Le donne si dissociano dal fascismo delle Femen

Mussulmane contro femenNon c’è sintesi migliore del “fascismo” LGBT, ovvero l’imposizione violenta dell’agenda omosessualista, che il movimento delle Femen, il gruppo di esaltate che a seno scoperto aggredisce per strada i “pubblici peccatori”, ovvero coloro che non si convertono al pensiero unico omosessualmente corretto. La fondatrice, Inna Shvchenko, è nota per aver abbattuto con una motosega una grande croce cristiana in memoria delle vittime del comunismo, per questo è stata recentemente premiata dal governo francese di Hollande mettendo il suo volto su tutti i nuovi francobolli (l’effige della Marianna di Francia, il simbolo ufficiale della République).

Nonostante i nobili principi (la fine della discriminazione verso gli omosessuali e la giusta e dignitosa considerazione della donna nelle società occidentali e orientali), la violenza non ha mai dato frutti. Ed infatti, fortunatamente, le donne non accettano più di essere rappresentate da queste esagitate fasciste.

In Tunisia, dopo le critiche della più importante intellettuale araba, Joumana Haddad, è nato un movimento di donne e femministe islamiche che ha pubblicato un comunicato: «Comprendiamo che per voi “femministe” bianche con atteggiamenti coloniali è molto difficile da capire, ma – sorpresa! – donne musulmane e donne di colore possono avere la propria autonomia, e anche lottare! E parlare per se stesse! Chi se l’aspettava?. Ne abbiamo abbastanza e siamo stanche di sentire donne privilegiate che perpetuano lo stereotipo che le donne musulmane, le donne di colore e le donne del Sud Globale siano sottomesse, inermi e bisognose del progresso “occidentale”», rispondendo alla mobilitazione delle Femen in solidarietà di Amina Tyler, una giovane tunisina che è stata arrestata dalle autorità per manifestazioni a seno nudo. La stessa Amina ha criticato le escort ucraine: «Con la vostre azione non mi avete aiutato. Bruciando le bandiere avete offeso tutto l’Islam». Le Femen «alimentano un femminismo coloniale razzista», ha spiegato Chitra Nagarajan sul “Guardian”. Il gruppo ha anche creato una mobilitazione su Facebook attraverso la pagina “Muslim Women Against Femen”.

In Polonia e Ucraina è invece nato un gruppo molto simile: “Christian Women Against Femen” (qui la pagina Facebook), un intelligente e moderato movimento di donne cristiane che fa il verso alle estremiste ucraine convertendo e modificando i loro slogan. Numerosi i messaggi: «Non ho bisogno di essere una Femen per essere una donna», «Il Cattolicesimo è la mia scelta, Dio vi benedica», «Sono una donna, sono cristiana, sono per la vita. E sono orgogliosa di esserlo!». Usando la ragione e la creatività mostrano, loro sì, che la capacità della donna va ben oltre la nudità, al contrario di quelle che comunicano le Femen, spogliandosi per attirare attenzione (e dunque alimentando i pregiudizi contro le donne).

In Francia sono invece nate due esperienze diverse. La prima sono le “Antigoni” (Les Antigones“, anche paginaLes Antigones Facebook), gruppo femminile di giovanissime militanti cattoliche nato dagli imponenti cortei contro il matrimonio gay. Vestite interamente di bianco, con i capelli sciolti e l’aria da antiche vestali, leggono in coro un comunicato stampa: «La donna possiede una dignità che non si esprime con l’esibizionismo né con l’isteria. Le Femen ci spingono nella trincea dell’oscenità e dell’odio, mentre noi preferiamo la saggezza, l’amore e il sorriso».

Una di loro, Iseul Turan (21 anni) studentessa di Legge a Parigi, è riuscita ad infiltrarsi tra le Femen, spiegando: «una volta che ho conosciuto le Femen, mi sono accorta che sono violentissime nelle azioni e nelle parole, ma che il loro odio esplode solo contro certe persone, contro chi crede, contro chi considerano nemici. Mi accorgevo che le Femen, poste in risalto dai media, non facevano che alimentare gli stereotipi che contestano. All’interno delle Femen non c’è alcun dibattito, nessuna filosofia, solo attivismo. L’idea di aiutare le donne, di stendere programmi per migliorarne la situazione, non le sfiora nemmeno. Vogliono solo attaccare e distruggere i simboli del capitalismo e della religione, usando il loro corpo per farsi pubblicità. Il loro mentore è Victor Sviatski, un esperto di comunicazione. Ma l’indagine è in corso e non posso dire di più per il momento, se non che sappiamo di molte relazioni fra queste donne e persone potenti e famose. A breve, quando avremo tutti gli elementi, pubblicheremo un libro». E ancora: «Denunciano la relazione tradizionale fra uomo e donna e il sesso, ma poi vivono vite promiscue e rapporti in cui si fanno trattare come oggetti». Le Femen combattono contro un sistema di cui fanno parte. «Così non conteranno e non incideranno mai nella società».

Oltre a loro ci sono gli Hommen (pagina Facebook), un gruppo di soli uomini, molto giovani, apparsi per la prima volta a Parigi durante una manifestazione contro la regolamentazione dei matrimoni gay. Così in una decina si sono spogliati davanti all’edificio dell’Assemblea Nazionale a Parigi, con il volto coperto, ma a petto nudo, hanno gridato la loro indignazione.

