Altro che “childfree”, la maternità è il compimento della donna

MaternitàLa rivoluzione sessantottina si è infantilmente opposta ad ogni autorità in nome di una utopica libertà. Non solo ribellione all’autorità politica o religiosa, ma anche quella naturale che vede nella distinzione sessuale un valore.

In questo complesso moto di ribellione antropologica è subentrato anche il rifiuto della maternità e della paternità chissà per quale agognata emancipazione. Oggi si invoca, come cima del progresso narcisistico, la chilfree life, la libertà dallo schiavismo a cui ci sottopongono i bambini. Fioccano anche in Italia, di conseguenza, le spiagge che non vogliono bimbi e bimbe e anche le compagnie aeree hanno introdotto voli childless.

La provocazione è stata lanciata in questi giorni dal “Time” e anche i quotidiani italiani ci hanno rassicurato che si vive «senza figli e senza rimpianti» respingendo l’imperativo categorico della genitorialità inculcato dalla società patriarcale, quando in realtà è un semplice dato naturale. La maternità viene dipinta come il nemico che ostacola la realizzazione della donna, la quale si compirebbe nella carriera lavorativa (e ritorna la rincorsa a somigliare il più possibile agli uomini!). I figli dopo i quarant’anni, prima bisogna divertirsi dicono gli eterni bambini. Poi si scopre che dopo i 40 anni i figli non arrivano più, salvo un miracolo. La tuttologa Chiara Lalli non fa mancare la sua presenza nemmeno qui, elogiando chi ha avuto figli a sessant’anni perché sarebbe «una madre più attenta». Non è il parere dei figli cresciuti con queste mamme-nonne: «Ho avuto la sventura di nascere da genitori di 51 e 42 anni, e non è stata un’esperienza per nulla piacevole»ha scritto Paolo B. «Occorre considerare cosa significhi essere adolescenti con genitori ultrasessantenni, sentendosi continuamente definire “bastone della mia vecchiaia”. C’è soprattutto da considerare cosa significhi cercare di costruirsi un futuro con genitori ormai anziani e bisognosi di assistenza, barcamenandosi tra pannoloni, medicine e colloqui di lavoro; tra orari d’ufficio e improvvise chiamate da casa per imprevisti legati all’età. Sarebbe quindi ora che la si smettesse di considerare i figli come un diritto assoluto dei genitori, ignorando il loro diritto ad avere una famiglia “normale”; e che si imparasse a rispettare i limiti dettati da Madre Natura, che evidentemente non esistono per caso».

Il direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri, dopo la quotidiana spalata di fango contro il giudice Esposito reo di aver condannato il suo datore di lavoro, ci informa che secondo le sue fonti «l’orologio biologico, che confermerebbe che la maternità è una forma naturale e insopprimibile per esaltare la femminilità e darle un senso, è in verità un retaggio culturale». Eh già, beato lui. Per fortuna gli ha risposto sul suo giornale una donna, Annamaria Bernardini de Pace«Nessuna donna può negare di sentire il desiderio della maternità, fin dall’infanzia. L’istinto di dare la vita è il motore di ogni nostra cellula; il nostro corpo ci rende da subito fiere di poter essere un giorno portatrici della vita che si rinnova. Perché avere un figlio vuol dire conoscere l’essenza insuperabile dell’amore, dare un senso alla fatica di vivere, rendere etica la propria capacità di produrre, conoscere la responsabilità di creare e formare una persona. Non è invidiata quindi una donna che non può avere figli, ma neppure può essere invidiata una donna che non vuole avere figli. Non sono quindi per nulla d’accordo con quanti negano che la femminilità si identifichi con la maternità. Anzi credo che le donne di questa idea stiano reprimendo la loro femminilità; nell’obiettivo di essere più uguali al maschio, queste donne vedono, nel bisogno di libertà assoluta, la illusoria conquista della pari dignità di genere. Negarsi un figlio per la carriera, il piacere, un malinteso senso di libertà, è una specie di autoviolenza al cuore più segreto e potente della femminilità. Se è vero che donna non si nasce, ma la si diventa, l’essere madre fa diventare più donna di qualsiasi altra donna».

Monica Mondo commenta così la nuova moda della libertà come autorealizzazione senza genitorialità: «Anni di femminismo scatenato nel rifiuto della maternità, per occupare finalmente i posti riservati solo al maschio». Ma poi, «arrivate all’età dello chignon grigio, quando anche i lifting cedono e sono irripetibili, la pensione costringe a rinunciare a nottate da sballo, i polmoni limitano i vari tipi di fumo, il lavoro è un incubo così lontano da mancarti tantissimo, ti resta solo quel grumo di tenerezza che ti annoda lo stomaco quando le tue amiche giocano coi nipotini. E’ la vecchiaia bellezza, arriva sempre, se vivi abbastanza. Allora avrai trovato la tua strada?». E’ quello che dice anche la letteratura scientifica: i genitori sono più felici e soddisfatti delle coppie senza figli (Psychological Science), le coppie con figli vivono più a lungo e hanno vite migliori psicofisicamente (Journal of Epidemiology e Community Health), gli uomini senza figli hanno un incremento di rischi di infortunio, dipendenza, mortalità e di cardiopatia ischemica (Social Science & Medicine), la mancanza di figli è significativamente correlata alla solitudine e la depressione (International Journal of Geriatric Psychiatry), le coppie senza figli sono socialmente meno integrate e hanno un minor numero di contatti sociali (Zeitschrift für Gerontologie und Geriatrie).

