Infelicità e disturbi: il fallimento della rivoluzione sessuale

Woodstock 1969Un paio di anni fa su Newsweek si è parlato della nuova sindrome occidentale: la “sex addiction epidemic”, epidemia di dipendenza da sesso. Siamo una società malata di sesso, una “nuova schiavitù” che affligge in modo grave –secondo la “Society for the Advancement of Sexual Health”– nove milioni di americani, quasi il 5% della popolazione, e quaranta milioni che accedono quotidianamente a siti hard.

Per curare questo nuovo disturbo comportamentale, paragonato all’alcol e alla droga, oggi l’America impiega oltre 1500 “terapisti del sesso”, contro meno di cento di un decennio orsono. Il critico letterario Marco Belpoliti ha citato innumerevoli saggi che stanno «analizzano il tramonto dell’eros e il trionfo del porno nella nostra società, preda dell’ansia da prestazione». Secondo Zygmunt Bauman, ad esempio, «nella età postmoderna l’erotismo si è svincolato sia dalla funzione della riproduzione, come dall’amore, sin qui cardine dell’esperienza umana. La ricerca del piacere sessuale è assurta a norma culturale come un tempo accadeva per l’amore, dai provenzali ai romantici. L’effetto è che oggi l’erotismo ha acquistato uno spessore che non aveva in precedenza, ma al tempo stesso possiede un’inedita leggerezza e volatilità propria dei nostri tempi». La rivoluzione sessuale ha portato al borghese impero economico della pornografia, «è stata depositata davanti all’uscio delle forze di mercato» (Bauman). E «l’ansia di cui soffre una gran parte della popolazione occidentale, con punte di depressione endemica, è uno degli effetti» di tutto questo. «Il destino, cui ci affida il sesso postmoderno, è quello della nevrosi psichica, con vantaggi inevitabili per tutti gli addetti alla nostra psiche, che oramai sono tanti». Bella conquista del progresso, davvero.

A farne le spese sono sempre in misura maggiore gli adolescenti, come spiega lo psicoanalista Luigi Ballerini, commentando i dati di un’inchiesta condotta da Aied per cui il 94% delle ragazze fra i 14 e i 16 anni ha già avuto un rapporto sessuale. In Francia, ad esempio, è scattato da tempo l’allarme per l’ipersessualizzazione delle bambine, le “lolite” di 8 anni truccate e vestite come donne-sexy, mentre negli Stati Uniti 220.000 ragazze di età inferiore ai 18 anni hanno fatto la chirurgia al seno.

Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea presso l’Università La Sapienza, ha recensito uno degli innumerevoli libri in cui emerge il disturbo comune della civiltà post-rivoluzione sessuale: «il sesso sembra essere diventato, per tutti, l’unica e vera ossessione. Dentro e fuori il matrimonio. Senza sesso il rapporto non esiste più, non ha alcuna altra ragione di esistere. Tutti sono alla ricerca disperata di una razione di piacere, considerata condizione indispensabile per vivere. Ma chi patisce di più questa situazione sono le donne, più refrattarie ad adattarsi a questo modello di vita, anche se pensano che sia indispensabile per vivere una vita sociale normale. La promessa di felicità per tutti, implicita nell’utopia che ha mosso la rivoluzione sessuale, non poteva trovare smentita più clamorosa».

La sociologa Eva Illouz, dell’Università ebraica di Gerusalemme ha invece riflettuto sulle conseguenze etiche della rivoluzione femminista: «La libertà sessuale ha un aspetto che spesso non si vuol vedere: si strumentalizza l’altro. L’altro diventa un mezzo per il mio piacere. È quello che Kant ci vietava: trattare l’altro come un mezzo. Inoltre rende più difficili virtù tradizionali quali la costanza, la lealtà, la capacità di sacrificarsi. Weber è il primo sociologo ad averci resi diffidenti di fronte alla libertà moderna, dicendo che è anche una “gabbia di ferro”. La sua visione della modernità ha una struttura tragica. Weber ha la sensazione che si siano perse cose che non si potranno più recuperare e che ci si debba rassegnare, stoicamente, a tale perdita».

Recenti studi hanno proprio mostrato la falsità di questa vulgata corrente, nata con la rivoluzione sessuale: maggior disinibizione sessuale significa maggior felicità. Sul “Journal of Sex Research” (giugno 2013) è stato mostrato che è tutto il contrario: quelli che hanno più rapporti sporadici hanno minor senso di soddisfazione e maggior rischio di stress psicologico. La colpa è della società sesso-centrica, che rende sempre meno desiderabile e fattibile ogni futuro di costruzione sociale familiare, amicale. Infatti la rivoluzione degli ultimi 50 anni non è “più sesso facile”, ma “più famiglia difficile”, cioè più disimpegno e fuga dalla vita, come ha spiegato il bioeticista Carlo Bellieni. «E i giovani scappano via, soffocati tra una educazione sessuale ridotta a insegnare solo tecniche per non far figli e un moralismo incantato a ripetere quello che non si deve fare».

Il problema è stato, ha spiegato lo psicoanalista Ballerini, di aver «sopravvalutato, ingigantito, ipertrofizzato» la questione sessuale. «Ci si pensa troppo, è avvenuta un’invasione del pensiero come un tranquillo e pacifico villaggio investito da un’orda di barbari. In altre parole, ci si è fissati su “quello” e il circolo diventa vizioso a tutti gli effetti: tanto più c’è fissazione tanto più c’è ricorso allo stimolo che la mantiene viva, uno stimolo che di per sé non basta mai. Siamo pronti a scandalizzarci per i più giovani, ma noi adulti siamo davvero messi meglio? Non viviamo forse anche noi della stessa sopravvalutazione, di un pansessualismo culturale che colonizza le menti? È accaduto che siamo caduti in una trappola, abbiamo creduto alla favola del Sesso come un astratto e potente padrone, il quale peraltro resta così solo finché lo si ritiene tale; abbiamo abbandonato il dato di realtà che invece esistono i sessi, ossia quella diversità biologica che introduce una dissimmetria nel rapporto rendendolo interessante e fruttuoso, senza alcun obbligo o comando all’uso degli organi. Siamo stati noi a crederci per primi e per contagio abbiamo trasmesso ai figli questa idea che esista un potere astratto chiamato sesso capace di guidarci e portarci a spasso come un cagnolino».