Da segnalare in Italia l’intervento di Elvira Banotti, autrice (non certo cristiana) nel 1970 dello storico “Manifesto di Rivolta Femminile”, che ha scritto: «Dove credete che trovi la propria ispirazione il “donnicidio” – quel “diritto” punitivo di antica memoria che oggi terrorizza mogli e fidanzate – se non dalla prostituzione del Femminile teatralizzata persino dai Trans che scempiano l’identità di tutte le donne?». Ha parlato di ipocrisie «con cui è stata inabissata l’Eterosessualità, mentre contestualmente si celebra Nichi Vendola, un essere oscurantista impietrito da una pericolosa “repulsione” per la donna! E che dire della sodomia propagandata da trasmissioni come “La Mala Educaxxxion”, con la quale La7 inscrive la sodomia come pratica altamente erotica, suggerendola alle proprie spettatrici? E’ il clima sbrindellato delle ideologie che consente a Gay e Lesbiche di investirci tutti con l’accusa di “omofobia” mentre sono attentissimi a oscurare le proprie pregiudizievoli cicatrici emotive con le quali aggiornano il sedimentato, morboso allontanamento tra uomini e donne: cioè l’erotismo e la preziosità dell’Accoppiamento. Sono depositaria di alcune loro narrazioni (autentiche). Raccontano sofferenze causate da un immaginario atrofizzato, evidenziano “scissioni” emotive derivate da rapporti alterati dalla misoginia, disastri che Gay e Lesbiche (più corretto definirli Ginofobi e Omofobe) riescono abilmente a oscurare. Traumi che per la loro intensità dovrebbero al contrario preoccuparci notevolmente! Più di quanto lo richiedano gli atteggiamenti deludenti di un uomo (forse) eccessivamente… espansivo».

Andando in Norvegia, vogliamo infine parlare di Jane Haaland Matlary, docente di politica internazionale dell’Università di Oslo, ex femminista norvegese ed ex viceministro degli esteri, convertitasi al cattolicesimo grazie a Tommaso d’Aquino. Oggi è membro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nonché fautrice di un “nuovo femminismo” che punta alla dignità della donna attraverso la valorizzazione della sua diversità e unicità, e non attraverso l’omologazione (violenta) al modello maschile.

Abbiamo voluto citare solo alcune delle recenti reazioni femminili, ma non possiamo non riportare il lucido e duro giudizio del direttore di “Tempi”, Luigi Amicone che ha parlato del “metodo Femen” come di «una forma molto stupida di violenza ideologica e di fanatismo». «Parlano di dialogo, multiculturalismo, tolleranza. In realtà agiscono come se ci fossero ariani emancipati da una parte, loro; e noi, negri cristiani e negri musulmani dall’altra. Ovvio che ciò produca l’esatto contrario di un programma di pace e libertà e progresso».

La redazione

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Nuova campagna di proselitismo dell’UAAR: un autogol

senzaDLa folkloristica associazione con meno di 4000 soci ben poco moderati, l’UAAR, si è risvegliata. E’ tempo allora di tornare a dare un occhio in casa dell’ateismo fondamentalista italiano.

Ne abbiamo parlato recentemente osservando le contraddizioni nel volersi far riconoscere dallo Stato come “confessione religiosa” per accedere ai benefici dell’art. 8 (come l’8×1000). E’ intervenuto anche il costituzionalista Augusto Barbera, dell’Università di Bologna: per diventare “confessione religiosa” (come vuole l’UAAR), ha spiegato, «dev’essere presente una comunità che attraverso una propria tradizione, organizzazione e con i propri riti entra in dialogo con un’entità trascendente, che ha una morale comune. Basterebbe solo questo ad escludere per l’Uaar la caratterizzazione come confessione religiosa. Non vedo perché un’associazione di atei andrebbe privilegiata rispetto, che so, a un’associazione di cacciatori o qualsiasi altra non religiosa».

Avevamo lasciato i nostri amici uaarini in mezzo ai guai:  epurazione dei responsabili eretici; presenza di neopagani tra i collaboratori; intrallazzi con i neofascisti di Casapound e gli sfasciavetrine di Acrobax; presa di distanze dal Forum ufficiale per vergogna verso i propri utenti e per allontanarsi da un luogo di critici della propria dirigenza e l’estrema soluzione di mettersi in mano a consulenti d’immagine per vendere meglio l’ormai “noioso” brand “ateismo”, così da sedurre nuovi potenziali “clienti”.

Autodefinendosi come “confessione religiosa” e puntando a far credere allo Stato che l’ateismo sia una religione pur di poter accaparrarsi l’8×1000, l’UAAR non poteva che progettare attività di proselitismo. Ed infatti a Milano, Bologna, Cagliari e altre città sono apparsi alcuni cartelloni per convertire nuovi fedeli, nei quali padroneggia la parola Dio con la “D” cancellata lasciando solo “io”, e sotto la scritta: “10 milioni di italiani vivono bene senza D”. La frase è ovviamente contraddittoria: se davvero gli uaarini vivessero bene senza Dio, non avrebbero certo bisogno di fare quotidiano attivismo aggressivo da oltre 25 anni, si godrebbero la vita senza Dio senza guerre per imporsi nella società (togliendo crocifissi, zittendo le campane ecc.). La nostra comunque è una società fortunatamente più che tollerante verso chi non ha fede, tant’è che loro stessi dicono nel loro slogan di “vivere bene”. Se fossero sotto la dittatura religiosa dell’Iran di certo non avrebbero potuto scrivere pubblicamente di “vivere bene” da atei. Occorre dire che spesso, tuttavia, sono proprio loro (gli atei) a discriminare chi è credente come mostra questa lettera.

Alcuni quotidiani hanno parlato un po’ esageratamente di “campagna choc contro la fede”, anche se in realtà l’iniziativa dei manifesti nelle città non è che una goliardata copiata dei movimenti evangelici americani. Il sociologo Giuliano Guzzo ha sottolineato inoltre che parlare di “10 milioni di non credenti” è una bufala priva di attendibilità, dato che la maggior parte delle stime quantificano in 4 milioni i non religiosi. Nell’“Enciclopedia delle religioni in Italia” del 2013, ad esempio, gli atei risultano essere il 4,7% degli italiani. Come verificare, inoltre, che questa piccola percentuale viva bene? Da quali fonti si apprende questa notizia? Sappiamo, ad esempio, che all’estero secondo alcuni studi chi non crede in Dio ha il doppio del rischio di diventare un suicida. Due affermazioni dunque che i razionalisti credono e pronunciano senza poterne dimostrare la veridicità: un comportamento fortemente contraddittorio per chi ha come propria bandiera il razionalismo.