Vittoria Maioli Sanese, psicologa della coppia e della famiglia ha spiegato che la coppia che non vuole avere figli è una «coppia “strumentale”, nel senso che il percorso che i due intraprendono è puramente incentrato al benessere reciproco. Si va avanti nel tempo negoziando i propri bisogni, facendo in modo che l’altro vi risponda. È una coppia precaria, a termine, che rischia di franare nel momento in cui, per circostanze variabili, il benessere viene meno. Oggi “fare la mamma” viene percepito come un lavoro. La maternità a volte rischia di perdere il suo significato più profondo, smette di essere compimento o proseguimento della propria identità, e diventa appunto un “lavoro”. Le radici del femminismo hanno sminuito il valore sociale di una cosa così importante. Perché anche mentre stai fissando un pannolino e stai cambiando tuo figlio, stai crescendo quella persona. Il modo in cui guardi tuo figlio e lo cambi, è il modo in cui lo cresci. Contempli un pannolino, e crei una persona».

E’ intervenuta anche Kate Spicer, che ha scelto di non avere figli ma che oggi rimpiange questa scelta: «la mancanza di figli è fonte di tristezza e di rimpianto. Non ho mai incontrato una donna che si pentì di avere figli. Ogni donna che dice di essere felice senza figli è bugiarda o pazza». Non c’ bisogno di condannare o insultare, più che altro augurare –come ha fatto la filosofa Francesca Rigotti dell’Università di Lugano- di restare «immuni dal rimpianto di essersi fatte sfuggire qualcosa di prezioso. E che non giunga per loro un momento della vita in cui il desiderio di maternità diventi così pressante da portarle a sottoporsi a pesanti torture fisiche pur di fare un figlio a ogni costo, non soltanto a trenta ma anche a cinquanta e a sessant’anni». Ma non solo la donna, Duccio Demetrio, filosofo presso l’Università La Bicocca Milano, ha sottolineato come all’uomo che non diventa padre «manca, prima di tutto, lo specchio degli occhi dei figli, specchio spesso impietoso, ma importantissimo. È lo specchio filiale che ci fa sentire di esistere. L’assenza di una posterità a cui consegnare non solo e non tanto un’eredità economica e materiale, ma le nostre passioni, i nostri vezzi, compresi anche tic e piccole manie”». Per questo, a mio parere, potendo, i figli sarebbe meglio averli».

In gioventù Emma Bonino girava l’Italia elogiando l’emancipazione femminile, oggi confessa«Di colpo ho capito di non essere più di nessuno: non sono mai stata moglie, mai madre. Sono sempre stata solo una figlia. La mia domenica ideale è in pigiama a bighellonare per casa». 

Michela Marzio

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Il nazismo fu anche furore anticristiano

NazismoUna delle cose più bizzare che si leggono nel grande calderone del web è che Adolf Hitler sarebbe stato cristiano e magari anche cattolico. Eppure uno dei capi di accusa ai leader nazisti durante il processo di Norimberga fu proprio la persecuzione religiosa anticristiana, come abbiamo già scritto. Il recente libro “Conversazioni a tavola di Adolf Hitler” ha svelato gli inediti dialoghi privati tra il Führer e i suoi colonnelli, dai quali emerge il profondo odio verso la Chiesa e tutto quello che appartiene alla cultura cristiana.

Interessanti a questo proposito due articoli dell’editorialista del “National Review Online”, Jonah Goldberg, noto conservatore ebreo americano. «Come gli ingegneri di un ponte ferroviario proverbiale, i nazisti hanno lavorato senza sosta per sostituire dadi e bulloni del Cristianesimo tradizionale con una nuova religione politica», ha scritto Goldberg in un primo articolo. Hitler vietò le opere di carità, «paralizzando il ruolo delle chiese religiose». Il calendario cristiano venne sostituito e il nuovo anno venne fatto iniziare il 30 gennaio, giorno della presa del potere. I giochi e le fiabe «vennero riscritte per glorificare eroi pagani coraggiosamente in guerra contro gli eserciti cristiani stranieri». Quando alcuni vescovi lo denunciarono pubblicamente, «il Fuhrer reagì con collera esclamando: “il cristianesimo scomparirà dalla Germania proprio come ha fatto in Russia”». Nel 1935 vennero abolite le preghiere a scuola e nel 1938 toccò ai canti e alle rappresentazioni della natività. Il tutto sostituito dai canti nazisti: “Siamo la gioventù hitleriana felice; non abbiamo bisogno delle virtù cristiane. Adolf Hitler è il nostro intercessore e il nostro redentore. Nessun prete, nessun maligno potrà averci”

Nel secondo articolo Goldberg si è soffermato su Alfred Rosenberg, il vero ideologo del nazismo: per lui «il cristianesimo era la colpa di tutti i moderni orrori del capitalismo e della vita inautentica, per non parlare della distruzione di Atlantide. Rosenberg delinea una cospirazione cristiana dopo l’altra» e, come qualcuno ancora oggi, «suggerisce l’esistenza di un Vangelo che, se non fosse stato nascosto dalla Chiesa, avrebbe sfatato la “contraffazione della grande immagine di Cristo” che si trova in Matteo, Marco, Luca e Giovanni». Hitler, nel suo “Mein Kampf”, scrive: «Il Cristianesimo non si accontentò di erigere un altare di sua iniziativa. Prima aveva distrutto gli altari pagani. L’avvento del cristianesimo ha scatenato il terrore spirituale sul mondo antico molto più libero».