Come risvegliarci dunque? «Bisogna ripartire dal corpo come luogo del rapporto con l’altro, un corpo animato in cui ogni senso è al servizio della soddisfazione che è sempre reciproca, perché condivisa. Un corpo che mangia, beve, corre, pensa, scrive, si diverte, studia, si stanca, sempre insieme a un altro, che sia realmente presente o in attesa del quale. E nel caso, a suo tempo, potrà sì anche fare l’amore con un altro, ma non nel despotico isolamento di un atto che pretende di farsi tutto».

La redazione

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Bioetica per tutti: nuovo glossario a cura di Carlo Bellieni

GlossarioSe l’etica, oggi, è una disciplina guardata con astio perché pare un attentato alla libertà dell’Uomo, la bioetica ancor di più è vittima di pregiudizi simili perché nuota nelle profonde e vaste acque delle scienze naturali.

Eppure la bioetica, come giustamente sottolinea il professor Carlo Bellieni (neonatologo, bioeticista e consigliere nazionale Associaz. Scienza e Vita), non segue principi, ma la realtà. La realtà, per  chi ama la freschezza del sapere, è l’unica cosa che veramente conta per ogni disciplina scientifica; ecco perché la bioetica diventa indispensabile,  non solo per lo scienziato in quanto tale, ma per ogni altra persona umana che vuole godere della massima espressione positiva della vita.

Il problema è che non tutti possono permettersi di studiare bioetica, non tutti hanno il tempo e le energie per capire i “mattoni” che le fanno da fondamenta. Tuttavia, da qualche settimana, il professor Bellieni cura un nuovo progetto finalizzato ad aprire la bioetica a chiunque.

Una bioetica proposta in modo semplice, piacevole, chiaro e che non si fonda su norme preconfezionate, bensì sulla ragione (partendo dal principio che nessuna censura che nega il reale va accettata), sul realismo (cambiare le idee in base alla realtà e non falsare la realtà per farla assomigliare alle proprie idee) e sull’empatia (amore o comunque interesse per la realtà).

Alla domanda: “perché proporre un glossario ragionato di bioetica?” il professor Bellieni risponde così: “Perché è la ragione che ci aiuta a capire “il perché” delle cose e delle scelte. Non bastano gli slogan o le definizioni. Come insegna Papa Francesco, dobbiamo imparare ad essere buoni medici dell’etica, e il buon medico non pensa di far sparire i sintomi e basta, ma pensa come far sparire la malattia. Il ragionare sui termini ci induce per forza ad un’azione di attacco alla radice dei problemi.

Il link della pagina è: Glossario ragionato di bioetica per tutti. Il sito, settimana dopo settimana, presenterà nuove voci che permetteranno ai lettori di creare un rapporto utile e costruttivo con la bioetica.

Michele Blum

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Per coloro che si scandalizzano degli errori dei cattolici

VidelaAlcune persone rimangono fortemente scandalizzate dagli errori di uomini di Chiesa o di semplici cattolici, pensando che essi siano esenti dalla debolezza umana (dal peccato originale) e dalla coerenza interna tra ciò che credono e come si comportano.

In realtà sarebbe sufficiente chiedere loro se nella loro vita si sono sempre comportati onestamente e rettamente con gli altri, al di là di quello che pensano del valore dell’onestà, per capire che l’incoerenza e la debolezza è qualcosa che tutti hanno dentro. Si può e si deve dunque giudicare il male altrui, senza alcuna giustificazione, sempre consapevoli però anche della nostra incoerenza e del male generato da noi, anche se in misura minore. Ovviamente lo stesso discorso vale per uomini famosi e potenti, che di male ne hanno fatto in abbondanza, come ad esempio il dittatore argentino Videla, morto poche settimane fa e da sempre sedicente cattolico.

Su Ilsussidiario.net è uscito un interessante articolo di Horacio Morel, cattolico e avvocato al foro di Buenos Aires, che ha scritto: «La morte del dittatore, oltre al giudizio storico completo, tuttora in sospeso, interpella i cristiani cattolici. Videla si professò sempre cattolico, e lo manifestò pubblicamente, proprio come fecero tanti di coloro che egli perseguitò e fece uccidere. Inoltre (e questo è il punto) egli cercò di giustificare la sua azione politica e militare con il Vangelo, e almeno dovremmo concedergli di essere stato sincero nella sua convinzione di aver intrapreso una lotta contro Satana, allora associato o addirittura identificato con la “minaccia marxista”». Come conciliare dunque questa convinzione con i crimini atroci della dittatura?

Occorre innanzitutto capire la necessità, come disse Giovanni Paolo II fin dall’inizio del suo pontificato, che «la fede diventi cultura, cioè criterio di conoscenza e principio di azione di tutto lo sforzo umano. Una fede, anche sincera, che non diventa cultura è costantemente a rischio di trasformarsi in ideologia. Non è più il Fatto più grande di se stessi con cui confrontarsi e porre in questione tutto ciò che uno crede, pensa e fa, ma semplicemente un dispositivo argomentativo su misura per giustificare qualsiasi avventura personale o collettiva di stampo fondamentalista». E ancora: «Una fede ridotta a mera devozione, o anche semplice etica, senza uno spazio reale per il Mistero e separata dalla sicura guida storica della Chiesa − il Successore di Pietro e i Vescovi in piena comunione con lui − è alla mercé dell’interpretazione e della manipolazione».