Una iniziativa pubblica criticata anche da chi non è cattolico o credente, in quanto «la campagna è la prima a non fare un buon servizio alle persone al cui fianco dice di stare, perché il giochetto del cancellare la D li riduce tutti, poveracci, a un ben misero “io”. Come se gli atei e agnostici italiani se ne stessero tutti chiusi nel narcisismo. Fossero tutti incapaci di altruismo. Tutti sempre lì a inseguire i valori dell’io: individualismo, edonismo, egoismo, autoreferenzialità, e chi più ne ha più ne metta. Il che corrisponde proprio all’immagine deteriore dell’ateismo e dell’agnosticismo che hanno in testa certi benpensanti cristiani o cattolici. Capisco l’intenzione provocatoria delle affissioni. Ma l’effetto boomerang mi pare assicurato», ha scritto la semiologa “agnostica” Giovanna Cosenza sul suo blog (ricevendo diversi insulti da parte dei sostenitori uaarini, come si è poi lamentata). L’osservazione comunque è corretta: senza Dio è l’uomo che si erge a dio di se stesso.

Altri osservatori hanno commentato così: «Trovo interessante però analizzare questo messaggio, che a mio parere è opposto a quella razionalità scientifica che, almeno nella “ragione sociale” della comunità, viene sottolineata con giusto orgoglio». Come famosi atei hanno riconosciuto (Dennett, Hofstadter) «senza il presupposto di una Trascendenza, di un Essere fuori da questo universo, l’io non può esistere. Si potrebbe correttamente affermare “senza Dio non c’è Io”». Per un ateo vero, «non esiste nella nostra mente una “coscienza” che costituisca quello che consideriamo il nostro Io, ma solo una serie concatenata di processi mentali che ci danno l’illusione di una continuità cosciente e responsabile. I processi mentali sono ovviamente (dal punto di vista scientifico) nient’altro che trasformazioni fisico-chimiche che interessano i nostri neuroni». Per non parlare dell’assenza del libero arbitrio, altro dogma a cui un ateo deve per forza credere in quanto non saprebbe giustificarne l’esistenza in modo naturalistico. Perciò, «tornando al nostro messaggio Uaar, dobbiamo concludere razionalmente che non solo questi 10 milioni di connazionali sono soddisfatti di avere un Io in realtà inesistente, ma che la loro convinzione di scegliere di non credere in Dio in realtà è totalmente condizionata dalle leggi chimico-fisiche».

Morale della storia: cari uaarini, continuate pure ad appendere i vostri poster sui muri ma, mi raccomando, non vi venga mai in mente di approfondire troppo quanto scrivete sopra. Potrebbe rivelarsi molto pericoloso per la vostra fede.

 
senzaD

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La grande bufala dell’Italia “omofoba”

Omofobia italiaAvremo tanti difetti, noi italiani, ma non siamo affatto “omofobi“ né rischiamo di diventarlo. Lo dice il buon senso di chi conosce l’Italia e sa distinguere fra realtà e propaganda, ed ora lo conferma una recente ricerca effettuata a livello internazionale dal Pew Research Center, la quale non solo ci colloca tra i Paesi del globo aventi i maggiori tassi di accettazione dell’omosessualità – «Where Homosexuality Is Most Accepted» -, precisamente come l’ottavo al mondo, ma anche fra quelli nei quali, negli ultimi anni, siffatta accettazione è maggiormente cresciuta. Proprio così.

E dispiace che Vendola, Boldrini, Idem, Concia – e con loro quanti sono soliti denunciare l’”omofobia” che regnerebbe sovrana nel Belpaese – non ne siano informati o facciano finta di nulla, perché la notizia è di quelle che contano. Infatti dal lavoro del Pew Research Center, i cui esiti sono stati riassunti in meno di trenta pagine, emergono aspetti davvero molto interessanti. Il primo è che la società italiana presenta il medesimo grado di accettazione dell’omosessualità (74%) di Paesi come per esempio l’Argentina, dove il matrimonio gay è legale dall’estate del 2010.

Crolla così una prima leggenda metropolitana, ossia quella per cui la presenza o l’assenza delle nozze omosessuali in un dato ordinamento giuridico sarebbero indice di tanta o di scarsa accettazione dell’omosessualità: bugia. Com’è noto in Italia le nozze gay non sono previste dalla legge – e non v’è neppure, per il momento, alcuna normativa “anti-omofobia”, concetto inventato dallo psicologo americano George H. Weinberg (cfr. Weinberg G.H. (1972) Society and the Healthy Homosexual, St. Martin’s Press) e sul quale ci sarebbe molto da dire – eppure non si registra alcuna diffusa intolleranza. Sempre che, naturalmente, non si vogliano tacciare i ricercatori  di miopia o di incompetenza.

Tornando agli esiti di questa ricerca, si nota anche un secondo profilo di estremo interesse rispetto a com’è mutata ultimamente l’accettazione dell’omosessualità. Effettuando una comparazione fra gli anni 2007 e 2013 gli studiosi americani hanno difatti scoperto delle trasformazioni interessanti. Quella che più ci colpisce riguarda naturalmente l’Italia ed evidenzia come, mentre in Germania ed in Spagna – Paesi nei quali unioni civili e nozze gay sono legali -, negli ultimi cinque anni la tolleranza verso l’omosessualità è aumentata dal 6%, da noi il fenomeno sia stato ancora maggiore: più 9%.

L’ennesima batosta per chi ritiene il nostro Paese in ritardo rispetto ad altri in quanto cattolico; menzogna storica prima che sociologica giacché la cattolica Italia ha depenalizzato l’omosessualità nel lontano 1866, ben prima dall’anglicana Gran Bretagna (1967), della Germania comunista (1968), della luterana Norvegia (1972) o d’Israele (1988). Che da noi non vi sia alcun allarme “omofobia” è poi suffragato dall’UNAR – l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – presso il quale esiste un numero verde per la segnalazione di presunti casi di “omofobia”; ebbene, nel 2012 le chiamate sono state 135. Numero comunque troppo alto, ma certamente non catastrofico.

Un terzo spunto di riflessione il Pew Research Center ce lo offre allorquando ribadisce una verità scomoda e nota a molti, anche se sovente censurata dai mass media, e cioè che l’intolleranza verso l’omosessualità, oggi, è un problema che riguarda fondamentalmente i Paesi a maggioranza islamica. A questo punto – appurato che l’Italia non è affatto “omofoba” e che, anzi, negli ultimi anni fa fatto più progressi nei confronti dell’omosessualità di Spagna e Germania – sorge un dubbio: perché mai, anziché a Vicenza, a Palermo e in altre città italiane, i militanti gay non vanno a sfilare in terra islamica? I diritti degli omosessuali di quei Paesi non valgono forse nulla?

