Legalizzare il suicidio assistito porta al contagio da suicidio

Sucidio assistitoNel 2012 uno studio realizzato dalla dott.ssa Jacqueline Harvey dell’University of North Texas ha analizzato la letteratura scientifica relativa al suicidio assistito negli ultimi 20 anni laddove è consentito dalla legge, come Olanda, Oregon e Washington, riscontrando che a seguito della legalizzazione del suicidio assistito, il tasso di suicidio all’interno della popolazione (suicidi violenti e non) è aumentato in modo significativo, soprattutto per gli adolescenti.

Seppur basata su dati statistici, appare confermata la banalizzazione della morte, come molti temevano prima che venisse legalizzato il suicidio assistito. A farne le spese sono le persone più fragili, come appunto gli adolescenti. I dati del 2013 hanno confermato tutto, mostrando che nello stato dell’Oregon, dove il suicidio assistito è legale dal 1998, il tasso di suicidi nella popolazione generale è del 49% più elevata rispetto alla media nazionale. Un altro studio ha rilevato gravi traumi nei parenti di chi è morto per suicidio assistito.

Il 21 maggio 2013 sul “Canadian Medical Association Journal” una ricerca si è soffermata a sua volta sul fenomeno del contagio da suicidio (“suicide contagion” effect). I ricercatori hanno valutato l’associazione tra esposizione al suicidio, idea di suicidarsi e tentativi di suicidio tra i giovani (12-17 anni). Si è concluso che conoscere qualcuno che è morto per suicidio aumenta il rischio di pensare al suicidio e di tentare il suicidio: «Abbiamo scoperto che l’esposizione al suicidio predice la suicidalità», hanno spiegato. «Ciò è vero per tutte le età, anche se l’esposizione al suicidio ha aumentato il rischio più drammaticamente nel gruppo di età più giovane, quando la suicidalità basale è stata relativamente bassa».

In Canada il suicidio assistito è vietato e i ricercatori, dunque, non hanno potuto mettere direttamente in correlazione l’esposizione al suicidio alla legalizzazione del suicidio assistito. Tuttavia, è dimostrato che la legalizzazione del suicidio assistito aumenta enormemente il numero di persone che ne fanno richiesta: a Washington è stato legalizzato nel 2009, ed il numero di decessi per suicidio assistito è aumentato del 17% nel 2012 e del 63% nel 2010.

E’ dunque possibile concludere che la legalizzazione del suicidio assistito aumenta il numero di persone che ne fanno richiesta, aumenta di conseguenza il numero di persone che sono sottoposte all’esposizione al suicidio (amici, parenti ecc.) e, come mostrano gli studi, aumenta anche il contagio da suicidio, in particolare nelle giovani generazioni.

Nel 2008 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stilato un compendio per prevenire il suicidio, dando molta attenzione al  fenomeno del “suicidio per emulazione” e al comportamento dei media. Liberalizzare il suicidio assistito sui media e ancora di più nelle aule parlamentari significa contrastare apertamente l’opera di prevenzione al suicidio auspicata dall’OMS.

La redazione

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Il miracolo eucaristico di Buenos Aires e le analisi scientifiche

Miracolo eucaristico 2

Il miracolo Eucaristico di Buenos Aires, un evento straordinario che ha affascinato il mondo e che ha portato l’allora vescovo Papa Francesco ad autorizzare un’approfondita indagine scientifica sul presunto prodigio. Questo dossier ti condurrà attraverso gli eventi, le testimonianze e le scoperte sorprendenti legate a questo fenomeno unico.

 
 

Papa Francesco, durante il suo periodo come vescovo di Buenos Aires, ha autorizzato una ricerca scientifica sul presunto prodigio conosciuto come il Miracolo Eucaristico di Buenos Aires, avvenuto tra il 1992 e il 1996.

Come cardinale, egli stesso ha frequentemente visitato la chiesa di Santa Maria, dove sono esposti i segni di questo “evento miracoloso”, partecipando attivamente all’adorazione eucaristica. Nonostante sia un caso poco conosciuto e volutamente mantenuto al di fuori del clamore mediatico su richiesta del parroco e dei fedeli, la notizia si è diffusa dopo la nomina di Bergoglio come Papa.

Il dott. Ricardo Gomez Castañón, un rinomato psicologo clinico specializzato in biochimica cerebrale e uno dei primi scienziati ad aver analizzato i reperti, ha confermato gran parte degli eventi descritti in una conferenza che verrà ripresa qui di seguito. Va segnalato che il ricercatore si è convertito al cattolicesimo dopo aver condotto questa approfondita indagine scientifica.

 

Il miracolo di Buenos Aires: una sintesi dei fatti

Il Miracolo Eucaristico di Buenos Aires ha avuto inizio nel 1992, nello stesso mese e anno in cui Bergoglio è stato nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires. Questi eventi straordinari si sarebbero verificati nella chiesa parrocchiale di Santa Maria, situata nel centro di Buenos Aires.

L’1 maggio 1992, un venerdì, due pezzi di Ostia sono stati trovati sul corporale del tabernacolo e, su indicazione del parroco padre Alejandro Pezet, sono stati posti in un recipiente d’acqua all’interno del tabernacolo, come da prassi in casi simili. Nonostante il trascorrere dei giorni, le particole non si sarebbero sciolte e venerdì 8 maggio 1992 i due frammenti hanno assunto un colore rosso sangue.

Domenica 10 maggio 1992, durante la messa serale, sono state notate delle gocce di sangue anche sulla patena, il piattino su cui era riposta l’ostia. Il sangue è stato analizzato da un medico locale e da alcuni ematologi, confermando che si trattava di sangue umano.

Il 15 agosto 1996, durante la Messa della festa dell’Assunzione di Maria, dopo la distribuzione della Comunione, una donna si è avvicinata a padre Pezet comunicandogli di aver trovato un’ostia sul retro della chiesa. Seguendo ancora una volta la prassi, il sacerdote ha messo l’ostia in una ciotola di acqua affinché si sciogliesse, riponendo il tutto nel tabernacolo.

Pochi giorni dopo, il 26 agosto 1996, si è notato che la particola, anziché dissolversi, si era trasformata in un frammento di carne sanguinosa. L’arcivescovo Quarracino e il vescovo ausiliare Bergoglio sono stati informati direttamente di questa metamorfosi della particola, e Bergoglio ha dato il mandato di far fotografare professionalmente ciò che era accaduto (le foto, una di esse è visibile qui a destra, sono datate 6 settembre 1996).