Questo è un problema di tanti cattolici (adulti e non), non solo di Videla. Se la fede cristiana non diventa metro di paragone con tutto quello che facciamo e non viene costantemente sottomessa al magistero della Chiesa si arriva ad una religione-fai-da-te che può anche giustificare i crimini peggiori, in nome della propria fede. Infatti, come ha ricordato Papa Francesco, «è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio», criticando coloro che dicono “Cristo sì, la Chiesa no”.

Deve comunque essere chiara una cosa: il cristiano che sbaglia, come il prete pedofilo, lo fa sempre tradendo il Vangelo. E’ su questa linea la riflessione di Vittorio Messori, che ha scritto: «ci sono pagine oscure nella storia della Chiesa ma sono dovute a cristiani che fecero cose sbagliate (o che oggi ci sembrano tali) non seguendo ma, al contrario, tradendo la loro fede». Lo stesso ha detto Benedetto XVI allargando il discorso alle colpe della Chiesa nella storia: «nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura».

La redazione

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La Bibbia è stato il libro più acquistato in Norvegia

Russi studiano BibbiaNel 2012 abbiamo dato in Italia una notizia che ha sconvolto per primi noi stessi: il libro bestseller del 2011 in Norvegia è stato la Bibbia, con code degli acquirenti durante la notte per ottenere una copia della nuova traduzione. E’ rimasto in cima alla classifica quasi ogni settimana dalla data della pubblicazione della nuova traduzione nel mese di ottobre fino alla fine dell’anno 2011.

Nel 2013 l’originale fenomeno si è ripetuto. Il Washington Times ha infatti rivelato che «le Bibbie stanno andando a ruba in Norvegia». Qualcuno parla di “un risveglio spirituale”. Il Blaze ha riferito che la nuova traduzione della Bibbia è stata nella top 15 dei best-seller per 54 delle ultime 56 settimane, e secondo l‘Associated Press è stato il libro più venduto nel Paese, battendo l’autobiografia della star del pop Justin Bieber o il popolarissimo “Cinquanta sfumature di grigio”.

Non solo in Norvegia, la Bibbia rimane comunque il libro più venduto al mondo, raggiungendo il primato di 3,9 miliardi di copie nell’ultimo mezzo secolo. Se quello del libro è un settore in crisi, lo stesso non si può dire dell’editoria religiosa l’unica in costante crescita negli ultimi anni.

La soluzione di questo successo dei libri religiosi e della Bibbia l’ha offerta il laico Claudio Magris quando ha parlato della Bibbia come “l’alfabeto del mondo”: «La Bibbia è la storia di un popolo che, come i greci antichi, ha saputo interpretare, nella sua peculiarissima particolarità, l’universalità umana. È dunque la storia – arcaica e profetica, emergente da un oscuro passato e protesa al futuro – dell’umanità. La Bibbia – Antico e Nuovo Testamento – continua a fornire le chiavi e le immagini per capire chi e cosa siamo, la colpa e la salvezza, l’ esilio e il ritorno.

La redazione

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Altri psicologi contro le adozioni gay: «l’amore non basta»

Famiglia 2Se davvero bastasse soltanto l’amore per crescere ed educare dei figli, come ripete a ritornello chi vuole sostenere l’omogenitorialità, allora famiglie poligamiche con sei mamme e un papà sarebbero certamente più adeguate rispetto ad una coppia omosessuale con soltanto due genitori. Si pensi a quanto amore potrà ricevere un bambino da ben sette persone rispetto a due, magari anche entrambi lavoratori.

Questo discorso -volutamente retorico- ovviamente non viene accettato, anche se coerente con la tesi omosessualista. Il motivo è che in fondo nessuno crede davvero che sia davvero sufficiente soltanto amore per crescere i bambini, tutti siamo stati figli e tutti sappiamo come stanno le cose. Tuttavia è un argomento molto convincente dal punto di vista sentimentale e viene usato proprio a questo scopo.

L’amore non basta, ci dicono gli studi scientifici.  L’amore non basta, lo ripetono sempre gli psicologi, molti dei quali inseriti in questo dossier specifico.

Due importanti esperti hanno recentemente preso anche loro posizione nel breve saggio «Sul paradosso dell’omogenitorialità» pubblicato sul nuovo numero di Vita&Pensiero, rivista dell’Università Cattolica. Vittorio Cigoli, ordinario di Psicologia Clinica delle Relazioni di Coppia e di Famiglia presso l’Università Cattolica di Milano e Eugenia Sacabrini, professore emerito di Psicologia sociale presso l’Università Cattolica di Milano, di cui è stata Preside della Facoltà di Psicologia nonché Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi delle Facoltà di Psicologia per il biennio 2008-2010.

I due esperti partono dalla posizione psicoanalitica classica, già espressa da Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica presso l’Università di Pavia, che fa leva sul triangolo edipico, ritenendo essenziale, per un corretto sviluppo dell’essere umano, il riferimento al padre e alla madre. «L’identità si costruisce attraverso un processo di identificazione», spiegano Scabrini e Cigoli, «che coinvolge tanto la psiche quanto il corpo sessuato dei genitori e che si delinea nella differenza. Al proposito noi preferiamo parlare, con un termine forte, di “incorporazione” ancor prima che di identificazione: la persona del figlio si incorpora infatti nella storia familiare, cioè ne è parte costitutiva».