Sarebbe bello che gli stessi politici – Boldrini e Idem in testa – pronti a sfilare al gay pride e a denunciare una non meglio precisata “omofobia” di cui sarebbe ostaggio il nostro Paese, facessero altrettanto laddove il problema dell’intolleranza contro gli omosessuali, oggi, sussiste veramente. In caso contrario continuerà a farsi largo il sospetto che, più che battersi a favore dei diritti gay, molti usino quello dei diritti civili come un comodo pretesto per contrastare la Chiesa e la famiglia tradizionale. Siamo naturalmente pronti a ricrederci ma questo, nel frattempo, è un sospetto che rimane.

Giuliano Guzzo

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Il furbo Corrado Augias e la confusione sull’eutanasia

Corrado AugiasChi non ha argomenti convincenti per sostenere le sue posizioni è costretto a denigrare chi non la pensa come lui. Accade ogni volta che si definiscono “anti-gay” gli oppositori al matrimonio omosessuale o “contro le donne” chi è contrario all’aborto.

Per l’eutanasia, invece, l’obiettivo è dipingere i suoi oppositori come perfidi e sadici sostenitori dell’accanimento terapeutico e del mantenimento in vita dei pazienti ad oltranza. Lo sa benissimo Corrado Augias, che non perde occasione per cimentarsi in questa mistificazione della realtà.

Ancora una volta, infatti, ha confuso (o voluto confondere) il rifiuto all’eutanasia con la volontà di imporre l’accanimento terapeutico al paziente. «La cosiddetta “fine naturale della vita” ormai non esiste più. Afferma Veronesi che un paziente ricoverato in una buona terapia intensiva può essere tenuto “in vita” quasi a tempo indeterminato», ha scritto recentemente. «Ma è lecito, è morale, definire in vita quella povera carcassa trafitta da aghi e sonde?». Per mostrare che anche i cattolici ormai la pensano come lui, il furbissimo Augias chi va a citare? Ovviamente Vito Mancuso (ecco perché i laicisti gli danno così spazio!), apologeta a sua volta dell’eutanasia. Il giornalista di “Repubblica” ha quindi concluso: «Credere in una vita eterna al di là di questa dà certo enorme consolazione. Però anche l’idea di ridiventare un pugno di polvere perso nell’immensità non è male. Purché lo Stato non si metta di mezzo per renderci più lunga l’agonia, più doloroso il passaggio».

Non vogliamo entrare nel merito dei gusti esistenziali di Augias, tuttavia come lui si appoggia al sedicente cattolico Mancuso vorremmo appoggiarci al sedicente agnostico Umberto Veronesi il quale, noto oncologo, ha spiegato: «Nessuno mi ha mai chiesto di agevolare la sua morte. Ho posto da sempre un’attenzione estrema al controllo del dolore e, per mia fortuna, nessuno dei miei pazienti si è mai trovato in una condizione di sofferenza tale da chiedere di accelerare la sua fine».

Come ha spiegato Veronesi, il problema del dolore oggi, fortunatamente, appare completamente superato grazie alle cure palliative, e parlare di  “povera carcassa”, “agonia”, “atroci dolori” o di “sante torture” significa ingannare i propri lettori, anche perché chi è in fase terminale può legittimamente chiedere di essere sottoposto a sedazione palliativa (o “farmacologica”), come ha legittimamente fatto il card. Carlo Maria Martini (e come è disposto a fare il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della pontificia Accademia per la vita), attendendo la morte dormendo. Ovviamente senza accorciare la vita del paziente, anzi addirittura allungandola.

Occorre anche ricordare che il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'”accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente». Dunque si rifiuta sia l’eutanasia che l’accanimento terapeutico, tutto si basa sulla proporzionalità tra gli oneri che un certo trattamento impone a un malato, ai suoi familiari e alle istituzioni sanitarie che accudiscono il paziente e i benefici che esso promette di fornirgli.

Augias si metta il cuore in pace, questa continua mistificazione non potrà mai favorire un vero dialogo e non può essere accettata come modalità onesta di argomentare le proprie convinzioni.

La redazione

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Zagrebelsky lo conferma: «l’aborto non è un diritto»

NeonatiOgni volta che si sente parlare di “diritto all’aborto” ci si chiede se davvero possa esistere un diritto a sopprimere la vita di un altro essere umano.

Nella moderna ed occidentale dittatura dei diritti (ogni cosa che si vuole diventa un diritto da acquisire!) anche l’aborto si è trasformato in un diritto della donna. Ce lo dicono ogni giorno i fanta-giornalisti de “Il Fatto Quotidiano”, ce lo dice la Consulta di Bioetica Laica (i cui responsabili sono noti per aver teorizzato l’infanticidio), ce lo dice l’Associazione Luca Coscioni (nota manipolatrice di studi scientifici per far dire a loro quel che vorrebbero sentirsi dire).

Eppure -per molti sarà uno scandalo saperlo-, l’aborto non è un diritto. Non lo dicono solo il Tribunale Europeo, il giurista Francesco d’Agostino, il filosofo Tommaso Scandroglio e il costituzionalista Cesare Mirabelli.

Questo ovvio riconoscimento della realtà, tra i più politicamente scorretti che ci possano essere, è stato avvalorato da Vladimiro Zagrebelsky, magistrato ed ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dopo aver definito «legislazione estremamente restrittiva» rispetto all’aborto la nuova legislazione dell’Irlanda, -in realtà ancora un orgoglio per i difensori del diritto alla vita!- in un recente articolo ha spiegato che «la Corte europea ha affermato che, in materia così delicata, legata come è a Valutazioni di natura etica, gli Stati hanno un margine di apprezzamento nazionale che giustifica l’adozione di soluzioni diverse. Essa non ha mai affermato che esista un “diritto all’aborto”, anzi ha negato che possa pretendersi una pura e semplice libertà di scelta da parte della donna. Secondo la Corte, la disciplina nazionale relativa all’aborto riguarda il diritto al rispetto della vita privata della donna, con la conseguenza che sono ammesse restrizioni al suo esercizio. Il diritto al rispetto della vita privata, infatti, non è un diritto assoluto, insuscettibile di limitazioni e regole». «Nemmeno la legge italiana prevede un “diritto all’aborto”», ha concluso il magistrato, «essa regola la difficile, drammatica contrapposizione tra la prosecuzione della gravidanza e la tutela della madre».