 

Qui sotto il documentario “La croce e la svastica”, realizzato nel 2012 da La Grande storia di Rai3

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Paritarie: fondi confermati a Bologna, si ritirano i giacobini

Scuola paritariaDopo la sconfitta maturata nel Referendum bolognese (la maggioranza dei cittadini ha premiato lo status quo), il comitato giacobino contro la scuola pubblica paritaria, “Articolo 33” si è finalmente sciolto, mentre il Consiglio comunale ha ovviamente confermato i fondi alle paritarie, così come avviene in tutta Italia e, in misura ancora maggiore, in tutta Europa.

Sostenuti da “Il Fatto Quotidiano” e da esponenti come Stefano Rodotà, Nichi Vendola e Riccardo Scamarcio, i nuovi Robespierre nel loro ultimo comunicato si consolano dicendo di aver comunque «costruito un percorso di partecipazione che ha visto coinvolte tantissime persone». Non vorremmo togliere a queste persone anche l’ultimo appiglio, ma siamo costretti a ricordare che il 70% dei cittadini bolognesi è rimasto a casa, evidentemente non intenzionato a cogliere l’occasione di modificare la collaborazione tra il Comune e gli istituti paritari. L’affluenza alle urne è stata la più bassa nella storia recente delle consultazioni popolari bolognesi. Oltretutto, di quei 86 mila cittadini (su 300mila) che sono andati a votare, il 41% ha votato a favore del finanziamento. Dove sono dunque le “tantissime persone” coinvolte? Una grande folla potrebbero essere quella che ha votato un sondaggio su questa tematica nel sito de “La Stampa”: quasi 200 mila, di cui il 78% a favore del finanziamento alle scuole non statali (ma comunque pubbliche, secondo la legge Berlinguer). Ricordiamo che il referendum indetto dal “Comitato Articolo 33” è costato 540 mila euro ai cittadini bolognesi.

Il sindaco di Bologna, Virginio Merolaha spiegato: «Servizio pubblico in tutta Europa non è statalismo. Ma che idea di sinistra è quella che in nome di un principio astratto divide la gente, introduce rancore e un’idea di servizio pubblico che non c’è neanche più a Cuba?». Per sapere come funziona il sistema scolastico inglese, dove c’è “vera” libertà d’educazione, è utile leggere questo articolo.

Il giurista anti-libertà di educazione, Rodotà, sarà sconvolto, anche il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza ha infatti in questi giorni promesso «una politica emergenziale per la scuola, ma anche a una ad ampio raggio, per sostenere le istituzioni scolastiche paritarie, comunali e private, che rappresentano il 12 per cento delle scuole italiane», esprimendo «consapevolezza dell’importanza delle scuole paritarie in un sistema integrato di istruzione, che assicura la libertà di scelta da parte delle famiglie all’educazione scolastica dei propri figli, e del fatto che tali scuole, soprattutto in alcune zone del Paese, svolgono un ruolo fondamentale, sussidiario rispetto all’offerta della scuola». Per questo ha dichiarato la necessità di giungere quanto prima a una «stabilizzazione dei finanziamenti a sostegno delle scuole paritarie, attraverso un meccanismo di copertura permanente del citato capitolo di bilancio n. 1299, che attualmente impone ogni anno di trovare una nuova copertura».

La redazione

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Perché poche donne tra gli atei? Troppa aggressività e molestie

Donne ateismoLe contraddizioni delle comunità aggressivamente laiciste sono infinite. Dopo aver accusato la Chiesa e il cattolicesimo di misoginia, ad un certo punto si sono accorte che quasi non esistono donne atee, mentre ci sono più donne cattoliche che uomini. Ma non erano discriminate?

La problematica è emersa in questi giorni su “Salon.com, dove ci si è chiesto: «Dove sono le donne nel “nuovo ateismo”?». I sacerdoti dell’ateismo, si scrive, sono tutti uomini bianchi arrabbiati. Dove sono le donne? Si è fatto notare che i pensatori atei degli ultimi secoli hanno dato giudizi discriminatori contro le donne, spiegando la loro forte adesione alla fede a causa della loro stupidità e predisposizione a credere alla favole. Oggi probabilmente si pensa la stessa cosa nelle congregazioni laiciste, anche se non viene pubblicamente esplicitato.

In un secondo articolo, sempre su “Salon”, viene ipotizzato il motivo della scarsità di donne atee militanti con il fatto che «il sessismo è reale e ha un effetto sulla partecipazione delle donne e la leadership all’interno della comunità atea. Scherzi di stupro e molestie sessuali». Non a caso nel 2012 l’“American Atheists” ha dovuto creare una politica di autoregolamentazione per i loro convegni e conferenze a causa dell’aumento esponenzialmente di denunce da parte di donne a causa di molestie sessuali durante le conferenze dell’associazione (toccate sotto i tavoli, minacciate di stupro, furtivamente fotografate per voyeurismo pornografico ecc.). Lo stesso Richard Dawkins, leader del movimento ateo nel mondo, è stato inserito nella classifica dei peggiori misogini del 2011 per aver insultato una donna che aveva reso pubblico di essere stata molestata durante un convegno di atei, invitandola a restare zitta. Per questi e altri motivi Rebecca Watson nel settembre scorso ha affermato: «Come donna non mi sento al sicuro nella comunità atea».