Rispetto alle teorie del gender e in particolare della queer theory, «che, in linea con la posizione costruttivista, sostiene la tesi che il genere è una pura costruzione sociale» gli psicologi la ritengono «“riduzionista” perché denega la differenza anatomo-biologica. Questa posizione si inserisce in quel fenomeno che Janine Chasseguet- Smirgel (“Il corpo come specchio del mondo”, 2005) ha acutamente indicato come rivolta contro l’ordine biologico caratteristica della cultura dell’Occidente che oggi assume varie forme, dalla mutilazione dei corpi e commercio degli organi, agli interventi di mutazione del sesso, alle madri in affitto, al reimpianto di embrioni congelati dopo la morte dei genitori o di un genitore». All’origine di questo «drammatico disinvestimento sul corpo, che lo “depersonalizza” togliendogli il carattere di corpo vivente, sta la mancata integrazione o meglio, se si vuole, la scissione, tra l’io corporeo e l’io psichico. Ciò porta a varie forme di perversione mosse da un desiderio di onnipotenza (è del desiderio inconscio la connaturata insofferenza del limite) che vuole fare accadere ciò che è impossibile, com’è il generare con corpi “omogeneri”. Ci troviamo così di fronte all’ibrido e all’indistinto. È entro questo quadro che si situa la concezione del corpo come indifferenziato; in esso scompaiono le differenze tra i sessi e tra le generazioni (ma anche tra il bambino e l’adulto) e si preconizza una società fatta di ibridazioni, transgenere, postpadre e postmadre. Potremmo parlare dell’hybris dell’uomo moderno, che nega il limite e il vincolo dell’essere generato, dell’appartenere a un sesso (e perciò non a un altro) e di abbisognare dell’altro per generare.

«La differenza di genere, generazione, stirpe», spiegano Scabrini e Cigoli, «è invece la costante e lo specifico dei legami familiari. Tale differenza viene trattata in modo diverso dalle varie culture, ma è risaputo come le scissioni tra ordine biologico e psico-antropologico e il diniego delle differenze stiano all’origine di molti e gravi problemi relazionali. Usando una terminologia lacaniana, potremmo dire che l’immaginario (il mondo delle rappresentazioni) ha la meglio sul registro simbolico (il terzo tipico del legame che viene dalla differenza). In ogni caso l’attacco alla differenza e alla complementarietà che ne deriva, che si manifesta attraverso l’invidia, il disprezzo e l’abuso nei confronti dell’altro è un pericolo ricorrente dei legami familiari, come la storia ben insegna.

Perché la richiesta da parte di due omosessuali di adottare un bambino che non potranno mai avere tra loro? «Vi possiamo leggere l’attrattiva nostalgica di un bene da cui si è esclusi per scelta e condizione di vita. Più in generale il clinico vi legge un’angoscia a cui consegue quasi un’ossessione di normalità che può celare un profondo vissuto di inferiorità-marginalità, sentimento che non è peraltro proprietà esclusiva di coppie gay o lesbiche, dato che attraversa la vita di molte coppie e persone. In particolare, l’assillo della normalità si manifesta nella rivendicazione del diritto di ottenere legittimazione sociale. È come se il problema (cioè un ostacolo, un interrogativo profondo) trovasse una soluzione definitiva nella legittimazione legale e sociale. Ma il “normale”, sia esso statistico o legale, non è in grado, in sé, di rispondere alla specificità dell’esserci al mondo e del proprio valore.

«La famiglia», proseguono, «non è solo luogo di affetti, di amore e odio, ma vive anche di un ordine strutturale e simbolico, vive di una dinamica generazionale che ha le sue regole e le sue leggi. Genealogie confuse, assenti o enigmatiche, non facilitano certo il viaggio che fa del bambino un figlio. Nella clinica, specie di orientamento generazionale, ben conosciamo le patologie connesse a tali accadimenti». E ancora: «Stupisce che il tema della omogenitorialità, che comporta necessariamente il destino dei generati, venga posto quasi esclusivamente nei termini dell’eguaglianza di opportunità e di diritti degli adulti, eludendo il tema della responsabilità che sempre le generazioni precedenti hanno su quelle successive, tema che non è solo della singola persona o della coppia che fa questa scelta, ma anche del corpo sociale che può favorirla o ostacolarla avvertendone il pericolo per il proprio futuro».

Non si può dunque esimersi «dall’evidenziare il rischio e pericolo aggiuntivo di tali situazioni che la psicoanalista Janine Chasseguet-Smirgel con espressione forte cosi esprime: “Solo la mancanza di immaginazione permette di veder avanzare con tranquilla stupidità l’enorme massa di problemi che tutto questo ci propone e ci aspetta”. Stupisce anche, da un punto di vista psicologico, che il dolore profondo e l’angoscia che accompagna tali itinerari di vita (sia per gli adulti sia per i figli) venga così raramente alla luce. È come se non fosse possibile parlare di ostacoli, problemi, drammi, invidia, bisogno di riconoscimento essendo tutto coperto dall'”amore”. La ricerca, come abbiamo visto, è rivolta soprattutto a sottolineare gli esiti di “normalità” nello sviluppo dei figli. Ma, se non è compito della psicologia patologizzare, non lo è neppure “normalizzare”».

La redazione

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L’uguaglianza di genere? E’ indottrinamento

Nils Pickert con figlioNon esistono e non sono mai esistiti maschi e femmine, queste sono solo categorie mentali e non naturali. Ecco in sintesi la nuova (si fa per dire, è nata negli anni ’80) paranoia dei vecchi sessantottini, chiamata “teoria del gender”, e i tentativi per indottrinare le popolazioni fin dalla tenera età sono attive da anni mascherate dietro a nobili intenti come la promozione della parità dei sessi e la lotta all’omofobia.

Il sesso biologico – secondo questa teoria – scompare per far spazio ai generi. Ma quanti sono i generi? Infiniti, dipende dalla fantasia del soggetto, dal cosa ci si sente essere oggi. L’Australian human rights commission (Ahrc) ha cercato di mettere dei paletti elencando 23 generi nei quali un soggetto ha la facoltà di riconoscersi (ma mettere dei limiti dovrebbe essere ritenuta una forma di discriminazione secondo questa mentalità!): uomini, donne, omosessuali, bisessuali, transgender, trans, transessuali, intersex, androgini, agender, crossdresser, drag king, drag queen, genderfluid, genderqueer, intergender, neutrois, pansessuali, pan gender, third gender, third sex, sistergirl e brotherboy.