Nessun diritto all’aborto, dunque. Nessun diritto a terminare la gravidanza prima del parto, anche perché tutte le leggi sull’aborto prevedono delle restrizioni: in Italia, ad esempio, oltre la 22° settimana e in una situazione ordinaria, alla donna non è permesso interrompere la gravidanza in quanto sarebbe omicidio, essendo ormai evidente che si sta parlando di due vite umane distinte (eppure questa evidenza è oggi chiara dal momento del concepimento, anche se fa comodo fare finta di nulla).

Tanto di cappello a Zagrebelsky per il coraggio di aver detto la verità. Le scalmanate di “Se non ora quando?” reagiranno? Assolutamente no, loro vengono attivate soltanto se a descrivere la scomoda realtà è un personaggio cattolico.

La redazione

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Gli errori dell’approccio funzionalistico alle religioni

Cristo redentore 

di Fiorenzo Facchini*
*professore emerito di Antropologia dell’Università di Bologna

 

da “Avvenire”, 15/06/13

 

Che cosa stia alla base della religione, se il bisogno di regole sociali o di protezione o la risposta a interrogativi esistenziali, è un tema su cui innumerevoli studiosi si sono cimentati.

Nel saggio di Jared Diamond Il mondo fino a ieri, uscito in questi giorni da Einaudi, vi è un denso capitolo dedicato all’origine delle religioni. La religione resta un fatto pressoché universale tra gli esseri umani, mai osservato nel mondo animale. Ma quando è nata? Il biologo e antropologo americano (noto a livello mondiale per il saggio Armi, acciaio e malattie, vincitore del Premio Pulitzer per la saggistica nel 1998) ipotizza che «almeno per tutti i 60.000 anni di storia del moderno Homo sapiens e forse da molto prima ancora, i nostri antenati avessero una religione». E perché? Un riferimento molto utilizzato dagli studiosi sull’origine della religione è l’approccio funzionalistico che riconosce alla religione dei vantaggi sia per l’ordine sociale che per disinnescare ansie di ordine esistenziale. Nello stesso tempo si deve riconoscere che con le scoperte della scienza la forza esplicativa delle religioni è venuta meno in tanti settori, perché si possono spiegare eventi e fenomeni riferiti in passato a forze misteriose o elementi soprannaturali, rendendo superfluo il ricorso a cause superiori da propiziare.

Quale potrà essere il futuro delle religioni? Con un miglioramento degli standard di vita la religione potrebbe continuare a dare un senso alla vita e alla morte, intese come fenomeni individuali, che appaiono privi di significato in una prospettiva scientifica. Diverso sarebbe se la popolazione mondiale dovesse continuare a vivere in povertà o fosse esposta a una pace più precaria. Allora, secondo Diamond, le funzioni della religione potrebbero tornare in auge.

Al di là della visione riduttiva della religione dipendente da condizioni di ordine materiale, mi sembra che in questo modo di vedere sia le origini della religione che le sue manifestazioni, non si tenga conto di una fondamentale distinzione tra senso religioso e religione suggerito dall’approccio ermeneutico di vari studiosi (Georges Dumézil, Mircea Eliade, Julien Ries e altri). Il senso religioso può ispirare manifestazioni o fenomeni di carattere religioso in senso lato, ma non è necessariamente legato a una religione intesa come istituzione, con dottrine, riti e regole. Questa si costruisce sul senso religioso e si può riconoscere solo con la protostoria e la storia. Per quanto si riferisce alle origini l’Homo religiosus affonda le sue radici nella esperienza simbolica che incomincia con l’essere umano. Homo religiosus perché Homo symbolicus, quali che possano essere le sue espressioni.

La percezione di qualcosa che sovrasta l’esperienza umana, anche a partire da manifestazioni o eventi della natura (dal disco solare alla volta celeste, a un tramonto infuocato, a quelle che Mircea Eliade ha chiamato ierofanie) ha preceduto le manifestazioni del divino (teofanie) rivendicate dalle grandi religioni negli ultimi millenni. Il paleoantropologo Yves Coppens è d’accordo nel ritenere che «l’Uomo da quando è Uomo sia religioso», perché con la sua capacità di riflessione percepisce l’infinito, l’immortale, l’eterno e quindi il sacro e il simbolo che lo rappresenta.

Fino al Neolitico non si hanno elementi per parlare di religioni, ma in molti comportamenti dell’uomo preistorico, come nelle sepolture a partire da 100.000 anni fa, e ancora di più nell’arte figurativa del Paleolitico superiore (da 30.000 anni fa), si può riconoscere un senso religioso. Questa distinzione è da tenere presente anche quando si affronta il tema della religione nella società moderna, sia riferendosi alle grandi religioni storiche (ebraismo, cristianesimo, islamismo, buddhismo) che a quelle tribali. Non si può argomentare sulla religione e sul futuro delle religioni – come vuol fare Diamond – sulla base di manifestazioni che possono esprimere un senso religioso, ma non possono identificare una religione. La religione è qualcosa di più complesso e articolato, anche se può includere pratiche rispondenti a tradizioni o a qualche bisogno interiore dell’uomo riferibili a un senso religioso.

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La violenza del laicismo francese e del presidente Hollande

ArrestoOrmai è ufficiale: il nuovo Zapatero si chiama Francois Hollande, attuale presidente francese. Lo ha stabilito il consueto rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo redatto dagli Stati Uniti che ha citato la Francia mettendola sullo stesso piano di altri Paesi noti per la violenza antireligiosa, come Cina, Arabia Saudita, Iran, Pakistan ecc.