 

Il miracolo eucaristico e le analisi scientifiche

Dopo diversi anni dalla presunta trasformazione dell’ostia, l’arcivescovo Bergoglio ha deciso di autorizzare analisi approfondite per verificare l’autenticità dell’evento. La scoperta più significativa è stata fatta da un laboratorio di Buenos Aires, dove è stato riscontrato che i globuli rossi e bianchi presenti nel tessuto erano di origine umana. È importante notare che l’origine dei campioni è stata mantenuta segreta per evitare qualsiasi possibile interferenza nei risultati.

Nel 1999, il dottor Ricardo Gomez Castañón, un noto psicologo clinico specializzato in biochimica cerebrale, ha condotto ulteriori test su campioni del tessuto del 1992 e del 1996. Un campione di sangue è stato inviato al laboratorio di genetica Forence Analitycal di San Francisco, dove è stato scoperto che conteneva DNA umano. Questa scoperta –descritta in prima persona dal noto ricercatore argentino- ha confermato le analisi precedenti, dimostrando che il tessuto era formato da un codice genetico umano.

Nel 1999 fu chiesto al dottor Ricardo Gomez Castañón, noto psicologo clinico specializzato in biochimica cerebrale, di condurre alcuni test supplementari su entrambi i “casi”, quello del 1992 e quello del 1996. Il 6 ottobre 1999, alla presenza di rappresentanti del vescovo, lo scienziato ha prelevato un campione del sangue sul frammento inviandolo al laboratorio di genetica Forence Analitycal di San Francisco. Lo ha raccontato lui stesso.

Successivamente, i campioni sono stati inviati al professor John Walker dell’Università di Sydney in Australia, che ha rilevato la presenza di cellule muscolari e globuli bianchi del sangue intatti. Nel 2003 il prof. Walker comunicò al dott. Castañón che questi campioni “avrebbero potuto corrispondere” ad un frammento di muscolo cardiaco infiammato e che la persona a cui appartenevano aveva subito un trauma.

Ulteriori prove sono state fornite dal professor Frederick Zugibe della Columbia University di New York, uno dei principali esperti in patologie cardiache e medicina forense del cuore degli Stati Uniti. Anche per il dott. Zugibe fu omessa l’origine dei campioni ed il suo team non era a conoscenza della loro provenienza da un’ostia consacrata: dopo 5 anni di studio produrrà una relazione datata 26 marzo 2005.

Ecco le parole del dott. Zugibe riportate dal prof. Castañón:

«Il campione che mi ha portato è il muscolo del cuore, del miocardio, esattamente è il ventricolo sinistro. Il suo paziente ha dei trombi, in alcuni momenti non poteva respirare, non gli arrivava ossigeno, faticava ed ha sofferto molto perché ogni aspirazione era dolorosa. Probabilmente gli hanno dato un colpo all’altezza del petto. Inoltre il cuore presentava un’attività dinamica (viva) nell’istante in cui mi ha portato il campione. Questo perché abbiamo trovato dei globuli bianchi intatti e i globuli bianchi sono trasportati solo dal sangue e quindi se qui ci sono globuli bianchi è perché nel momento in cui lei mi ha portato il campione questo stava pulsando».

 

Testimoni di queste analisi sono anche due australiani: il giornalista Mike Willesee, noto in Australia (successivamente convertitosi al cattolicesimoMiracolo eucaristico 3), e l’avvocato Ron Tesoriero.

Ovviamente il dott. Frederick Zugibe rimase esterrefatto quando apprese che il materiale analizzato risaliva al 1996 ed era stato conservato in acqua distillata per tre anni. Ancora più sorprendente fu la rivelazione del dottor Castañón che quel frammento di cuore umano “vivente” era originariamente un’ostia consacrata, un pezzetto di pane sacro.

Come può un frammento di pane diventare un pezzetto di cuore umano? E come è possibile che, nonostante sia stato prelevato nel 1996 da un uomo deceduto, il campione sia ancora “vivo” dopo anni dal prelievo, con le cellule in movimento? Considerando che i globuli bianchi si disintegrano in soli 15 minuti al di fuori di un organismo vivente, come è possibile osservarli nel 2005, quando il campione è stato prelevato nel 1996? La risposta del dottor Zugibe fu categorica: «Il modo in cui un’ostia consacrata si trasforma nella carne e nel sangue di un essere umano vivente rimane un mistero inesplicabile per la scienza, al di là della sua comprensione».

 

Il miracolo di Buenos Aires: confronto con Lanciano e la Sindone

I risultati ottenuti dal laboratorio di New York sono stati infine confrontati con quelli derivanti da un altro miracolo eucaristico simile, quello di Lanciano.

In entrambi i casi, senza rivelare l’origine dei campioni analizzati, gli esperti hanno effettuato un confronto approfondito e hanno concluso che entrambe le relazioni di laboratorio riguardavano campioni appartenenti alla stessa persona. È stato rilevato che entrambi i campioni di sangue appartenevano al gruppo sanguigno “AB” positivo, che è uno dei più rari. Inoltre, è emerso che il DNA trovato nei campioni era identico a quello riscontrato sulla Sindone di Torino e sul Sudario di Oviedo.

Ad oggi la Santa Sede non ha riconosciuto l’attendibilità del miracolo eucaristico di Buenos Aires.

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La vita e l’uomo erano i grandi attesi, parla il biologo Kauffman

At home in the universeNel 1995 è stato pubblicato un libro che ha scosso la divulgazione scientifica, sul quale vale la pena riflettere. Intitolato “At Home in the Universe: The Search for Laws of Self-Organization and Complexity” (Oxford University Press) è stato scritto dall’americano Stuart Kauffman, biologo teorico e ricercatore dei sistemi complessi, direttore e fondatore del Santa Fe Institute (un ente di ricerca dedicato agli studi sulla complessità dei sistemi) e oggi docente presso l’University of Vermont.

In questo volume ha teorizzato l’auto-organizzazione della materia, a fianco della selezione naturale darwiniana, per spiegare l’irriducibile complessità dei sistemi biologici e dei microrganismi. «Viviamo in un mondo di straordinaria complessità biologica», ha scritto introducendo il libro. «Da dove viene questa grande architettura? Per più di un secolo, l’unica teoria che la scienza si è offerta di spiegare è che questo ordine è sorto dalla selezione naturale. Dopo trenta anni di ricerche mi sono convinto che questa visione dominante della biologia è incompleta». Ha quindi proseguito: «Come sosterrò in questo libro, la selezione naturale è importante ma non ha lavorato da sola nella creazione dell’architettura della biosfera. L’auto-organizzazione è la fonte principale dell’ordine del mondo biologico»«La selezione naturale è potente, ma non onnipotente. Darwin avrebbe realizzato questo se avesse posseduto i nostri computer» (pag. 84).