Piegandosi a questa assurdità, ovviamente priva di alcun fondamento scientifico, ma cercando di salvaguardare anche la faccia dal ridicolo, la Corte d’Appello di Sydney ha recentemente conferito riconoscimento legale a coloro che per varie problematiche personali non si identificano né come uomo, né come donna vogliono appartenere ad un “sesso non precisato”. Evviva il relativismo più sfrenato…sai che soddisfazione, sai che conquista, si commenta ironicamente. All’università di Lipsia, invece, di apparire ridicoli non sembra preoccupare molto. Josef A. Käs, docente di Fisica, stufo delle interminabili discussioni sulla necessità di applicare l’”uguaglianza di genere” da parte dei suoi colleghi, per prenderli in giro ha proposto che anche i professori maschi avrebbero dovuto chiamarsi “professoresse”. Incredibilmente la proposta è passata e “buongiorno professoressa” dovrà essere detto a tutti i docenti, maschi compresi.

La prestigiosa filosofa Sylviane Agacinski, docente presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, ha spiegato che «la differenza sessuale è oggi rimessa in discussione e sottoposta a un tentativo di neutralizzazione», teoria che «tende a imporre l’idea che l’essere umano sia integralmente il prodotto della propria costruzione (sociale, culturale e tecnica): gli umani, sessualmente indeterminati o fluidi, sarebbero costretti a piegarsi a norme sociali di genere e a svolgere un ruolo sessuato». Eppure, ha continuato, «la diversità degli orientamenti sessuali non sopprime la dualità dei sessi: la conferma. Che si desideri l’altro sesso, o che al contrario non lo si possa desiderare, significa che i due sessi non sono equivalenti». Inoltre, «l’antropologa Françoise Héritier sottolinea giustamente che è la fecondità a fondare la distinzione maschile/ femminile. Dirò, nello stesso senso e in modo appena diverso, che la distinzione maschio/ femmina si basa sullo schema della generazione».

Il biologo evolutivo Michel Raymond dell’Institut des sciences de l’évolution di Montpellier e il saggista Nancy Huston in un articolo su “Le Monde” hanno scritto: «Nel mondo vivente (anche animale), maschi e femmine differiscono sempre biologicamente, anche in alcuni dei loro comportamenti. Quale forza misteriosa avrebbe cancellato le differenze nella nostra specie? Già al momento della nascita – e quindi prima di qualsiasi influenza sociale – maschi e femmine non hanno lo stesso comportamento. E come non riconoscere che il picco di ormoni della pubertà, che gli adolescenti umani condividono con i piccoli scimpanzé, ha una origine biologica e un marcato effetto sul comportamento?». Ed infine: «se continuiamo a ignorare ed abusare del mondo, rischiamo di compromettere le nostre possibilità di sopravvivenza. L’antagonismo tra natura e cultura è insostenibile».

L’estate scorsa ha fatto scalpore la scelta di un padre, Nils Pickert, di indossare la gonna per solidarietà al figlio di 5 anni che si troverebbe meglio vestendo abiti femminili. Lo ha fatto perché «voglio insegnare a mio figlio l’uguaglianza di genere». E’ semplicemente incapacità ad educare, optando per una più comoda neutralità educativa. Esattamente come il cantante Robbie Williams che ha recentemente dichiarato che se sua figlia, che oggi ha 9 mesi, cominciasse a drogarsi la aiuterebbe a prendere le migliori droghe e le assumerebbe assieme a lei.

Eppure Marcello Tempesta, docente di Pedagogia generale presso l’Università del Salento ha chiaramente spiegato: «nel processo di crescita armonica della persona un rilievo decisivo ha quella componente del nostro essere in cui si rivela il suo strutturale essere in relazione: l’identità-differenza sessuale. Si tratta di una realtà oggi “terremotata”, messa pesantemente in discussione da un mainstream sempre più diffuso, che sta facendo artatamente diventare sensibilità corrente e senso comune ufficiale (come dimostrano fiction e canzoni, dichiarazioni di star hollywoodiane e di celebrati maîtres à penser) la filosofia del Gender». Imporre queste ideologie nei luoghi educativi porta ad una inquietudine: «Davvero al centro di certe pubbliche prese di posizione c’è la preoccupazione per i bambini, o non piuttosto i desideri degli adulti di voler (ad ogni costo) vedere legittimati dalla forza della legge i propri desideri ed i propri stili di vita?»  si è chiesto il pedagogista. La scuola non può essere «neutra rispetto alla verità dell’umano», ma deve continuare ad insegnare «la fecondità della differenza sessuale, paradigma di una relazione capace di produrre novità reale».

Dale O’Leary, scrittrice e grande esperta di femminismo definisce la teoria del gender come «la rivoluzione sessuale come lotta di classe», le cui origini sono nel marxismo. Giuseppe Bonvegna, ricercatore in Storia della filosofia presso l’Università Cattolica di Milano, commentando l’ultimo libro di Mario Binasco, psicoanalista, afferma: «Checché ne dica il bigottismo fintamente moderno dei cantori dell’ideologia del gender, i quali non possono non finire per considerare l’attività sessuale come un qualcosa di non umano, paradossalmente proprio per un eccesso di arbitrio “umano”: sostenere, infatti, (come fa la “gender theory”) una non dipendenza dell’elaborazione dell’identità sessuale dal possesso reale di determinati organi sessuali significa sostenere che il corpo non è più un riferimento e una “pietra d’inciampo” reale da cui dipende la complessa “sessuazione” (termine lacaniano usato dall’autore) degli individui, e si può pensare di trattarlo in modo del tutto arbitrario come un mero oggetto di consumo». Si tratta, ha continuato Bonvegna, «di un materialismo finto e contraddittorio, portato avanti con le armi mediatiche di una posizione culturale (il relativismo) che si propone come tollerante, ma la cui origine è tutt’altro che “di larghe vedute”, in quanto, come quella dello stesso materialismo, risiede nella pretesa di certa ragione moderna di stabilire cosa è reale e cosa non lo è».