Un altro motivo, oltre al sessismo e la misoginia diffusa, è l’eccessiva aggressività da parte dei sostenitori dell’incredulità. Lo ha spiegato la femminista Sarah McKenzie: il laicismo moderno è intimidatorio e aggressivo. Una donna, dice la McKenzie, «che osa essere aggressiva è spesso etichettata come arpia isterica. Non è degna di essere ascoltata e impossibile da prendere sul serio. Non mi stupisco che alle donne appaia riluttante dichiararsi atee militanti. Forse c’è spazio per un tipo di ateismo che non sia anti-religioso, ma guardi al problema di come vivere, di come trovare significato e come porre fine alla sofferenza»».

La redazione

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Pedofilia: archiviata l’ultima accusa al Vaticano, nessuna colpa

Tribunale E anche l’ultima causa intentata contro la Santa Seda per casi di pedofilia negli Stati Uniti è stata archiviata, in questo caso dalla Corte d’Appello dell’Oregon.

Ancora una volta, a poche ore dalla discussione della causa, Jeff Anderson il laicissimo avvocato-falco della vittima ha dovuto ritirare il ricorso contro l’assoluzione in primo grado del Vaticano avvenuta a Portland l’anno scorso, sapendo di non avere alcuna prova a sostegno. Ciò è avvenuto senza nessuna contropartita, di alcun genere, da parte del Vaticano, come riportato dal “Corriere della Sera”.

Il Vaticano era accusato di aver trasferito padre Andrew Ronan in diverse città (prima in Irlanda, poi a Chicago e infine a Portland) nonostante ripetuti casi di molestie sessuali su minori. Ma è stato dimostrato anche in questo caso, in base ai documenti depositati in Tribunale nel 2011, che il Vaticano aveva saputo degli abusi di Portland solo un anno dopo che erano avvenuti (nel 1965) e che subito dopo, nel giro di poche settimane, aveva ridotto Ronan allo stato laicale, su richiesta dell’Ordine religioso di appartenenza. La vittoria legale del Vaticano in Oregon è l’ultima di una serie riguardante processi per pedofilia negli Stati Uniti, che nel corso degli ultimi dieci anni hanno macchiato l’immagine della Santa Sede e lo stesso Pontificato di Benedetto XVI sui media anticlericali, ma che davanti ai giudici americani non hanno retto alla prova dei fatti.

Anche in questo caso, come è accaduto dopo l’archiviazione del “caso Murphy” di Milwaukee, il vaticanista sempre pronto a gettare fango sulla Chiesa e su Papa Ratzinger è rimasto in completo silenzio. Si tratta ovviamente di Marco Politi, aggressivo anticlericale de “Il Fatto Quotidiano”, che nel 2010 condannava la Santa Sede a causa dei «trasferimenti omertosi del prete-predatore Andrew Ronan (morto nel 1992), spostato via via dalle autorità ecclesiastiche dall’Irlanda a Chicago e infine a Portland, dove continuò ad abusare». La giustizia americana ha oggi accertato la non colpevolezza del Vaticano, ma nessun articolo in merito è stato scritto dal vaticanista Politi (non dovrebbe essere il suo lavoro?) e tanto meno nessuna richiesta di scuse.

La redazione

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Resiste il revisionismo sulla storicità del cristianesimo

ZealotLa storia del successo di vendita negli Stati Uniti del libro “Zealot: The Life and Times of Jesus of Nazareth” di Raza Aslan non è certo per i contenuti, ma per merito dell’intervistatrice di “Fox News” che ha intervistato l’autore, mettendo in dubbio la sua autorità scientifica.

Aslan è uno studioso islamico delle religioni e ha scritto un libro sulla storicità di Gesù. Il video dell’intervista al network conservatore è diventato virale sul web e il volume è balzato al primo posto di vendita su Amazon. L’autore ha spiegato chiaramente che «questo libro non è un attacco al cristianesimo. Mia madre è una cristiana, mia moglie è un cristiana, mio fratello è un pastore evangelico. Chi pensa che questo libro sia un attacco alla cristianità non lo ha ancora letto».

Per quanto riguarda il contenuto non c’è molto da dire. E’ la classica tesi revisionista e complottista del Gesù che non ha mai detto di essere Dio, con l’aggiunta di alcune chicche originali: Gesù era analfabeta, uno zelota ebreo e un “terrorista-insurrezionalista” politico, per questo è stato crocifisso. Anche secondo il controverso Dale B. Martin, a sua volta sostenitore di tesi improponibili, che lo ha recensito sul “New York Times”, il libro «soffre dei problemi comuni nella divulgazione, come proporre teorie obsolete e semplicistiche per i fenomeni oggi visti come più complessi». E ancora: «altre affermazioni sono solo speculazioni senza prove a sostegno. Di professione Aslan non è uno studioso di ebraismo o di cristianesimo antico. Insegna scrittura creativa». Effettivamente, nonostante Aslan dica di essere uno storico è stato notato che nessuna delle sue lauree è in storia.