Oggi sappiamo che «la materia deve raggiungere un certo livello di complessità perché fiorisca la vita. Ma questa soglia non è un incidente di variazione casuale e di selezione, ritengo invece che sia inerente alla natura stessa della vita. L’auto-organizzazione può aver fatto della nascita della vita un evento pressoché inevitabile». (pag. 24). Il premio Nobel George Wald, spiega Kauffman, in un articolo su “Scientific American” nel 1954, si è chiesto come potrebbe un insieme di molecole riunirsi in un solo modo giusto per formare una cellula vivente. «Basta contemplare la grandezza di questo compito per ammettere che la generazione spontanea di un organismo vivente è impossibile», ha commentato il biologo americano. «Il tempo infatti è l’eroe della trama. Basta aspettare e il tempo stesso compie i miracoli? Ma anche 2 o 4 miliardi anni non sarebbero stati sufficienti per il verificarsi di questa casualità» (pag. 24).

Basterebbe un piccolo calcolo: «se i tentativi per la comparsa della vita sono 1051 e le probabilità sono 1 su 1040.000 allora la vita semplicemente non poteva esserci. Noi siamo molto fortunati, davvero fortunati. Noi siamo impossibili». Lo dicevano anche Hoyle e Wickramasinghe quando hanno rifiutato la generazione spontanea dal momento che la probabilità che l’evento si possa essere verificato è paragonabile alle probabilità che un tornado dentro ad un deposito di rottami possa assemblare un Boeing 747 a partire dai materiali di esso. «Il problema», ha commentato Kauffman, «è che Hoyle, Wickramasinghe, e molti altri non sono riusciti ad apprezzare il potere dell’auto-organizzazione. Il motto della vita non è che noi siamo improbabili, ma che noi eravamo attesi» (pag. 25).

Il biologo ha anche introdotto un termine tecnico per spiegare quanto intende: order for free, cioè un ordine naturale e spontaneo. «L’organizzazione della cellula», ad esempio, «a lungo attribuita alla levigatura dell’evoluzione darwiniana, sembra probabile invece che derivi dalle dinamiche del network genomico ed è un altro esempio di order for free. Ancora una volta, spero di convincere che la selezione naturale non è l’unica fonte di ordine nel mondo vivente. Il potente order for free di cui stiamo discutendo è probabile che abbia avuto un ruolo non solo nel far emergere stati autocatalitici stabili, ma anche nella successiva evoluzione della vita» (pag. 48). E ancora: «è la fonte della tensione creativa che determina la crescente diversità della biosfera» (pag. 62), perché «l’auto-organizzazione è un prerequisito per la possibilità di evoluzione, che genera diversi tipi di strutture che possono beneficiare della selezione naturale. Esso genera le strutture che possono evolvere progressivamente» (pag. 104)

Il fisico e matematico statunitense Freeman Dyson, studiando le costanti cosmiche (il principio antropico) e l’evoluzione cosmologica disse che «l’Universo ci stava aspettando». Questa visione teleonomica può essere confermata oggi anche dal punto di vista dell’evoluzione biologica: «la presenza di questo ordine sottostante, ulteriormente levigato dalla selezione», spiega Kauffman tirando le somme, «rileva che noi eravamo previsti piuttosto che enormemente improbabili. Come può infatti la vita essere contingente, imprevedibile e accidentale mentre obbedisce a leggi generali?» (pag. 12). L’auto-organizzazione della materia è una posizione assunta da buona parte dei biologi evoluzionisti oggi (si parla di “direzionalità dell’evoluzione”, di “vincoli interni”, di “principio direttivo” ecc.).

Ed ecco che si spiega il titolo del libro (“At home in the universe”): «Se la vita, in tutta la sua abbondanza, era tenuta a presentarsi non come un incidente incalcolabilmente improbabile, ma come un atteso ordine naturale, allora siamo veramente a casa nell’universo» (pag. 13). Si può dunque spiegare come è nata la vita? «Sì, penso di sì», ha risposto Kauffman. «E Dio, nella sua grazia e semplicità, dovrebbe accogliere le nostre lotte per scovare le sue leggi. La vita è molto più probabile di quanto abbiamo mai supposto» (pag. 37). «Solo Dio ha la saggezza per capire la legge finale, lanciare i dadi quantici. Solo Dio può predire il futuro, noi, miopi dopo 3.450 milioni di anni di progettazione, non possiamo farlo» (pag. 17).

La redazione

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Il matrimonio deve “discriminare” le coppie omosessuali

Difesa matrimonio 
 
di Brendan O’Neill*
*editorialista di “Spiked” (marxista, libertario e non credente)

 
*discorso pronunciato alla House of Lords il 15/05/13

 

Penso che una delle parole più diffamate della lingua inglese sia “discriminazione”, in questo periodo storico usata prevalentemente in senso negativo. E’ principalmente utilizzata nel senso di realizzare dure e oppressive sentenze contro le persone in base al loro sesso, alla loro sessualità o alle loro origini etniche.

Il senso positivo – e in un certo senso più vero – del significato della parola “discriminare” si sta perdendo, cioè la capacità di percepire, cogliere e notare le differenze tra le cose. La discriminazione, in modo del tutto onorevole e anche intelligente, è un modo per esprimere giudizi sui diversi valori collegati a cose diverse, ma tale significato è sepolto sotto l’uso più comune della parola per descrivere ogni minima contrarietà verso individui o gruppi specifici.

Questo è un peccato, credo, perché abbiamo davvero bisogno di recuperare la capacità di discriminare. Più precisamente, abbiamo bisogno di recuperare il ruolo importante del dare giudizi e riconoscere le differenze che esistono nella nostra società e nelle esperienze di vita delle persone. Il motivo per cui abbiamo bisogno di questo è perché viviamo in un’epoca che potremmo chiamare dell'”uguaglianza fasulla”. Un’epoca in cui ciò che viene presentato come “uguaglianza” equivale a omogeneizzazione, imposizione di identità, una tirannia del relativismo, in ultima analisi, la negazione del diritto dei cittadini ad esercitare anche quella intelligente e colta discriminazione nel dare giudizi sui diversi modi in cui le persone vivono. In un tale clima di soffocante monotonia, è davvero importante che la gente prenda posizione e sia discriminante.