L’origine di questa teoria antirealista nasce da «un’idea di libertà ridotta ad arbitrio assoluto, materialismo ed idealismo hanno rappresentato il presupposto affinché quel riduzionismo potesse dar vita all’ideologia del gender, la quale, non a caso, condivide con materialismo e idealismo l’incapacità di tenere conto della vera natura del corpo umano vivente. Una libertà assoluta non farebbe problema, se non fosse che l’uomo scopre se stesso solo nel tu, cioè nell’altro da sé, in un rapporto che non significa annullamento della propria personalità nell’altro, proprio nella misura in cui l’altro mi costituisce restando altro da me. L’uomo di oggi, invece, confligge con la realtà materializzando i rapporti (non solo sessuali) perché ha paura dell’altro». Il vero problema della teoria omosessuale o quella del gender, infatti, è proprio la paura della diversità. Si promuove «l’indifferenza, alludendo ad un umano androgino. Mentre si esalta la differenza, in fondo la si teme e la si nega», ha spiegato ancora il pedagogista Tempesta.

Dopo la guerra alla gravidanza tramite l’aborto e al matrimonio tramite il divorzio e la sua equiparazione ad altre relazioni diverse di tipo romantico, stiamo per passare alla fase finale: la guerra contro l’identità sessuale. La Dottrina Sociale della Chiesa, come spiega Claudio Gentili, direttore de “La Società”, è l’unica voce autorevole rimasta coerente con un’antropologia rispettosa della verità dell’uomo e del valore sociale del tema della vita che riguarda, non solo chi sarà chiamato a vivere, ma anche chi la vita la sta vivendo.

La redazione

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UCCR va in vacanza estiva: restate con gli amici…

Logo UCCR + scrittaAnche quest’anno è arrivato il momento delle meritate vacanze estive. La redazione UCCR augura a tutti i suoi lettori, agli amici e ai nemici, ai supporter di Facebook, di Youtube e di Twitter…una felice e riposante estate!

Il sito web riprenderà l’aggiornamento quotidiano lunedì 05 agosto 2013.

La secolarizzazione equivale non alla perdita di fede, ma alla perdita di interesse sociale nella fede come se essa non avesse più nulla da dire o da offrire al modo comune di vivere (C. Dawson, “The Historic Reality of Christian Culture”, Sheed & Ward, 1960, p 19). Lo scopo del nostro sito web è proprio quello di sfruttare la secolarizzazione per re-introdurre l’interesse culturale sulla fede cristiana, in modo nuovo.

A giudicare dalle e-mail che riceviamo, tuttavia, a volte risultiamo essere di aiuto anche per il personale cammino di fede. Per questo c’è la vita parrocchiale che ognuno può trovare nella sua città (o in quella a fianco), ci sono i movimenti ecclesiali e gruppi di preghiera, ma anche diversi realtà sul web che hanno questo come obiettivo principale. Tuttavia siamo contenti se anche noi riusciamo a dare questo contributo, per questo desideriamo condividere con voi uno dei tanti messaggi che abbiamo ricevuto: «Buon pomeriggio e che il Signore vi benedica copiosamente», ci ha scritto Paolo il 3/7/13. 

«Non posso non iniziare così questo scritto per il semplice motivo che la pubblicazione odierna sul miracolo Eucaristico di Buenos Aires, di cui ero totalmente all’oscuro, cade in un momento molto particolare per me. Voglio testimoniare con la massima umiltà e serietà – tengo a dire che non sono un credulone, un superstizioso, anzi -, che sono giorni che non ho pace, mi assillano domande e dubbi sulla presenza reale di Gesù nella Eucarestia. Da qui ricerche, letture e così via, trovando anche, purtroppo, protestanti e correnti correlate, che la negano. Uno stato d’animo insostenibile e tremendo, non volevo cedere, ma come potevo fare? Certo preghiera, partecipazione alle celebrazioni Eucaristiche non sono mai state messe in discussione, ma restava il conflitto. Ed ecco che oggi voi pubblicate, in concomitanza con un nuovo “attacco” molto forte, un documento che mette fine alle “ostilità”. E il nemico fugge sconfitto. Non riesco a esternare ciò che ho provato leggendo e che provo adesso, ma ringrazio il Signore in ginocchio per questo, che suona anche come dolce rimprovero per me. Chiedo perdono a Dio per il dubbio avuto -anche se corretto è dire “combattimento interiore”-, tra me e un qualcuno, qualcosa che avrebbe voluto recidermi con il più grande dono che Dio ci ha fatto. In conclusione testimonio che Gesù mi è venuto incontro, non è superbia ma solo desiderio di testimoniare che Dio è Immenso e che soccorre davvero i suoi. Che il Signore vi benedica immensamente, perché tramite voi ciò è accaduto, le mie preghiere sono arrivate in Cielo e Dio ha utilizzato voi come canale per dare a me – e non solo – quello di cui avevo bisogno. So che voi fate un altro tipo di “lavoro”, ma ci tenevo a parteciparvi quanto accaduto».

 

In questo periodo di pausa vi lasciamo assieme ad amici fidati, con i quali quest’anno abbiamo formato una rete virtuale, condividendo obiettivi e sforzi:

 

Buone vacanze, ci rivediamo il 5 agosto 2013!

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Padre Maurizio Botta intervistato dalle “Iene”

Padre Maurizio BottaSono tanti i sacerdoti con le idee chiare e capaci di comunicarle in modo veloce e diretto, comprensibile a tutti, vicini e lontani dalla Chiesa. Sono pochissimi quelli che vengono messi davanti alle telecamere della televisione o contattati dai quotidiani per una intervista.