Tutte le tesi alternative alla tradizionale sulla storicità di Gesù e del cristianesimo, come quella recente di Aslan, poggiano sulla datazione tarda dei Vangeli. In Luca 4:16, ad esempio, Gesù legge la Bibbia in una sinagoga ma Aslan vuole un Gesù analfabeta e allora afferma: «il Vangelo di Luca è stato scritto 60-70 anni dopo che Gesù era morto, quando il cristianesimo era una religione tipicamente romana e non più una religione ebraica e gli scrittori del vangelo erano molto interessati a fare di Gesù qualcuno che si rivolgeva a un pubblico non ebraico». Screditati quindi come fonti storiche, i revisionisti possono così inventarsi quello che vogliono dipingendo un Gesù a loro piacimento. Anche se, per farlo, usano continuamente come traccia i Vangeli stessi, che però prima avevano screditato.  Come dicevamo, Aslan dice che Luca e Matteo hanno scritto i loro vangeli tra il 90 e il 100 d. C., mentre Marco lo avrebbe terminato nel 70 d.C. Giovanni invece dopo la fine del primo secolo (100-120 d.C.). Ora che ha deciso una datazione tanto tarda, è gioco facile per lui paragonare i Vangeli canonici a quelli apocrifi e fantasiosi, come il Vangelo di Filippo (che è del II secolo e per questo scartato dalla formazione dei canone dei Vangeli), sostenendo che ci sarebbe stata una «drammatica divergenza di opinione che esisteva più di chi era Gesù».

Le date di Aslan sono le stesse, più o meno, sostenute dall’italiano Mauro Pesce (in coppia con l’ateologo di Repubblica Corrado Augias ha prodotto anni fa un libro colmo di contraddizioni e inesattezze, che affronteremo a breve). Ma si rifanno a teorie obsolete, oggi gran parte degli studiosi -cristiani, agnostici, ebrei ecc.- ritiene tutti e quattro i vangeli redatti prima della distruzione di Gerusalemme (70 d.C.). Altri invece anticipano, con motivazioni sempre più accettabili, ancora i vangeli agli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù (35-50 d.C.) I motivi sono tanti e molti si appoggiano anche alle “recenti” scoperte archeologiche come quelle di Qumran (il 7Q5 delle grotte di Qumran, sigillate nel 68 d.C., è certamente un passo di Marco come riconosciuto oggi da quasi tutti, compreso studiosi non credenti come Hunger ed ebrei come Shemaryahu Talmon, che Colin H. Roberts e altri studiosi lo hanno datato scientificamente attorno al 50 d.c.).

La datazione dei Vangeli merita comunque un dossier scientifico che prepareremo probabilmente entro l’estate, tornando al libro di Aslan i ricercatori e studiosi che lo hanno recensito sono stati chiari. Per Alan Jacobs della Baylor University «Aslan non fa nuove scoperte e recita argomenti che non sono già stati fatti molto tempo fa, questo perché Reza Aslan non è uno studioso del Nuovo Testamento. Egli sta scrivendo ben al di fuori la propria formazione accademica. Ciò non significa che il suo libro sia cattivo o che non avrebbe dovuto scriverlo, solo che è in primo luogo una ri-presentazione del lavoro di alcuni studiosi».

Dr. Darrell Bock, docente di New Testament Studies al Dallas Theological Seminary ha spiegato che quella sul libro di Aslan è una «campagna pubblicitaria su roba vecchia. Questo Gesù rivoluzionario è un’idea che è girata tra i lettori più scettici per diversi decenni. Gesù non era certo un zelota». Dott. Denny Burk , professore associato di studi biblici al Boyce College e al Southern Baptist Theological Seminary di Louisville ha spiegato che le opinioni di Aslan «sono palesemente false. Aslan sta vendendo una ricostruzione storica di Gesù». Secondo Greg Carey, docente di New Testament al Lancaster Theological Seminary, il libro «contiene riferimenti a una grande quantità di letteratura, eppure tradisce il fatto che non è per nulla immerso nella letteratura di quel campo».

La redazione

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Francesco apre ai gay? La Chiesa non condanna mai il peccatore

Papa francesco aereoTornando in aereo dalla Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile, papa Francesco ha risposto alle domande dei giornalisti, ossessionati dai soliti argomenti: donne preti, omosessuali e comunione ai divorziati.

Il Pontefice ha risposto ad una di queste dicendo: «si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato nessuno che mi dia la carta d’identità, in Vaticano. Dicono che ce ne siano. Ma si deve distinguere il fatto che una persona è gay dal fatto di fare una lobby. Se è lobby, non tutte sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema è fare lobby: di questa tendenza o d’affari, lobby dei politici, lobby dei massoni, tante lobby… questo è il problema più grave».

Una frase che qualunque cattolico potrebbe sottoscrivere dato che ripete semplicemente il magistero della Chiesa, richiamando -come lo stesso Pontefice esplicita- il Catechismo: «gli omosessuali devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione».

Innumerevoli tuttavia sono stati tentativi di usare queste parole addirittura come un avvallo del Pontefice (“progressista”) alle nozze gay. Basterebbe conoscere la Chiesa per sapere che la condanna è sempre verso il “peccato” e mai contro il “peccatore”, come è stato commentato sull’“Osservatore Romano”: «il cristianesimo ha sempre distinto fra condanna del peccato e misericordia verso il peccatore, non è un rigido puritanesimo senza cuore». Questo vale per tutti i peccati, non solo quelli sessuali (compiuti da etero e da omo). Chiunque si sia andato a confessare in una Chiesa sa bene che non c’è mai un giudizio contro la persona (come si può condannare l’uomo per essere peccatore?). Inoltre, il peccatore non è impedito da una sincera ricerca della fede, semmai è ostacolato dal trovarla (la condanna del peccato è sempre per il bene dell’uomo, mai fine a se stessa).

La Chiesa accoglie tutti e perdona sempre, ma continua a condannare il peccato come ostacolo della fede e della realizzazione piena dell’uomo. Lo testimonia l’omosessuale Philippe Ariño, giovane docente di spagnolo e affermato saggista, di cui abbiamo già parlato. «La Chiesa ha capito l’omosessualità», ha dichiarato in una recente intervista. «La Chiesa cattolica mi riconosce innanzitutto come persona e non mi chiede di negare l’esistenza del mio desiderio omosessuale, ma piuttosto di valorizzarlo offrendolo pienamente a Dio, che mi ha amato fin dall’inizio per quello che sono, con i miei punti di forza e di debolezza».