La questione del matrimonio gay cattura brillantemente l’idea di come sia degradato il concetto di uguaglianza. Se si ascoltano alcuni ministri del governo e gli attivisti dei diritti dei gay, si crederà che il matrimonio gay sia qualcosa di “uguagliante”, per avere pari diritti. E’ indicato in modo martellante come “matrimonio egualitario” (“equal marriage”), e naturalmente questo significa che chiunque critichi il matrimonio gay venga liquidato come un amico della disuguaglianza, e nessuno vorrebbe essere etichettato in questo modo. Ma quando alcuni ministri e gli attivisti omosessuali parlano dell’attuale esclusione al matrimonio di coppie dello stesso sesso come un problema di disuguaglianza, che cosa intendono? Ad esempio, è un crimine contro l’uguaglianza negare a me l’accesso al Royal College of Music? Che ne è del mio diritto ad essere trattato allo stesso modo di coloro che possono frequentarlo perché sanno suonare uno strumento e leggere la musica? Potrei non avere le credenziali e il talento per fare ciò per cui il Royal College of Music è stato istituito per fare, ma che ne sarebbe del mio uguale diritto a frequentare l’istituto ed utilizzare i suoi servizi?

La verità è che le istituzioni discriminano sempre e da sempre. Esse devono farlo perché se non lo facessero avrebbero perso la loro identità, il loro scopo, il loro vero significato. Se il Royal College of Music fosse costretto ad accettare anche chi è inetto musicalmente, cesserebbe di esistere entro un decennio crollando sotto il peso della pressione a non essere discriminante, a non dare giudizi sulla base dell’adeguatezza o dell’idoneità di una persona ad accedere ai suoi servizi. La buona e corretta discriminazione è al centro di ogni istituzione e organizzazione. La discriminazione è ciò che permette alle istituzioni di definire se stesse, cosa significa appartenervi e giudicare chi può essere membro e chi non può. Collegi, partiti politici, chiese, gli Women’s Institute, club sportivi, gruppi di uomini gay ecc…nessuna di queste istituzioni potrebbe continuare ad esistere se non fosse autorizzata ad esercitare la discriminazione, se non le fosse permesso di specificare ciò che è richiesto ai membri per appartenervi e rifiutare coloro che non possiedono tali requisiti.

Scrivendo nel 1950, la grande pensatrice liberale Hannah Arendt ha detto: «[Il] diritto alla libera associazione, e quindi alla discriminazione, ha maggiore validità rispetto al principio di uguaglianza». Quello che voleva dire è che, se la libertà e l’uguaglianza sono in conflitto, dovremmo tifare per la libertà piuttosto che per l’uguaglianza. Dovremmo cioè essere dalla parte della libertà di gruppi privati ​​o partiti politici o delle istituzioni che svolgono un ruolo sociale specifico per la libertà di discriminare come strumento per definire chi sono, per dire quale sia il loro scopo e chi può unirsi a loro. Naturalmente, nella sfera pubblica -nel diritto, nel mondo del lavoro, nell’interazione sociale pubblica- tutti devono essere trattati allo stesso modo, ma nella sfera privata, e anche -cosa molto importante-, nelle istituzioni che per anni hanno svolto un ruolo sociale molto specifico per gruppi specifici di persone, essere discriminatori è essenziale. Ciò è stato riconosciuto dai primi pensatori illuministi. John Locke, autore del grande “Lettera sulla tolleranza”, pubblicato nel 1689, ha detto che le istituzioni religiose, e anche altre istituzioni, sono effettivamente “società spontanee”. E quindi, «ne consegue necessariamente il diritto a realizzare leggi proprie su chi può ad esse appartenere, coloro che la società stessa di comune accordo ha autorizzato».

“Società spontanee”, gruppi religiosi, gruppi politici, alcune istituzioni con ruoli particolari devono essere almeno relativamente liberi di scrivere le proprie leggi e regole che disciplineranno coloro che hanno “comunemente accettato” di farvi parte. Eppure oggi, nella nostra epoca di uguaglianza fasulla, la capacità delle istituzioni a governare se stessi, a discriminare sulla base della credenza, o ideologia, o idoneità per l’attività, è stata demolita. Questo mette in discussione la possibilità stessa dell’esistenza di organizzazioni e istituzioni, in quanto la pressione ad abbracciare l’uguaglianza può significare dover fare a meno dei propri principi organizzativi e delle credenze specifiche condivise.

Alcuni sostenitori del matrimonio gay diranno che il matrimonio è solo amore e quindi se l’istituzione del matrimonio nega l’accesso a persone che si amano e sono dello stesso sesso, questo è senza dubbio opprimente, un chiaro esempio di pratica della disuguaglianza. Si dice che le persone omosessuali hanno tutto quello che è richiesto per contrarre un matrimonio -che è l’amore reciproco e consenziente– e quindi è sbagliato rifiutare loro l’accesso al matrimonio. Ma in realtà, l’amore non è affatto sufficiente per accedere all’istituto del matrimonio, il quale infatti discrimina già e anche contro le persone che si amano. Per esempio, un uomo può essere veramente e appassionatamente innamorato di sua sorella, e lei di lui, ma è assolutamente proibito a loro di sposarsi. Una donna potrebbe essere perdutamente innamorata di due uomini diversi, ma non c’è modo che possa sposare entrambi. Alcuni di noi si ricorderanno quando a 14 anni eravamo perdutamente innamorati di un/una coetanea, ma non avremmo potuto sposarci. Il matrimonio è un’istituzione discriminante, anche contro le persone che si amano. Chiaramente allora è necessario avere qualcosa di più per sposarsi, oltre ad essere innamorati. Chiaramente il matrimonio svolge un altro specifico ruolo sociale, che non è solo quello di permettere alle persone di esprimere il loro amore per un altro.

Spingendo verso l’idea di “equal marriage”, ovvero l’idea che sia sbagliato per l’istituzione del matrimonio operare una discriminazione, esso perderà il suo specifico ruolo sociale? Sarà minato il matrimonio inteso come l’unione di due persone con la possibilità di procreare e con la potenziale responsabilità di accogliere la futura generazione? Diverrà privo di senso il matrimonio come principale mezzo attraverso il quale gli adulti e la comunità si assumono la pubblica responsabilità verso le generazioni future? Si, penso che la risposta sia affermativa, proprio come è certo che il ruolo sociale del Royal College of Music sarebbe compromesso se dovesse accogliere chi non può o non è capace di suonare, come me. Il processo di omogeneizzazione vestito da “uguaglianza”, l’incapacità di distinguere tra diversi tipi di relazioni, svuota di significato il matrimonio, perché se tutto è un matrimonio, allora niente lo è. Se l’istituzione del matrimonio non può discriminare, allora non ha alcun senso o scopo strutturale.