Gli unici accettati sul grande schermo sono i don Gallo e i Vito Mancuso. Eppure alle show delle “Iene”, programma di Italia1 (spesso apertamente anticlericale), è stata fatta sorprendentemente un’eccezione qualche mese fa. E’ stato infatti invitato padre Maurizio Botta, giovane sacerdote romano che ha rilasciato una bellissima intervista, nonostante i fastidiosi continui tagli operati dalla trasmissione. Probabilmente pensavano di “fregarlo” con domande scomode e lui ne era certo consapevole, ma il risultato è stato davvero interessante. Ovviamente la tematica centrale è stata quella che ossessiona la società, di cui le “Iene” sono uno specchio, ovvero il sesso e l’omosessualità.

Fin dall’inizio padre Maurizio ha smontato il mito di una divisione tra sacerdoti tradizionalisti e non: «Sei un sacerdote con posizioni tradizionali o progressiste?», gli ha chiesto l’intervistatore. «Se potessi rispondere con Fantozzi direi che questa domanda è una… pazzesca. Io sono un sacerdote di Cristo, sacerdote della Chiesa. Punto», ha risposto padre Maurizio. «Quindi sei un sacerdote con posizioni tradizionali?», ha nuovamente chiesto la Iena, ovviamente impossibilitato ad ascoltare ed andare oltre ai luoghi comuni. Tant’è che lui ha risposto ironico: «Quindi tu non vuoi ascoltare la mia risposta!».

Da qui in poi solo domande sulla sessualità. Alcune risposte sono da incorniciare: «C’è chi sostiene chela Chiesa, per alcune cose, non sia proprio al passo con i tempi». «È vero. La Chiesa deve preoccuparsi solo di piacere a Gesù Cristo e poi, se questo non è di moda, deve andare serenamente per la sua strada». Ed ancora: «Perché un ragazzo che ha la fidanzata e una buona istruzione decide di farsi prete?», la domanda. «Per il meglio», la risposta. «Cos’è il meglio?». «Gesù Cristo».

Altre interviste di padre Maurizio sono visionabili sul canale Youtube di “Catechisti Roma”, mentre si può seguirlo attraverso la sua pagina Facebook. Buona visione!

 

Qui sotto l’intervista a padre Maurizio Botta)

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Quando Lidia Ravera insultava la Rice e Papa Francesco

Lidia RaveraIl nome della femminista Lidia Ravera, oggi assessore alla cultura della Regione Lazio, è emerso in questi giorni dopo le affermazioni razziste del leghista Roberto Calderoli contro il ministro Cecilie Kyenge.

Sul “Corriere della Sera” Luca Mastrantonio ha ricordato un articolo della Ravera del 2004, pubblicato su “L’Unità”. La femminista accusava le “vecchie compagne” femministe di gioire per la nomina di Condoleeza Rice a segretario di Stato degli USA con il governo Bush, concludendo così l’articolo: «Condoleeza, con quelle guancette da impunita, è la “lider maxima” delle donne-scimmia. Personalmente, anche se è maschio, preferivo Colin Powell. E, anche se è maschio, concordo con Giulietto Chiesa che, commentando la nomina della nostra eroina B.M.W (black-middleaged-woman), ha scritto: “Un falco al quadrato ha preso il posto della radice quadrata di una colomba”. In quanto pacifista contraria alla politica estera di Bush mi sparerei un colpo. In quanto femminista lo sparerei direttamente a lei, il colpo, …” con dolcezza”».

Indignata, la Ravera ha inviato una replica al “Corriere della Sera” accusando il giornalista di aver estrapolato «un paio di parole da un mio articolo del 2004». Si è quindi difesa dicendo di non aver voluto aggredire l’aspetto della Rice ma di condannare «una donna che scimmiotta gli uomini nei loro lati peggiori. In questo senso, ed era lapalissiano, le davo della donna scimmia». Si è quindi domandata: «Che senso ha decontestualizzare una parola e costruire lo sputtanamento di una persona che non se lo merita?». Mastrantonio ha controreplicato dicendo: la Ravera «nega di aver espresso un giudizio legato all’aspetto fisico, ma nell’articolo parla esplicitamente di “guancette da impunita” della Rice leader delle donne-scimmia». In ogni caso la gravità maggiore del commento di Ravera sull’“Unità” non sta tanto nella disapprovazione della Rice ma nelle parole finali: «In quanto femminista lo sparerei direttamente a lei, il colpo». Nessun commento su questo?

D’altra parte stiamo ancora aspettando che la Ravera ritiri la diffamazione verso Papa Francesco e chieda scusa. Quando venne eletto, infatti, la Ravera (che proclama di essere stata anche giornalista!) ha dato credito senza alcuna verifica delle fonti alla campagna denigratoria anticlericale che ha investito Bergoglio nelle ore immediatamente successive all’elezione al soglio pontificio. Papa Francesco infatti è stato falsamente accusato di complicità con il terrorismo argentino nonché gli sono state attribuite false citazioni contro le donne. Proprio di queste si è occupata la femminista in una lettera a lui destinata pubblicata sul “Fatto Quotidiano”: «Ho letto con dispiacere la sua dichiarazione a proposito del genere cui appartengo: “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale e i fatti ci insegnano che l’uomo è politico per eccellenza, le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, niente di più”. Lei davvero è convinto che apparteniamo a una razza inferiore, incompleta? E mancante di che cosa? Il pene? Il discernimento? Possiamo scegliere soltanto fra Maddalena e Maria, tertium non datur? Qual è la tara che ci rende indegne di esercitare quello che è un diritto di tutti i cittadini e le cittadine? colpa di Eva? Per quanti millenni ancora dovremo pagare la libertà intellettuale, la curiosità che la rese disobbediente? (Risponda, la prego, visto che è un tipo alla mano)».