Il rapporto accusa sopratutto la «laicità troppo aggressiva» della società francese «che non permette alle persone religiose di esprimere a pieno la propria fede». Il riferimento non è solo alla legge che vieta alle donne musulmane di portare in pubblico il velo integrale, ma anche alla situazione dei cristiani. «Con la sua ferrea interpretazione della laicità», si legge nel rapporto americano, «il governo francese non permette a nessun dipendente pubblico di indossare simboli religiosi o abiti religiosi al lavoro. Il presidente Francois Hollande e altri membri importanti del governo hanno pubblicamente espresso la volontà di estendere il divieto anche ad alcuni luoghi di lavoro privati» dove ci sia la presenza di bambini.

Il governo francese ha anche imposto, in perfetto stile ateo-sovietico, il “principio di laicità” sul suolo privato, vietando agli assistenti materni che accolgono bambini nelle loro case di esternare qualsiasi segno religioso. Il vicedirettore de “Le Monde Diplomatique” si è chiesto se sia necessario che la polizia entri nelle case per verificare se qualcuno stia pregando o abbia un’immagine religiosa appesa ai muri, osservando che Hollande si indigna per i comportamenti violenti della polizia religiosa dell’Iran ma poi «esige che si vada a verificare, al domicilio personale, le convinzioni di ciascuno».

La fobia anticristiana del governo francese è comunque nota da tempo: a Pasqua il presidente Hollande ha preferito ignorare la festività cristiana, mentre lo scorso agosto aveva “benedetto” la comunità musulmana in occasione del Ramadan (“indirizzo tutti i miei auguri di felicità, di salute e di successo ai musulmani di Francia”). Nel gennaio 2013 il ministro dell’Interno, Manuel Valls ha annunciato che il governo, tramite i prefetti, terrà sotto osservazione i gruppi sospetti di “patologia religiosa”, ovvero islamisti, ebrei, ortodossi e cattolici militanti. Un recente disegno di legge intendeva invece permettere ai datori di lavoro privati di impedire ai dipendenti di portare addosso simboli religiosi.

Il matrimonio omosessuale non è stato votato tramite un referendum, nonostante la richiesta delle oceaniche proteste dei cittadini. Inoltre, nelle immagini televisive è stato mostrato come il numero dei deputati presenti in aula al momento del voto fosse bassissimo, eppure il numero dei voti è risultato alla fine essere ben superiore al numero di quelli presenti in aula, generando altre polemiche. In video sul web viene invece mostrato che ad alcuni deputati è stato impedito di entrare nell’Assemblea per votare. Il ministro degli Interni, Valls, ha inoltre represso le manifestazioni pacifiche e i numerosi video mostrano poliziotti lanciare gas lacrimogeni contro i manifestanti con tanto di famiglie con i bimbi in carrozzina e anziani. Tantissima gente è stata arrestata ingiustamente, costretta a pagare multe o essere trattenuta a lungo in questura soltanto perché indossava la felpa con il logo della manifestazione (una famiglia naturale), arrestati anche i sacerdoti che hanno protestato con la polizia per questa discriminazione. Uno studente di 23 anni, Nicolas Bernardè stato mandato in carcere, accusato di aver manifestato (pacificamente) assieme a 1500 persone davanti all’edificio del canale di TV M6, mentre il Presidente Hollande parlava ai Francesi. Tante vergogne che il Ministro non ha mai voluto riconoscere, rifiutandosi di scusarsi, e per questo, assieme agli altri ministri, è stato denunciato per violazione dei diritti umani al Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite dal Centro europeo per la Legge e la Giustizia (ECLJ).

Proprio qualche giorno fa, invece, il ministro dell’Istruzione di Parigi Vincent Peillon (nipote dell’inventore della pillola abortiva RU486 e figlio del direttore della prima banca sovietica al di fuori della Unione Sovietica), ha affermato: «Non si potrà mai costruire un paese libero con la religione cattolica». Ha quindi inneggiato alla rivoluzione francese invitando però a completarla dal punto di vista spirituale: «abbiamo lasciato la morale e la spiritualità alla chiesa cattolica. Dobbiamo sostituirla. Bisogna inventare una religione repubblicana, e questa nuova religione è la laicità». Tutto dovrà partire dalla scuola: «E’ come una nuova nascita, una transustanziazione che opera nella scuola e per la scuola, la nuova chiesa con i suoi nuovi ministri, la sua nuova liturgia e le sue nuove tavole della legge». Lo scorso novembre aveva affermato: ««I professori non possono insegnare certe materie liberamente», esortando gli istituti cattolici a non discutere in merito al matrimonio perché «c’è il rischio di cadere nell’omofobia».

Non stupisce affatto che Hollande sia il presidente meno amato dai francesi nella storia recente, essendo oggi al minimo dei consensi (76% non lo rivoterebbe). D’altra parte, al contrario suo e del suo governo, l’89% dei francesi ritiene la religione cattolica del tutto compatibile con i valori della società francese (il 74% non la pensa così per quanto riguarda l’Islam), secondo un sondaggio Ipsos.

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Crescita religiosa: un bene per l’economia e la società

MappamondoIl 28 giugno 2013 il più autorevole centro di statistica religiosa del mondo, il Center for the Study of Global Christianity di South Hamilton (Massachusetts), ha pubblicato il suo atteso rapporto rilevando (aggiornamento al 2013 e proiezione al 2020) che il mondo sta diventando non meno, ma più religioso, e in particolare il numero dei cristiani e dei cattolici sta aumentando.

Si registra un aumento in Africa e in Asia, le Americhe rimangono stabili (anche se un recente studio ha rilevato che in Brasile il cattolicesimo è in crescita toccando l’85% della popolazione) e l’Europa diventa meno religiosa, tuttavia le persone che si dichiarano “religiose” nel mondo sono aumentate dall’82% nel 1970 all’88% del 2013 e sfioreranno il 90% nel 2020. Questo dipende da fattori storici (fallimento comunismo e varie ideologie ateiste) e da un fattore demografico: le persone religiose fanno più figli, tanto che un recente studio dell’Università di Jena in Germania condotto su 82 paesi ha parlato di società laiche a rischio estinzione e un’indagine pubblicata nel 2010 su The Journal for the Scientific Study of Religion ha rilevato che i soggetti più giovani (anni ’90) sono significativamente molto più fedeli alla religione dei loro padri.