Altri omosessuali cattolici lo hanno testimoniato. Ad esempio Alfonso Signoriniche ha spiegato«Essere cattolici e gay non è facile, non perché la chiesa non accolga i peccatori, Dio è accoglienza, è più mamma che papà. Ma è il fatto che ogni volta devi avere un confronto con il sacerdote che imbarazza sempre un po’». Perfino Nichi Vendola, leader di Sel, ha affermato«E’ stato forse più facile dire la mia omosessualità ai preti che al partito. Ho parlato della mia omosessualità con molti preti, con uomini e anche con donne di Chiesa. Non mi sono mai sentito rifiutato. Sono state anzi interlocuzioni belle, profonde. La Chiesa è un universo ricchissimo e complicato, non riducibile a nessuna delle categorie politiche che usa la cronaca». 

La redazione

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“Cristiada”, il film censurato in Italia

CristerosGli appassionati di cinema sapranno che il film hollywoodiano “Cristiada”, diretto da Dean Wright con attori del calibro di Andy Garcia, Peter O’Toole e Eva Longoria, in Italia (e in molti Paesi) non è, non vuole essere e non sarà mai distribuito (alcuni parlano di vera e propria censura).

Il film si basa sulla guerra dei cristeros (1926 – 1929), combattuta dai cattolici messicani contro il governo anticlericale e massonico del presidente Plutarco Elías Calles che osteggiò e perseguitò violentemente la Chiesa cattolica. Il dittatore, fanatico robespierriano ed emulatore della Rivoluzione francese, adottò una Costituzione ossessivamente laicista, la cui ideologia massonico-leninista intendeva “modernizzare” il Paese liberandolo dalla «superstizione».  Vennero espulsi preti e vescovi che si opponevano al progetto di una «chiesa nazionale» scissa da Roma e agli ordini del solo governo (come oggi in Cina). Seguirono abolizione degli ordini religiosi, confische, divieto di ogni attività per i cattolici. Chiese, conventi, seminari, scuole, istituti di carità, furono chiusi o confiscati, fino ad impedire l’accesso ai sacramenti ai fedeli. La popolazione cominciò così una protesta non violenta, ma la totale assenza di libertà religiosa fece impugnare le armi ad alcuni, sostenuti dal popolo e dai sacerdoti. Se Cesare diventa un tiranno, il popolo ha diritto di difendere la propria libertà, la propria anima. I generali dell’Esercito Federale pensavano di sconfiggere in breve tempo quegli insorti inesperti e male organizzati, guidati dal generale ateo ed eroe di guerra Enrique Gorostieta. Nonostante l’appoggio logistico degli Usa che consentiva ai federali di non cedere, l’organizzazione si consolidò in pochi mesi, anche perché sostenuta da gran parte della società civile. Parteciparono milioni di persone ma la reazione dello Stato fu rabbiosa: massacri indiscriminati, campi di concentramento, impiccagioni di massa.

Non furono le armi a sconfiggere i Cristeros ma la diplomazia internazionale con gli Arreglos del 1929. La «Cristiada» stava procurando troppi lutti, la guerra rischiava di durare, occorreva un cessate il fuoco. Il vescovo Pascual Díaz riuscì a far firmare gli accordi senza immaginare che per 10 anni il governo li avrebbe traditi. Quando deposero le armi, i Cristeros furono uccisi a migliaia dai nemici, per vendetta. Il primo a raccontare con equilibrio questa storia dopo decenni d’oblio è stato lo storico francese Jean Meyer. Partito da posizioni ostili, egli ha cambiato il suo giudizio sui Cristeros sino ad arrivare, addirittura, alla conversione.  Come spiegato da padre Francisco Elizalde, missionario messicano, «il governo di Calles non volle mai trattare. Prima si percorsero vie diplomatiche e pacifiche, ma, poi, visto che era tutto inutile, il popolo dovette impugnare le armi. Fu l’exstrema ratio. E fu necessaria, perché un cristiano non può vivere senza i sacramenti. Tanto che, se non li appoggiò ufficialmente, la Chiesa non condannò mai l’azione dei Cristeros». Da qualche mese è uscito il libro di Mario Iannaccone: Cristiada. L’epopea dei Cristeros in Messico (Lindau 2013).

AGGIORNAMENTO 11/08/14
Da qualche mese anche in Italia c’è un distributore ufficiale del film, “Dominus Production”, è possibile avere maggiori informazioni collegandosi a: www.cristiada.it. Nel mese di Ottobre 2014 il film uscirà nei cinema, doppiato in lingua italiana.

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«Cara Ritanna Armeni, ti spiego perché la Chiesa non può essere misogina»

 
di Costanza Miriano*
*giornalista e scrittrice

da “Il Foglio”, 03/08/13
 

Ritanna Armeni  ha scritto sul Foglio che “anche le donne più rispettose e comprensive, che hanno dedicato la loro vita alla Chiesa, non possono non definirla misogina. Io personalmente non conosco una sola donna cattolica, ma veramente neanche una, che si sia mai sentita emarginata, svalutata, addirittura odiata dalla Chiesa. La loro diversità nella Chiesa, che sentono madre accogliente, la vivono già, senza chiedersi come.