E’ senza dubbio il caso di ricordare che per molti anni le persone omosessuali sono state trattate in modo diseguale, hanno sofferto l’oppressione. Per centinaia di anni l’attività omosessuale era punibile con la morte. Anche nel periodo più moderno, gli omosessuali sono stati condannati a pene detentive ai lavori forzati solo per aver avuto rapporti sessuali. Queste severe restrizioni sui diritti delle persone gay hanno anche inciso nel modo con cui sono stati trattati all’interno della società, considerati inferiori e anche malati. Per fortuna, questo è cambiato, il sesso omosessuale è stato depenalizzato, le leggi oppressive sono state abrogate e c’è stato un corrispondente cambiamento di atteggiamento sociale. Gli omosessuali sono ormai accettati come membri ordinari della società e vengono trattati allo stesso modo.

Ma perché allora la domanda della cosiddetta “uguaglianza del matrimonio”? Questo è davvero interessante perché se si guardano le argomentazioni principali addotte per la “parità di matrimonio” vedrete che spesso hanno una forte componente terapeutica. L’argomento è che vedendo rifiutato il diritto di sposarsi, i gay si sentono inutili, disprezzati dalla società. Gli attivisti spesso dicono cose come: «l’impossibilità di dire “io sono sposato” brucia e mi fa sentire come un cittadino di seconda classe». Potrebbero non essere cittadini di seconda classe, ma a volte si sentono come tali e il matrimonio gay aumenterà l’autostima e le persone si sentiranno meglio. Ma non è e non dovrebbe mai essere il ruolo del governo quello di fornire una terapia o far sentire meglio, in relazione alla parità di trattamento, il governo dovrebbe fare solo una cosa: offrire pari opportunità, cioè rimuovere eventuali ostacoli giuridici agli individui o gruppi che partecipano alla sfera pubblica. Ma non può fornire la parità dei risultati, assicurare a tutti la parità di esperienze nella vita, garantendo che tutti abbiano felici e appaganti esistenze, o la parità di appagamento emotivo assicurando che ognuno si senta valorizzato dalla società. Quelle sono cose che dobbiamo realizzare noi stessi, esercitando la nostra autonomia e la scelta del percorso di vita sentiamo più adatto per noi.

Invitare il governo a darci la parità delle esperienze di vita, dell’uguaglianza di emozioni è soltanto invitare un maggiore intervento dello Stato nella nostra vita, nella morale e anche nella nostra vita emotiva. In questo modo, possiamo vedere come l’uguaglianza fasulla di oggi non libera le persone, ma piuttosto le rende più dipendenti ai favori dello Stato, e non migliora il tessuto sociale ma piuttosto rende più difficile per gli abitanti e le istituzioni di una società avere ognuno una vita morale interna propria.

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Trovata la Bibbia di Albert Einstein: «fonte di saggezza»

Einstein BibleIn un’asta a New York City è stata venduta per $ 68.500 una Bibbia firmata dal grande fisico Albert Einstein, premio Nobel morto nel 1955.

Questa Bibbia gli apparteneva quando nel 1932 ha deciso di firmarla e regalarla ad un amico americano di nome Harriett Hamilton. Oltre alla firma c’è una frase in cui Einstein scrive che la Bibbia «è una grande fonte di saggezza e di consolazione e deve essere letta frequentemente».

La sua posizione religiosa fu molto altalenante, nel gennaio 1954 cambierà giudizio sull’Antico Testamento definendolo un insieme di leggende primitive. Tuttavia in un’intervista affermerà: «Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita» (A.Einstein, intervista su “The Saturday Evening Post”, 26/10/1929). Possiamo in ogni caso definirlo un deista, ovvero colui che riconosce l’esistenza di uno “Spirito immensamente superiore” (come lui chiamava Dio) oltre il visibile, ma che non ha mai preso iniziativa verso l’uomo attraverso una rivelazione.

«La scienza contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguire finalità teologiche, poichè deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perchè la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sè altre scelte quando creò il mondo» (Einstein, citato in Holdon, “The Advancemente of Science and Its Burdens”, Cambridge University Press, New York 1986, pag. 91).

Altre sue citazioni rispetto a Dio e alla creazione è possibile trovarle nel nostro specifico dossier, dedicato alle citazioni dei principali scienziati della storia.

La redazione

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Nuovo studio: i cristiani sono più felici anche su Twitter

TwitterLa letteratura scientifica, come abbiamo mostrato in questa pagina, evidenzia senza eccezioni che l’uomo che appartiene al grande abbraccio del cristianesimo vive anche una vita qualitativamente migliore.

Arriva oggi ad aggiungersi uno studio pubblicato su “Social Psychological & Personality Science” attraverso il quale gli psicologi dell’Universita’ dell’Illinois (Usa) hanno analizzato quasi 2 milioni di messaggi di testo (tweets) postati su Twitter, rilevando che i cristiani usano parole più positive e un minor numero di termini negativi rispetto ai non credenti, un minore uso del pensiero analitico (cioè meno parole come “perché” e “penso che”) ma un più frequente uso di parole sociali, correlate a termini che indicano emozioni positive.

«Gli atei hanno usato uno stile di pensiero più analitico nei loro tweets, che alla lunga può rendere le persone meno felici», ha spiegato Ryan Ritter, uno dei ricercatori. Mentre Will Gervais, psicologo dell’Università del Kentucky ha spiegato qualche anno fa: «Sia il ragionamento analitico che quello intuitivo sono strumenti utili. Ognuno può pensare in modo intuitivo e analitico, e nessuno dice che il sistema intuitivo è sbagliato e quello analitico è giusto». «Se le persone religiose sono davvero più felici delle persone non religiose, le differenze nei rapporti sociali e nello stile di pensiero possono aiutare a spiegare perché», hanno commentato gli studiosi di questo nuovo studio. I risultati sono in linea con altri studi che collegano i maggiori livelli di connessione sociale di maggiore benessere

Blaise Pascal avanzava questa scommessa: «Se Dio esiste, si ottiene la salvezza. Se ci sbagliamo, si è vissuto un’esistenza lieta rispetto alla consapevolezza di finire in polvere». Questo assunto filosofico sembra oggi continuamente confermato dagli studi sulla psicologia del benessere. E’ evidente che la letizia e la pace che contraddistinguono una vita autenticamente cristiana non vanno però scambiati con la causa della fede, ma sono solo uno dei suoi tanti effetti. Altrimenti avrebbero ragione coloro che parlano della religione come un effetto placebo, incappando appunto in una fallacia argomentativa (confusione tra causa ed effetto).