Questa sarà forse una cattiva notizia per qualcuno, non certo per Peter Berger, tra i più importanti sociologi viventi, quale in un’intervista per “Forbes” ha spiegato che lo sviluppo economico è strettamente legato alla crescita religiosa. Sintetizzando il suo pensiero: la religione porta alla cultura; la cultura spinge verso forme sociali; le forme sociali portano allo sviluppo.

Se in Italia la presenza della Chiesa cattolica fa risparmiare allo Stato almeno 11 miliardi di euro l’anno, secondo l’indagine di Giuseppe Rusconi nel suo recente libro inchiesta “L’impegno – Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno“, in Spagna la Chiesa cattolica restituisce allo Stato più del doppio di quello che ottiene, secondo i recenti dati della Conferenza Episcopale Spagnola controllati dal PricewaterhouseCoopers (PwC).

Soltanto nel campo dell’istruzione, infatti, la Chiesa cattolica spagnola consente di risparmiare allo Stato ogni anno 4 miliardi di euro. Nel campo sanitario-assistenziale, invece, la Conferenza Episcopale spagnola investe circa 4,3 miliardi di euro, pari a 49 milioni di ore di cura per gli altri. Il PwC, dopo aver verificato e controllato l’analisi, ha dichiarato: «Come risultato della nostra recensione, possiamo concludere che il Rapporto della Conferenza Episcopale Spagnola del 2011 è stato redatto correttamente e in modo affidabile, sotto tutti gli aspetti».

Nel suo ultimo libro il cardinale spagnolo Lluís Martínez Sistach ha spiegato: «La Chiesa non può pretendere di imporre ad altri la propria verità. L’importanza sociale e pubblica della fede cristiana deve evitare una pretesa di egemonia culturale che si avrebbe se non si riconoscesse che la verità si propone, ma non si impone. Ma questo non significa che la Chiesa non debba offrirla alla società, con tutto quello che significa realizzare l'”annuncio del Vangelo”. La presenza della Chiesa nella società e le relazioni tra gerarchia e autorità civili devono essere di dialogo leale e di collaborazione costruttiva a partire dalla propria identità. La Chiesa deve contribuire al discernimento di alcuni valori che sono in gioco nella società e che incidono sull’autentica realizzazione della persona umana e della convivenza sociale. Lo Stato non può ignorare l’esistenza del fenomeno religioso nella società. Pretendere che lo Stato laico debba agire come se questo fatto religioso, anche come corpo sociale organizzato, non esistesse, equivale a situarsi ai margini della realtà. Il problema fondamentale del laicismo che esclude dall’ambito pubblico la dimensione religiosa consiste nel fatto che si tratta di una concezione della vita sociale che pensa e vuole organizzare una società che non è la società reale».

La redazione

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Le associazioni mediche contro eutanasia e suicidio assistito

Suicidio assistitoNonostante i quotidiani principali non ne parlino, essendo anche queste ormai notizie politicamente scorrette, continuano numerosi gli stati in cui viene respinta la legalizzazione o depenalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito. Gli ultimi in ordine cronologico sono il Maine (USA) e il New South Wales (Australia).

La cosa più interessante è che, ancora una volta, il rifiuto più deciso è arrivato dalle associazioni mediche. L’Australian Medical Association (AMA) ha infatti militato rumorosamente contro il disegno di legge e lo stesso ha fatto la Maine Medical Association e la Osteopathic Association Maine, che ha definito il tentativo una “politica pubblica molto pericolosa”.

La posizione di queste associazioni mediche riflette quello della associazioni nazionali e internazionali. L’Associazione Medica Mondiale (AMM), ad esempio, ha affermato nel 2005: «Il suicidio assistito, così come l’eutanasia, è immorale e deve essere condannato dalla professione medica. Quando il medico intenzionalmente e deliberatamente aiuta la persona a porre fine alla sua vita, allora il medico agisce immoralmente. L’Associazione Medica Mondiale ribadisce la sua ferma convinzione che l’eutanasia è in conflitto con i principi etici fondamentali della pratica medica e incoraggia vivamente tutte le associazioni mediche nazionali e i medici a non impegnarsi nell’eutanasia, anche se ciò è consentito dalla legislazione nazionale». La stessa posizione è assunta dal Comitato permanente dei medici dell’Unione Europea.

L’American Medical Association ritiene che il «suicidio assistito è fondamentalmente incompatibile con il ruolo del medico come guaritore, sarebbe difficile o impossibile da controllare e porrebbe seri rischi sociali. Invece di partecipare al suicidio assistito, i medici devono rispondere ai bisogni dei pazienti terminali». Il  British Medical Journal ha assunto una posizione molto forte contro la legalizzazione del suicidio assistito, non a caso nel Regno Unito l’80% dei medici è contrario

Anche la German Medical Association  ha ribadito il deciso rifiuto verso l’eutanasia attiva (come già aveva fatto nel 2004) così come “l’uccisione del paziente”, affermando che «il coinvolgimento dei medici nel suicidio non è un compito medico». Lo stesso ha fatto la New Zealand Medical Association. La  Organización Médica Colegial de España ritiene che «la richiesta per il suicidio assistito o l’eutanasia dovrebbe essere generalmente considerata come una richiesta di maggiore attenzione, e si può far scomparire questa richiesta applicando i principi e la pratica delle cure palliative di qualità».

Anche in Italia le associazioni mediche sono ovviamente tutte schierate contro. In occasione delle recenti menzogne dell’Associazione Luca Coscioni, che ha manipolato i risultati di uno studio scientifico, la Società di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) ha dichiarato, tramite il presidente Massimo Antonelli, che «tutta la Siiarti è contraria a ogni forma di eutanasia»E ancora: «la decisione di sospendere o non iniziare trattamenti di supporto vitale non deve comportare mai l’abbandono del paziente».