Conosco donne che hanno aperto strade, come Chiara Lubich, Chiara Amirante, Chiara Corbella, madre Elvira, madre Teresa, madre Cànopi, solo per restare ai nostri giorni, conosco teologhe e docenti in Università Pontificie – alcune anche in posizione costruttivamente dialettica rispetto al Magistero, ma comunque dentro la Chiesa – scrittrici e saggiste, e poi molte, moltissime altre che vivono privatamente la loro realtà, in modo creativo e felice, e quando infelice non certo per colpa della Chiesa misogina. Conosco ingegneri e suore, primari e avvocati, madri e filosofe, scrittrici e commesse, insegnanti e infermiere, a volte più cose insieme, a volte solo – per modo di dire – mogli e madri, che tengono in equilibri diversi tante parti delle loro vite, magari cambiando più e più volte le proporzioni, ma sempre mettendo al centro del cuore e della vita Gesù Cristo, senza mai porsi il problema di voler essere di più, casomai di meno (quasi tutte hanno figli e lavori in sovrabbondanza, e vorrebbero anche cederne quote in outsourcing, se potessero, magari, giusto per qualche giorno). Donne invitate a parlare a fianco di cardinali, a parlare dai pulpiti delle chiese, a ritiri, incontri.

Sono donne in pace con la loro femminilità, che sanno che la loro grandezza è diversa da quella dei maschi (si può ancora dire? discrimino?), maschi che proprio a loro sono affidati, come l’umanità tutta – scriveva Giovanni Paolo II – in modo speciale da Dio.

È questo il potere delle donne, che è diverso da quello maschile: l’uomo sottomette, la donna seduce, cioè porta a sé, e sono due forme di potere che possono essere usate per il bene o per il male (spero che questa rozza ed elementare distinzione non offenda nessuno, ma si sa, noi cattolici siamo un po’ sempliciotti, al bene e al male ci crediamo ancora). Conosco invece moltissime donne ingannate dalla vera misoginia, quella del femminismo, ma qui dovrei cominciare a srotolare un lunghissimo papiro, andando fuori tema.

Cosa esattamente nelle parole del Papa ha fatto accendere una speranza nella Armeni? (“Ha fatto uno scarto, ha sparigliato”). Di certo, come nota lei, non c’è un’apertura al sacerdozio femminile, tema sul quale è stato chiarissimo (comunque nessuna del mio campione da sondaggista artigianale vorrebbe essere prete, per la cronaca).  Ha detto, nell’intervista dai cieli di Rio, che quando si parla delle donne nella Chiesa si dice “soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la Lettura, è la presidentessa della Caritas. Ma c’è di più! Bisogna fare una profonda teologia della donna”. Quindi non ruoli ma essenza. E poi propone a modello le donne del Paraguay, che dopo la guerra si sono messe a fare figli, e la Madonna. Insomma, non mi pare lanci proposte nuove, niente che non sia nel deposito della fede cattolica, niente che si discosti da “la donna ha il primato dell’amore” di Pio XI, o dal “genio femminile della relazione” della Mulieris Dignitatem.

La donna – come scrive madre Cànopi – se vive autenticamente la sua vocazione si trova sempre e comunque al “primo posto”, cioè al posto centrale che spetta all’amore. E la notizia è che le donne così sono davvero contente, quando sono realizzate nelle relazioni, nel prendersi cura, quando sono materne, anche se non hanno figli di carne. Poi a volte riescono a fare cose molto buone anche con il loro lavoro, pur se in modo auspicabilmente diverso dagli uomini, perché se vogliono essere presenti per quelli che amano devono potare qualche ramo, come spiega per esempio Ann Marie Slaughter (“Why women still can’t have it all”), che ha lasciato un incarico come consigliera di Obama per portare i figli alle partite e finire di lavorare prima della chiusura del lavasecco. D’altra parte, come dice l’economista Nuria Chinchilla, una donna che chieda gli stessi diritti degli uomini manca di ambizione, e di fantasia. Siamo diverse e ci piace così. Siamo, noi cattoliche, contro le gender theories, e a favore delle discriminazioni (se discriminare, a leggere il vocabolario, è distinguere una persona dall’altra): vogliamo cose diverse.

Le donne sono specialmente collegate alla fonte della vita – un dato biologico immutabile, questo – e perciò unificano l’uomo, lo mettono in contatto con il senso profondo del suo essere, che siano madri o meno (questo significa il “siate madri, non zitelle” detto da Francesco alle suore). Per questo per le donne il potere ha un altro nome. Alle nozze di Cana la Madonna obbedisce a Gesù – “tutto quello che vi dirà, voi fatelo”, dice ai servi – eppure con le sole parole “non hanno più vino”, con il solo far presente un bisogno (qualità sommamente femminile) fa sì che Gesù cominci a compiere segni pubblici. (Ora mi spiego perché i gelati e le patatine i figli li chiedono sempre a me e non al padre, adesso che ci penso, la cosa ha anche un fondamento teologico…). Ma il punto ancora più fondamentale è che per chi crede non ha alcun senso parlare di potere in termini di visibilità, gerarchie, affermazione. Questa è una logica umana, fondata e ragionevole per i non credenti, ma che non riguarda noi cattolici. È come invocare un tiro da tre punti in una partita di calcio.