La dott.ssa Maria Beatrice Toro, psicologa e psicoterapeuta, ha in ogni caso evidenziato proprio su UCCR i motivi per cui i benefici della fede sulla psicologia umana vanno completamente distinti dalle pratiche suggestive e ipnotiche e dall’effetto placebo.

Ne approfittiamo per segnalare il profilo UCCR su Twitter.

La redazione

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Margherita Hack: «La figura di Gesù essenziale anche per me»

Margherita Hack

La nota astrofisica italiana Margherita Hack è deceduta questa mattina. Lascia i suoi libri, i suoi pensieri e le sue frasi. La ricordiamo con alcune sue sorprendenti parole su Gesù e sulla compatibilità tra scienza e fede.

 
 

E’ morta oggi all’età di 91 anni Margherita Hack.

Ci sentiamo vicini ad Aldo De Rosa, suo marito (sposati in chiesa) e agli amici che le hanno voluto bene.

In questo giorno di lutto vogliamo ricordarla con questa frase contenuta in uno dei suoi libri più belli:

«Gesù è stato certamente la maggior personalità della storia. Il suo insegnamento, se è resistito per 2000 anni, significa che aveva davvero qualcosa di eccezionale: ha trasmesso valori che sono essenziali anche per un non credente»1M. Hack, Dove nascono le stelle, Sperling & Kupfer, Milano 2004, p. 198

 

Margherita Hack, frasi e scoperte scientifiche.

Studiosa di astrofisica, ha guidato l’Osservatorio astronomico di Trieste e si è poi dedicata con successo alla divulgazione scientifica.

Il vero motivo della sua notorietà però sono state le sue idee in campo politico e religioso, accolte e rilanciate con incredibile spinta e diffusione dai media.

A coloro che l’hanno sempre portata in trionfo come “voce della scienza contro la religione”, lei stessa rispondeva umilmente: «Ne sono onorata ma, come scienziata, non ho scoperto nulla».

In ambito scientifico, tra l’altro, ha talvolta commesso errore grossolano, più recentemente, ha aderito al cosiddetto stato stazionario, l’idea di Universo senza inizio né fine.

Con rammarico dobbiamo anche sottolineare che la nota astrofisica ha spesso approfittato della sua indubbia autorità scientifica per fare affermazioni di tipo filosofico-religioso particolarmente impregnate di luoghi comuni, cosa che capita sempre a chi si occupa di un campo estraneo alla sua competenza.

Addirittura il laico divulgatore scientifico Riccardo Chiaberge ha commentato: «Confesso che quando sento parlare Odifreddi o Margherita Hack, con quella loro sicumera che esclude categoricamente qualsiasi dimensione trascendente quasi fosse sempre e comunque una favola per gonzi, mi viene immediatamente una crisi mistica e corro alla più vicina parrocchia».

 

L’errore di Margherita Hack: combattere un “dio tappabuchi”.

A nostro avviso il più grande errore di Margherita, lo abbiamo sottolineato più volte, è stato quello di concepire la fede in Dio come una forma di “tappabuchi” (il cosiddetto “Dio delle lacune”, contro cui si scaglia inutilmente anche Dawkins) verso quel che non si conosce ancora dal punto di vista scientifico.

Una concezione positivista e ingenua della fede, un’idea che non si ritrova da nessuna parte nella riflessione teologica di qualche spessore. Forse è per questo che Lanfranco Pace l’ha definita (assieme ad Odifreddi) una «nipote del positivismo ottocentesco».

Lei stessa, ad esempio, ha sintetizzato così il suo pensiero: «Credere è un segno di incapacità a rispondere a quello domande che l’universo ci pone. E’ un po’ come credere alla befana. Quando siamo bambini crediamo che i regali ce li porti la befana. Quando ci accorgiamo che sono stati i nostri genitori a portarci i regali ci rimaniamo male»2M. Hack, Festival della Montagna 2012, Trento.

Eppure per il cristianesimo, Dio non è certo una spiegazione alternativa alla scienza. Al contrario, è la ragione di ogni spiegazione! Così, la Hack, ha sempre negato un Dio a cui nessuno crede.

Il biologo cattolico Kenneth R. Miller lo ha spiegato molto bene: «In qualità di schietto difensore dell’evoluzione sono spesso sfidato da coloro che ritengono che se la scienza possa dimostrare l’origine naturale della nostra specie, e sicuramente lo fa, allora Dio dovrebbe essere abbandonato. Ma la divinità che essi rifiutano così facilmente, non è quella che conosco. Per essere minacciato dalla scienza, Dio dovrebbe essere niente più che un segnaposto per l’ignoranza umana». Invece, «se Dio è reale, dovremmo essere in grado di trovarlo da qualche altra parte, alla luce brillante della conoscenza umana, spirituale e scientifica. E che luce che è!».

Richard Swinburne, professore emerito di filosofia all’Università di Oxford, ha chiarito il punto in modo forse più incisivo: «Io non presuppongo un “Dio delle lacune”, un dio al puro scopo di spiegare le cose che la scienza ancora non ha spiegato. Io sto presupponendo un Dio allo scopo di spiegare perché la scienza spiega; io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per spiegare perché la scienza spiega. Proprio il successo della scienza nel mostrarci quanto profondo sia l’ordine del mondo fornisce valide ragioni per credere che tale ordine abbia una causa ancora più profonda»3R. Swinburne, Is there a God?, Oxford University Press 1996, p. 68.

Dio, come giustamente osserva Swinburne, è la spiegazione migliore della potenza esplicativa della scienza. Non l’alternativa.

 

Margherita Hack e la compatibilità tra scienza e fede.

Fortunatamente la nota astrofisica ha sempre avuto l’onestà intellettuale (e la simpatia umana, spiccatamente toscana) che il suo “collega” Piergiorgio Odifreddi non avrà mai.

L’ex matematico è solito affermare provocatoriamente che gli scienziati, per essere bravi, devono essere atei. Su questo la Hack lo ha sempre corretto, dicendo: «Ci sono scienziati credenti, scienziati agnostici, scienziati atei ed è una questione che secondo me esula completamente dalla scienza, è una questione di fede».