L’associazione Medicina&Persona ha scritto chiaramente perché un medico può solo essere contro a queste pratiche: «la medicina è nata da una speranza: che curare e assistere vale sempre la pena, fino alla fine, perché l’uomo ha una dignità che è data dalla vita stessa, dal solo fatto che lui esiste, perché è stato fatto. Per questa dignità riconosciuta il medico non può creare la vita come nemmeno dare la morte (Ippocrate ci è maestro). E l’utilità della medicina sta  nel rispetto di questo dato ontologico. Pena lo scadere della professione a mera tecnica, tomba della  medicina stessa, oltre che del malato».

La redazione

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Tre fisici cattolici ricordano Margherita Hack

Margherita HackIl 29 giugno scorso è morta Margheita Hack, astrofisica e celebre polemista antireligiosa. L’abbiamo salutata con un articolo in cui, senza rinnegare le dure critiche a lei riservate nei nostri articoli in passato, abbiamo voluto ricordarla apprezzando quel che di buono abbiamo comunque visto e imparato da lei (lo spieghiamo per rispondere ad alcune e-mail ricevute, critiche verso questa nostra scelta).

Ci è parso interessante osservare come diversi scienziati hanno reagito alla sua scomparsa, sopratutto coloro con cui ha da sempre intrapreso -direttamente o indirettamente- una sfida tra scienza e Dio. Scienziati credenti, cattolici, che hanno spesso replicato alle sue esternazioni ateologiche, probabilmente influenzate dalla sua matrice teosofica, come ha sottolineato “Avvenire”.

 

Non poteva mancare il suo “nemico” preferito, Antonino Zichichi, celebre fisico italiano, professore emerito dell’Università di Bologna, già presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e della Società Europea di Fisica. «Il più bel ricordo che ho di Margherita Hack è quando a Siena mi disse che preferiva il Nulla», ha scritto. Eppure, ha spiegato, «se l’universo su­bnucleare non fosse retto da una logica rigorosa io sarei di­soccupato. Non saprei cosa fa­re domani. Né avrei mai potuto far niente nella mia carriera di fi­sico impegnato a decifrare la lo­gica scritta nel libro della natu­ra. Se c’è una logica deve esser­ci un Autore. Ecco perché io cre­do in Colui che ha fatto il Mon­do. L’ateismo nega l’esistenza dell’Autore. Negare l’esistenza di questa logica corrisponde a negare l’esistenza della Scien­za. L’ateismo non sa dimostra­re com’è possibile l’esistenza di una logica senza che ci sia Co­lu­i che di questa logica è l’Auto­re. Ecco perché io dico che l’ateismo non è atto di ragione ma di fede nel Nulla». La Hack ha risposto così al fisico siciliano, durante un dibattito pubblico: ««Sono d’accordo con ciò che ha detto il professo­re Zichichi. Io, Margherita Hack, preferisco l’atto di fede nel Nulla all’atto di ragione che mi porterebbe a credere in Dio». «In molte occasioni», ha spiegato Zichichi, «ho cita­to come esemp­io di onestà intel­lettuale questa affermazione di Margherita Hack. Iddio solo sa quanto ci sia oggi bisogno di onestà intellettuale».

 

Interessante anche l’intervista a Piero Benvenuti, ordinario presso il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, dove è anche direttore del CISAS (Centro Interdipartimentale di Studi e Attività Spaziali), e consigliere d’amministrazione dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana). Benvenuti ha anche corretto talvolta gli errori scientifici della Hack nella sua carriera di divulgatrice. Oltre ad una visione davvero bella del rapporto tra scienza e fede, ha anche spiegato rispetto alla Hack: «abbiamo discusso animatamente, mai litigato però», perché la sua professione di ateismo «è basata su concetti separati. La stessa scienza ha capito che può dare soltanto una visione parziale della realtà e allo stesso tempo tutti sappiamo che la Genesi utilizza un linguaggio mitico, non vuole esprimere una realtà scientifica». «Margherita era di una umanità incredibile», ha concluso, «e credo che in fondo avesse una aspirazione alla trascendenza. Il suo limite era che per lei tutto era meccanismo, materia. Nel suo “infinito” non c’era spazio per l’amore, per una prospettiva di amore extratemporale, per la speranza. E quando è così, anche se lei non lo ha mai ammesso, c’è solo la disperazione, lo insegna anche la storia. L’amore non è un fatto chimico, né un algoritmo: è qualcosa di più».

 

Citiamo infine anche l’articolo di Marco Bersanelli, ordinario di Astronomia e Astrofisica all’Università di Milano, nonché tra i responsabili scientifici della missione spaziale PLANCK dell’Agenzia Spaziale Europea. Ha scritto: «Mi ha sempre colpito questa sua ostinazione sulla questione religiosa, quasi si agitasse in lei un tormento, o forse come lei avrebbe detto una fede sui generis». Dopo aver elogiato la sua apertura al dialogo, dimostrata in diversi casi, l’astrofisico ha commentato: «Nella sua visione le domande di significato si trovano abbandonate nel binario morto dell’opinione, del sentimento, della scelta arbitraria, dell’irrazionalità. Raramente la moderna divisione tra sapere e credere è stata espressa tanto sinteticamente: da questo punto di vista la Hack ha dato voce alla posizione culturale più diffusa nella nostra mentalità».

«A me pare», ha quindi concluso, «che la religione che Margherita disdegnava era legata a un’idea ridotta di Dio e a un’idea moralistica della fede. Non poteva sopportare che Dio fosse una svendita del bisogno umano di comprendere, la “scappatoia per spiegare quello che la scienza non sa ancora spiegare”. Mentre l’uomo è fatto per conoscere, la fede come lei la intendeva e la conosceva era piuttosto una passività, un rifugio, un’auto-consolazione. Ma la Fede è ben altro! Così oggi che Margherita è scomparsa dispiace che non ci siano state più occasioni di dialogo, di confronto, per provare a intendersi meglio. E mi domando quanto noi scienziati credenti abbiamo saputo e desiderato veramente esprimere e testimoniare una Fede viva, capace di dimostrarsi incidente nel nostro lavoro, di rendere più desiderabile la conoscenza e più viva la ricerca. Il ricordo di Margherita, e la sua inedita assistenza dal cielo, possa aiutare tutti noi a essere più autentici nel vivere e condividere ciò in cui crediamo».

La redazione

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