Noi della redazione UCCR non avevamo impiegato molto tempo a capire che la citazione -riportata anche dalla Ravera, non sul suo blog personale ma su un quotidiano nazionale- era una bufala, priva di fonte e inventata di sana pianta dagli oppositori di Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires. Ci siamo riusciti noi, perché non la bravissima Ravera? La citazione è comparsa per la prima volta su “Yahoo Answers” dall’utente argentino “Bumper Crop” e la notizia della bufala era sulla maggior parte dei quotidiani di lingua spagnola, come “Eleconomista.es” già dal 15/03/13 esattamente il giorno della gratuita e infondata accusa al nuovo Pontefice su un quotidiano nazionale. A lei dunque rivolgiamo la stessa domanda che ha rivolto al giornalista de Il Corriere«Che senso ha non verificare una citazione e costruire lo sputtanamento di una persona che non se lo merita?»

Vogliamo comunque spezzare una lancia a favore della femminista. Onore le va dato, infatti, di essersi opposta alla Teoria del gender valorizzando la differenza della donna rispetto all’uomo, contro ogni omologazione filo-omosessualista. Ha scritto infatti: «Io mi reputo, tuttora, femminista, non perché penso che le donne sono “migliori degli uomini” o “brave quanto gli uomini”, io sono femminista perché penso che le donne sono “diverse dagli uomini” e questa diversità, invece di essere valorizzata, continua ad essere considerata un handicap e le penalizza». Per questo motivo le femministe, ma non la Ravera, si contraddicono quando sostengono le adozioni gay perché di fatto stanno affermando che  in fondo non c’è nulla di diverso e unico nella donna rispetto all’uomo, tanto che una donna può benissimo essere sostituita nel suo ruolo di madre da un uomo omosessuale.

Chissà se la femminista avrà la stessa energia, ora che è in politica, di prendere posizione in modo diretto su questa tematica, magari la stessa che ha usato per condannare Papa Francesco per un’affermazione che non ha mai fatto, che lei non si è minimamente preoccupata di verificare, alimentando così le infondate condanne al nuovo Pontefice e che non si è mai scusata, in seguito, per aver gettato fango basandosi su un falso.

La redazione

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Vittorie pro-life: in Texas e in molti altri stati

Bimbo con mammaA nulla è servita la bizzarra iniziativa della democratica Wendy Davis in Texas, rimasta in piedi 13 ore per pronunciare un discorso abortista che, protraendosi oltre alla mezzanotte, aveva invalidato la votazione sul restringimento dell’aborto, vietandolo oltre la ventesima settimana. I quotidiani hanno raccontato che i sostenitori della Davis cantavano “Hail Satan” e “Maria doveva abortire Gesù!” , mentre i pro-life intonavano “Amazing Grace”.

Il disegno di legge è comunque tornato in aula, passerà grazie al voto compatto della maggioranza e sarà firmato dal governatore texano Rick Perry, che ha dichiarato di essere contento se la Davis «è riuscita a laurearsi alla facoltà di giurisprudenza di Harvard e di servire il Senato del Texas, ma dispiace che non abbia imparato dalla sua stessa esperienza che ad ogni essere umano va data una possibilità di realizzare tutte le sue potenzialità a pieno e che ogni vita ha un valore». La notizia più positiva, in ogni caso, è che la nuova legge comporterà probabilmente la chiusura delle 42 cliniche abortiste dello stato.

Ma non sono le uniche buone notizie per  chi è dalla parte del diritto alla vita.

La Corte Suprema in Irlanda, ad esempio, ha respinto il ricorso di Marie Fleming, dopo che un tribunale di grado inferiore le aveva rifiutato il suicidio assistito. La suprema Corte ha votato contro il suicidio assistito, dichiarando che la legislazione non “viola in modo sproporzionato” i diritti costituzionali del richiedente.

Anche nello stato americano del Montana è stato affossato un disegno di legge a favore del suicidio assistito ed è stato inoltre varata una modifica per chiarire la legge (House Bill 505) e proteggere i cittadini dal suicidio assistito. Un sondaggio di Environics in Canada, ha mostrato che chi avrebbe più probabilità di usufruire dell’eutanasia, come anziani e disabili, sono i più fortemente contrari a modificare la legge vigente.

Il governatore del Wisconsin, invece, Scott Walker, ha trasformato il Senate Bill 206 in legge. Questa importante legge darà la possibilità alle donne in cerca di aborto di vedere i loro bambini non ancora nati attraverso gli ultrasuoni, dopo averle spiegato tutte le opzioni alternative. Gli abortisti di Planned Parenthood hanno annunciato una querela federale per impedire questa legge e opponendosi al fatto che le donne vadano informate di quel che stanno per compiere. Visto che gli abortisti hanno paura della verità e dell’informazione, i volontari di LifeChoices stanno portando ecografie e ultrasuoni per le strade, attraverso un furgone medico, offrendo gratuitamente alle donne in gravidanza questo servizio.

Il governatore dell’Ohio, John Kasich, ha a sua volta firmato il legge altre restrizioni per l’aborto: sarà più difficile per le cliniche di soppressione del feto umano ricevere finanziamenti; sarà disponibile il servizio dell’ecografia ultrasuoni per chi cerca un aborto e sarà limitata la capacità dei fornitori di aborto di “ottenere accordi di trasferimento con gli ospedali pubblici”.

In Oklahoma sono stati invece completamente tolti i fondi statali a Planned Parenthood, destinandoli agli ospedali e agli operatori sanitari pubblici.

A proposito di Planned Parenthood. Il suo “braccio” di ricerca, il Guttmacher Institute, ha recentemente segnalato che nella prima metà del 2013 i legislatori degli Stati Uniti hanno approvato 43 disposizioni che limitano l’aborto, numero numero leggermente superiore a quello dello stesso periodo nel 2012 (39 misure pro-life) ma più basso rispetto al 2011 (80 leggi contro l’aborto).

L’America sta cambiando, dove sono i sostenitori dell”adeguamento” agli altri Paesi, che amano spuntare fuori solo quando si parla di nozze gay?

La redazione

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