogo dell’intelligenza“. Con questo slogan i repressi anticlericali diffondono odio e denigrazione contro la Chiesa cattolica per la morte di Giordano Bruno, presentando quest’ultimo come il più grande genio dell’umanità, il migliore filosofo dopo Platone, il primo scienziato della storia o il rappresentate culturale del Rinascimento.

Giordano Bruno venne giustiziato nel 1600 in Campo dei Fiori a Roma in seguito al verdetto di eresia pronunciato dal Tribunale dell’Inquisizione Romana. Venne processato con i metodi di coazione allora comuni e il verdetto, in conformità al diritto dell’epoca, fu inevitabilmente foriero di una morte atroce. Ovviamente questo per la Chiesa, come altri analoghi casi, costituisce certamente oggi «un motivo di profondo rammarico». Occorre tuttavia riflettere sulla storia contestualizzando i fatti senza ragionare con la mentalità odierna. Bruno venne giustiziato perché rifiutò i fondamenti cristiani su cui era basata l’intera società, la morte dell’eretico era ritenuta una forma estrema di difesa. L’apparato ecclesiastico sentì necessario questo intervento per la sopravvivenza stessa della società.

Occorre tuttavia l’onestà intellettuale di affrontare i fatti in modo onesto e non ideologico. Bruno non c’entrava nulla con il pensiero razionale, non era  paladino del mondo scientifico né tanto meno di quello filosofico. Come ha spiegato lo studioso di storia delle religioni Mircea Eliade, «se Giordano Bruno accolse con tanto entusiasmo le scoperte di Copernicofu anche perché riteneva che l’eliocentrismo avesse un profondo significato religioso e magico; quando si trovava in Inghilterra Bruno profetizzò il ritorno imminente della religione magica degli antichi Egizi quale veniva descritta nell’Asclepius. Bruno interpretava lo schema copernicano come il geroglifico dei misteri divini» (M. Eliade, “Storia delle credenze e delle idee religiose“, Bur, vol.III, p. 279).

Bruno, come abbiamo già avuto modo di far notare, era uno dei tanti maghi del Cinquecento che credeva agli oroscopi e al determinismo delle stelle, e che vide nell’eliocentrismo non una dottrina scientifica, un fatto astronomico, ma la conferma della sua visione magica, astrologica, che contemplava una eliolatria animista di stampo egizio.

Ne ha parlato recentemente il volume “Giordano Bruno” (Fazi 2013), scritto da Bertrand Levergeois,  che lo definisce un “cabbalista”. Bruno è autore del De vinculis, scritto dopo una vita d’immersione a fondo nelle tradizioni magiche e occulte. Con il volume, secondo la recensione apparsa su Italia Oggi, si propone d’illustrare le tecniche per manipolare i singoli e le masse, individui come popoli interi, un’arte così nera e gaglioffa che «per comprenderla e valorizzarla», scrive Ioan P. Couliano in Eros e magia nel Rinascimento (Il Saggiatore 1989), «bisognerebbe essere al corrente dell’attività dei diversi trust, dei vari ministeri della propaganda. Aiuterebbe poter dare un’occhiata nei manuali delle scuole di spionaggio. Il mago del De vinculis in genere è il prototipo dei sistemi impersonali dei mass media, della manipolazione globale e della censura indiretta, il prototipo dei vari brain trusts che esercitano il loro controllo occulto sulle masse occidentali».

Bruno è un cacciatore d’anime. Crea vincoli e accende prodigi. La magia di Bruno è detta erotica per le passioni che ha lo scopo di suscitare e per i mezzi di cui si vale per vincolare il prossimo suo. Altro che amarlo, come gli hanno insegnato in seminario.

La redazione

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La bioetica laica insiste: «si all’infanticidio per i neonati»

Eduard VerhagenUn anno fa l’opinione pubblica è venuta alla conoscenza della Consulta di Bioetica, ovvero un’associazione che offre il punto di vista laico (non confessionale) sulla bioetica, guidata da Maurizio Mori, a causa di uno studio realizzato da due suoi responsabili, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, secondo cui «uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile».

Minerva e Giubili (quest’ultimo noto anche per aver affermato che il Papa in televisione viola la laicità dello Stato) sono stati molto criticati per questa tesi, più volte paragonati a Hitler o al suo medico Mengele. Maurizio Mori non ha mai preso le distanze dai suoi collaboratori ma li ha difesi chiedendo di non scartare la tesi «solo perché scuote sentimenti profondi o tocca corde molto sensibili». In un’altra occasione ha fatto loro i complimenti: «Siete troppo modesti. Non avete aggiunto solo un pezzetto, avete anche inventato un nome: aborto post-nascita»Giulio Meotti recentemente ha fatto notare che la tesi dei due ricercatori della Consulta di Bioetica Laica non è isolata e l’infaticidio sta lentamente tornando di moda nelle maggiori riviste scientifiche.

In un nuovo saggio pubblicato sul Journal of Medical Ethics, ad esempio, si è sostenuto che è meglio scegliere di eliminare il bambino disabile dopo la nascita, piuttosto che durante la gravidanza. A farlo è il pediatra olandese Eduard Verhagen, il quale ha praticato per anni in Olanda l’eutanasia sui neonati disabili e nel 2005 ha annunciato il Protocollo di Groningen sull’eutanasia infantile. «Perché l’eutanasia non dovrebbe essere permessa come alternativa all’aborto? Che differenza morale c’è?», si è domandato Verhagen. Il pediatra è stato in Italia nel 2008 guarda caso invitato ad un convegno patrocinato proprio dalla Consulta di Bioetica Laica guidata da Mori.

La celebre rivista di bioetica, dedica una intera monografia alla liceità dell’infanticidio. Il filosofo del New York Times, Jeff McMahan ad esempio non sostiene soltanto che “l’infanticidio è giustificabile” in caso di “disabilità mentali” del bambino, ma che «i feti e i neonati non hanno un pieno status morale, ma piuttosto è minore degli scimpanzé». E ancora: «Un normale scimpanzé adulto ha una capacità superiore di qualunque feto umano». Nel 2010 sul suo quotidiano ridicolizzava le persone credenti in Dio e le loro ragioni etiche sul “non giocare a fare Dio con la natura”.

Sulla rivista compaiono anche le nuove affermazioni di Minerva e Giubilini, ricercatori come detto della Consulta di Bioetica Laica: «Se pensiamo che l’aborto è moralmente permesso perché i feti non hanno ancora le caratteristiche che conferiscono il diritto alla vita, visto che anche i neonati mancano delle stesse caratteristiche, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post nascita».

A chiudere il saggio c’è Peter Singer, ateo militante e grande amico di Richard Dawkins, nonché padre di questa bioetica neo-nazista, il quale scrive: «Il mero fatto di esistere come essere umano vivo e innocente non è sufficiente per avere un diritto alla vita». Le posizioni espresse da Singer sono talmente disumane che il compianto cacciatore di nazisti, Simon Wiesenthal, si rifiutò d’incontrarlo perché «è inaccettabile un professore di morale che giustifica l’uccisione di nuovi nati handicappati».

Questa è la nuova bioetica secolarizzata portata avanti dai più noti ricercatori laici. Forse non sarebbe male cominciare a pensare per il futuro a qualche forma di disobbedienza civile, come invita a fare la prestigiosa rivista Lancet, contro questo aberrante ritorno dell’eugenetica nazista.

La redazione

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