In un’altra occasione, Margherita Hack ha ribadito:

«Scienza e fede possono benissimo convivere. Lo scienziato credente adotterà il metodo scientifico per le sue ricerche e attribuirà la capacità del cervello umano di decifrare l’universo a questa misteriosa entità chiamata Dio, ispiratore della ragione e anche causa ultima del mondo. Il non credente, dal canto suo, prenderà atto del fatto che la materia nelle sue forme più elementari abbia la capacità di aggregarsi e formare atomi e molecole, stelle e pianeti, ed esseri viventi. Ateo e credente possono anche dialogare, a patto che ambedue siano laici, nel senso che rispettano le credenze o le fedi dell’altro senza voler imporre le proprie»4M. Hack, L’Universo secondo Margherita, scienziata atea, l’Unità.

Precisiamo solamente, in ogni caso, che riconoscere l’esistenza di Dio in quanto Creatore è compito della ragione, e non della fede, come ci hanno insegnato Aristotele (“motore immobile”) e Tommaso d’Aquino (“motore primo”).

Al di là di questo, che bella ed inaspettata apertura!

Qualche anno fa, la scienziata scrisse: «La scienza non riesce a dare una risposta totale. Quindi il mistero c’è certamente. Se quando morirò dovessi scoprire che c’è la vita eterna, direi a Dio che ho sbagliato. E forse tutto sommato, sarebbe bello essersi sbagliati»5M. Hack, Dove nascono le stelle, Sperling & Kupfer, Milano 2004.

 

Il tuo colloquio con il Padre, probabilmente, sarà già iniziato a quest’ora: grazie Margherita per questa umanità, che ha insegnato molto anche a noi credenti. Arrivederci!

La redazione

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Nessun pedofilo in Vaticano, arrestato per calunnia Patrizio Poggi

Patrizio PoggiLo scorso 8 marzo, Patrizio Poggi (ex sacerdote) si è presentato agli uffici dei carabinieri di Roma rivelando un giro di prostituzione minorile all’interno della Curia Romana.

Poggi è stato arrestato in passato per pedofilia e defenestrato dalla Chiesa cattolica. Nonostante abbia finito di espiare nel 2008 la pena, la Congregazione della dottrina e della fede continua ancora oggi a tenerlo sospeso a divinis. Durante la sua denuncia ha spiegato nei dettagli come avverrebbero questi giri di pedofilia, avendone lui fatto parte prima di essere indagato, processato e arrestato per 5 anni.

Incredulo il “Fatto Quotidiano”, sempre più portavoce dell’anticattolicesimo italiano, si è buttato come un falco sulla notizia. In una settimana si sono visti fiumi di inchiostro uscire sopratutto dalla penna di Marco Lillo, gongolante per la vicenda, alla quale è stato dedicato almeno un articolo al giorno.

Addirittura il quotidiano di Padellaro, non sapendo più cosa dire dato che le indagini della Procura sono state tenute top secret, è arrivato a pubblicare perfino il testo della denuncia che Poggi ha fatto ai carabinieri di Roma. Il testo di Lillo è trionfante come quando si ha l’esclusiva, una cosa inaudita per qualunque accusa tanto che diverse voci in Vaticano hanno criticato tale gesto. Anche oggi, 28 giugno, è stato pubblicato un articolo dove si ipotizzano mosse segrete del Vaticano, cercando di interpretare cosa si nasconda dietro l’assenza di un commento da parte del portavoce vaticano padre Federico Lombardi.

Eppure poche ore fa cambio di scenario, che dev’essere costato un coccolone ai falchi anticlericali appollaiati nelle redazioni: dopo aver effettuato precisi accertamenti, i carabinieri hanno arrestato l’ex sacerdote Patrizio Poggi per calunnia aggravata e continuata per avere denunciato «circostanze non veritiere in ordine alla presunta esistenza di un’organizzazione criminale gestita da tre personaggi romani, attiva nel procacciare ragazzi italiani e stranieri, anche minorenni, per avviarli alla prostituzione maschile in favore di vari esponenti del clero romano, di cui Poggi aveva indicato i nominativi». L’ex sacerdote ha pianificato il piano calunnioso basandosi su mere dicerie (magari dei quotidiani?) per motivi di risentimento personale e con la speranza che il Vaticano revocasse la scomunica nei suoi confronti.

Alle 18:00, due ore dopo il lancio dell’agenzia Ansa, il “Fatto Quotidiano” non ha ancora pubblicato la notizia, al contrario dei principali quotidiani online. Attendiamo fiduciosi, anche se stiamo ancora aspettando un articolo di scuse verso Benedetto XVI, a lungo diffamato da Marco Politi (vaticanista de “Il Fatto”) sul “caso Murphy”, il quale però non ha mai pubblicato la notizia del ritiro completo delle accuse nei confronti del precedente Pontefice da parte della Snap, organizzazione anticlericale (amica di Politi).

Nei giorni scorsi il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma era già arrivato alle conclusioni a cui oggi sono arrivate le forze dell’ordine, esprimendo «profonda amarezza» per la «diffusione di simili notizie calunniose. Sono pienamente convinto che sarà smantellato il piano calunnioso, dimostrando non veritiere le affermazioni del Poggi, mosso forse da spirito di rivalsa o da risentimento personale». Questo conferma ancora una volta perché è meglio fidarsi dei sacerdoti piuttosto che degli anticlericali.

La redazione

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Evviva il dialogo, gli atei hanno deposto le armi!

New AtheistsI nuovi atei? Sono già da rottamare. Morto il compianto Hitchens, pensionati i rabbiosi e fallimentari Dawkins, Dennett e Odifreddi, privati di credibilità il giovane Sam Harris e lo staliniano francese Onfray, il movimento dei “new atheist” è caduto nell’oblio.

Lo dice “Repubblica” spiegando che «sembra oggi superata la fase aggressiva portata avanti nel decennio scorso» dagli atei integralisti citati. «L’aggressione antireligiosa lascia il passo a riflessioni più moderate». Oggi, «emerge una riflessione più prudente verso i culti tradizionali come risorse di senso utili alla società di oggi».