Il fatto è che per Dio la Chiesa è la sposa,  perché che la Chiesa sia donna non è una trovata di Papa Francesco, basta rileggere il Cantico dei Cantici, o la lettera di san Paolo agli Efesini.  È quel Gesù Cristo che è morto amando in modo misericordioso noi e tutte le nostre miserie, comprese le rivendicazioni piccine, innocente in croce, e tra l’altro non è stato un incidente di percorso, ma esattamente il motivo della sua venuta sulla terra: è la contestazione evangelica del mondo in cui viviamo. Parlare di potere dunque non ha senso. O meglio non dovrebbe averlo, se non fosse che l’uomo moderno è una specie di Big Mac, un panino multistrato che cerca di tenere insieme tutto, di salvarsi la pelle ma anche l’anima, di mantenere una fede consolatoria e poco disturbante, che può tornare utile in caso di problemi. D’altra parte Dio non è una ricetta per le lasagne: ci puoi mettere o no la besciamella, puoi cambiare il numero di strati di pasta, ma sempre lasagne sono, più o meno buone (le mie molto meno). Dio invece è un numero di telefono, e se cambi una cifra, non c’è possibilità, chiami un altro. Il nostro è esattamente quello della croce, quello venuto per servire, quello che poteva vincere facile, ma ha scelto di no.

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Perché l’aborto è un dramma se lo zigote è un grumo di cellule?

feto 12 settimaneRecentemente su “La Stampa” la giorna-femminista Mariella Gramaglia ha affermato che la «maggioranza delle laiche femministe detesta l’aborto con tutto il cuore». Ma perché mai dovrebbero provare questi sentimenti? L’embrione e il feto non sono forse un grumo di cellule? E perché tanto dispiacere nel rimuoverlo?

Se ieri l’aborto era l’asso nella manica, un contraccettivo finale, per permettersi una vita sessualmente promiscua, oggi si è magicamente trasformato in un dramma. Ma perché è un dramma abortire se l’embrione è una non-persona, un non-essere umano? Perché questo dolore? Lo ha spiegato il card. Carlo Maria Martini: «A partire dal concepimento nasce infatti un essere nuovo, diverso dai due elementi che, unendosi, lo hanno formato. Tale essere inizia un processo di sviluppo che lo porterà a diventare quel “bambino”, cosa meravigliosa, miracolo naturale al quale si deve acconsentire. È questo l’essere di cui si tratta, fin dall’inizio. In quanto chiamato e amato, questo qualcuno ha già un volto, è oggetto di affetto e di cura. Ogni violazione di questa esigenza di affetto e di cura non può essere vissuta che in un conflitto, in una profonda sofferenza, in una dolorosa lacerazione» (C.M. Martini e U. Eco, In cosa crede chi non crede?, Liberal Libri 1996, p. 12).

Evidentemente dunque oggi anche la “maggioranza delle laiche femministe” sono riuscite -seppur senza ammetterlo- ad entrare in possesso di un testo scientifico di embriologia, scoprendo che «lo zigote è formato dall’unione di un ovocita e di uno spermatozoo, è l’inizio di un nuovo essere umano» (K.L. Moore, “Before We Are Born: Essentials of Embryology”, 7th edition, Saunders 2008, p. 2).

I giochi dovrebbero allora essere già chiusi perché la personalità del feto è chiaramente la questione cruciale per l’aborto: se il feto non è una persona, l’aborto non è l’uccisione deliberata di un innocente. Ma se invece il feto è una persona, allora si tratta di omicidio, pratica illegale. Tutti gli altri aspetti della controversia sull’aborto sono relativi a questo. Ad esempio, le donne hanno dei diritti sul proprio corpo, ma non sopra i corpi di altre persone. Ed infatti l’interruzione di gravidanza non è un diritto, come ha confermato Vladimiro Zagrebelsky, magistrato ed ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. Le persone hanno un “diritto alla vita”, ma le non-persone (ad esempio cellule, tessuti, organi, piante, animali ecc,), non lo hanno.

Essendo ormai chiaro che lo zigote è biologicamente e geneticamente umano ed un membro distinto della specie homo sapiens, chi intende giustificare la sua soppressione è costretto ad inventarsi la categoria degli “esseri umani non persone”, dicendo che zigote-embrione-feto sono sì umani, ma non sarebbero persone e dunque privi di diritti sacri e inviolabili. Esattamente come la Corte Suprema americana, che nel 1857 affermava che “a norma di legge, i negri non sono persone” così da giustificare il razzismo. Ma, come spiegato dal filosofo Massimo Reichlin, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, la «differenza tra persona e essere umano è ben lungi dall’essere teoricamente difendibile» (M. Reichlin, “Etica e neuroscienze”, Mondadori 2012, p. 32.33). L’onere della prova e della dimostrazione spetta ovviamente a chi ha inventato questa nuova categoria di esseri umani, usando la stessa tattica retorica dei dittatori che nella storia hanno voluto giustificare teoricamente i loro crimini illudendosi di sentire così meno peso sulla coscienza.

Il dolore, fisico e morale, della donna dopo un aborto distrugge ogni subdolo tentativo dei teorici abortisti. Lo sa bene la tuttologa Chiara Lalli, che ha scritto un intero libro provando inutilmente a convincere che in realtà le donne non provano alcun dolore ad abortire (“La verità, vi prego, sull’aborto”), sperando così di emergere dalla contraddizione che abbiamo posto all’inizio di questo articolo. Proprio questi tentativi, in realtà, dimostrano l’inesistenza di un solo argomento convincente a sostegno dell’interruzione di gravidanza allorquando si ha la dignità e la maturità intellettuale di riconoscere che zigote-embrione-feto non sono quel grumo di cellule come hanno voluto farci credere per anni radicali e femministe.

La redazione

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