Sul periodico inglese “The Spectator” la riflessione è più esplicita: «Richard Dawkins ha perso, oggi è considerato da molti, anche non credenti, una figura ridicola, di scherzo L’umanesimo laico si sta riprendendo dalla fase dawkinsite, iniziando una conversazione più interessante». Eppure soltanto nel marzo del 2012, in occasione del “Rally” ateo presso il National Mall di Washington, molti osservatori parlavano di una rinascita di popolarità e di influenza per il nuovo ateismo. In quell’occasione, ne avevamo parlato, proprio Dawkins in quanto leader del movimento anti-teista, aveva invitato pubblicamente i suoi seguaci a “ridicolizzare i credenti in pubblico“.

Su “Patheos.com” si suggerisce a sua volta che l’abbandono del “Dawkins-ismo” (in Italia diremmo dell'”Odifreddi-smo”) è un segnale positivo perché mostra un crescente interesse globale per la religione. «Se gli atei sono ora disposti a dialogare in modo più caritatevole e razionale, i teisti farebbero bene a non perdere questa opportunità per creare conversazioni e amicizie, anche oltre i confini intellettuali che lo stridore dell’ex new atheism impediva».

Sul portale americano “Publishers Weekly”, che si occupa di letteratura e saggistica, viene confermata questa tendenza: «Oggi i libri dei non credenti – atei, umanisti, “bright” e altri “liberi pensatori”- hanno preso una nuova piega, sono maturati al di là del disprezzo arrabbiato includendo voci più moderate». L’ateismo sembra passato di moda, oggi vanno molto i cosiddetti “none”, ovvero coloro che affermano di non avere alcuna religione, ma comunque di credere “a modo loro”. Più dialoganti e certamente meno dogmatici.

Una riflessione sui libri viene fatta anche in Italia dall’“Unità”, spiegando che anche nella nostra Penisola ad occupare i primi posti dei libri più venduti c’è Papa Francesco. Un altro dato che viene segnalato è proprio che «gli atei di nuova generazione sembrano aver deposto i furori iconoclasti della generazione precedente ed essersi inseriti nel “mainstream”». I fondamentalisti antireligiosi oggi sono sostituiti dai “dialoganti”: da Chris Steidman (con il suo “Faitheist“, titolo a metà tra «faith» e «atheist») a Jacques Berlinerblau, fino ad Alain de Botton (“Del buon uso della religione”).

Anche la Chiesa sta osservando il fenomeno. “Repubblica” chiama questi nuovi autori come “le neo armate del papa”, mentre “Avvenire” osserva che ««finalmente si volta pagina dopo il pensiero debole». Si è passati dai “teo-con”, ovvero gli intellettuali che hanno portato un’alleanza tra il pensiero neo-conservatore e quello religioso cristiano, alla «corrente filosofica “teo-pro”: intellettuali, rigorosamente non credenti e decisamente “progressisti”, i quali prendono il pensiero teologico cristiano (soprattutto quello di san Paolo) e lo trasformano in un dibattito filosofico nuovo e propositivo per l’Occidente». I “teo-pro” (come Slavoj Žižek, Giorgio Agamben, Alain Badioud ecc.) denunciano «come il nichilismo sia l’estrema conseguenza di buona parte della filosofia occidentale», che ha portato il soggetto ad inneggiare alla libertà assoluta che di fatto lo ha svuotato di ogni contenuto, incluso quello storico. L’orgoglio del relativismo assoluto è oggi messo sotto scacco dai sostenitori “laici” di San Paolo. Allo scetticismo strutturale preferiscono i miracoli cristiani, a Nietzsche rispondono con Pascal.

A Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale a di Milano, teologo di vaglia internazionale, la corrente dei “teo-pro” non dispiace affatto, soprattutto perché marca una netta distanza dal pensiero debole e rappresenta una via per ridare vita all’autentico umanesimo.

La redazione

New atheist

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Quelli che…se il Papa “apre” tornano cattolici

ChurchIn principio fu Vladimir Luxuria a dichiararsi pronta – o pronto, non è chiaro – a tornare cattolica/o se il Papa apre ai gay. Ma scommettiamo che pure Emma Bonino e Marco Pannella tornerebbero cattolici, se il Papa aprisse all’eutanasia; e il dottor Umberto Veronesi lo stesso, se il pontefice aprisse all’eugenetica. E immaginiamo che ferventi credenti tornerebbero, e in fretta, anche Corrado Augias e Piergiorgio Odifreddi, se solo il Santo Padre chiudesse lo Ior e aprisse al neodarwinismo. E via di questo passo.

Va tutto bene, richieste curiose ed interessanti. C’è solo un piccolo, piccolissimo problema: il Papa, spiace che sia sfuggito, non è né un portiere né un usciere e la Chiesa, soprattutto, non è un albergo. Questo perché Gesù Cristo – che è il Principale -, notoriamente, accoglie tutti, ma non obbliga nessuno; vuole, anzi desidera ardentemente la salvezza dell’uomo, di tutti quanti gli uomini, ma non intende ottenerla a tutti i costi. Non perché non ci tenga, anzi, ma perché vuole essere amato prima che temuto, incontrato prima che adorato a distanza.

Son tutte cose, queste, che i cattolici di una volta – e anche molti di quelli di oggi, grazie a Dio – sapevano benissimo, tanto è vero che non si sognavano neppure di barattare vizi o idee in cambio di un ritorno o di una permanenza nella Chiesa. Oggi invece, come abbiamo visto, le cose sono purtroppo cambiate, al punto che c’è chi, con faccia tosta da record, arriva a proporre al Successore di Pietro improbabili “scambi”. Come se l’etica fosse all’asta e la morale poco più di frutto stagionale sui banchi del mercato: mi dia un paio di comandamenti ed io, in cambio, le do la mia anima. Cose da pazzi.

E dire che il Cristianesimo non è difficile da comprendere; che non ci vuole molto a capire che il cattolico non è uno a cui è stato aperto, ma è uno che ha aperto la sua vita a Cristo. Uno a cui non vengono perdonate debolezze, ma che accetta il perdono e, da quel perdono, prova ogni volta a ripartire. Il cattolico, insomma, non è uno che ottiene quello che vuole, ma uno che riceve quello di cui ha bisogno; e pure molto di più. Perché Gesù non “apre”, ma spalanca le porte del Bene, del Vero e dell’Eterno: sta a noi accettare la proposta o giocare, con diabolica presunzione, a rilanciare a Lui le nostre. Sperando, magari, che le prenda sul serio.

Giuliano Guzzo

 

N.B.
Sulla stessa tematica proponiamo anche l’interessante riflessione di Antonio Sanfrancesco pubblicata su Linkiesta del 22/06/13. Segnaliamo anche una divertente pagina Facebook in cui si ironizza sulle affermazioni di Luxuria.

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